La reinvenzione del sindacalismo: le Commissioni Operaie all’origine del movimento sindacale spagnolo del dopoguerra
Joaquín Arriola Palomares
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La repressione ha un esito importante nella detenzione dei
principali dirigenti e nello smantellamento di molte commissioni provinciali. Le
convocazioni per le manifestazioni negli anni 1967 -1969 furono quasi tutte un
completo fallimento. Molti davano la colpa all’irresponsabilità del PCE, che
mantenne convocazioni aperte e nella strada in un nuovo contesto di repressione
rafforzata [1]. Comunque, considero
importante tenere in conto altri fattori, in particolare la mancanza di
maturità nella coscienza politica dei lavoratori che aveva facilitato la stasi
in quanto vennero ottenuti alcuni miglioramenti nelle condizioni di vita [2]. Come viene indicato più avanti, questo
fattore tornò a giocare un ruolo importante durante la transizione verso la
democrazia.
In ogni caso, gli ultimi anni del decennio del ’60, che
conobbero un importante processo di mobilitazione politica in Europa ed in altre
parti del mondo, furono in Spagna anni di scarsa mobilitazione. Si riproduce
così un fatto, di difficile spiegazione, che si manifesta nel ciclo economico e
politico spagnolo del XX secolo, che vive per 2 o 3 anni prima di ogni
cambiamento del ciclo politico europeo e mondiale e 2 o 3 anni dopo, cioè il
ritardo delle nuove tendenze economiche.
6. La transizione politica verso la normalizzazione
sindacale
La perdita di protagonismo diretto dei lavoratori e delle
loro lotte si tradusse in un inasprimento del dibattito politico ed ideologico
nelle organizzazioni clandestine. È il momento in cui appaiono sulla scena
diverse organizzazioni politiche, di tendenza diversa: maoista come il Movimento
Comunista (MCE), l’Organizzazione Rivoluzionaria dei Lavoratori (ORT) ed il
Partito del Lavoro (PTE); consiglieri come Bandiera Rossa (OCE -BR) o l’Organizzazione
della Sinistra Comunista (OIC), trotzkista come la Lega Comunista Rivoluzionaria
(LCR), autonomi come i Gruppi Operai Autonomi (GOA)... Tutti raggiungono un
certo inserimento nel nuovo movimento dei lavoratori delle Commissioni Operaie,
quando non sorgono direttamente da esse stesse.
La lotta per l’egemonia in seno alla sinistra si
trasferisce a una lotta per il controllo delle Commissioni Operaie, che fa
perdere autonomia ai dibattiti in seno alle stesse. L’organizzazione di
maggiori dimensioni, il Partito Comunista, rafforza anche il controllo sulle
Commissioni Operaie, pressando con maggior forza per bloccare la dirigenza delle
assemblee e delle delegazioni. In termini politici, il dibattito si centra sul
considerare le commissioni operaie come un’organizzazione unica di massa, come
un fronte unico di massa o come un’unica centrale sindacale.
Allo stesso tempo, la fine dalla dittatura, che si intravede
per l’avanzata età e la malattia del dittatore, porta il dipartimento degli
Stati Uniti e la socialdemocrazia europea, per mezzo della Fondazione Friedrich
Ebert, a preparare una transizione nella quale, il predominio della sinistra
comunista tra le forze di opposizione venga controbilanciato da un partito che
concordi con l’establishment delle democrazie occidentali.
Senza entrare nei dettagli della transizione politica
spagnola (1975 -1977), conviene evidenziare alcuni dati chiave per l’evoluzione
del sindacalismo spagnolo:
Nel periodo di transizione tra la morte del dittatore nel
novembre 1977 e le prime elezioni democratiche del giugno 1978, i partiti
politici, incluso il partito comunista, vennero legalizzati prima delle
organizzazioni sindacali. Quello fu un periodo chiave per escludere la
possibilità che la legalizzazione delle organizzazioni sindacali portasse all’apparizione
di un nuovo movimento sindacale unitario dominato dalle forze comuniste.
Il finanziamento da parte della socialdemocrazia europea
servì per la formazione di un insieme di quadri sindacali, organizzare una
struttura nazionale per la UGT e per realizzare un “OPA sindacale”, contro
la USO, dalla quale si separa un numero importante di quadri di direzione che
passano ad ingrossare le fila del sindacalismo ufficiale. Da parte sua, l’Istituto
Americano per lo Sviluppo del Sindacalismo Libero (IADSL, finanziato dal
Dipartimento di Stato del governo degli Stati Uniti, sebbene formalmente era
connesso con la dirigenza della AFL -CIO) promosse la ricostruzione del
sindacalismo nazionalista, sia in Catalogna come nella Regione Basca, anche se
ebbe fortuna solo in quest’ultima regione.
