Rubrica
Tendenze della competizione globale

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

José Luis Fiori
Articoli pubblicati
per Proteo (3)

Professore all’Università di S. Paulo (Brasile)

Argomenti correlati

Competizione globale

Globalizzazione

Nella stessa rubrica

Riflessioni sul 2003: Ideologi e Profeti, Sinistra e Destra
James Petras

Sul potere globale e l’egemonia
José Luis Fiori

Il ruolo della bio-tecnologia nel sistema agro-alimentare e l’orizzonte della trasformazione sociale
Gorge Liodakis

Buona governance contro buon governo?

 

Tutti gli articoli della rubrica "Tendenze della competizione globale"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Sul potere globale e l’egemonia

José Luis Fiori

 [1]

Formato per la stampa
Stampa

A questo punto della storia, si colloca una domanda teorica decisiva per la discussione del problema della “governabilità mondiale”. Sapere perché sorge e si mantiene, attraverso la storia di questo tipo di sistema politico, la voglia imperiale di espansione - degli stati e delle economie nazionali - che sta all’origine di tutte le guerre? Il sociologo nord-americano Charles Tilly, uno dei più importanti ricercatori dell’origine del sistema statale, risponde: “gli europei seguirono una logica standardizzata di provocazione della guerra: chi controllava mezzi sostanziali di coercizione cercava di garantire un’aria sicura nella quale poteva sfruttare dei vantaggi della coercizione, e ancora una “zona-tampone” fortificata, per proteggere l’area sicura. Quando le potenze adiacenti stavano seguendo la stessa logica, il risultato era la guerra” (idem: p. 127). Tilly non pone, frattanto, la questione perché i principi e gli stati sentono la necessità iniziale della creazione delle sue prime “zone di sicurezza”. Per Charles Tilly, la guerra è una consequenza inevitabile del processo di espansione territoriale degli stati, ma non spiega la ragione di questa espansione. A parte ciò, non è difficile capire che la creazione delle “zone calde di confine” risponde ad una necessità e ad un sentimento difensivo, e se è così, la guerra non è una conseguenza dell’espansione territoriale degli stati, come pensa Tilly, è la sua principale causa. La guerra non si trova alla fine del processo di espansione territoriale, si trova alla sua origine e finisce per divenirne la prima causa o primo motore.

Norbert Elias espone questa tesi in una forma estremamente chiara nel suo “Processo Civilizzatore”: “la mera preservazione dell’esistenza sociale esige, nella libera competizione, un’espansione costante. Chi non sale cade. E la sua espansione significa il dominio sui più vicini e la loro riduzione a stato di dipendenza. (...) In termini molto rigorosi, ciò che abbiamo è un meccanismo sociale molto semplice che, una volta posto in movimento, funziona con la regolarità di un orologio. Una configurazione umana nella quale un numero relativamente grande di unità di dominio, in virtù del potere che dispongono, concorrono tra loro, tende a sviarsi da questo stato di equilibrio e ad avvicinarsi ad un diverso stato, nel quale un numero ogni volta minore di unità di potere compete tra loro. In altre parole, ci si avvicina ad una situazione nella quale soltanto una unica unità sociale emerge in chiave di dominio, attraverso l’accumulazione, o il monopolio delle contese probabilità di potere” (1976; p. 94). In sintesi, la Grande Potenza, sarà sempre obbligata a continuare ad espandere il suo potere, anche se dovesse essere in periodi di pace. In primo luogo, perché la guerra è una possibilità costante ed inevitabile, nelle relazioni tra le Grandi Potenze; in secondo luogo, perché questa solamente può essere rimandata dalla conquista o accumulazione di più potere; e finalmente, in terzo luogo, perché in questo sistema, come sentenzionò Norbert Elias, “chi non sale cade”.

Riassumendo il nostro punto di vista, il sistema politico ed economico mondiale, non è il prodotto di una somma semplice e progressiva di territori, mercati, paesi e regioni. Dal punto di vista storico, il sistema mondiale è stato una creazione del potere, del potere espansivo e conquistatore di alcuni stati ed economie nazionali europee, che si sono costituiti e trasformati, durante il secolo XVII, nel piccolo gruppo delle grandi potenze. Fino al secolo XIX, il sistema politico mondiale si restringeva quasi esclusivamente agli stati europei, ai quali si aggregarono, nel secolo XIX, i nuovi stati indipendenti americani. Fu solo nella prima metà del secolo XX, che il Sistema incorporò nel suo nucleo centrale, due potenze “espansive” e extra-europee, gli Stati Uniti e il Giappone, un poco prima che si generalizzasse, nella seconda metà del secolo XX, lo stato nazionale come la forma dominante di organizzazione del potere politico territoriale, attraverso il mondo.

