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L’analisi-inchiesta

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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Analisi-inchiesta: lavoro che cambia, lavoro che non c’è. Lavoro precario o lavoro vero?
Rita Martufi, Luciano Vasapollo

 

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Analisi-inchiesta: lavoro che cambia, lavoro che non c’è. Lavoro precario o lavoro vero?

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

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2. La legislazione attuale

In questo contesto è necessario analizzare le recenti leggi in Italia in materia di lavoro. Per quanto riguarda il cosiddetto Pacchetto Treu (Legge 24 giugno 1997, n.196 -“Norme in materia di promozione dell’occupazione”) si ricorda che con questa legge sono introdotti nuovi istituti come il contratto di lavoro temporaneo, comunemente chiamato interinale, le borse di lavoro, i tirocini in azienda e sono cambiati altri già esistenti; il part-time, il contratto di formazione lavoro, il contratto di apprendistato, i Lavori Socialmente Utili, la formazione professionale.

Infatti: “Il pacchetto Treu ha sviluppato delle misure a favore dell’occupazione sulla base di una flessibilità maggiore. La legge del 18 giugno ‘97 introduce alcuni istituti nuovi; il contratto di lavoro temporaneo, comunemente chiamato interinale, le borse di lavoro, i tirocini in azienda. Ne modifica altri già esistenti; il part-time, il contratto di formazione lavoro, il contratto di apprendistato, i lavori socialmente utili, la formazione professionale.

Il lavoro interinale

Si tratta di una forma di lavoro temporaneo gestito da agenzie autorizzate.

Il caso più classico in cui un’azienda può aver bisogno di personale temporaneo è per la sostituzione di lavoratori in malattia, o comunque assenti. Un’industria può però aver bisogno di fornitura di personale anche per far fronte a picchi produttivi.

Le agenzie

Le agenzie di lavoro interinale hanno la funzione di reperire, selezionare, formare ed assumere personale per le aziende-clienti.

Il contratto di formazione lavoro

Il contratto di formazione lavoro viene introdotto dalla legge n. 863/84, e successivamente modificato dalla legge n. 451/1994.

L’obiettivo è di agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro attraverso la concessione di particolari benefici alle aziende che assumono.

La legge 451 ha introdotto diversi tipi di contratto:

- contratti di formazione mirati all’acquisizione di professionalità intermedie ed elevate.

- contratti di formazione lavoro che agevolino l’inserimento professionale attraverso un’esperienza lavorativa che consenta di adeguare le capacità professionali al contesto produttivo.

Riduzione degli orari di lavoro e lavoro a tempo parziale

Incentivare la riduzione degli orari di lavoro è uno degli obiettivi del ‘pacchetto Treu’, per consentire un allargamento dell’occupazione e dare maggiore flessibilità al mercato.

I lavori socialmente utili

I lavori socialmente utili (LSU), attivati dal legislatore come formula di impiego per i lavoratori in cassa integrazione straordinaria e in mobilità, hanno incontrato un largo successo come strumento di reinserimento o inserimento nel mercato del lavoro. Lo scopo:

- fornire un sostegno, anche se parziale, al reddito di alcune fasce di disoccupati;

- contribuire alla creazione di nuova occupazione rivolta a chi è uscito dal mondo del lavoro, attraverso la realizzazione di progetti validi;

- dare un contributo per il miglioramento o la creazione di servizi per la comunità.

Le borse di lavoro

Uno strumento a favore dei giovani inoccupati del mezzogiorno, garantito da un piano straordinario di investimento rivolto in particolare alle piccole e medie imprese.

Il piano finanzia due strumenti: oltre alle borse lavoro, anche i lavori di pubblica utilità, che hanno come scopo la nascita di società miste a maggioranza privata a partire dalle pubbliche amministrazioni.

Aree di intervento:

Territori delle regioni Sardegna, Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata, puglia, Abruzzo e Molise.

L’apprendistato

Il contratto di apprendistato è una delle più antiche formule di avviamento al lavoro. Il suo obiettivo è fare in modo che i giovani possano imparare un mestiere attraverso la pratica.