Infine, gli stessi dissapori interni tra le forze di sinistra
fecero si che la corrente maggioritaria potesse realizzare una svolta verso la
costituzione di un centro sindacale, che sebbene conservasse alcune
caratteristiche del movimento sindacale degli anni passati, sarebbe più
facilmente controllabile che un movimento assembleista come quello che si andava
costituendo dall’inizio degli anni ‘60 [3].
L’Assemblea dei Delegati delle Commissioni Operaie di
Barcellona, luglio 1976, è l’atto fondamentale di una nuova organizzazione
sindacale e l’inizio della fine del movimento operaio di nuovo tipo, malgrado
la retorica si mantenne per oltre dieci anni. Uno degli aspetti più
significativi di questa assemblea fu il riconoscimento degli altri centri
sindacali esistenti, o in fase di ricostruzione, per quanto i delegati facessero
un appello all’unità, non dei lavoratori, per mezzo dei loro rappresentanti
diretti, ma delle organizzazioni sindacali, attraverso il cosiddetto “Coordinamento
delle Organizzazioni Sindacali” (COS), che raggruppava la USO e la UGT.
Nell’assemblea venne decisa la costituzione di un “segretariato”
delle Commissioni Operaie, composto da 27 membri (tutti uomini, tutti quadri di
partiti politici), dei quali 22 sono membri del PCE, 2 del Movimento Comunista,1
della ORT e 1 del Partito Socialista Popolare (PSP piccolo gruppo socialista che
dopo pochi anni venne integrato dal PSOE). L’idea di avanzare verso un
processo sindacale costituente e la conformazione di una centrale unica di
lavoratori venne diluita quando alcuni mesi dopo venne prodotta la
legalizzazione delle centrali sindacali e la Commissione Operaia si andò ad
iscrivere come una in più.
L’evoluzione decisa in questa Assemblea di delegati
facilitò il processo di divisione sindacale tramato dalle fila
socialdemocratiche, per quanto definito lo spazio politico dei settori comunisti
di opposizione come forze minoritarie nelle prime elezioni legislative del 1977,
fu molto più semplice identificare le Commissioni Operaie come la “centrale
sindacale comunista”. Solo l’esistenza di un’ampia base di quadri operai
presenti nelle fabbriche e riconosciuti dai compagni, permise che anche le
CC.OO. soffrissero varie scissioni nel loro seno, che andarono a conformare
nuove confederazioni sindacali oggi scomparse [4],si convertisse nella più grande centrale
sindacale del paese. Ma tuttavia molto lontano dal carattere unitario e
integratore di tutte le correnti socio -politiche presenti nel mondo operaio.
Da parte sua, la lotta per la rottura democratica si diluì
quando, in modo simile a ciò che era accaduto alla fine degli anni sessanta, il
governo concesse le rivendicazioni più economiciste dei lavoratori, facilitando
così una transizione senza rottura dalla dittatura autocratica alla monarchia
democratica [5].
L’evoluzione successiva del movimento operaio sarà
caratterizzato dai contenuti dello Statuto dei Lavoratori (1980) che autorizza i
comitati di impresa, la rappresentanza dei lavoratori nell’impresa e la
facoltà di indire le assemblee. La loro composizione sarà decisa mediante un
processo di elezioni da impresa a impresa, nella quale i diversi sindacati, di
impresa, federali e confederali presentano i candidati ed occupano i posti in
maniera proporzionale [6]. Lo Statuto dei Lavoratori sottrae
alle assemblee qualsiasi competenza a negoziare, che viene generalmente
trasferita ai “rappresentanti dei lavoratori”.
Sebbene le Commissioni Operaie seguitano a considerarsi un
sindacato assembleista ed unitario, la nuova legalità va ad orientare poco a
poco il lavoro verso i comitati, che sostituiscono con frequenza le assemblee
generali in un processo di delega di funzioni e crescente apatia partecipativa
da parte dei lavoratori, che entrano in un processo accelerato di non
politicizzazione di massa. Questo “potere sindacale” fu concesso in cambio
dell’accettazione di un insieme di patti generali tendenti a invertire gli
aumenti salariali del periodo di transizione e stabilizzare la politica
macroeconomica.
