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Trasformazioni sociali e diritto

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Arturo Salerni
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Associazione Progetto Diritti; Membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo

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Rappresentanza sindacale. La legge che non c’è
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Rappresentanza sindacale. La legge che non c’è

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I percorsi normativi nel pubblico e nel privato

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8. Una significativa pronunzia della Corte Costituzionale (sentenza n. 492 del 1995)

Critiche all’attuale assetto normativo

Sulla Gazzetta Ufficiale del 13 dicembre 1995 è stata pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale n. 492 del 1995. Questa pronunzia del giudice di legittimità costituzionale costituisce un autorevole intervento sulla materia relativa al riconoscimento dei diritti alle rappresentanze sindacali aziendali e sulla nozione di maggiore rappresentatività delle associazioni sindacali. Pur non intervenendo direttamente sulla nuova formulazione dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, la sentenza della Corte richiama il principio della “maggiore rappresentatività”: criterio “da accertarsi non una volta per tutte, ma in modo da consentire una periodica verifica, tenuto conto del suo mutevole grado di effettività”. Afferma infatti la Corte che “fra gli indici di rappresentatività il dato quantitativo, costituito dalla misura di adesione formale al sindacato, ha una grande rilevanza, ma non possono essere trascurati altri indici come quello della maggiore attitudine ad esprimere gli interessi dei lavoratori, specie in relazione all’attività svolta per la composizione dei conflitti”.

Ed ancora: “La ‘maggiore rappresentatività risponde ad un criterio di meritevolezza e alla ragionevole esigenza [...] di far convergere condizioni più favorevoli o mezzi di sostegno operativo verso quelle organizzazioni che sono maggiormente in grado di tutelare gli interessi dei lavoratori”.Occorre riportare a questo punto un passo essenziale, rispetto all’indagine che ci interessa, della sentenza della Corte: “Ai fini di queste operazioni selettive, il criterio della ‘maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali è stato ampiamente affermato in dottrina e giurisprudenza, ed è desumibile da numerose norme del nostro ordinamento. Già nell’art. 39 Cost. - a proposito della stipula di contratti collettivi efficaci per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce - si parla delle rappresentanze dei sindacati ‘in proporzione dei loro iscritti. La rilevanza del diverso grado di rappresentatività delle associazioni di categoria - prevista frequentemente per diverse finalità e con formule non sempre uguali nella legislazione ordinaria - viene riferita dalle disposizioni a vari elementi di carattere anche indiziario. Proprio dalla molteplicità di questi elementi consegue che il predetto principio resta un parametro giuridicamente rilevante anche per quelle norme che fanno rinvio alla nozione contenuta nell’art. 19 dello statuto dei lavoratori (l. n. 300 del 1970).”

Richiamata la precedente propria giurisprudenza in materia, la Corte afferma ancora: “La finalità promozionale e incentivante dell’attività delle organizzazioni sindacali che riescono ad essere portatrici di interessi più ampi di quelli di un ristretto ambito di lavoratori è stata poi evidenziata dalla sentenza n. 30 del 1990 e l’esigenza di questa tutela speciale permane - come si è detto - anche dopo il menzionato recente referendum”.

Abbiamo voluto richiamare la pronunzia della Corte Costituzionale di poco successiva al referendum del 1995, perchè è possibile ricavare dalla sentenza alcuni elementi importanti con riferimento ad un futuro ed auspicabile intervento legislativo in materia. Va infatti innanzitutto in sede di applicazione della nuova eventuale disciplina la conformità della stessa con il principio di libertà sindacale (contenuto nel primo comma dell’art. 39 della Costituzione), che è garantita senza distinzioni a tutte le associazioni sindacali e che non può sopportare una eccessiva contrazione in ragione del maggior favore accordato solo ad alcune organizzazioni (ovvero quelle firmatarie dei contratti applicati nell’unità produttiva), nonchè con i principi di eguaglianza e ragionevolezza, per cui è necessario un controllo sulle ragioni che giustificano un trattamento differenziato e quindi sul perchè il sindacato destinatario sia meritevole di maggior tutela. Appare evidente che il nuovo art. 19 della legge 300/70 appare estremamente restrittivo, potendo portare alla esclusione dalla possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali (e quindi in concreto di fruire delle tutele e dei benefici di cui al titolo III dello Statuto dei Lavoratori) di organizzazioni sindacali in concreto maggiormente rappresentative nel posto di lavoro. Appare anche dubbia “una più favorevole disciplina differenziata di sostegno ove il sindacato, ancorchè firmatario di un accordo collettivo, associ solo lavoratori di una particolare categoria o qualifica o con determinate mansioni.” (Giovanni Amoroso, Il foro italiano, n. 1/1996, I, 8).

