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Armando Hart Dávalos
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Direttore dell’Ufficio per il Programma Martiano ed ex-Ministro della Cultura di Cuba

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José Martí: un punto di riferimento attuale per il movimento internazionale dei lavoratori

Armando Hart Dávalos

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Martí ha affermato che lo atterriva l’idea di mettere un uomo contro un altro. Comunque, come ha ben detto Roberto Fernández Retamar [1], ha concepito questo scontro in quello che ha chiamato “la guerra necessaria”, definizione nata il 24 febbraio 1895 con la lotta sostenuta contro il regime coloniale. È che Martí non era un idealista romantico nello stesso senso in cui molte volte viene utilizzata questa espressione, bensì era un uomo d’azione, che ha organizzato un partito ed una guerra, ed è arrivato a comprendere il fenomeno economico dell’espansione degli Stati Uniti sulla <Nostra America>.

Martí non era esclusivamente un uomo di idee, ma il fondatore del Partito Rivoluzionario Cubano, colui che ha lavorato per l’unità dei cubani, l’ideatore della guerra.

Nel ricordare la sua espressione “La patria è l’umanità”, viene spontaneo dire che Martí faceva politica per l’umanità. La faceva, con la chiarezza della coscienza dell’universale, la squisitezza dei metodi, la fermezza imprescindibile per le sue mete, una visione estremamente realista per quanto riguarda i pericoli ed i limiti, e con una passione risoluta, serena ed eroica nel superarli. Questa originalissima combinazione di elementi in una mente privilegiata, dalla vasta cultura, con una personalità attraente e suggestiva, lo ha convertito nell’unico cubano in grado di raggruppare e fondere nello stesso movimento, riassumere in uno stesso partito, concretizzare in un solo esercito, tutti li sacrifici fatti dal popolo cubano per l’indipendenza.

Il generale Máximo Gómez [2] ha potuto dire, in una lettera memorabile al generale Antonio Maceo [3], che quella guerra l’avrebbero fatta loro due, ma sarebbe stata la guerra di Martí. Il popolo e la storia hanno riconosciuto nei tre il nucleo centrale della Guerra d’Indipendenza di Cuba e del movimento di liberazione del popolo cubano. Il grande merito storico di Martí sta nell’unire tutti i fattori disponibili per la guerra, organizzarla, renderla possibile e, partendo da ciò, trasmettergli una cultura e una proiezione politica al fine di fondare la Repubblica. “Ha messo al servizio della sua causa tutti gli espedienti più affascinanti dell’arte e dell’intelligenza”, per dirlo con le parole del poeta Lezama Lima.

Non furono pochi gli ostacoli di ordine interno che il Maestro ha dovuto affrontare per arrivare all’unità, che era tenuto a raggiungere insieme a Gómez e Maceo; e questi due eroi di guerra, con meriti eccezionali, avevano la propria concezione di organizzare lo scontro. Ricordiamo le discussioni del 1884 e la scissione tra Martí, da un lato, e Gómez e Maceo dall’altro. In verità, i due grandi generali non hanno potuto concretizzare la loro idea; successivamente, in pratica, venne presa un’altra direzione, cioè quella di Martí. Aveva detto: “Capisco che devo affrontare l’accusa di mettere i bastoni fra le ruote alla Guerra d’Indipendenza”. Ad un secolo di distanza da ciò che devono esser state le discussioni del 1884, e con la mente rivolta ai discorsi di La Mejorana, portiamo oggi nel cuore quell’infinito rispetto e quell’ammirazione che Martí nutriva per Gómez e Maceo.

Aveva superato e studiato, dettagliatamente, gli impedimenti sociali che avevano ostacolato la Guerra del ’68 a Guáimaro [4]. In Gómez e Maceo non c’erano quei germi dello spirito partigiano che hanno portato la prima guerra verso il Patto della Roggia. Tuttavia, nelle discussioni de La Majorana [5] esistevano ancora in quei giganti della storia, i residui di quelle vecchie questioni. Rattrista riconoscere che questo fu l’ultimo incontro tra Antonio Maceo e José Martí.

Il pensiero martiano divenne molto più profondo e di un carattere diverso rispetto a quello prevalente nell’Assemblea di Guáimaro [6]. Le relazioni sul parlamentarismo e sulla pratica politica dei partiti negli Stati Uniti lo spiegano. Non appariva, neanche lontanamente, il civilista romantico dei primi mesi della Guerra dei Dieci Anni.

Incanalare la guerra attraverso il canone politico era l’unico modo per vincerla. Bisognava cercare forme concrete per organizzare l’esercito e, inoltre, i mezzi per sostenerla ed estenderla a tutto il territorio; per far ciò era necessario unire le volontà in uno stretto insieme e sotto un’unica direzione. È qui che l’audacia del suo pensiero ottiene il più grande rispetto. Per questo fine, aveva fondato ed organizzato il partito dell’indipendenza, aveva realizzato il programma ultra-democratico ed anti-imperialista e era fiducioso che questo fosse la forza spirituale del futuro.