I contratti a termine

In passato, in caso di prosecuzione di un rapporto a termine oltre il limite stabilito, il contratto si trasformava automaticamente in contratto a tempo indeterminato.

La nuova disciplina è più elastica, ma le sanzioni economiche sono più pesanti. Non c’è più la trasformazione automatica in contratto a tempo indeterminato, ma è previsto un periodo di tolleranza, durante il quale vengono applicati aggravi retributivi a carico del datore di lavoro [1].

Vi è poi la legge 848, approvata definitivamente nel febbraio 2003 i cui contenuti principali si possono così riassumere:

“Collocamento

Il disegno di legge 848 sul mercato dà delega al Governo per il riordino del collocamento. È previsto in particolare che soggetti privati, comprese le agenzie di lavoro interinale, possano svolgere servizi di collocamento e orientamento al mercato del lavoro.

Outsourcing

È modificata la disciplina del trasferimento del ramo d’azienda. Si elimina il requisito dell’autonomia funzionale per autorizzare l’outsourcing. Quando la norma sarà esecutiva, singoli uffici o reparti, persino singoli macchinari, naturalmente con i lavoratori annessi, potranno essere esternalizzati. Potranno nascere, all’interno dello stesso perimetro aziendale, tante singole imprese sotto i quindici dipendenti, i cui lavoratori non saranno coperti dallo Statuto e, in generale, avranno meno tutele.

Staff leasing

La legge 1369/60, che vietava la somministrazione di manodopera, è abolita e si introduce il cosiddetto “staff leasing”. Un istituto che prevede che agenzie specializzate possano fornire manodopera a carattere continuativo e a tempo indeterminato, e dunque non solo a termine come nel caso del lavoro in affitto.In futuro tutti i lavoratori di un’azienda potrebbero essere dipendenti di un’agenzia di lavoro interinale.

Tipologie di lavoro

Si introducono:

a) Il lavoro a chiamata. Il lavoratore, in cambio di un’indennità di disponibilità, deve dichiararsi pronto ad effettuare una prestazione lavorativa in qualsiasi momento l’azienda lo chiami.

b) Il lavoro accessorio. Il lavoratore svolge prestazioni per lo più assistenziali a vantaggio di famiglie o enti senza fini di lucro.

c) Il lavoro a prestazioni ripartite o job-sharing. Una prestazione lavorativa può essere svolta da due lavoratori.

Part time

Le modifiche introdotte nella delega rendono più facile il ricorso al lavoro supplementare (straordinario) e spostano l’equilibrio a vantaggio del datore di lavoro.

Contratti di formazione

È previsto il mantenimento dei due contratti, apprendistato e contratto di formazione lavoro, pur in presenza della bocciatura di quest’ultimo da parte dell’Unione Europea.

Certificazione dei rapporti di lavoro

La certificazione dei rapporti di lavoro viene affidata agli Enti bilaterali.

Più in generale, il governo dichiara esplicitamente di voler assegnare agli Enti bilaterali una serie di competenze in materia di collocamento, di ammortizzatori sociali, di formazione, attraverso anche forme di incentivazione economica” [2].

Vi è poi “La legge di delega sul mercato del lavoro (n. 30/2003)”

Va in primo luogo segnalato che, in connessione col “Patto per l’Italia” siglato nel luglio del 2002, il progetto di legge inizialmente presentato dal Governo, è stato sdoppiato con lo stralcio degli articoli riguardanti la riforma degli incentivi all’occupazione, quella degli ammortizzatori sociali, la sperimentazione sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che sono divenuti parte di un nuovo progetto di legge delega (AS 848 bis).

