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Lo sviluppo socialmente sostenibile

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Francesca Occhionero
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Fac.Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, Università “La Sapienza”, Roma; membro Società Chimica Italiana; consulente di Sicurezza del Lavoro e Analisi Ambientale.

Gabriele Favero
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Dipartimento di Chimica, Fac.Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, Università “La Sapienza”, Roma; ricercatore del Parco Scientifico e Tecnologico del Lazio Meridionale; collaboratore del Museo Multipolare della Scienza e dell’Informazione Scientifica.

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Il mutamento ambientale globale: il recupero della dimensione umana

Francesca Occhionero

Gabriele Favero

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3. I costi sociali delle problematiche ambientali

Dalla rapida panoramica su alcune delle principali problematiche ambientali legate al processo produttivo, emerge chiaramente come il problema ambientale attualmente coinvolga molti attori: gli Stati, gli Organismi internazionali e nazionali, le imprese e i cittadini, e necessiti soprattutto di attività di prevenzione dal momento che le azioni di interventi riparatori non cancellano le perdite sociali ed economiche che si possono verificare per cause derivanti dagli inquinamenti finora esaminati.

Le imprese industriali, responsabili dei maggiori disastri in campo sociale, hanno infatti l’obbligo di sviluppare un management ambientale che deve essere considerato non un vincolo economico, bensì un mezzo di opportunità per lo sviluppo di prodotti competitivi e di know how da cedere ad altre imprese.

D’altro canto l’economia di mercato ha portato sempre di più verso una divergenza fra il valore sociale e quello privato dell’attività innovativa dal momento che le imprese investono in ricerca e sviluppo meno di quanto sarebbe ottimale dal punto di vista sociale; in altri termini le innovazioni sono molto costose per le imprese che le effettuano ma poco costose da imitare per cui esistono scarse incentivazioni allo studio ed alla ricerca di soluzioni innovative.

In realtà bisogna dire che l’impresa industriale italiana, ritenuta uno dei maggiori responsabili del degrado ambientale del nostro paese, sta ormai prendendo coscienza, salvo rarissime eccezioni, e con molto ritardo rispetto ad imprese industriali di altri paesi, dei problemi ambientali.

In effetti prima degli anni ottanta l’impresa italiana non aveva individuato ed eleborato alcun piano di “politica ambientale”, limitandosi a rispondere secondo la logica del caso per caso, contrapponendo singole soluzioni a singoli problemi (v. ad esempio inquinamento e depurazione, crisi energetica e centrali nucleari).

La conseguenza è stata che molte soluzioni, adottate al di fuori di un quadro generale e realistico, si sono dimostrate inadeguate nel breve e medio periodo per la non aderenza alla mutata situazione ambientale ed hanno finito col determinare molto spesso non solo gravi perdite economiche alle imprese (a volte la stessa cessazione della loro attività), ma anche e soprattutto gravissimi danni all’ambiente e alla società.

Agli inizi degli anni ottanta, grazie anche ad una serie di sollecitazioni esterne, l’impresa italiana si è finalmente sensibilizzata ai mutamenti ed alla domanda di mercato e ha cercato di “imitare” le imprese di paesi più attivi nella politica ambientale, cercando di comprendere le dimensioni del problema ambientale e quindi di affrontarlo realisticamente ponendosi dei precisi obiettivi.

I rapporti tra impresa e ambiente investono ormai tutti i campi dell’attività imprenditoriale; infatti gli aspetti ambientali che le imprese devono necessariamente considerare rilevanti ed imprenscindibili sono quelli:

Economici Tecnologici Normativi Sociali Politici

Dal punto di vista macroeconomico, secondo dati OCSE, i paesi industrializzati spendono complessivamente per l’ambiente tra lo 0.5 ed il 5% del loro reddito nazionale; recenti studi della CEE e dell’OCSE hanno infatti dimostrato che paesi industrializzati, come ad esempio gli USA ed il Giappone, che hanno investito sulla politica ambientale tra l’uno ed il due per cento del loro prodotto interno lordo (PIL), sono riusciti a ridurre notevolmente il tasso di alcuni inquinanti tradizionali (v. ad esempio ossidi di zolfo).

Ciò sta a dimostrare l’effetto positivo determinato dalle spese per l’ambiente sostenuti da paesi fortemente industrializzati e sottolinea il fatto che senza l’impegno per la tutela dell’ambiente, l’aumentata ed indiscriminata produzione di beni e di servizi porterebbe inevitabilmente ad un notevole degrado ambientale.

Per quanto riguarda gli aspetti economici della tutela dell’ambiente da parte delle singole aziende, bisogna dire che ogni impresa si deve assumere:

• I costi per produrre prodotti a norma (costi di investimento per gli impianti e costi di esercizio per la produzione ed i controlli)

• Gli effetti economici nella commercializzazione dei prodotti

• I costi per eventuali danni da risarcire, nel caso di misure di protezione insufficienti.

Le spese di investimento comprendono tutte quelle spese necessarie per gli impianti e i sistemi per la prevenzione dell’inquinamento non solo per l’ambiente esterno ma anche per quello in cui operano i lavoratori; tali spese vengono approssimativamente stimate tra lo 0.5 ed il 40% del totale degli investimenti a seconda del tipo di attività.

