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Lo sviluppo socialmente sostenibile

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Francesca Occhionero
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Fac.Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, Università “La Sapienza”, Roma; membro Società Chimica Italiana; consulente di Sicurezza del Lavoro e Analisi Ambientale.

Gabriele Favero
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Dipartimento di Chimica, Fac.Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, Università “La Sapienza”, Roma; ricercatore del Parco Scientifico e Tecnologico del Lazio Meridionale; collaboratore del Museo Multipolare della Scienza e dell’Informazione Scientifica.

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Il mutamento ambientale globale: il recupero della dimensione umana

Francesca Occhionero

Gabriele Favero

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La portata globale dei pericoli connessi con il global warming [1] è ormai universalmente percepita: alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, i leader di 154 nazioni hanno siglato un accordo per la riduzione volontaria entro l’anno 2000 delle emissioni di diossido di carbonio e degli altri gas responsabili dell’effetto serra al di sotto dei livelli raggiunti nel 1990. Nel 1995 i rappresentanti dei paesi firmatari, incontratisi a Bonn, hanno riconosciuto che l’obiettivo stabilito a Rio de Janeiro non potrà comunque essere conseguito e pertanto si sono accordati per prorogare il termine al di là del 2000.

La prima proposta formale per la riduzione delle emissioni è pervenuta da parte dei paesi dell’Unione Europea che hanno indicato una riduzione entro il 2010 del 15% del livello delle emissioni del 1990 di tre gas, il diossido di carbonio, il metano e l’ossido di azoto. In seguito, anche il Giappone e gli Stati Uniti hanno stilato dei piani di intervento volti alla restrizione delle emissioni non solo dei tre principali ma anche degli altri gas responsabili dell’effetto serra.

Anche in questo caso emerge tragicamente la differenza tra i paesi ricchi ed i paesi poveri. Sono i paesi industrializzati, infatti, a portare le maggiori responsabilità della situazione attuale ed è quindi naturale che siano proprio questi a dover intervenire in maniera più radicale per porvi rimedio. I leader dei paesi in via di sviluppo, dal canto loro, portano avanti la propria richiesta affinché le nazioni industrializzate decidano responsabilmente gli interventi necessari prima che venga loro imposto di farlo.

Tuttavia, come si osserva nella Figura 3, se le emissioni dei paesi in via di sviluppo vengono lasciate crescere senza controllo finiranno per raggiungere e superare quelle relative ai paesi industrializzati; assumendo che nessuna delle nazioni in via di sviluppo ponga in essere meccanismi per contenere il consumo energetico e ridurre le emissioni, esse si renderanno responsabili di circa metà dell’immissione totale di CO2 nell’atmosfera entro il 2015.

È sconcertante rilevare come nell’ottica del profitto ad ogni costo, le compagnie degli Stati Uniti abbiano cominciato a preoccuparsi, anziché dei problemi ambientali in quanto tali, dell’impatto negativo sull’economia nazionale che potrebbe prodursi qualora i paesi industrializzati venissero costretti a ridurre le emissioni in atmosfera mentre i paesi in via di sviluppo vengono lasciati senza controllo. E’ noto come organizzazioni quali la Camera di Commercio ed altri organismi federali, stiano facendo pressioni sull’Amministrazione Clinton affinché adotti un atteggiamento maggiormente condiscendente che consenta loro di non perdere fette di mercato a vantaggio delle nazioni in via di sviluppo.

Al temine del 1997, nel corso dei negoziati internazionali sull’ambiente svoltisi a Kyoto, si sono poste le basi per lo sviluppo di un programma di riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra, che però non verrà applicato prima di dieci anni.

Per quanto concerne invece la stratosfera, l’immissione di agenti chimici clorurati e bromurati, tra cui i famosi clorofluorocarburi [2] o CFC, viene indicata come la causa scatenante del progressivo assottigliamento della fascia di ozono [3]; poiché quest’ultimo si comporta da filtro nei confronti dei raggi ultravioletti provenienti dalla radiazione solare lasciandone passare una dose non pericolosa per l’uomo, la sua riduzione può comportare pericoli ingenti per l’uomo, la flora e la fauna.