A parte questo, dal nostro punto di vista, il sistema mondiale non esisterebbe nella sua forma attuale, nel caso in cui non ci fosse stata l’unione, in Europa, tra gli stati e le economie nazionali. E a partire da questo momento, ciò che viene chiamato globalizzazione, è il processo e il risultato di una competizione secolare tra questi stati-economie nazionali. La gerarchia, la competizione e la guerra, nel nucleo centrale del Sistema Mondiale, segnò il ritmo e la tendenza complessiva, nella direzione di un impero o stato universale, e di una economia globale. Ma questo movimento non ha niente a che fare con il progresso di una specie di “ragione Hegeliana”di natura globale e convergente...Al contrario, è un movimento che avanza sempre guidato da qualche stato e economia nazionale in particolare. Proprio per questo, non si completa mai, perché finisce per scontrarsi con la resistenza delle “vacazioni imperiali” del sistema. I vincitori transitori, di questa competizione, furono sempre quelli che riuscirono ad arrivare più lontano e garantire in una forma più permanente il controllo dei “territori politici ed economici” sovra-nazionali, mantenuti in forma di colonie, domini o di periferie indipendenti, ma poco sovrani.

Ma solo due delle Grandi Potenze riuscirono ad imporre il loro potere ed espandere le frontiere delle loro economie nazionali, fin quasi il limite dalla costituzione di un impero mondiale: l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Questo processo ha fatto un passo enorme, dopo la generalizzazione del modello “dollaro-flessibile” e della deregolamentazione finanziaria, promossa dagli Stati Uniti, a partire dagli anni ’70.

3. Possibilità e limiti di un “governo mondiale”

Per discutere le reali possibilità di “governo”, di questo sistema mondiale di cui stiamo parlando, è necessario partire da queste premesse teoriche per poter analizzare meglio l’esperienza storica conosciuta. Come abbiamo visto, si tratta di un Sistema mosso da due forze politico-economiche contraddittorie. Da un lato, attua la tendenza in direzione di un impero o stato universale, che non ha niente a che vedere con il sogno federativo e cosmopolita di Kant. Sarebbe sempre un impero imposto da uno stato alla maggior parte degli stati nazionali. In questo caso, il progetto del “governo collettivo” dovrebbe confrontarsi con il problema che “gli imperi non hanno interesse ad operare dentro un sistema internazionale; essi aspirano ad essere loro stessi il Sistema Internazionale” (Kissinger, 2001; p.84). Ma per un altro lato, il Sistema contò sempre con una contro-tendenza ai progetti imperiali, che indicano l’anarchia creata dalla pace di Vestfalia ed il suo rifiuto a qualsiasi tipo di potere superiore a quello dei sovrani nazionali. Ma l’esperienza storica insegna che se non ci fu un impero mondiale, non ci fu neanche il caos, perché il sistema si gerarchizzò e creò, in pratica, varie forme individuali o collettive di gestione sopranazionale di pace, della guerra e dell’economia.Forme di gestione imperfette e transitorie, quasi sempre investite e distrutte da nuovi impulsi della tendenza imperiale. In questa dinamica contraddittoria del sistema mondiale si deve pensare a ciò che è stata, o possa essere, una situazione di egemonia e di governabilità globale. Un “egemone” non può essere e mai sarà solo un gestore funzionale, né tanto meno una forma o funzione istituzionale che possa essere occupata da qualsiasi tipo di governante collettivo. Al contrario, l’egemonia mondiale fu e sarà sempre una posizione di potere disputata e transitoria, e non sarà mai il risultato di un consenso o di una elezione democratica. La posizione egemonica, pertanto è una conquista, una vittoria dello stato più poderoso, in un determinato momento, e in questo senso, è pure, allo stesso tempo, un “punto” nella curva ascendente di questo stato, in direzione all’impero mondiale. È un tipico punto di passaggio, un momento di negoziazione o un movimento tattico imposto dalla strategia ascensionale dei candidati all’impero globale. Ma è stato quando occuparono questa posizione transitoria, che i paesi egemonici hanno potuto esercitare le funzioni di un governo globale, più o meno favorevoli allo sviluppo economico e politico della maggior parte dei membri del sistema. Da un altro lato, e fu una vera egemonia, nella storia del sistema mondiale, quando si ebbe coincidenza o convergenza tra gli interessi ed i valori della potenza ascendente con gli interessi della maggior parte delle Grandi Potenze sconfitte, o superate, transitoriamente, dalla scalata imperiale, dai due unici grandi vincitori di questa storia: l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Solo nei momenti eccezionali nei quali si ebbe questa convergenza accadde ciò che si può chiamare egemonia, e allo stesso tempo si può pensare alla possibilità dell’esistenza efficace di regimi internazionali capaci di sostenere o regolare un governo mondiale.