Il criterio della sottoscrizione del contratto non può essere di per sè criterio pienamente idoneo a fondare e giustificare la disciplina differenziata, e cioè collegata ad una maggiore meritevolezza, del sindacato che è firmatario di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, ma che in concreto non raccoglie a livello aziendale il consenso dei lavoratori, rispetto al sindacato che non abbia sottoscritto il contratto (o uno dei contratti) applicato nell’unità produttiva ma che, per contro, abbia l’adesione della maggioranza (o anche della totalità) degli addetti in quel luogo di lavoro.

Si pensi ancora al sindacato che non abbia firmato alcun contratto collettivo ma che sia progressivamente riuscito a coagulare intorno a sè il consenso dei lavoratori. Anche secondo le precedenti pronunzie della Corte Costituzionale è il maggior consenso, che può essere misurato attraverso diversi criteri (e tra questi quelli elaborati nel corso degli anni dalla giurisprudenza), a giustificare la maggiore tutela.

E’ probabile che l’esito favorevole di una azione di lotta sindacale dell’organizzazione, che alla fine riesce a stipulare un contratto collettivo, possa essere indicativo del carattere effettivamente rappresentativo dell’associazione sindacale, ma la mancata stipulazione del contratto - per un insuccesso della lotta o per una scelta dell’organizzazione sindacale - non può eliminare il dato di una rappresentatività invece esistente e ragguardevole tra i lavoratori di una data categoria o tra i lavoratori addetti all’unità produttiva. Per cui il criterio selettivo che è dato ricavare dal testo attuale dell’art. 19, siccome modificato dal referendum, si rivela inidoneo “se è possibile che, ove anche tutti i lavoratori addetti ad un’unità produttiva si riconoscano in un sindacato, questo non abbia alcuna possibilità di accesso alla tutela privilegiata nel caso in cui il datore di lavoro rifiuti la stipulazione di qualsiasi contratto collettivo, vuoi regolando il rapporto con plurimi contratti individuali, vuoi applicando esclusivamente il contratto collettivo nazionale stipulato da un sindacato nazionale che non raccoglie consensi nell’unità produttiva, scegliere con chi trattare e raggiungere un accordo, e per questa via può determinare di accordare tutele e benefici a quella sigla sindacale piuttosto che all’altra.” (Giovanni Amoroso, citato)

Sempre per la più volte richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 1990, il sindacato maggiormente rappresentativo è quello per il quale tale requisito è verificabile sulla base di indici oggettivi, mentre “l’accesso pattizio alle misure di sostegno non offre alcuna garanzia oggettivamente verificabile”.Quello che la richiamata giurisprudenza costituzionale esclude costantemente è il fatto che - pur senza che si possa ritenere integrata la fattispecie del sindacato di comodo, vietata dallo Statuto - possa essere il datore di lavoro a riconoscere un determinato sindacato come maggiormente rappresentativo, con le conseguenze di maggior favore che da tale riconoscimento derivano. Si può dire che, anche per il fatto che la giurisprudenza ha risolto negativamente la questione dell’esistenza in capo al datore di lavoro dell’obbligo di negoziare, mentre i criteri contenuti nella lettera a) dell’art. 19 - abrogata dal referendum del 1995 - erano nella disponibilità dell’associazione sindacale che con la propria azione poteva - conquistando il consenso dei lavoratori e la diffusione nei diversi settori e nelle diverse aree geografiche del Paese - raggiungere il livello di maggiore rappresentatività, il criterio della nuova lettera b) (che - come abbiamo visto - inserisce il contratto aziendale tra i contratti collettivi la cui stipulazione comporta la possibilità di costituzione della r.s.a.) richiede comunque la collaborazione del datore di lavoro, e cioè si deve determinare la circostanza che il datore tratti con quel sindacato e che pervenga alla stipulazione del contratto collettivo.

