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Per la critica del capitalismo

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Ernesto Screpanti
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per Proteo (6)

Professore, Università di Siena

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Contratto di lavoro, regimi di proprietà e governo dell’accumulazione: verso una teoria generale del capitalismo (I)
Ernesto Screpanti

 

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Contratto di lavoro, regimi di proprietà e governo dell’accumulazione: verso una teoria generale del capitalismo (I)

Ernesto Screpanti

La prima parte di questo articolo è stata presentata nel numero precedente di Proteo

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6. Una classificazione delle forme capitalistiche

Nella tabella 2 viene presentata un classificazione di tipi ideali di capitalismo sulla base di alcune possibili combinazioni di diversi regimi di proprietà e strutture di governo dell’accumulazione. I tipi ideali sono basati sull’osservazione storica, ma aspirano alla modellizzazione. Poiché i casi storici concreti non combaciano perfettamente con i modelli, questi non aspirano a sostenere una interpretazione storiografica dello sviluppo capitalistico. Aspirano in realtà a molto di più. Lo schema infatti è aperto anche a configurare possibili forme nuove e alternative. E comunque, in vista dell’interesse prevalentemente classificatorio, si indulgerà alquanto nell’astrazione. Così alcuni casi storici di forme capitalistiche verranno depurati da ogni tipo di promiscuità istituzionale in modo da concentrare l’attenzione sulle istituzioni che sono considerate veramente fondamentali.

Ora va detto che, sebbene la tabella non miri a fornire uno schema per l’interpretazione storica, può tuttavia essere usata anche in questo modo. E nelle conclusioni si farà un tentativo del genere. Il che rende necessaria una precisazione. La storia evolve non solo attraverso il cambiamento ma anche nella longue durée. Si danno periodi di instabilità strutturale, rivoluzione, cambiamento catastrofico, nei quali prevalgono i movimenti caotici, le forme organizzative sono in subbuglio e varie e contrastanti istituzioni convivono le une accanto alle altre. E si verificano lunghi periodi di stabilità, durante i quali il cambiamento è lento e graduale e le istituzioni sono organizzate in forme coerenti in modo da autosostenersi e resistere alla competizione delle innovazioni istituzionali, assimilare le novità che possono essere assimilate ed eliminare o prevenire quelle che non lo possono. Così la storia può essere letta sia come un processo di cambiamenti strutturali ricorrenti sia come una successione di stadi di sviluppo in cui forme stabili di organizzazione prevalgono per lunghi periodi.

7. Il capitalismo classico

La prima forma istituzionale da prendere in considerazione è quella definita dal modello di “capitalismo classico” che si può trovare in molti moderni testi di microeconomia o in qualsiasi compendio della teoria marxista ortodossa. È basata sulla combinazione di un regime di proprietà privata concentrata e di una struttura di governo dell’accumulazione che fa affidamento sul ruolo dei mercati delle merci. Il controllo del lavoro nel processo produttivo è fondato su un contratto relazionale in cui un datore di lavoro individuale acquista il comando sul lavoratore in cambio di un salario. Poiché lo svolgimento del processo lavorativo richiede l’uso di mezzi di produzione, una condizione affinché i lavoratori accettino di entrare in un rapporto di lavoro dipendente è che essi siano privi di ricchezza. Una condizione affinché il controllo sia esercitato da un datore di lavoro capitalista è che questi abbia la proprietà dei mezzi di produzione. La ricchezza è concentrata nelle mani di una classe di individui che mirano a usarla per fare profitti. L’impresa capitalistica è una cosa, un’attività patrimoniale posseduta da una persona che assume una responsabilità illimitata per gli effetti del suo uso. Le imprese sono di piccole dimensioni, le gerarchie di fabbrica sono semplici. La società è suddivisa in due gruppi di individui: la classe capitalistica, o borghesia, che include tutti i proprietari di mezzi di produzione, e la classe lavoratrice, o proletariato, che comprende tutti i lavoratori dipendenti.

La borghesia controlla lo stato, ad esempio attraverso un suffragio elettorale ristretto che può privilegiare i maschi, i contribuenti, i cittadini alfabetizzati, i proprietari o un elettorato definito da una combinazione di tali condizioni, e comunque esclude la classe lavoratrice dal diritto di voto. Lo stato sanziona e protegge i diritti di proprietà e gli altri diritti dei cittadini ad essi connessi. In particolare garantisce la libertà contrattuale in tutte le transazioni, non solo de jure, ma anche de facto. E poiché la libera concorrenza, la perfect liberty - come la chiamava Adam Smith - è considerata una delle condizioni della libertà, l’azione economica dello stato mira a limitare le pratiche monopolistiche. Tale azione è particolarmente forte nel cosiddetto “mercato del lavoro”, dove l’intervento dello stato tende ad assicurare la mobilità e la flessibilità dei lavoratori e a proibire e punire le “coalizioni operaie” (Polanyi, 1944). Come già Adam Smith aveva ben capito, è questa specie di “concorrenza” nel mercato del lavoro - una concorrenza per cui i capitalisti sono organizzati nello stato e i lavoratori sono disorganizzati dallo stato - che assicura le condizioni economiche e sociali che favoriscono la concentrazione della ricchezza e costringono i lavoratori ad accettare un salario di sussistenza. Così i diritti di proprietà garantiscono le condizioni microeconomiche e microsociali per il controllo del processo lavorativo, mentre lo stato garantisce le condizioni macroeconomiche e macrosociali per l’esercizio dei diritti di proprietà.