Martí voleva che la guerra venisse diretta secondo il criterio politico, “con tutti e per il bene di tutti”, e per far ciò metteva in azione il suo pensiero previdente ed il suo forte senso pratico. Accusato di ostacolare formalmente la guerra, in realtà lavorava per avere a disposizione tutti i metodi per renderla possibile e popolare e, soprattutto, cercava di dare alla lotta armata un insieme di ideali e l’organizzazione politica adeguati per mantenere, nella vittoria, quel principio democratico che la ispirava.

Di guerre d’indipendenza contro i poteri coloniali ce ne sono state molte, e molto eroiche in America: da Haiti al Venezuela; dal Messico all’Argentina (a Cuba tra il 1868 e il 1878), ma in nessuno di questi casi tali guerre vennero preparate ed orientate da un partito rivoluzionario. Il Partito Rivoluzionario Cubano è il primo creato in America, e forse nel mondo, al fine di organizzare e condurre una guerra anticolonialista e d’indipendenza. La novità di questo fatto basta da sola a spiegare le perplessità che nacquero.

La lotta per l’indipendenza di Cuba non solo è stata innalzata contro il colonialismo spagnolo, ma anche, ed essenzialmente, contro gli eccessi del Nord [7].

Un fatto importante, nella creazione del Partito Rivoluzionario Cubano, è costituito dal ruolo che svolsero i lavoratori del tabacco cubano emigrati a Tampa e Cayo Hueso [8]. Gli amici socialisti di Martí gli scrivevano da Cuba riguardo le loro idee. Il Maestro li incoraggiava a continuare studiando le problematiche sociali ed esaltava le loro preoccupazioni. Ma, naturalmente, il compito ed il ruolo di Martí erano altri. Doveva programmare e coordinare la guerra per l’indipendenza di Cuba per bloccare, in tempo, l’espansione yankee nel resto d’America.

Martí ha ottenuto le indicazioni e la cultura necessarie per marciare in direzione del colosso del Nord, allora in piena ascesa economica ed industriale e nel quale bruciavano le correnti universali più contraddittorie del pensiero di quell’epoca. Si reca negli Stati Uniti per continuare il suo pellegrinaggio a favore dell’amata isola. E lì ha la conferma che a Cuba e nelle Antille sta la chiave del destino del Nuovo Mondo.

Il decennio tra il 1880 ed il 1890 è stato decisivo per gli Stati Uniti e determinante per la formazione politica di Martí, che rimase lì tra il 1880 ed il 1895. È stato il paese in cui, dopo Cuba, ha vissuto per più tempo e uno di quelli che ha conosciuto più a fondo. Una collezione dei suoi scritti appare sotto il titolo Escenas norteamericanas (Paesaggi nordamericani).

A proposito del Primo Congresso Panamericano, svoltosi a Washington, Martí aveva avvertito in anticipo, nel 1889, l’attenzione che meritavano gli Stati Uniti riguardo il loro interesse di espandere i domini in America e impossessarsi di Cuba e delle Antille, in questo modo si sarebbero rafforzati di fronte al mondo come potenza, rivelando, già da un secolo, che i popoli americani si dovevano preparare urgentemente ad una seconda indipendenza contro un impero universale.

I due ultimi decenni del secolo XIX, ed in special modo quello degli anni 80, sono stati decisivi per l’ulteriore sviluppo dell’imperialismo moderno e hanno costituito il punto di partenza dei nostri cento anni. Durante i 15 anni in cui Martí ha vissuto in quel paese, venne forgiata la sua coscienza antimperialista e ha denunciato con estrema chiarezza, proprio in quel congresso menzionato e che dette l’approvazione alla strategia di espansione economica nordamericana verso la <Nostra America>, la natura del nuovo impero che si stava creando. L’essenza della sua critica a quella società sta nel distacco che è arrivato ad osservare tra lo sviluppo materiale ed i limiti della vita spirituale. Come oggi si può concretamente valutare, questo è il nucleo centrale del dramma e dell’attitudine del progresso capitalista nordamericano rivolto al mondo.

Nessuno ha mai scritto con maggior serietà sulla storia degli Stati Uniti, sui suoi costumi, sulle sue virtù ed i suoi vizi, così come fece José Martí. L’apostolo qui ha raggiunto l’apice del suo pensiero politico e ciò che è importante non è solo l’alto livello culturale e teorico a cui è arrivato, ma, inoltre, la capacità pratica di portarlo a termine.

Vedeva tutto attraverso lo sguardo della scienza e della coscienza, tutto veniva analizzato con amore e col desidero che gli Stati Uniti raggiungessero per vie nobili la loro genuina grandezza e, a sua volta, con l’angustia ed il timore verso il germe che li portava verso l’accrescimento dell’ambizione, dell’ansia di supremazia e dell’egoismo.

