"Le rappresentanze sindacali unitarie nel pubblico impiego"
Antonio Di Stasi
Di seguito si riportano alcuni stralci del libro di cui sopra dietro gentile concessione della Giappichelli editore. Riportiamo di seguito i paragrafi 6 e seguenti del Capitolo
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Ciò, per affermare esplicitamente l’assoluta autonomia del
sindacato nei confronti dei partiti, ma anche delle istituzioni pubbliche che
possono svolgere attività interferenti con quella sindacale.
Se è pur vero che la quasi totalità degli Statuti dei
Consigli di fabbrica (Bergamaschi 1986) non prevedevano esplicitamente questo
tipo di incompatibilità, la regola risultava implicita, non foss’altro per
una sorta di vincolo di secondo grado, dovendo gli eletti iscriversi al
sindacato e, di fatto, andare a ricoprire incarichi anche in tale ambito.
Ora la normativa in commento prevede, con l’art. 9 Accordo
RSU, che la “carica di componente della RSU è incompatibile con qualsiasi
altra carica in organismi istituzionali o carica esecutiva in partiti e/o
movimenti politici”, specificando che per altre incompatibilità valgono
quelle previste dagli statuto delle rispettive organizzazioni sindacali.
L’indicazione normativa porta a qualificare la fattispecie
all’interno dell’istituto della incompatibilità e non della
ineleggibilità, rimandando ad un momento successivo, ovvero nel caso di
elezione, l’obbligo dell’eletto che riversa in una situazione di
incompatibilità di optare tra la RSU o continuare a ricoprire cariche politiche
o istituzionali.
L’istituto dell’opzione è, espressamente, previsto da
alcuni statuti sindacali: lo Statuto della CISL, ad esempio, prevede che l’opzione
deve essere esercitata entro 15 giorni dalla elezione, pena, in mancanza, la
decadenza dalla carica sindacale (v. art. 36 Statuto CISL).
Maggiori problemi interpretativi possono sorgere nel caso in
cui l’incompatibilità sopraggiunga in costanza di mandato perché l’indicazione
contenuta nell’art. 9 Accordo RSU, secondo cui “il verificarsi in qualsiasi
momento di situazioni di incompatibilità determina la decadenza dalla carica di
componente della RSU”, prevede una sorta di automaticità che si reputa
eccessiva anche perché occorre porsi il problema della rilevabilità delle
cause di incompatibilità discendenti dallo statuto del sindacato nelle cui
liste è stato eletto il componente della RSU.
In un’ottica di gestione intersindacale delle RSU il
rispetto della previsione di incompatibilità può esser fatto valere dalla RSU
stessa, come organismo collegiale, o da un suo membro, o dalle organizzazioni
sindacali e finanche dal singolo lavoratore, ma certamente non dalla
Amministrazione, datore di lavoro (per una critica a quella parte della
giurisprudenza che in passato ha ammesso l’intervento delle amministrazioni v.
Capurro 1997, 752). La diversa opinione, secondo cui l’amministrazione potrà
constatare l’avvenuta decadenza in quanto portatrice di un interesse alla
genuinità ed indipendenza dell’organismo elettivo, che costituisce la
controparte negoziale (Scarponi 2000, 1375), si scontra con la previsione che la
gestione del procedimento elettorale, la decisione della ammissibilità delle
singole candidature, la comunicazione degli eletti nella RSU sia di esclusiva
competenza di un organismo endosindacale quale la Commissione elettorale, e sui
cui lavori l’Amministrazione non può esercitare alcun controllo o
interferire. Ad RSU insediata in altri termini l’Amministrazione non può
tenere sotto vigilanza l’attività, i lavori e le condizioni soggettive dei
rappresentanti sindacali, essendo sostanzialmente indifferente alle decisioni
interne dell’organismo di rappresentanza (per ulteriori argomentazioni si
rinvia al Cap. IV, § 6.1, che precede).
È chiaro, invece, che l’interesse primo, a non avere
componenti incompatibili, è della stessa RSU, in quanto una decisione presa con
il voto di un membro incompatibile potrebbe essere eccepita come vizio del
procedimento decisionale e potrebbe rendere illegittima l’eventuale delibera
presa con il voto del componente incompatibile.
5.1. Segue. Le “altre” incompatibilità
Legislazione art.9 Accordo RSU. Bibliografia Caruso
1986.
La fonte pattizia non detta un numero chiuso di cause di
incompatibilità in quanto rinvia “per altre incompatibilità” ad altre
ipotesi eventualmente previste dagli statuti delle rispettive organizzazioni
sindacali.
In verità, da una esame degli statuti dei più importanti
sindacati (Camera dei Deputati, 1979) non risultano indicate espressamente altre
incompatibilità, oltre quella esaminata nel paragrafo che precede, se non
quella implicita di rispetto e fedeltà delle decisioni sindacali (v. art. 26
del Regolamento allegato allo Statuto CISL correlato al potere del Collegio dei
Probiviri di espellere i soci indisciplinati).