“La legge definitivamente approvata contiene all’articolo 1 una delega per una nuova disciplina dei servizi pubblici e privati per l’impiego, nonché in materia di intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro... Si prefigura, in primo luogo, una convergenza tra i mercati (finora separati) della fornitura di lavoro temporaneo e dell’intermediazione privata ed un raccordo di quest’ultima con quella pubblica (che a sua volta può essere esercitata da operatori pubblici o, su convenzione, da operatori privati)... L’articolo 2 contiene una delega per il riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio, che prende atto da un lato dell’incompleta transizione del contratto di apprendistato verso modelli mitteleuropei di integrazione con il sistema di istruzione e formazione, dall’altra delle difficoltà insorte a seguito della dichiarazione di contrarietà di gran parte degli sgravi legati ai contratti di formazione e lavoro in relazione alle norme comunitarie sugli aiuti di Stato. Il percorso tracciato dal legislatore prevede quindi la necessità di declinare diversamente i due strumenti, con l’apprendistato connesso col sistema di istruzione/formazione e destinato ai più giovani, ed il contratto di formazione e lavoro destinato ad evolversi in un contratto di inserimento e reinserimento mirato del lavoratore in azienda, nel rispetto della normativa comunitaria. ...Una ulteriore delega è prevista, dall’art. 3, in relazione al lavoro a tempo parziale, la cui diffusione nel nostro Paese è ancora caratterizzata da alcune difficoltà strutturali, ma la cui espansione assume una rilevanza notevole (come afferma la medesima legge) per l’innalzamento del tasso di partecipazione delle donne e dei lavoratori anziani al mercato del lavoro. La delega contiene fra i criteri alcuni elementi volti da una parte ad aumentare i margini di flessibilità nei tempi e modi di prestazione dell’attività lavorativa a tempo parziale, dall’altra ad incentivarne l’utilizzo... La delega contenuta nell’art. 4 è volta a prevedere una nuova disciplina in relazione a contratti ancora non regolati (o non adeguatamente regolati) dalla nostra normativa. È il caso in primo luogo dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, in relazione ai quali permane il problema di trovare un discrimine più netto nei confronti da una parte del lavoro subordinato e dall’altro dell’attività di lavoro autonomo in senso proprio... La legge definitivamente approvata contiene all’articolo 1 una delega per una nuova disciplina dei servizi pubblici e privati per l’impiego, nonché in materia di intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro. ...Sempre in tema di lavoro temporaneo va inoltre citata la prevista piena estensione dell’istituto al settore agricolo” [3].

3. La situazione attuale del mercato del lavoro

Per comprendere il fenomeno è necessario dapprima stabilire le principali caratteristiche del lavoro standard, cioè:

• l’orario previsto è a tempo pieno;

• l’assunzione per i lavoratori dipendenti, e l’inizio dell’attività autonoma per gli indipendenti, hanno tempo e luogo determinati;

• vi è una marcata diversità di posizione e di ruolo tra chi lavora come dipendente e chi invece lavora come indipendente.

Nel lavoro atipico spariscono l’una, l’altra o tutte e tre questi aspetti.

Facendo ricorso alla letteratura sul lavoro atipico si possono trovare diverse definizioni, come ad esempio, il lavoro atipico si caratterizza:

1. per diversità dal lavoro standard, come un rapporto d’impiego in cui manca una o più caratteristiche del rapporto subordinato a tempo pieno, l’integrazione organizzativa nell’azienda, l’obbligazione al tempo indeterminato, il regime costante della prestazione, l’esclusività del rapporto e l’offerta della disponibilità temporale;

2. come una prestazione di lavoro, la cui caratteristica fondamentale è la mancanza o la insufficienza di tutela normativa e contrattuale. Nell’area del lavoro atipico rientrerebbero, cioè, tutte quelle forme di lavoro con modalità di prestazione del lavoro diverse da un modello standard, cioè alle dipendenze, con garanzie normative e contrattuali, a tempo indeterminato e full-time.

Quasi il 25% dell’occupazione italiana è a carattere indipendente, contro una media europea del 15%; ciò a conferma di un modello mediterraneo, rappresentato da Spagna ed Italia, nel quale la percentuale del lavoro indipendente sull’occupazione complessiva è maggiore del 20%.

Forme di lavoro autonomo sono presenti soprattutto nei settori del terziario, da quello povero a quello medio-basso e nelle attività precario stagionali in agricoltura e turismo, nei trasporti e telecomunicazioni.

È poi presente una forma tutta italiana di esternalizzazione dei servizi: il subappalto a cooperative.

La diminuzione dei posti fissi e stabili si collega non solo ad una maggiore precarizzazione, ma anche all’affermarsi di attività che non dipendono più dell’organizzazione aziendale.

