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Osservatorio meridionale

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Sergio Tanzarella
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Professore alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Napoli

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Accogliere lo straniero. Dalla regolamentazione alla tutela dei diritti: dilatare i confini del possibile

Sergio Tanzarella

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La Costituzione dell’UE non potrà, infine, prescindere dal riconoscere il fallimento del cosiddetto diritto umanitario e le conseguenze in termini di movimento forzato di popolazioni che questo fallimento comporta. Infatti "l’invocazione del diritto umanitario risuona sempre più come una derisoria parola magica. Questo diritto ha una sola forza: quella delle parole. L’Onu adotta risoluzioni senza che le siano dati i mezzi per attuarle e senza che la responsabilità della loro mancata esecuzione sia sottoposta a sanzioni" [1]. Le stesse resistenze a firmare o a ratificare il Trattato di Roma sulla istituzione della “Corte penale internazionale” da parte di Stati come Usa, Russia, Israele o Giappone sono indicative della scarsissima considerazione per la tutela dei diritti umani proprio da parte di coloro che, per riconosciuto ruolo internazionale, dovrebbero garantirne il rispetto.

Il progressivo allargarsi delle aree di conflitto nel mondo, cui non è estraneo il contributo in armamenti fornito dagli stessi Paesi dell’UE, ha moltiplicato il numero dei rifugiati e di quelli che, a prescindere dalle caratteristiche giuridiche definite dalla “Convenzione di Ginevra”  [2], cercano scampo alle devastazioni e alle guerre. Anche questa moltitudine di esseri umani chiede e chiederà alla futura Costituzione dell’UE il riconoscimento e la tutela del diritto alla vita.

4. L’invenzione del clandestino

Se la Carta non parla di accoglienza dello straniero e se la futura Costituzione dovesse continuare ad ignorarlo allora verrebbe di conseguenza l’ennesima ratifica di questo nuovo e inventato gruppo sociale che è il clandestino.

Il clandestino sarà allora colui che è:

"incluso nei livelli più bassi della gerarchia sociale ed escluso dalle frontiere simboliche della società, [...], espropriato della propria identità lo straniero diviene una sorta di fantasma. Del quale si nutre l’immaginario xenofobico e razzistico che tende a ridurre il complesso e variegato insieme di individui che sono i migranti - ognuno con la propria vita unica e singolare - figure, quasi personaggi da teatro dei burattini: il Mussulmano, lo Zingaro, il Clandestino, l’Albanese, il Delinquente, la Prostituta [...]. La stessa recente invenzione della categoria di clandestini, per designare quella che un tempo era detta immigrazione de facto, non protetta, non assistita rientra in questo processo di esclusione simbolica" [3].

Una esclusione che da simbolica diventa reale e concepita come permanente e definitiva quando

“Clandestini” vengono perfino detti i profughi in fuga da persecuzioni atroci, orrende pulizie etniche e guerre umanitarie. La clandestinità diventa così una categoria quasi-ontologica, tanto più assurda per il fatto che il più delle volte sono i dispositivi di legge in corso a produrre la clandestinizzazione di immigrati e profughi" [4].

Da questa condizione di clandestinità alla privazione di ogni diritto la strada è ripida e breve. Cosa pensare altrimenti delle condizioni dei centri di permanenza in attesa dell’espulsione, vere e proprie strutture precarcerarie? Di fatto questa invenzione del clandestino e il mito rassicurante del respingimento alla frontiera segnano l’ultimo più recente sviluppo della politica reale degli Stati dell’Unione riguardo all’immigrazione intesa come problema di sicurezza nazionale. E, sebbene sia stata proposta da parte della Commissione Europea "una direttiva relativa al ricongiungimento familiare e si ipotizza l’evoluzione verso uno statuto permanente con l’offerta di una specie di cittadinanza civile, fondata sul trattato della CE e ispirato alla carta dei diritti fondamentali" [5], occorre osservare che concretamente il ricongiungimento familiare diventa ogni giorno più difficile nonostante allarmate e autorevoli osservazioni [6]. Mentre le politiche nazionali ispirate al principio assoluto della sicurezza legano sempre più gli ingressi di nuovi immigrati e la concessione dei permessi di soggiorno a chiamate nominative dipendenti esclusivamente dal mercato del lavoro [7]. Anche lo stesso mantenimento del permesso di soggiorno, in questa ferrea e indiscussa logica della sicurezza sembra sempre più condizionato dal possesso di una attività lavorativa stabile. Tanto che venendo essa a mancare l’immigrato si potrà trovare privo dei requisiti per soggiornare legalmente nel Paese dell’UE e quindi collocato nella condizione dell’illegalità e avviato all’espulsione. È una dinamica perversa rispetto alla quale le parole di Klaus J. Bade appaiono di straordinariamente efficaci:

"In questo contesto è diventato un gioco difensivo usuale quello di aggrapparsi ad argomenti di politica della sicurezza evocando minacce globali all’orizzonte. Ma la sproporzione tra il fatto di non accogliere le richieste di asilo di singoli immigranti provenienti dalle regioni di crisi del mondo extraeuropeo, e la paura che l’Europa possa collassare sotto il peso di massicce immigrazioni a catena che essi metterebbero in moto è talmente ampia che solo per scopi demagogici è possibile usare un argomento del genere. Fintantoché manca il pendant del rifiuto di accogliere i profughi dal Terzo Mondo - cioè la lotta alle cause dell’esodo nelle stesse aree di partenza - tale rifiuto resta uno scandalo storico sul quale le future generazioni misureranno gli intenti umanitari dell’Europa del tardo XX secolo e degli inizi del XXI secolo" [8].

Ma oggi, mentre le cause dell’esodo umano in atto sono ben lontane dall’essere almeno riconosciute, sembra affermarsi da parte di molti degli Stati appartenenti all’Unione una politica dell’immigrazione poggiante sulla rassicurante illusione del respingimento alla frontiera e del blocco dei mari con l’impegno diretto di eserciti e delle marine militati. Tale politica, che appaga le richieste che emergono dai sondaggi e le illusioni delle campagne elettorali, non solo appare inefficace ma è destinata ad aumentare rischi e tariffe della tratta umana, a condannare masse sempre più vaste nella condizione della irregolarità e a rendere pressoché impossibile l’esercizio del diritto di asilo. Alla luce di quanto sta avvenendo non è allora inopportuno ricordare che: "La condizione di irregolarità legale non consente sconti sulla dignità del migrante, il quale è dotato di diritti inalienabili, che non possono essere violati né ignorati" [9].

5. I diritti riservati

All’abbattimento delle frontiere interne corrisponde un incremento di impermeabilità verso l’esterno. Se la Carta sancisce alcuni diritti, nel contempo viene delimitato il loro campo di applicazione. Chi sono i beneficiari di tali diritti, chi potrà fare appello alla Carta per vederseli riconosciuti? L’Europa della Carta è la stessa Europa degli accordi di Schengen: un’Europa giardino circondata da mura alte e invalicabili per chi non fornisce idonee garanzie economiche? Un’Europa dove anche i diritti finiscono con l’avere una cittadinanza: quella europea. Alcuni diritti che dovrebbero essere universali verranno forse limitati ai soli cittadini europei? I principali enunciati della Carta dei diritti devono essere letti come in sinossi con le leggi nazionali sull’immigrazione e con gli accordi di Schengen. Leggi nazionali e accordi di Schengen offrono allora una sorta di interpretazione autentica della Carta: l’interpretazione restrittiva. È questa impronta protezionistica dell’UE e della Carta che non ci si può esimere dal segnalare.

Infatti, il diritto ad essere accolti dov’è contemplato? Se gli ingressi vengono regolati in modo sempre più restrittivo e se soltanto a pochi fortunati viene garantita tutela dei diritti, tutto ciò sa ancora di discriminazione, lascia inevasa la domanda di moltitudini di esseri umani.

In sintesi, bisogna fare una lettura contestualizzata della Carta, che non si limiti a rinvenire in essa l’enunciazione dei principi. Si tratta della Carta di questa Europa, e alla luce dell’ordinamento complessivo di ciò va letta. Così anche la futura Costituzione dovrà partire dal contesto europeo e dalle politiche dell’immigrazione in vigore nei singoli Stati. Tali politiche, in linea con la tendenza della maggioranza dei Paesi ricchi del mondo, sono oggi orientate al principio dell’esclusione e al mantenimento delle distinzioni tra popolazioni originarie e popolazioni immigrate. Un principio che scaturisce direttamente dall’inconsistente teoria dell’originale e pura eredità del pensiero occidentale dal pensiero greco (erroneamente concepito come originale e incontaminato) [10] e dal mito di una unica identità europea, mentre la futura Costituzione dovrebbe essere il luogo delle molte identità e dei molti popoli che compongono oggi e che, se ci si ispirerà al principio dell’accoglienza, comporranno soprattutto domani l’UE [11]. Alla Costituzione dell’UE dovrebbe quindi essere affidato il compito di smontare definitivamente la falsa concezione della presunta purezza delle origini e dell’identità assoluta dei popoli europei cui tanto contributo, come ha ben rilevato recentemente Hervé Le Bras [12], offre oggi una certa scienza demografica postasi a servizio, più o meno consapevolmente, delle rinnovate tendenze razziste che attraversano violentemente l’intera Europa affermando, per esempio, l’insostenibile culto all’ “autentica popolazione originaria” di una determinata nazione o regione.

