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Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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I diversi modelli del capitalismo internazionale si confrontano sulle strategie di privatizzazione

Rita Martufi

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EX UNIONE SOVIETICA

Nella primavera del 1990 si sono avuti i primi processi di privatizzazione, provocati soprattutto dal radicale mutamento di impostazione politica e dal conseguente dissesto economico che ha attraversato questo paese.

E’ stata varata una legge sull’imprenditorialità seguita da altre due leggi che riguardano le tecniche di privatizzazione e le misure antimonopolio; con la legge sull’imprenditorialità in sostanza, viene legalizzata l’appropriazione del profitto. Nell’ambito di queste privatizzazioni spontanee sono nate le Borse merci, organizzate come Borse moderne (ossia fornite di banche dati elettroniche, brokers) ma che gestiscono scambi di qualsiasi tipo di “prodotto”; nel 1991 erano sorte circa 200 Borse merci.

Sempre in questo periodo sono sorte anche le banche commerciali, il cui scopo principale era quello di raccogliere ed investire i risparmi dei cittadini e delle imprese, rafforzando l’idea del risparmio finanziario finalizzato al facile arricchire.

Il primo intervento legislativo si è avuto nel 1991, ed ha regolato le privatizzazioni utilizzando tutte le metodologie più in uso negli altri stati centrali europei (dai vouchers, alla cessione diretta ai cittadini di azioni gratuite, ecc.).

Va ricordato comunque che il metodo più utilizzato soprattutto in Russia è stato quello della “locazione di aziende con opzione di acquisto”. Questa procedura che prevedeva la concessione ai privati della locazione di un’impresa potenzialmente oggetto di vendita, aveva un duplice scopo: da un lato, infatti, in questo modo si manteneva il rapporto tra Stato e privato fino al momento effettivo della vendita, dall’altro si consentita ai privati di valutare nel periodo di locazione se effettivamente l’impresa poteva essere gestita con profitto.

Nel 1993 oltre 40.000 piccole aziende erano state vendute; per quanto riguarda le medie e grandi imprese invece va ricordato che le azioni sono state in parte vendute e in parte distribuite gratuitamente.

In Russia la privatizzazione è avvenuta attraverso la cessione tramite vouchers; come è accaduto per altri paesi dell’Europa centrale (es. Polonia) sono stati istituiti i Fondi di Investimento con lo scopo prioritario di salvaguardare gli interessi dei piccoli risparmiatori. Sono sorti più di 500 Fondi di Investimento in tutta la Russia ed hanno riscosso un notevole successo tra gli investitori.

Il processo di privatizzazione in questo paese ha comunque abbracciato tutti i settori economici dell’attività produttiva, agendo anche nel delicato settore dell’agricoltura.

UNGHERIA

L’Ungheria si è distinta dagli altri paesi dell’est europeo per il diverso approccio che ha avuto nei riguardi del programma di privatizzazione. Fin dal 1968 infatti, in questo paese, è stato abolito l’obbligo di seguire i piani di produzione decisi dallo Stato; questo ha permesso alle imprese di proprietà pubblica una gestione svincolata dalle scelte sostenute dalla struttura centralizzata. Questa situazione non ha portato però di fatto alla creazione di un’economia di mercato ed è stato necessario introdurre un vero e proprio programma di privatizzazione per decentralizzare il sistema produttivo del paese.

Come per gli altri paesi europei, in particolare nell’area orientale, anche in Ungheria le prime privatizzazioni non sono state supportate da leggi che le regolassero. Si è avuta così inizialmente una privatizzazione spontanea attraverso la quale l’impresa statale veniva trasformata in società per azioni; nel 1990 però sono state emanate due leggi che, oltre a regolare le precedenti privatizzazioni spontanee con la possibilità da parte dello Stato di riesaminare tutte le operazioni effettuate negli anni 1988 e 1989, hanno istituito l’Agenzia per la Proprietà Statale (APS).

