Accogliere lo straniero. Dalla regolamentazione alla tutela dei diritti: dilatare i confini del possibile
Sergio Tanzarella
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Ma la conferma della strategia che vuol sostenere l’invasione
è apparsa ancora una volta evidente a metà marzo del 2002 all’arrivo nel
porto di Catania di una nave, la “Monica”, con a bordo 928 curdi. Alcuni
giornali hanno riportato in prima pagina la foto della nave e uno in particolare
ha utilizzato il titolo fuorviante “L’orda”, affermando con malizia la
presenza di terroristi, armi e trafficanti di droga [1]. La falsa notizia è servita ancora una volta a rinfocolare i sospetti,
a moltiplicare le richieste di intervento armato della Marina Militare che
dovrebbe affondare a largo queste navi. Quasi nessuna spazio è stato dedicato
il giorno dopo alle affermazioni del procuratore della Repubblica di Catania:
“sono seccato di dover smentire notizie assurde [...] ho visto solo gente
disperata a bordo di quella nave”. Infatti, vi erano in prevalenza donne e un
gran numero di bambini, tutti affamati e provati da un viaggio condotto in
condizioni indicibili di precarietà e pericolo.
Questa creazione dei fantasmi degli invasori e l’accanimento
che gruppi sempre più estesi manifestano nei confronti degli immigrati,
dimostra che la condizione di semplice “rumore di fondo” dell’atteggiamento
razzistico italiano - come lo definiva nel 1992 Norberto Bobbio [2] - si
è ormai trasformata in parole e ordini distinti, dove il pregiudizio si traduce
in modo compiuto in iniziative politiche persecutorie. Ecco che dietro una
definizione generalizzante e falsa, “L’orda”, vi è la negazione dell’identità
che rende persona - identità in quel caso particolare di un popolo, quello
curdo, perseguitato e torturato con ogni mezzo [3] - e che implica, di conseguenza, un universo che di fatto
non interessa e che si vuole negare e al quale non si vuole in alcun modo
riconoscere diritti. Ma ciò che è negato non è come se non esistesse. Questa
scelta di non vedere o non riconoscere l’umanità dell’altro, l’animalizzazione
dell’altro come nemico e mostro, rendendogli impossibile l’accesso ai
diritti, non è priva di conseguenze per tutti. Il meccanismo dell’esclusione,
infatti, illude che l’accesso ai diritti possa essere riservato solo ad
alcuni, mentre invece crea le premesse perché l’area dei non garantiti, dei
precari alla vita si possa progressivamente allargare. In altre parole o ci si
adopera affinché i diritti siano condivisi da tutti oppure si lascia aperto il
varco perché essi possano essere negati ad altri gruppi. Gruppi i quali, in
situazioni contingenti economiche o politiche, possono precipitare nella
categoria delle non persone vittime dei più vieti luoghi comuni e delle più
pericolose generalizzazioni.
I dolorosi e luttuosi, gravissimi avvenimenti dell’11
settembre hanno offerto una concreta possibilità all’affermarsi di queste
semplificazioni fino a giustificare sospetti e persecuzioni. Un esempio fra i
tanti è quello dell’articolo di Oriana Fallaci pubblicato dal Corriere della
Sera del 29 settembre 2001 e successivamente stampato in forma più completa in
un libretto, purtroppo di grande successo [4]. Si tratta di un concentrato di odio e disprezzo di rara
fattura, tanto più nefasto a causa della fama della giornalista e al decisivo
contributo mediatico. Un discorso infarcito dei più vieti luoghi comuni sull’Islam,
gli immigrati e la superiorità dell’Occidente sul resto del mondo. Un
contributo decisivo all’intolleranza in grado di fornire ispirazione e
giustificazione ad ogni manifestazione anche violenta contro gli immigrati
soprattutto se di religione islamica. Come ha osservato acutamente Tiziano
Terzani il punto centrale dell’invettiva della Fallaci non è soltanto:
"di negare le ragioni del “nemico”, ma di negargli la sua umanità, il
che è il segreto della disumanità di tutte le guerre" [5]. E si potrebbe
aggiungere anche di quelle non dichiarate come la guerra all’immigrazione.