I costi di esercizio (v. ad esempio i costi di esercizio sostenuti per la desolforazione in raffineria, per la desolforazione dei fumi dei camini delle centrali termoelettriche a combustibili fossili o i costi per la denitrificazione dei fumi delle centrali elettriche) variano notevolmente e risulta piuttosto difficile la loro quantificazione se non considerando caso per caso e sempre come ordine di grandezza data la mancanza di dati certi soprattutto in campo nazionale.

In merito agli effetti economici determinati dal commercio dei prodotti, data la crescita di domanda ambientale, cresce in effetti la pressione commerciale dei paesi impegnati nella tutela ambientale, i quali chiedono che anche i prezzi dei concorrenti includano i maggiori costi derivanti da produzioni eseguite nel rispetto ambientale.

Infine le imprese devono impegnarsi a sostenere le spese dei danni per risarcimento se le misure di protezione non si sono rivelate efficaci ed efficienti (ad esempio l’ICMESA ha dovuto risarcire le persone colpite a Seveso dalla fuoriuscita di diossina dai propri impianti produttivi).

Per quanto concerne gli aspetti tecnologici del rapporto tra impresa ed ambiente, occorre dire che la ricerca di soluzioni ai problemi ambientali ha fortemente contribuito, come vedremo successivamente, al rinnovamento tecnologico delle imprese sia sotto l’aspetto di introduzione di nuove tecnologie, sia di quello dell’innovazione del processo e del prodotto.

Per favorire lo sviluppo e l’adozione di tecnologie pulite sono anche stati predisposti in questi ultimi anni in tutti i paesi industrializzati sia dei sistemi di sostegno strutturale che degli strumenti di incentivazione finanziaria.

Le Figure 5, 6 e 7 mostrano il panorama dell’industria comunitaria tra la fine degli anni ottanta e gli inizi degli anni novanta ed evidenziano chiaramente come il grado di avanzamento delle tecnologie pulite sia stato determinato dal grado della ricerca e sviluppo dei vari paesi: dalle Figure 6 e 7 emerge infatti che Germania, Stati Uniti, Giappone e Francia sono quelli che hanno realizzato il maggior numero di brevetti per il settore ambientale.

L’azione dell’Italia in questo campo risulta piuttosto poco significativa poiché sono mancate sia delle specifiche motivazioni sia una effettiva pianificazione degli interventi.

Per quanto riguarda invece gli aspetti normativi, le imprese industriali devono ormai operare rispettando le norme di legge che in questi ultimi anni sono sorte per la tutela e la prevenzione ambientale.

Un fattore molto importante che tutte le imprese dovrebbero tenere ben presente è il “carattere evolutivo” delle norme, nel senso che il progresso e le continue acquisizioni scientifiche portano inevitabilmente alla fissazione di nuovi livelli di rischio per i diversi inquinanti, cosicché impianti predisposti con la normativa vigente al momento della progettazione possono risultare, anzi lo sono quasi sempre, sorpassati nel momento dell’entrata in funzione.

Oltre ad una severità dei limiti di accettabilità dei vari inquinanti, le leggi per la tutela dell’ambiente si evolvono verso pene più severe sia sotto l’aspetto pecuniario che sotto quello di restrizione della libertà; in altre parole sta lentamente venendo a cadere il concetto che alcuni beni comuni, come aria, acqua, paesaggio etc., siano res nullius, e si sta contemporaneamente facendo strada il concetto di proprietà di tutta la comunità.

Gli aspetti sociali sono forse quelli più rilevanti per le imprese che molto spesso sono state protagoniste di gravi incidenti nei riguardi non solo degli addetti ai lavori nell’impresa, ma anche della popolazione residente nelle vicinanze degli impianti industriali (v. ad esempio gli episodi di Seveso nel 1976 e di Chernobyl nel 1986).

E’ fuor di dubbio che l’inosservanza delle norme di sicurezza, ma soprattutto l’aumentata probabilità di rischio per il forte sviluppo delle attività industriali, hanno fortemente concorso al determinarsi di incidenti gravi sempre più frequenti; ciò comporta l’insorgenza di conflitti tra la popolazione e l’impresa sulla localizzazione di attività industriali.

In conclusione, per le imprese sono molti i vincoli che derivano dagli aspetti sociali, vincoli che possono essere rimossi solo con il perseguimento di una corretta tutela e politica ambientale [1], la quale potrebbe fornire opportunità di occupazione oltre che di sicurezza sociale.

Per le imprese industriali sono molteplici anche i vincoli che stanno nascendo per gli aspetti politici che ruotano intorno al problema ambientale e che derivano sia da organismi nazionali che internazionali.

A livello nazionale sono sorti i cosiddetti movimenti “verdi” che hanno ottenuto voti e seggi nelle elezioni politiche e, a livello internazionale, molte sono le associazioni e gli organismi che si battono per i problemi ambientali su temi di ampio respiro quali: le convenzioni internazionali per l’uso dei mari e la regolamentazione internazionale per la produzione di prodotti pericolosi e l’inquinamento oltre frontiera (v. ad esempio le piogge acide in Scandinavia, riconducibili alle emissioni degli impianti industriali inglesi, tedeschi e francesi).


[1] “Cambiare rotta”, Il Mulino 1992, S. Schimdheiny