Peraltro, va rilevato, nessuno spazio (e conseguentemente nessuna tutela) si apre con riferimento al requisito della intercategorialità e della pluricategorialità: requisito questo che era stato già valorizzato da precedenti pronunzie della Corte Costituzionale (in particolare la sentenza n. 388 del 24.3.1988), essendo tale indice giustificato dal “carattere indivisibile degli interessi dei lavoratori”, requisito perciò funzionale ad “un processo di aggregazione e di coordinamento degli interessi dei vari gruppi professionali, anche al fine di ricomporre, ove possibile, le spinte particolaristiche in un quadro unitario”. La pronunzia della Corte del novembre 1995, che abbiamo voluto richiamare, recepisce una nozione di “rappresentatività”, che non può essere ricondotta che ad una costante verifica della sua effettività. Aldilà ed oltre il criterio presuntivo di tale rappresentatività (rappresentato dalla stipulazione dei contratti collettivi) la Corte non esclude, anzi indica quale principio di carattere generale, la possibilità di verifica dell’effettiva e concreta rappresentatività del sindacato che rivendica la possibilità di costituzione della rappresentanza sindacale aziendale, e quindi l’accesso alla tutela privilegiata.

Deve discendere da tale indicazione la conseguenza per cui se la rappresentatività è evidente, in ragione del consenso proveniente da parte dei lavoratori, la mancata stipulazione del contratto collettivo non può costituire impedimento alla legittimazione alla costituzione della r.s.a..

Possiamo a questo punto, per una più completa descrizione dei riflessi in giurisprudenza del risultato referendario, richiamare alcuni passaggi dell’ordinanza con cui il Pretore di Milano, Dott. Curcio, in una causa promossa dalla F.M.L.U. contro la Fiat Auto, rimette (cosi come hanno fatto altri magistrati del lavoro) gli atti alla Corte Costituzionale, dichiarando non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori nella parte in cui attribuisce la possibilità di costituire le r.s.a. alle sole organizzazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi. Afferma il Pretore che “in particolare con la sentenza 30/90, la corte indicava con chiarezza che un correttivo al logoramento del modello statutario non poteva essere ricercato solo nell’espansione attraverso lo strumento negoziale del potere di accreditamento della controparte imprenditoriale il quale può non offrire garanzie di espressione della rappresentatività reale. Con il nuovo testo dell’art. 19 il modello ritenuto conforme alla Costituzione è venuto meno, rimanendo unico il requisito dello strumento negoziale e, dunque, dell’accreditamento da parte datoriale per il riconoscimento della rappresentatività. Il sindacato non ha più l’autonomia del proprio riconoscimento.” E si richiama ancora la sentenza n. 30 del 1990, nel passo in cui la Corte Costituzionale metteva in guardia dal favorire l’espansione del criterio dell’accreditamento datoriale, sostenendo che “sarebbe in tal modo consentito all’imprenditore di influire sulla libera dialettica sindacale in azienda sfavorendo quelle organizzazioni che perseguono una politica rivendicativa a lui meno gradita.” Afferma il Pretore: “Il sindacato, dunque, per essere veramente libero e per svolgere la sua funzione non deve essere gravato dalla necessità di stipulare accordi e di ricercare un consenso non solo dei lavoratori, ma anche dei datori di lavoro. Peraltro, la cancellazione di ogni norma che consente al datore di lavoro di ingerirsi nella dinamica interna delle associazioni sindacali, cercando direttamente o indirettamente il loro consenso, è per il nostro legislatore un preciso obbligo, che trova fonte, sebbene remota, ma certo ancora vincolante, nella ratifica della convenzione Oil che, all’art. 2, fa obbligo ad ogni ordinamento statale di fornire ai sindacati adeguata protezione contro tutti gli atti di ingerenza della controparte. Ma l’attuale art. 19 non appare contrastare solo con l’art. 39, bensì anche con l’art. 3 Cost. perchè si introduce la possibilità di costituire rappresentanze a favore di organizzazioni sindacali prive di qualsiasi effettiva rappresentatività, sia all’esterno che all’interno dell’azienda, sol che siano firmatarie di contratti collettivi e di negarla ad organizzazione che pur rappresentative, sia esternamente che nell’ambito aziendale, non abbiano sottoscritto alcun accordo.”