Va ricordato che la APS non vende le imprese ma i diritti a gestire il processo della loro privatizzazione. L’Agenzia per la Proprietà Statale ha predisposto la vendita di oltre 600 imprese ed il processo di privatizzazione è tuttora in corso, con i suoi problemi e difficoltà.

Il processo di privatizzazione in Ungheria si caratterizza comunque per il suo connotato di riorganizzazione della proprietà attraverso una sorta di decentramento e “Qualunque sia il risultato, per ora possiamo osservare che la forma predominante di trasformazione dei rapporti di proprietà in Ungheria si presenta come l’esito di unacontrattazionesulla valutazione delle proprietà ed assume la forma di partecipazioni incrociate istituzionali all’interno delle quali i managers d’impresa usano risorse posizionali per estendere il loro effettivo esercizio dei diritti di proprietà. Per queste ragioni l’Ungheria ..... rappresenta l’intersezione di contrattazione, proprietà d’impresa e risorse posizionali”. [1]

ROMANIA

Il programma di privatizzazione di questo paese è stato condotto da un ente creato appositamente (l’Agenzia Nazionale per la Privatizzazione) che ha lo scopo di dirigere e controllare il trasferimento della proprietà pubblica ai privati. L’esecuzione e la distribuzione gratuita delle quote è demandata invece ai Fondi di Proprietà che emettono i certificati di partecipazione alle aziende privatizzate.

In Romania si è ancora all’inizio del vero e proprio processo di privatizzazione; il Governo ha stabilito per il momento che solo il 30% del patrimonio delle imprese pubbliche è da destinare alla vendita. Questa situazione dimostra che lo Stato è tuttora intenzionato a rimanere il principale azionista delle imprese pubbliche, limitando di fatto il percorso del processo di privatizzazione.

BULGARIA

In questo paese, pur non essendo stato delineato un vero e proprio processo di privatizzazione, sono stati adottati provvedimenti di liberalizzazione nel settore dell’agricoltura e del terziario. Nel 1989 sono stati venduti ai privati piccole imprese di proprietà dello Stato, ristoranti e piccoli negozi ed aziende del settore turistico.

TURCHIA

Le dimensioni ridotte del mercato mobiliare unite alla poca trasparenza della contabilità delle imprese e alla modesta posizione degli investitori interessati alla possibile acquisizione delle imprese pubbliche, ha portato in questo paese ad un modesto e quasi irrilevante processo di privatizzazione.

Merita comunque di essere ricordato che le imprese interessate al programma di privatizzazione sono state la Petrikim (settore petrolchimico), la Bogarici (trasporto aereo), la Teletas (telecomunicazioni), la Tourism Bank (settore alberghiero) e la Sunurbank ( settore tessile).

ISRAELE

E’ interessante per questo paese esaminare più da vicino le grandi privatizzazioni bancarie che si sono avute negli anni che vanno dal 1983 al 1994. Il sistema bancario in Israele era molto concentrato in quanto tre holding controllavano il settore bancario e dei servizi finanziari (Graf. 21); si tratta della Bank Leumi Le Israel (BLL), la Bank Hapoalim (BH, la Banca dei lavoratori) considerate tra le prime 200 maggiori banche del mondo, e la Israel Discount Bank (IDB).

Nonostante le dimensioni e l’importanza di questi tre gruppi bancari, va rilevato però che il governo israeliano manteneva il loro controllo attraverso la Banca d’Israele la quale assicurava la solvibilità e la stabilità dell’intero sistema bancario. Ciò dimostra in sostanza che il controllo statale sull’intero sistema bancario è sempre stato molto forte anche prima dell’effettiva acquisizione dei tre grandi gruppi bancari che si è avuta nel 1983.

Nel 1983, infatti, a seguito di speculazioni finanziarie degli investitori ( i quali anticipando una svalutazione della moneta iniziarono a comprare titoli stranieri e a vendere titoli bancari) il sistema bancario si è trovato a dover affrontare una situazione molto seria che poteva essere risolta senza l’intervento dello Stato.