In ogni caso le sanzioni disciplinari endoassociative
(sospensione, espulsione e altre misure) sono scarsamente efficaci o poco
utilizzate in Italia, se non altro rispetto ad altri ordinamenti ove invece
esistono limiti “convenzionali” al trasferimento della memberschip da
un sindacato a un altro (Caruso 1986, 88).
Il tema, che potrebbe rivelarsi nella pratica del tutto
marginale, sotto un profilo teorico, è di notevole importanza perché, a
seconda che si propenda per una, o altra, soluzione, si ha una diversa
qualificazione e natura della RSU.
5.2. Segue. L’ipotesi di incompatibilità sopravvenuta per motivi “politici”
con il sindacato nella cui lista è stato eletto
Legislazione art. 9 Accordo RSU - artt. 3, 10, 17
Regolamento RSU - art. 19 Stat. Lav. - art. 19 CCNL Quadro.
Bibliografia Capurro 1997 - Ferraro 1981 - Rusciano
1984.- Santoro Passarelli 1980.
Può prospettarsi l’ipotesi in cui il rappresentante
unitario entri in conflitto con la propria organizzazione sindacale. Ciò sotto
diversi profili.
Si pensi al caso della disdetta dall’iscrizione al
sindacato di appartenenza “iniziale”, ma anche quello di atti e
comportamenti in contrasto con la linea politica del sindacato nelle cui liste
è stato candidato ed eletto.
La questione è particolarmente delicata ed importante in
quanto dal modo in cui la si risolve discendono conseguenze che si riflettono
non solo sull’assetto della RSU, ma anche sulla sua configurazione. Gli
elementi normativi su cui confrontarsi non sono univoci e non è inutile
ricordare disposizioni più generali come l’art. 3 del Regolamento che prevede
l’elettorato passivo in capo a tutti i lavoratori, sia a quelli iscritti al
sindacato presentatore di lista, sia ai non iscritti.
La disciplina non specifica quale tipo di rapporto debba
intercorrere tra i lavoratori candidati nella lista e l’associazione sindacale
che la presenta, per cui nulla esclude, ad esempio, che l’associazione
sindacale decida di candidare un lavoratore senza richiedergli l’iscrizione al
sindacato.
Il tema è dei più spinosi perché ci porta a tornare
nuovamente da un lato sulla qualificazione delle RSU (se elettiva-originaria o
espressione sindacale); dall’altro sui rapporti tra candidato-eletto e
sindacato di “appartenenza”; dall’altro ancora sulla c.d. libertà
sindacale in negativo.
Una particolare attenzione va posta sulla natura elettiva
della RSU la quale richiede un coinvolgimento elettivo universale, appunto, di
tutti i lavoratori occupati nell’unità produttiva.
Per ciò stesso si è ritenuto, con riferimento alle RSU
pattizie, che
il ruolo del sindacato rimane circoscritto al momento della
formazione delle liste, escludendolo completamente dagli altri due momenti,
quello dell’elettorato attivo e passivo e quello della vita della RSU
regolarmente formata
(Pret. Milano 7 aprile 1997, in RCDL 1997, 747, con
nota adesiva di Capurro).
Tale tesi trova argomenti sulla base di un giurisprudenza
formatasi sulle RSA secondo cui, anche con riferimento a tali organismi, occorre
dare particolare importanza alla volontà dei lavoratori (v. Pret. Milano 11
maggio 1992, in Orientamenti, 1992, 523, Pret. Milano 21 aprile 1992, ivi,
1992, 520, Pret. Milano 16 gennaio 1992, RCDL 1992, 663).
Si fa rilevare, infatti, che, pure, nella formazione delle
RSA, spetta ai lavoratori promuoverne la costituzione, ancorché non
necessariamente partecipino a un’elezione, e la loro volontà svolge comunque
un ruolo di primo piano trattandosi pur sempre di organismi rappresentativi dei
lavoratori dell’azienda.
Tale volontà è stata particolarmente valorizzata da quella
giurisprudenza che ha precisato, con riguardo alle RSA, come l’iniziativa dei
lavoratori, pur non implicando l’utilità della modalità elettiva, rivesta un
ruolo centrale nel momento genetico di tale organismo rappresentativo dei
lavoratori.
Il riconoscimento del sindacato esterno, si stempererebbe
nella sintesi organica, perdendo la propria individualità e tale considerazione
implicherebbe, di conseguenza, che
il disconoscimento sindacale, ovvero la disdetta dall’iscrizione
al sindacato da parte del dirigente o di un membro di RSA, non integrato dalla
contemporanea considerazione della volontà dei lavoratori che nella RSA si
esprime, non potrebbe avere effetti sulla vita della medesima
(Pret. Milano 11 maggio 1992, Foro it. Rep., voce Sindacati,
n. 71).
La maggior parte della dottrina ritiene, poi, che non vi sia
rapporto gerarchico tra associazione sindacale esterna e strutture sindacali
interne all’azienda (Ferraro 1981; Santoro Passarelli 1980, 617; Rusciano
1984), anche se in senso contrario a tale tesi si è fatto rilevare che il
disconoscimento del dirigente di rappresentanza sindacale aziendale da parte del
sindacato nel cui ambito il lavoratore è stato designato, incidendo su un
aspetto strutturale del meccanismo previsto dall’art. 19 stat. Lav., comporta
la decadenza anticipata dalla carica e la perdita di tutti i diritti connessi
(v. Trib. Milano 29 ottobre 1994, in RCDL 1994, 495; Trib. Milano 22
dicembre 1993, in FI 1994, I 1592).