Il controllo della produzione è esercitato dai proprietari delle imprese. Il plusvalore in queste prodotto appartiene ai proprietari, i quali quindi hanno interesse ad esercitare il controllo con il fine della produzione di plusvalore. Lo scopo dei proprietari è estrarre plusvalore e valorizzare il proprio capitale. D’altra parte, poiché la “concorrenza” nel mercato del lavoro spinge i salari al livello di sussistenza, questi non sono correlati alla produttività. Di conseguenza la concentrazione della ricchezza tende ad aumentare nel tempo. La riproduzione sociale funziona attraverso un meccanismo che consente ai proprietari di aumentare la propria ricchezza attraverso l’accumulazione del plusvalore e costringe i lavoratori ad aumentare l’offerta di lavoro attraverso la spesa del salario.

La concentrazione della ricchezza svolge inoltre la funzione di aumentare la propensione media al risparmio, contribuendo anche per questa via ad alimentare l’accumulazione (Screpanti, 1992): il consumo dei lavoratori è molto basso, essendo inchiodato al livello della sussistenza, mentre il loro risparmio è nullo; i capitalisti invece risparmiano gran parte del proprio reddito, che è molto alto. I mercati del credito rinforzano questo meccanismo. Le banche offrono finanza alle imprese più profittevoli che investono più di quanto guadagnano, attingendo risparmio dalle imprese meno profittevoli che investono meno di quanto guadagnano. Le banche fanno profitti trasformando il credito dei risparmiatori nel debito degli investitori, e offrono finanza selezionando i debitori sulla base della profittabilità dei loro investimenti e della disponibilità di attività offerte a garanzia. Di conseguenza il credito affluisce alle imprese che crescono rapidamente, sostenendo in tal modo il processo di accumulazione, mentre fugge dai lavoratori, rinforzando in tal modo la riproduzione della struttura sociale.

Infine i mercati delle merci e del credito contribuiscono a selezionare e disciplinare i capitalisti. Gli imprenditori efficienti espandono i propri mercati e sono premiati con alti profitti e potere crescente. Quelli inefficienti invece sono puniti con le perdite, il rallentamento della crescita e, spesso, il fallimento. Le leggi della concorrenza favoriscono il successo degli imprenditori efficienti mentre ostacolano la crescita delle imprese inefficienti ed espellono gli imprenditori incapaci.

Opera anche una condizione tecnica della riproduzione sociale. La competenza degli imprenditori che sono premiati dal mercato è un’attività specifica all’impresa familiare. È acquisita con l’esperienza e consiste in una serie di abilità particolari sviluppate sia con l’educazione familiare sia con la pratica nell’impresa. D’altra parte la scelta delle tecniche è una prerogativa dell’imprenditore, che l’esercita per estrarre il plusvalore e accumulare il proprio capitale. L’esperienza storica insegna che i processi di meccanizzazione stimolati dall’accumulazione tendono a dequalificare il lavoro manuale e a impoverire le abilità dei lavoratori (Braverman, 1974; Marglin, 1974; 1991; Gordon, Edwards e Reich, 1982). I dipendenti sono privati di ogni abilità specifica all’impresa. In queste condizioni è socialmente efficiente assegnare il controllo produttivo agli imprenditori (Grossman e Hart, 1986; Hart e More, 1990). In altre parole, mentre la struttura di governo dell’accumulazione basata sul mercato tende ad attribuire il controllo agli imprenditori più efficienti, il regime di proprietà concentrata abilita questi ultimi a scegliere le tecniche che favoriscono e giustificano il loro controllo (Pagano, 1991a; 1991b; Pagano e Rowthorn, 1994).

La stabilità istituzionale del capitalismo classico è assicurata proprio da questa azione di rinforzo che il regime di proprietà concentrata e la struttura di governo basata sul mercato esercitano l’uno sull’altra. E tuttavia il processo d’accumulazione così sostenuto genera a lungo andare le condizioni del cambiamento istituzionale. La storia ha provato che il capitalismo classico è instabile nel lunghissimo periodo. Il suo collasso finale è stato causato da tre tendenze principali: la crescita della ricchezza personale, la crescita delle dimensioni delle imprese e la crescita del movimento operaio.

Le grandi fortune accumulate in uno sviluppo secolare inducono i capitalisti a diversificare il rischio. Da una parte le imprese familiari o personali tendono a trasformarsi in società per azioni. D’altra i capitalisti individuali tendono a investire la ricchezza finanziaria in molte imprese. Così si forma una classe di capitalisti finanziari che specializzano le proprie competenze nella gestione di portafoglio.

La crescita delle imprese, che si verifica attraverso intensi processi di concentrazione e centralizzazione (Marx, 1964, I), porta all’espansione delle gerarchie interne. L’educazione familiare non è più sufficiente per addestrare gli imprenditori. Inoltre il vecchio meccanismo di selezione è esposte alle tare ereditarie e alle dispute familiari (Barca, 1994b). Le abilità imprenditoriali diventano sempre più specifiche con lo sviluppo delle imprese e la formazione delle capability aziendali, e diventano acquisibili solo attraverso una lunga esperienza di carriera nelle gerarchie interne. Ciò porta alla formazione di una classe di manager che si specializzano nella gestione delle organizzazioni, dell’attività produttiva e delle decisioni d’investimento reale. Così accade che quella della società per azioni risulta esser la forma più efficiente di struttura proprietaria nelle grandi imprese. È la più efficace nel garantire la formazione delle abilità manageriali, in quanto consente ai manager di crescere senza dover sottostare all’arbitrarietà di un proprietario. Ma è la più efficace anche nell’assicurare lo svolgimento delle funzioni selettiva e disciplinare, come si mostrerà nel prossimo paragrafo.