Negli ultimi due o tre anni è emersa la crescita dei lavoratori coordinati e continuativi. Ad esempio a gennaio ‘97 risultavano iscritti al fondo 822,892 collaboratori mentre già a febbraio 1998 si è registrato un incremento del 35,5%. Il numero di maschi iscritti è superiore a quello di femmine (attualmente circa il 63% contro il 37%) e la percentuale cresce più si va verso il centro-sud.

È difficile quantificare il lavoro sommerso proprio per la particolarità di questo fenomeno.

Le indagini dell’Istat quantificano il lavoro ‘sommerso’, ossia il lavoro impiegato in violazione della legge, con valori pari al 15,1 per cento del totale nazionale, con una punta del 22,6 per cento nel Mezzogiorno.

Nelle regioni centrali la percentuale di ‘sommerso’ corrisponde al 15,2 per cento, nel Nordovest è dell’11,1 per cento e nel Nordest del 10,9 per cento. La regione con il maggiore tasso di irregolarità è la Calabria (27,8 per cento) e quella con il livello più basso l’ Emilia-Romagna (10,4) [4].

I dati presentati di seguito mostrano il mercato del lavoro nel nostro Paese, dati che ci permetteranno di esaminare se le nuove norme siano realmente “efficaci”.

Segue uno schema che indica gli occupati suddivisi per settori di attività economica negli anni tra il 1997 e il 2002.

È interessante ora mostrare i dati rilevati dall’ISTAT sulla situazione occupazionale in Italia con riferimento a gennaio 2003 suddivisi per tipo di occupazione (dipendenti e indipendenti).

L’indagine trimestrale delle forze di lavoro di gennaio 2003 ha evidenziato un rallentamento dell’aumento dell’occupazione rispetto alla rilevazione precedente. L’aumento, infatti, è risultato, rispetto ai dodici mesi precedenti, pari a un +0,8%.

Sul piano settoriale e su base annua, si registra una riduzione nell’agricoltura (-2,3%) così come una diminuzione dello sviluppo dell’industria in senso stretto (+0,2%). Anche il settore dei servizi hanno un leggero rallentamento (+0,9%) effetto della riduzione avuta nel commercio (-0,2%).

Tra le componenti dell’occupazione, va è una minima crescita dell’occupazione indipendente (0,3%), rispetto ai dodici mesi prima, e di pari passo vi è una diminuzione dell’occupazione dipendente, che aumenta solo dell’1%. Va evidenziato poi che vi è un aumento dell’occupazione atipica (a termine e/o a tempo parziale) (+2,4%), anche se molto rallentata rispetto all’ottobre 2002, a fronte di un aumento dell’occupazione standard dello +0,8%

Sul piano territoriale nel sud d’Italia diminuisce l’occupazione (-0,6% rispetto a gennaio 2002) ed anche l’offerta di lavoro (0,9%) [5].

In ultima analisi continua la tendenza dell’assetto produttivo alla terziarizzazione, accompagnata oltre che da un evidente diminuito peso dell’agricoltura anche da più o meno evidenti processi di deindustrializzazione.

La trasformazione della geografia dello sviluppo, in Italia, avvenuta in particolare negli ultimi due decenni, è dovuta, oltre che ad un intenso processo di terziarizzazione, anche ad una diversa connotazione sia quantitativa sia, soprattutto, qualitativa delle attività produttive di una fabbrica sociale generalizzata che attraverso la flessibilità aziendale determina forti processi di ridefinizione, specializzazione e diversificazione, attuando così un’imposizione ad un adattamento attivo dei nuovi soggetti del lavoro e del non lavoro alla sua tipologia e cultura organizzativa.