Contemporaneamente la Costituzione dovrà riconoscere e assumere la condizione della multiculturalità come la realtà permanente e innegabile dell’UE del futuro. Tale realtà multiculturale, decifrabile già oggi nella dimensione storica della lunga durata, ha nel meticciato un’inevitabile conseguenza e ricchezza [13]. Recentemente Jacques Audinet, dell’Institut Catholique di Parigi, ha osservato come nonostante l’evidenza e la necessità del meticciato, esso resti avvolto da sospetti e reticenze alimentate dai cultori della purezza razziale e dell’identità etnica non paghi di tutti i disastri prodotti da questi falsi principi nel XX secolo:

"Anche se accettiamo come un fatto ormai inoppugnabile la mescolanza dei popoli e dei gruppi, siamo restii a pensarla. I nostri modi di vedere sono ancora troppo impregnati nelle vecchie categorie. Continuiamo a pensare l’identità in termini di somiglianza, la tradizione in termini di riproduzione e l’incontro dei gruppi in termini di scambi controllati. Ebbene, il meticciato invita a rompere questo circolo vizioso. Le culture umane, come gli individui, non possono rinchiudersi nello specchio dello stesso. Per questo, riconoscere il meticciato significa riconoscere pienamente ciò che portano le culture umane, e cioè la possibilità della fecondità, la possibilità della novità" [14].

6. La sindrome da invasione: l’immigrazione come malattia

Scriveva Franco Ferrarotti: "Il democratico occidentale, progressista e di vedute aperte, si mette facilmente la coscienza a posto dichiarando di rispettare tutte le culture, ma poi sottintende, a bassa voce: purché ognuno se ne stia a casa sua o, almeno al suo posto" [15]. È proprio questa mentalità della separazione a trovare giustificazioni e prove utilizzando false notizie. Tra queste la più diffusa è quella che poggia sulla percezione che sia in atto una invasione di immigrati e - in particolare per l’Italia
 anche quando i dati dimostrano che la percentuale di immigrati rispetto alla popolazione locale resta tra le più basse dell’UE. Una percezione erronea che potrebbe trovare giovamento da una conoscenza, anche sommaria, della storia delle migrazioni in Europa [16], ma anche soprattutto dai dati che emergono dagli annuali Rapporti sull’immigrazione curati dalla Caritas italiana [17].


[1] F. Bouchet-Saulnier, "Grandezza e miseria del diritto umanitario", in Medici senza frontiere, Popolazioni in pericolo 1995 - Rapporto Annuale, Editrice Periodici Culturali, Roma 1995, 80.

[2] "se si supera il concetto stretto di rifugiato fissato dalla Convenzione di Ginevra, per la quale è costitutivo il passaggio di frontiera, e si includono anche coloro che fuggono dall’ambiente in cui vivono o addirittura le migrazioni per ragioni di sopravvivenza dei poveri che emigrano dalla campagna e vanno ad ammassarsi negli slums delle “megalopoli” o Giants Cities, allora le cifre superano tranquillamente il miliardo" (K.J. Bade, L’Europa in movimento. Le emigrazioni dal settecento a oggi, Laterza, Bari 2001, 484).

[3] A. Rivera, "Immigrati", cit., 215.

[4] Ib., 216.

[5] Caritas, Immigrazione Dossier Statistico 2001. XI Rapporto sull’immigrazione, Anterem, Roma 2001, 33.

[6] "I lavoratori migranti hanno il diritto di vedere la propria famiglia unita il più presto possibile. I rifugiati hanno diritto all’assistenza da parte delle autorità pubbliche e delle organizzazioni internazionali onde facilitare la riunione delle loro famiglie" (Orientamenti pastorali della Commissione ecclesiale per le migrazioni, Ero forestiero e mi avete ospitato, (4.10.1993), Enchiridion della Chiesa per le migrazioni, EDB, Bologna 2001, 1554); "Occorre evitare di ricorrere all’uso di regolamenti amministrativi, intesi a restringere il criterio dell’appartenenza familiare, con la conseguenza di spingere fuori dalla legalità persone, a cui nessuna legge può negare il diritto alla convivenza familiare" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la giornata mondiale del migrante (25.7.1995), in Enchiridion della Chiesa per le migrazioni, cit., 505). Per verificare quanto sia purtroppo disatteso e negato in Italia questo autorevole richiamo al sacro diritto al ricongiungimento familiare dei rifugiati cf le testimonianze raccolte in E.H. Hein Allocco, La moglie di Lot. Vivere in esilio, Edizioni Lavoro, Roma 1996.