Attualmente in campo scientifico si sta affermando sempre di più l’idea che le sostanze chimiche responsabili della riduzione dello strato di ozono, contribuiscano anche all’aumento dell’effetto serra [4]; la regolamentazione del loro impiego e quindi della loro immissione nella stratosfera risulta pertanto indispensabile ed imprenscindibile.

Per quanto riguarda i bacini idrici bisogna innanzitutto premettere che la qualità dell’acqua potabile dipende da quella dell’acqua emunta e dal tipo di trattamento che essa subisce prima di essere immessa in rete.

Attualmente l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, il crescente inurbamento, l’allontanamento dei reflui, sfruttando il potere diluitorio e di rimozione idraulica dei corpi idrici superficiali, hanno arricchito l’ambiente acqueo, sia di superficie che di falda, di agenti inquinanti e contaminanti [5].

Inoltre, i trattamenti effettuati per potabilizzare le acque, interagiscono con la miscela di tali composti chimici dando luogo ad un’acqua ricca di microquantità di inquinanti e sottoprodotti clorurati che possono presentare effetti tossici.

A livello di prevenzione occorre ridurre il versamento di prodotti chimici oltre i limiti di autodepurabilità propria di ciascun corpo regolatore ed eliminare l’impiego sul territorio di sostanze tossiche persistenti e bioaccumulabili nella catena alimentare.

Un’altra delle principali problematiche legate all’aumento dell’attività industriale è, come già accennato precedentemente, la distruzione delle ricchezze del suolo, delle foreste [6], paludi e praterie. Ad esempio, la deforestazione, in tutto il mondo ha portato alla perdita di più di tre milioni di miglia quadrate di foresta con gravi conseguenze come l’erosione dei terreni, la mancata ossigenazione ed umidificazione dell’atmosfera, il notevole aumento della concentrazione di anidride carbonica, in seguito al ridotto processo della fotosintesi clorofilliana che ne consente la fissazione e la trasformazione in presenza di luce e di acqua in materiale organico per l’accrescimento delle piante.

Un’altra fonte di inquinamento è certamentecostituita dalla problematica relativa al trattamento dei rifiuti, intendendo per rifiuto un prodotto di scarto che rimane come avanzo, non solo dai consumi domestici, ma anche e soprattutto dalla produzione industriale sotto forma di materia prima in eccesso, intermedio di lavorazione e scarti di lavorazione nel processo di trasformazione di una risorsa in bene materiale, in accordo con il “ciclo di produzione” schematizzato in Figura 4:

I rifiuti rappresentano infatti un problema molto rilevante per la società moderna [7] sia per l’aspetto dei quantitativi da smaltire, sia per il corretto smaltimento, sia, ancora, per gli aspetti economici e sociali connessi.

La gestione dei rifiuti, in primo luogo, implica un impegno da parte della pubblica amministrazione la quale deve al momento attuale superare numerosi ostacoli tra cui: una scarsa capacità decisionale, l’indeterminatezza e la mancata coerenza delle scelte di pianificazione e di programmazione, l’impossibilità di ricorrere a meccanismi economici capaci di promuovere soluzioni avanzate, anche se costose, come sono i sistemi di raccolta differenziata integrati con impianti a tecnologia complessa, che hanno finito per premiare sistemi di smaltimento più semplici e meno dispendiosi, ma, come le discariche, assai più dannosi per l’ambiente.


[1] The New York Times, “Global Warming has begun, expert tells Senate”, June 24 1988, P. Shabecoff

[2] Nature, n.249 1974, “Stratospheric sink for chlorofluoromethanes: Chlorine atoms catalysed destruction of ozone”, M. Molina and F. Rowland

[3] “Ozone Crisis”, New York: John Wiley, 1989, S. Roan

[4] Science, vol. 278, November 1997, Donald J. Webbles and James M. Calm

[5] Acqua e Aria, Gennaio 1997, Laura Volterra

[6] Professional Geographer, n.43 1991, “Environmental degradation in Brazilian Amazonia”, J. Bendix and C. Liebler

[7] Technology Review, n.90/91 maggio 1996, Antonio Polimene