La “normalizzazione” sindacale viene completata nel 1985,
quando è approvata la “Legge Organica di Libertà Sindacale” (LOLS), che
dà la facoltà alle organizzazioni sindacali “rappresentative” di negoziare
nei loro ambiti territoriali (convegni provinciali e statali) e nei rami della
produzione (convegni di ramo). La condizione di sindacato “più
rappresentativo” è una categoria consentita esclusivamente alle
organizzazioni con una rappresentanza tra l’insieme dei delegati superiore al
10%, o al 15% se sono sindacati che si presentano solo in una regione autonoma,
come la Regione Basca o la Catalogna. Solamente i sindacati più rappresentativi
possono negoziare accordi generali. Di modo che le elezioni a comitati di
impresa si riducono ad un esercizio di competenza tra le centrali per
determinare la rappresentatività di ognuna, che non si decide né per la
capacità di mobilitazione né per l’affiliazione, ma per il voto delegato dei
lavoratori.
Con questo nuovo assetto giuridico, i comitati di impresa
perdono progressivamente il ruolo di organi di rappresentanza unitaria dei
lavoratori, spostando alle sezioni sindacali il potere di negoziazione
effettiva. Pertanto negli ultimi 25 anni il movimento operaio spagnolo è andato
diluendo il carattere partecipativo, dalle assemblee generali ai comitati di
impresa, e da questi alle sezioni sindacali e rafforzando il potere delle
direzioni sindacali professionali delle grandi confederazioni sindacali.
Paradossalmente il CC.OO. si opporrà alla LOLS per quanto
nel suo discorso permane ancora negli anni ’80 una forte retorica unitaria, e
nel suo seno si accumula la maggiore esperienza assembleista del movimento
sindacale spagnolo. Ma il processo di adattamento è molto veloce nella pratica
e il cambiamento nel discorso si va introducendo poco a poco, senza un’esplicita
analisi delle cause del cambiamento e della trasformazione del “sindacalismo
di nuovo tipo” in delle pratiche sindacali simili a quelle di altri paesi
europei [7].
La decisione di limitare le pratiche sindacali al marchio
stabilito dalla legalità vigente si prende senza maggiori riflessioni sulle
implicazioni che ha nella perdita di protagonismo diretto dei salariati e in una
crescente delegazione di responsabilità nei quadri sindacali professionali, che
rafforza la tendenza alla non politicizzazione e all’attitudine passiva dei
lavoratori.
La crisi delle organizzazioni comuniste negli anni ’80
determina che l’evoluzione successiva delle Commissioni Operaie, spogliate
definitivamente (?) del carattere unitario, e convertite in una confederazione
sindacale standard, perdano anche il vincolo con un discorso politico di
trasformazione [8], entrando in una dinamica
di negoziazione pragmatica non molto differente da quella che troviamo negli
altri paesi dell’Unione Europea.
7. Riprendere dal passato gli strumenti per costruire il
futuro
Questo breve excursus della ricostruzione del movimento
operaio spagnolo permette di dedurre alcune conclusioni utili per una
riflessione più generale sul tipo di sindacalismo necessario all’inizio del
XXI secolo:
1. I cambiamenti strutturali nelle condizioni sociali e
politiche del lavoro devono essere affrontate con cambiamenti correlativi nelle
forme di organizzazione dei lavoratori.
2. Le contraddizioni espresse nel processo di lavoro,
canalizzate politicamente, sono la forza principale di opposizione alla logica
del captale e all’espressione politica di questa.
3. Le mediazioni necessarie, personali e strutturali, per
raggiungere la coordinazione, l’organizzazione e l’espressione pubblica dei
lavoratori, devono avere come obiettivo prioritario la sviluppo della capacità
politica delle persone che integrano il collettivo operaio.
4. L’accumulazione della coscienza dei lavoratori si
rafforza con il protagonismo diretto e si debilita con le strategie di
sostituzione e di delega.
5. L’impronta prettamente giuridica condiziona l’azione
sindacale molto più che l’azione politica che si possa sviluppare in altri
ambiti, riducendo gli spazi e i limiti di intervento delle strategie autonome di
classe.
La transizione politica spagnola evitò una rottura con il
processo di accumulazione capitalista limitando il protagonismo dei lavoratori e
il modo di agire alle rivendicazioni salariali, orientando la domanda di
cambiamento verso le strutture politiche con ambiti di partecipazione ristretti
(principalmente elettorali), limitando la rappresentazione diretta all’ambito
della negoziazione collettiva e all’elezione di comitati d’impresa. Una
volta ottenuto tutto ciò, è stato facile cancellare la memoria collettiva,
depoliticizzare la cittadinanza e modificare la correlazione di forze a favore
del capitale, cioè, introdurre il Paese sulla via della normalizzazione
neoliberale. Per adesso.