[7] "Si può osservare al riguardo che una rigida subordinazione del permesso di soggiorno alla chiamata nominativa può generare anziché ridurre la presenza illegale" (Caritas, Immigrazione Dossier Statistico 2001, cit., 34).

[8] K.J. Bade, L’Europa in movimento, cit., 498.

[9] Giovanni Paolo II, "Messaggio per la giornata mondiale del migrante" (25.7.1995), in Enchiridion della Chiesa per le migrazioni, cit., 504.

[10] Cfr. al riguardo l’articolata e comprovata tesi sostenuta da M. Bernal (Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1997) sulle dipendenze e influenze esercitate da Egiziani e Fenici sui Greci.

[11] Cfr. E. Scoditti, Una Costituzione senza popolo. Unione europea e nazioni, Dedalo, Bari 2001.

[12] "Il concetto di etnia rinchiude l’individuo in un gruppo con il quale questi può anche non sentire alcuna affinità, ma al quale è assegnato o per la sua lingua madre, o per la nazionalità del padre o della madre, o per la religione. [...]. Una recente indagine francese raggruppa gli immigrati in categorie quali peulh, mandé, cabili, portoghesi, ma ignora le appartenenze doppie, triple ecc. Si nega in questo modo l’esistenza di incroci che sono invece il tratto comune dell’umanità; e si occulta il fatto che avere due genitori diversi comporta, nel corso delle generazioni incroci e mescolanze che appartengono al passato, e non al futuro (cosa che impedisce di tracciare frontiere biologiche fra gruppi umani che si sono costituiti in entità politiche). Il ricorso al concetto di etnia (o a quello di generazioni successive di immigrazione) si iscrive nella corrente delle teorie razziali “gobiniane” secondo cui il mantenimento della purezza della razza è l’obiettivo più alto da perseguire. In questo modo l’etnia appare come un compromesso, un termine intermedio o un intreccio semantico tra popolazione nazionale e razza. La sua presenza influenza il concetto stesso di popolazione, che non sta più ad indicare il numero delle persone presenti in un dato momento e in un dato territorio, ma una entità chiusa e immutabile nel tempo" (H. Le Bras, Il demone delle origini. Demografia e estrema destra, Feltrinelli, Milano 2001, 13-14).

[13] "Non vi è multiculturalità senza meticciato. I gruppi umani, infatti, in presenza reciproca sullo stesso territorio, si incontrano. Si mescolano e mescolano le lingue, i costumi, i simboli, i corpi. Generano qualcosa di altro rispetto a se stessi, figli che saranno diversi dalle loro origini. Solo una violenza imposta, quella dell’apartheid, può impedire un simile processo. Il meticciato è l’effetto, il prolungamento del multiculturale" (J. Audinet, Il tempo del meticciato, Queriniana, Brescia 2001, 62).

[14] Ib., 99.

[15] F. Ferrarotti, La tentazione dell’oblio, Laterza, Bari 1993, 188.

[16] "Il tema “migrazione” attraversa una fase di alta congiuntura negativa in Europa, alimentata da un retroterra di problemi migratori di portata mondiale e da angosce europee di fronte alla crescente “pressione migratoria”. Gli interessi attuali portano anche a interrogarsi sulla storia delle migrazioni all’interno dell’Europa, dall’Europa e verso l’Europa, giacché i processi migratori attuali possono essere meglio giudicati se si possiede una visione d’insieme di quelli già conclusi - e quindi ormai storici - e se si conoscono le linee di sviluppo al termine delle quali stanno i problemi del presente" (K.J. Bade, L’Europa in movimento, cit., 3). Sulla estrema complessità storica del processo e per una analisi critica delle letture semplificanti, in auge soprattutto nel passato, cf il recente studio di W. Pohl, Le origini etniche dell’Europa. Barbari e Romani tra antichità e medioevo, Viella, Roma 2000, in particolare 1-38.

[17] Cfr. il più recente: Caritas, Immigrazione Dossier Statistico 2001, cit., 57ss.