Gli stessi incrementi di imprenditorialità che emergono dai dati ufficiali sono causati soprattutto dallo spropositato aumento, ad esempio in Italia, di “partite IVA”. Queste nuove figure del mondo del lavoro ormai superano ampiamente i sette milioni di iscrizioni, e altro non sono che “ditte individuali”, le quali rappresentano il cosiddetto lavoro autonomo di ultima generazione. Si tratta nella maggior parte dei casi di ex lavoratori dipendenti di fatto precarizzati, non più garantiti nella continuità del lavoro, espulsi dall’impresa madre e assoggettati a una nuova forma di lavoro a cottimo, fuori dalle garanzie normative e retribuite del lavoro dipendente. Dietro l’illusione del “fai da te”, dell’”autoimprenditorialità”, della libertà economico-sociale derivante dell’autocelebrazione del farsi “imprenditori di se stessi”, troviamo sempre una nuova forma di lavoro subordinato, privo di normativa, un supersfruttamento a cottimo, con la mancanza assoluta di garanzie sociali a causa della mancanza di coperture assicurative (sanità, pensione, infortunistica, assistenza varia).

Ma dietro il tanto decantato sviluppo dell’imprenditorialità locale, l’esplosione del “popolo degli imprenditori”, che è semplicemente lavoro parasubordinato, cioè lavoro autonomo di seconda generazione, altro non c’è che un capitalismo selvaggio che crea falsi miti al fine di nascondere le proprie contraddizioni. Si provocano, così, incrementi notevoli di disoccupazione palese e invisibile, precarizzazione del lavoro, negazione delle garanzie sociali e delle regole elementari del diritto del lavoro, in un territorio che si fa fabbrica sociale, in quanto luogo di sperimentazione e affermazione delle compatibilità d’impresa.

La tabella 1 evidenzia per il 1998 l’incidenza del lavoro atipico sull’occupazione; è interessante sottolineare come i valori percentuali siano sempre molto alti per le donne rispetto agli uomini; in particolare si veda ad esempio il lavoro part-time (a fronte di un 3,4% per gli uomini vi è un 14% per le donne).

Nel corso degli ultimi anni, la composizione occupazionale ha visto una diminuzione del lavoro standard; infatti tra il 1994 e il 1999 i lavoratori a tempo indeterminato sono diminuiti dell’1,5%, costituendo, nel 1999, quasi i due terzi (61,1%) dei lavoratori; vi è stata poi una forte crescita del lavoro dipendente atipico (tra il 1994 e 1999 è cresciuto del 43,9%, anche per l’aumento del part time (+42,6%) e del lavoro temporaneo (+44,6%). (cfr. Tab. 2)

Nel 1999 si è avuta una crescita del numero dei lavoratori regolari dell’1,3%, del 9,4% per il part time, del 12,9% per il lavoro temporaneo e del 13,9% del lavoro parasubordinato (cfr. Tab. 3)

La tendenza avuta nel 1998 si conferma anche per il 1999: il lavoro part time femminile raggiunge il 15,6%; il parasubordinato il 10,5%, mentre quello a tempo determinato sempre femminile l’8,9%.

Nel 2000 gli occupati flessibili hanno rappresentato il 13.7% delle forze lavoro. Il tasso di crescita annuale dei lavoratori part-time è stato del 13,5%, con un aumento dell’occupazione complessiva dell’1,5% e dello 0,5% per il lavoro a tempo pieno. I lavoratori a termine nell’aprile 2000 erano più di un milione e mezzo, ossia circa il 10% degli occupati.

Nel 2001 il peso del lavoro a tempo parziale per le donne è stato del 16,6 per cento, con una crescita di 5,4 punti rispetto al ‘93. Per gli uomini, invece, il lavoro part-time è stato del 3,5 per cento con una incidenza doppia al Sud.

Negli anni che vanno dal 1997 al 2002 gli occupati part-time alle dipendenze aumentano in percentuale del 36%. Tale forma ha interessato in maggioranza le donne, infatti su 1.870.000 unità di lavoratori part -time nel 2002, il 75% è rappresentato da donne.

Sempre negli anni tra 1997 e il 2002, il lavoro standard, è diminuito dall’87,7% al 83,9%. (cfr. Tab.)



[1] Cfr. http://www.myline.it/cgilkr/testi/pacchettotreu.htm

[2] Cfr. http://www.rassegna.it/2002/lavoro/articoli/848/scheda.htm

[3] Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto 2003, Monitoraggio delle politiche occupazionali e del lavoro, aprile 2003.

[4] Cfr.www.istat.it; Istat, “Lavoro flessibile e meno tutelato”, 24 maggio 2002.

[5] Cfr. Ministero del Lavoro 26 marzo 2003.