Certo l’Occidente ha prodotto già due secoli fa la
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) riconoscendo
diritti che allora ancora sembravano impensabili, fino ad arrivare ad ispirare
la Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 10 dicembre 1948. E tuttavia c’è
da chiedersi cosa può percepire di questa grandezza l’immigrato comune. Quell’immigrato
che lavora dalle dodici alle sedici ore al giorno nei campi, quello che è
oggetto del caporalato, al quale si fitta un posto letto in una stamberga al
prezzo di un hotel a tre stelle, al quale non si permette il ricongiungimento
con la moglie e i figli, la cui esistenza è legata all’atto burocratico di un
permesso di soggiorno, che per ottenerlo si mette in fila la notte del giorno
prima perché gli venga fissato un appuntamento a distanza di mesi. L’immigrato
che ricacciato di continuo nell’anonimato del vu cumprà, dell’extracomunitario,
del clandestino sperimenta quotidianamente quella condizione che Tahar Ben
Jelloun ha definito efficacemente come “l’estrema solitudine” [6]. Ecco allora che se si
legge la Dichiarazione Universale dei Diritti umani e gli altri documenti che da
essa discendono non si può non verificare come questi diritti sono oggi un
privilegio per pochi e che, soprattutto in questi ultimi anni, il numero di
coloro che può accedervi in luogo di allargarsi è stato progressivamente
eroso. La moltitudine dei non garantiti si moltiplica mentre il fortilizio del
benessere scava nuovi fossati alimentato dalla sindrome da invasione e dal
terrore della perdita del privilegio. I diritti umani possono ancora andar bene
quando restano pronunciati nelle accademie o nei palazzi del potere, ma quando
essi diventano rivendicazione sociale e proposta di liberazione, allora se ne
avverte tutta la forza sovvertitrice ed entra in azione la persecuzione e la
delegittimazione. Oppure li si riduce a pure enunciazioni morali prive di
qualsiasi effetto e in nome della diplomazia si preferisce tacere anche dinanzi
alle azioni persecutorie più violente e inaudite nei confronti dei migranti. Ma
di fronte a questi silenzi giova ricordare la grave ammonizione di Giovanni
Paolo II per il quale: "La necessaria prudenza che la trattazione di una
materia così delicata impone non può sconfinare nella reticenza o nell’elusività;
anche perché a subirne le conseguenze sono migliaia di persone, vittime di
situazioni che sembrano destinate ad aggravarsi, anziché
risolversi" [7].
7. Chiesa, immigrazione e asilo politico
Il contributo delle Chiese europee al tema dell’immigrazione
può oggi essere davvero compreso come significativo e insostituibile. Non
soltanto nel senso operativo dell’accoglienza concreta attraverso iniziative
di sostegno e di aiuto a coloro che vivono l’esperienza - molto spesso
drammatica e sconvolgente - del migrare, ma anche nella elaborazione delle
motivazioni che promuovono l’impegno nei confronti dell’esodo umano che è
in atto nel mondo. Una azione preventiva contro il diritto all’egoismo che
produce leggi discriminatorie e una azione propositiva all’interno della
complessiva tutela dei diritti dell’uomo sui quali il Magistero in questi
ultimi decenni - come ha illustrato una recente e ponderosa antologia [8] -
ha insistito ripetutamente con grande forza.
Un elemento significativo ci è offerto direttamente dal
magistero di Giovanni Paolo II non soltanto nelle occasioni di udienze o di
viaggi in cui il fenomeno migratorio spesso è stato richiamato, ma soprattutto
nei messaggi preparati negli anni ‘90 per la giornata del migrante. Quei
messaggi rappresentano, nel loro complesso, sia una elaborazione attenta e
compiuta alle emergenze del nostro tempo sia un richiamo alle società dell’opulenza
e della ricchezza alla responsabilità dell’accoglienza e all’urgenza della
giustizia nella effettiva tutela dei diritti umani.