Nell’ottobre 1983 il governo ha chiuso temporaneamente la borsa di Tel Aviv per evitare il completo tracollo delle azioni bancarie e contemporaneamente ha realizzato il cosiddetto “arrangement”, ossia l’acquisto delle principali istituzioni bancarie da parte dello Stato. L’accordo comportava, oltre al salvataggio degli azionisti, la ripresa della Borsa ed elemento principale, non prevedeva l’immediata nazionalizzazione delle banche in quanto lo Stato, pur finanziando l’intera operazione, non sarebbe apparso come proprietario né direttamente né indirettamente.

Va considerato che lo Stato non cercò in alcun modo di avere la proprietà delle banche essendo soddisfatto della situazione che si andava determinando. L’istituzione di una corporation governativa, la M.I. Holdings, infatti, con il compito di finanziare le trust companies, nuove sussidiarie delle banche, doveva assolvere il compito di riportare la situazione alla normalità. Questo però non è accaduto in quanto le banche non sono state in grado di ripagare i debiti che avevano con la M.I. Holdings; a questo punto si è pensato fosse giusto attuare una privatizzazione vera, a carattere sostanziale.

Alla fine del 1993, infatti, ha avuto inizio il vero e proprio programma di vendite che si è comunque caratterizzato per l’estrema lentezza delle operazioni. Questo è dovuto soprattutto al fatto che si è deciso di vendere le più grandi banche d’Israele per intero, senza alcuna suddivisione in settori di attività. Inoltre il processo di vendita deve coinvolgere solo compratori in grado di prendere il pieno controllo delle banche; quindi vendendo solo una esigua parte di azioni al pubblico dei piccoli risparmiatori in sostanza si è ceduta la proprietà delle banche ai gruppi di controllo originari. [2]

5. Le linee di tendenza

In conclusione qualunque sia il modello di capitalismo di riferimento la scelta dei processi di privatizzazioni diventano per il neoliberismo fondamentali per l’esaltazione del libero mercato nel quale, anche se in forme differenziate, prevale sempre e comunque l’economia finanziaria speculatrice a danno del fattore produttivo lavoro. Le privatizzazioni sono la linfa vitale del capitalismo e risultano determinanti per far emergere quei principi dominanti e quelle forze tese alla ricerca di obiettivi di guadagno, immediato o a medio lungo termine, che non si trasformano mai in processi di redistribuzione equa e di utilità sociale generale; gli equilibri, la stabilità, la redditività cercata dal sistema capitalistico internazionale attraverso le privatizzazioni si sono rivelati soltanto come processi di destabilizzazione degli equilibri politici, sociali e ambientali.

Si deve ormai porre all’ordine del giorno la capacità di sostenere, in termini non solo strettamente politici ma proprio da considerazioni macroeconomiche questa volta si di ordine globale, la necessità di un modello di sviluppo radicalmente diverso, capace di generare nuova e diversa occupazione, diversa ricchezza, un diverso modo di produrre e del vivere sociale. Un modello di sviluppo che punti alla distribuzione del lavoro, del reddito e dell’accumulazione del capitale, una modalità di sviluppo quindi ecocompatibile e solidale incentrato su forme di economia sociale capaci di creare diversa ricchezza e distribuire valore diffondendolo socialmente. A tal fine vanno riproposte le funzioni non solo di uno Stato regolatore, ma allo stesso tempo di Stato gestore ed occupatore che redistribuisca reddito e ricchezza attraverso gli investimenti produttivi e la creazione di posti di lavoro veri a pieni diritti; attraverso un’equità fiscale che colpisca l’evasione, la speculazione dei capitali ad investimento finanziario e forme di tassazione complessiva dei capitali da destinare alla lotta alle povertà e per le esigenze socio-ambientali ed occupazionali; attraverso un’equità distibutiva che rafforzi lo Stato sociale determinando un Welfare della socializzazione dell’accumulazione del capitale.


[1] Cfr. Stark D., “Le strategie di...”, op. cit., p.123

[2] Cfr. Prager J., “Le privatizzazioni bancarie in Israele, 1983-1994”, in Moneta e Credito, n.195, settembre 1996.