Martí, con il suo talento e la capacità nel comprendere le contraddizioni più sottili e profonde della politica e della storia, stabiliva una evidente interdipendenza tra la sovranità delle nazioni del Caribe e dell’America e ciò che esisteva di più legittimo e nobile nella tradizione democratica nordamericana. Di fatto, stava proclamando l’abbraccio tra il popolo di Lincoln [9] e quello di Bolívar, per far ciò era necessario rifiutare le aspirazioni espansioniste della dottrina del “frutto maturo” in virtù della quale il nostro paese avrebbe dovuto entrare a far parte del territorio statunitense, tesi che era inclusa, dall’inizio del secolo, nelle aspirazioni del presidente Monroe [10].

Il metodo politico e culturale martiano riassume il XIX secolo cubano. Martí è stato la sintesi più elevata nella quale si sono fusi il pensiero politico e sociale con le radici del movimento dei lavoratori e di massa; nel quale l’unità della cubanità e la sua forza raggiunsero nella cultura politica una grandezza inimmaginabile.

Naturalmente, Martí è arrivato a questi concetti grazie alla sua enorme sensibilità e al suo talento, e perché aveva vissuto e raccolto l’esperienza dei diversi paesi che avevano nutrito la sua alta coscienza popolare, patriottica e latinoamericana.

José Martí ci ha parlato della necessità di promuovere ciò che ha chiamato “la scienza dello spirito”. Vi posso assicurare che nelle sue analisi al riguardo c’è un enorme arsenale di idee filosofiche, etiche e psicologiche di grande interesse per l’educazione e la politica colta.

La chiave della sua vita come rivoluzionario e come uomo di pensiero, si può trovare nel come, di fatto, aveva strutturato, nel suo carattere e nella sua mente: scienza, coscienza e uomo di azione. E l’ha fatto a partire dalla sua etica, perché Martí era un uomo etico fino al midollo.

Nella cultura di Martí palpitavano il pensiero e la sensibilità cristiane nella loro espressione più pura ed autentica. Aveva detto “sulla croce morì un giorno l’uomo e nella croce deve imparare a morire l’uomo tutti i giorni”. La dignità della sua condotta si può comprendere quando si considera che non era un guerriero, ma a sua volta, era cosciente che la guerra era una necessità reale per l’indipendenza di Cuba, e comprendeva di dover insegnare con l’esempio. In ciò sta l’essenza della sua virtù educativa, la prova definitiva della conseguenza della sua vita e la ragione ultima della sua tragedia.

Il suo catalogo dei martiri ha messo in risalto per sempre l’ideologia cubana insieme all’insegnamento del suo sacrificio. Non si tratta di un romantico estraneo ai processi reali con i quali va avanti la vita dell’uomo e della società. Il valore di questa eredità si trova nel fatto che non c’è un popolo capace di andare avanti e conquistare la sua indipendenza e assicurarsi la libertà, senza il marchio etico che presuppone l’unità tra l’ideale di redenzione umana e lo sforzo per raggiungerlo. Nella sua cultura palpitava il dramma sociale dell’umanità.

Più di cento anni dopo la morte di José Martí, la lezione della sua vita acquista per i cubani una nuova dimensione. Ad un secolo dalla sua caduta in combattimento, egli viene riscoperto con maggior chiarezza e si ha una maggior comprensione del suo significato universale. L’umanità di questi anni di fine millennio ha bisogno di nuovi paradigmi, e Cuba ha il suo.

Chi ha sostenuto che la schiavitù degli uomini / è il più grande dolore del mondo, sapeva votarsi alla causa umana e aveva, nella sua immensa sapienza, una forte carica di bontà, che per i cubani è la più nobile dei sentimenti umanisti e il pensiero più alto e trasparente dell’età moderna, non in modo esclusivo e retorico, ma nel significato universale dell’umanesimo dei poveri che è presente nella miglior tradizione popolare dell’America Latina.

Martí é stato, in primo luogo, un patriota appassionato, questo tratto essenziale del suo carattere ha demarcato la sua personalità e si è manifestato nelle più diverse e apparentemente contraddittorie forme del suo agire concreto e della sua cultura enciclopedica e profondamente umanista. Sebbene non lo esprimesse allo stesso modo che un filosofo europeo -non aveva neanche un motivo per farlo- il suo pensiero ed il suo agire appaiono come un tutt’uno.


[1] Roberto Fernández Retamar: Poeta e Saggista cubano attualmente Presidente della Casa de Las Americas, importatnte istituzione culturale del continente.

[2] Máximo Gomez: Uno dei principali lider della Guerra d’indipendenza cubana, domenicano di nascita.

[3] Antonio Maceo: detto il Titano di Bronzo. Una delle principali figure della Guerra d’Indipendenza cubana.

[4] Guaimaro: Località cubana.

[5] La Mejorana. Località cubana.

[6] L’Asseblea di Guaimaro: Assemblea Costituente della Repubblica in Armi.

[7] Si riferisce agli Stati Uniti d’America.

[8] Tampa y Cayo Hueso: Località del Sud degli Stati Uniti.

[9] Abraham Lincoln.

[10] Monroe: Presidente statunitense fondatore della dottrina imperialista statunitense che pretendeva che tutto il continente americano rimanesse sotto il controllo degli Stati Uniti.