Quei diritti possono essere sintetizzati nelle parole
pronunciate da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del migrante:
"Purtroppo, non mancano tuttora nel mondo atteggiamenti di chiusura e
perfino di rifiuto, dovuti a ingiustificate paure e al ripiegamento sui propri
interessi. Si tratta di discriminazioni non compatibili con l’appartenenza a
Cristo e alla Chiesa" [9].
Una delle analisi più lucide e consequenziali di questa
affermazione e di tutto il magistero di Giovani Paolo II dedicato all’emigrazione
mi sembra essere stata compresa appieno da una recente analisi proposta dal
padre Vittorio Liberti, provinciale della Compagnia di Gesù in Italia. Quasi un
programma complessivo dei principi ispiratori per una corretta e umana politica
dell’emigrazione:
"La Chiesa sostiene un approccio alla problematica dell’immigrazione
e dell’asilo politico e, in verità ad ogni ambito della vita sociale,
incentrato sulla persona come portatrice di valore unico ed irripetibile ed
espressione della volontà creatrice di Dio. Ogni persona, dal concepimento all’ultimo
respiro, è titolare di alcuni diritti fondamentali ed inalienabili quali la
possibilità di vivere in sicurezza, di avere il cibo necessario, un tetto, le
cure mediche, l’istruzione. Per la Chiesa è sacrosanto il diritto dell’individuo
a cercare altrove tali beni essenziali, se non può averli assicurati nel luogo
dove si trova. E chi direttamente o indirettamente ostacola tale ricerca non
può dirsi cristiano. A tali diritti corrispondono evidentemente dei doveri,
quali quello di contribuire al benessere della collettività con il proprio
lavoro e di rispettarne le leggi.
Resta dunque decisivo per la Chiesa l’affermazione e il
rispetto in sé della dignità della persona. La dignità infatti non è data
dal permesso di soggiorno o dal contratto di soggiorno. Il rispetto non è
dovuto soltanto ai cittadini dello stato ma a tutte le persone che vi si
trovano. Chi, senza colpa, è nato in situazioni di estrema precarietà oppure
ha subito soprusi, non può continuare a vedersi negati i propri diritti
fondamentali da chi, senza merito, è nato in situazioni protette e di
benessere. Una normativa che voglia contrastare il fenomeno dell’immigrazione
clandestina deve innanzi tutto evitare di costringere alla clandestinità quegli
immigrati che aspirano ad un inserimento legale nel nostro paese" [10].
[1] La Padania, 19 marzo
2002.
[2] L’affermazione
contenuta nell’articolo "Razzismo oggi", stampato in diverse
pubblicazioni nel 1993, fu edito definitivamente nel volume N. Bobbio, Elogio
della mitezza e altri scritti morali, Linea D’Ombra, Roma 1994, 142ss.
[3] Cfr. in proposito il recente
studio promosso meritoriamente dalla Fondazione Internazionale “Lelio Basso”:
M. Galletti (ed.), I Curdi un popolo trasnazionale, Edizioni dell’Università
Popolare, Roma 1999.
[4] O. Fallaci, La rabbia e l’orgoglio,
Rizzoli, Milano 2001.
[5] T. Terzani,
Lettere contro la guerra, Longanesi, Milano 2002, 17.
[6] T. Ben
Jelloun, L’estrema solitudine, Bompiani, Milano 1999.
[7] Giovanni Paolo II, "Messaggio per la giornata mondiale
del migrante" (25.7.1995), in Enchiridion della Chiesa per le migrazioni,
cit., 503.
[8] Cfr. G.
Filibeck (ed.), I diritti dell’uomo nell’insegnamento della Chiesa. Da
Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2002.
[9] Giovanni Paolo II, "Omelia per il Giubileo del
migrante" (2.6.2000), in Enchiridion della Chiesa per le migrazioni, cit.,
539.
[10] V.
Liberti, "Il disegno di legge su immigrazione e asilo: una concezione della
persona troppo mercantile", in Gesuiti in Italia 5(2002) 175-176.