Un argomento portato dai fautori della tesi che vuole il
rappresentante sindacale aziendale sottoposto al gradimento del sindacato si
basa sul rilievo che l’attività della base (“l’iniziativa dei lavoratori”)
deve essere avallata dall’organizzazione sindacale qualificata ai sensi dell’art.
19 stat. Lav.; la sola “iniziativa dei lavoratori” non è ritenuta
sufficiente a determinare l’esistenza giuridica e la durata della RSA, così
come non è ritenuto sufficiente il riconoscimento di una RSA da parte del
sindacato, se difetta l’attività della base.
Occorre ricordare, che la stessa Corte costituzionale nella
nota sentenza del 1974 (è la n. 54 e si può leggere in FI 1974, I, 964)
ha definito la RSA una struttura complessa che dura in quanto, e fino a quando,
permangono concretamente gli elementi che l’hanno costituita.
Da questa premessa consegue che, se il sindacato nel cui
ambito è stata fatta la designazione, allontana il dirigente dalla propria
organizzazione o in questa il dirigente non si riconosce più, vengono a mancare
i due presupposti richiesti dall’art. 19 per la costituzione di una RSA (Cass.
n. 5057 del 1981, FI 1982, I, 737).
Rispetto alla disciplina della costituzione delle RSA, la
normativa in commento si differenzia per il fatto che anche l’iniziativa di
costituire RSU e l’iniziativa di presentare liste da sottoporre al vaglio di
tutti i lavoratori è posta in capo ad un sindacato, con esclusione, tra l’altro,
di semplici aggregazioni di lavoratori (v. supra).
D’altro canto, il legislatore, ma neanche la fonte
collettiva, prevede ipotesi di decadenza del componente della RSU per motivi di
incompatibilità politica con il sindacato nelle cui liste è stato eletto.
Né una tale decadenza, qualora prevista, sarebbe esente da
censure perché evidentemente i lavoratori, con il voto di preferenza, hanno
manifestato una volontà anche di scelta personale cosicché non sarebbe del
tutto azzardata una trasposizione, al campo sindacale, da quello
pubblico-elettivo, del principio in base al quale l’eletto risponde soltanto
agli elettori e non, ad esempio, al partito politico nelle cui file è stato
eletto.
Evidentemente, però, quel generico inserimento nell’art.
9, Accordo RSU, della proposizione “altre incompatibilità” previste dagli
statuti è stato chiesto, non a caso, da quelle organizzazioni sindacali che da
sempre si sono mostrate più restie ad accettare una rappresentanza aziendale
elettiva, intendendo, così, premunirsi di un altro fattore di controllo sulla
propria componente di RSU.
Nulla vieta, ad esempio, che lo stesso sindacato modifichi lo
Statuto inserendo, espressamente, l’ipotesi di decadenza da componente di RSU
per colui che venga, dalla stessa associazione sindacale, dichiarato “incompatibile”.
Si potrebbe pure verificare l’ipotesi che anche il
lavoratore, nel momento in cui si candida per un sindacato, accetti
implicitamente quanto contenuto nell’accordo RSU, il quale, all’art. 9,
rinvia ad “altre incompatibilità previste dagli statuti”.
È, poi, molto probabile, come prevedeva il Patto federativo
del 1972, che il Sindacato chieda agli eletti l’iscrizione al sindacato nel
caso non lo siano già, ovvero una dichiarazione di fedeltà.
Dall’esame degli Statuti, per come sono oggi scritti, si
esclude che il sindacato possa esercitare un tale potere, per cui qualche dubbio
potrà nascere soltanto quando e qualora sia specificatamente prevista una
esplicita incompatibilità per il membro di RSU che decida di non essere più
iscritto ovvero tenga un comportamento contrario a quello dell’organizzazione
sindacale.
Ma anche in tale ipotesi, il Sindacato, nelle cui liste si è
presentato ed è stato eletto il rappresentante “incompatibile”, potrà
legittimamente far valere tale incompatibilità e chiedere che venga dichiarata
la decadenza dalla RSU? E quale è l’organo competente a giudicare e sancire
la decadenza?
In altri termini, è facile notare che il potere di
dichiarare la decadenza è posto in capo, e non può essere altrimenti, all’organismo
di cui fa parte il componente di cui si sostiene essere intervenuta la
decadenza.
Il sindacato può solamente, come dire, richiedere il
giudizio sulla sussistenza di cause decadenziali, ma la decisione spetta, in
piena autonomia, alla RSU.
Al di là dei soggetti titolari del potere di “sostituzione”
del componente dichiarato decaduto, si pone il problema del “diritto”, e
cioè della legittimità dell’esercizio del potere di dichiarare la decadenza
del componente per “motivi politici”.