[1] Così, in un documento dell’epoca leggiamo: “dopo il referendum
del 1966 [votazione convocata dal regime come una prova di legittimazione] si
abbatté sulla classe operaia una repressione sistematica; i dirigenti più
conosciuti furono arrestati e incarcerati e numerosi operai licenziati dalle
fabbriche. Questa fu una dura lezione che dimostrò quanto fosse pericoloso
uscire allo scoperta senza essere nelle condizioni politiche ed organizzative di
difendersi ed attaccare a fondo a sua volta. (...) il cambiamento di situazione
del 1966 (...) non venne captato dal movimento operaio e dalle sue
organizzazioni. Specialmente il PCE, principale ispiratore del nuovo movimento
operaio, accecato da un impossibile Patto per la Libertà, tendeva ad utilizzare
la classe operaia come carne da macello e base di negoziato, dimenticandosi di
rafforzare l’organizzazione e la politica autonoma e lanciando il nuovo
movimento contro la repressione senza nessun tipo di protezione, ciò che
decimò il movimento e lo divise politicamente.” Organización Comunísta de
España -Bandera Roja: “Comisiones Obreras y la construcción del sindacato”,
Bandiera Roja, n.15, settembre 1973, pp.12 -13.
[2] Così
l’occupazione, che cresceva dello 0,5% l’anno tra il 1963 e il 1966, crebbe
di un tasso superiore all’1% l’anno durante i tre anni seguenti e i costi
lavorativi unitari nell’economia spagnola, che erano cresciuti meno dell’1%
l’anno tra il 1963 e il 1965, crebbero di circa il 2% nei tre anni seguenti
(dati: European Economy n. 71/2000).
[3] Vediamo come analizza il processo
una organizzazione presente anche durante gli anni dell’espansione economica
spagnola, l’Unione Sindacale Operaia: “La USO partecipò alla creazione del
Movimento spontaneo delle Commissioni Operaie in diversi luoghi dove erano sorte
in principio: Vizcaya, Asturie, Guipúzcoa. Successivamente, davanti alla
tattica del PCE di penetrazione e controllo delle stesse, privilegiando il
lavoro sovrastrutturale di coordinamento sullo sviluppo e il consolidamento
degli organi di classe nell’Impresa (che supponeva di convertire le
Commissioni in una filiale di trasmissione del PCE o di altri gruppi politici, a
seconda della regione), la USO si svincolò dalle Commissioni e lanciò, a
partire dal 1967, il movimento delle ASSEMBLEE DI FABBRICA e dei comitati delle
imprese.” (“Por un sindicalismo de clase. Qué es la USO.”, maggio 1975,
pp. 21 -22).
[4] In particolare il Sindacato
Unitario, spinto dalla ORT, e la Confederazione Sindacale Unitaria dei
Lavoratori, promossa dal PTE.
[5] I costi lavorativi unitari, che erano cresciuti di un tasso annuo
inferiore allo 0,2% nel 1972 e 1974, si elevano a 1,1%l’anno tra il 1975 e il
1977 (dati European Economy 71/2000).
[6] Attualmente la Confederazione Sindacale delle Commissioni
Operaie ha circa 98.000 delegati eletti in comitati di impresa in tutta la
Spagna, l’Unione Generale dei Lavoratori 96.000 e il resto delle forze
sindacali 65.000, tra le quali spiccano la USO e la UGT (organizzazione
sindacale libera, una scissione della confederazione anarco -sindacalista CNT,
che non accetta di partecipare ai processi di elezione sindacale e negoziare nei
confini della legislazione vigente), con approssimativamente il 5% di
rappresentanza ognuno dei comitati d’impresa, il sindacato nazionalista Basco
ELA/STV che ha un 55% dei rappresentanti nella Regione Basca e il sindacato
nazionalista gagliego Confederazione Sindacale Gagliego (CIG), con il 30 % dei
rappresentanti nella regione galiziana.
[7] Gli attuali statuti della Confederazione Sindacale delle Commissioni
Operaie mantengono i seguenti “principi nei quali si ispira il sindacalismo di
nuovo tipo della C.S. della CC.OO.: Rivendicativo e di classe; Unitario;
Democratico e Indipendente; Partecipativo e di massa; Sociopolitico;
Internazionalista”. Inoltre continua affermando che “è orientato verso la
soppressione della società capitalista e la costruzione di una società
socialista e democratica”.
[8] Non solo si è ridotta al minimo la presenza dei quadri
sindacali affiliati ai partiti della sinistra radicale, alcuni proveniente da
gruppi maoisti, abbandonarono le Commissioni Operaie per costituire piccole
piattaforme sindacali articolate nel CAES -Centro di Assessorato e Studi
Sociali- e altri si integrarono nella CGT di orientamento libertario. Inoltre
gli affiliati al Partito Comunista (o Sinistra Unita) sono attualmente la “corrente
critica” di minoranza nella dirigenza delle CC.OO.