In questo senso, si può parlare di una vera egemonia mondiale solo in due momenti della storia del sistema moderno: tra il 1870 e il 1900, e tra il 1945 e il 1973. Solamente in questi momenti di convergenza e armonia d’interessi si vennero a creare dei “regimi internazionali” e istituzioni multilaterali efficaci. A parte queste circostanze, nell’assenza d’armonia e convergenza d’interessi tra le Grandi Potenze, il “governo mondiale” supporrebbe l’esistenza di un unico sistema politico, dove le divergenze potessero essere risolte democraticamente. Ma nel sistema mondiale in cui viviamo, l’unica possibilità d’esistenza di una giurisdizione politica unificata, sarebbe sotto l’egida di un impero globale, che è per definizione, l’opposto di un sistema internazionale.

La cooperazione che ci fu tra le Grandi Potenze in questi due unici periodi egemonici della storia, si basò su situazioni oggettive, regole ed istituzioni completamente differenti. Nel caso dell’egemonia inglese, non ci furono regimi né istituzioni multilaterali o sovra-nazionali e, la cooperazione risultò dalle proprie caratteristiche dell’Inghilterra, che aveva un’economia estremamente aperta e dipendente dal suo commercio estero. La stabilità della sterlina dipese sempre da ciò che residuava dell’economia coloniale dell’India, e dalla cooperazione delle banche centrali della Francia e della Germania. Il sistema monetario internazionale basato sulla moneta inglese non fu oggetto di nessun tipo di accordo o regime monetario pattuito tra le Grandi Potenze. Al contrario, fu un sistema che nacque dall’adesione progressiva della maggior parte degli stati ed economie europee, obbligate ad utilizzare la sterlina negli investimenti commerciali e imperiali, in un mondo che era già “territorio economico” inglese. In questo periodo la coordinazione mondiale dell’Inghilterra fu fatta senza forme di governo o istituzioni multilaterali, con l’uso dei “poteri strutturali” dei quali l’Inghilterra disponeva, e dei quali parla Suzan Strange.

L’unico periodo di tutta la storia del “Sistema Mondiale Moderno”, nel quale fu tentato l’esercizio di un “governo globale”, basato su un sistema di tipi di governo e istituzioni sovra-nazionali, fu tra il 1945 e il 1973, durante l’egemonia nord americana, conquistata con la vittoria della II Guerra Mondiale. È importante ricordare che vari di questi regimi e istituzioni concepiti nella prima ora di vittoria militare, non si concretizzarono mai, come nel caso dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e della realizzazione degli accordi di Bretton Woods. In realtà l’economia americana è sempre stata un’economia chiusa, al contrario di quella inglese, e solo nella seconda metà del secolo XX accellerò il suo processo di globalizzazione, nel momento in cui gli USA esercitano il loro potere politico per organizzare un “ordine mondiale”, dove la cooperazione e la convergenza tra i principali paesi capitalisti dovevano molto più alla minaccia della Guerra Fredda e alla paura della mobilitazione delle grandi masse insoddisfatte, dentro e fuori l’Europa, piuttosto che all’opzione di un regime democratico di “governo internazionale”. Adesso, dopo il 1973, la prima cosa che fu abbandonata dagli Stati Uniti, fu il sistema monetario internazionale pattuito nel Bretton Woods. E la fine di quel “regime monetario” non portò il sistema a nessuna crisi terminale. Al contrario, sollecitò la vocazione imperiale degli Stati Uniti che accumulano da allora, guadagni di potere continui, con il nuovo sistema monetario dollaro-flessibile. Dopo il 1991, con la sparizione del “regime geopolitico bipolare”, si dissolse anche la base etico-ideologica sulla quale si fondava la cooperazione tra le grandi potenze capitalistiche.

Il decennio 1990, forse è stato il momento della storia nel quale il sistema mondiale arrivò più vicino al suo limite imperiale, dal punto di vista politico, economico e ideologico. Ma dal 2000, assistiamo ad una rapida reversione di questo processo e al ritorno di un’altra tendenza del sistema, la tendenza all’anarchia. Ciò che sembrava essere la vittoria finale del liberalismo anglo-sassone cedette il posto, una volta ancora, alla difesa degli interessi nazionali e delle zone d’influenza di ognuna delle grandi potenze. Ciò che sembrava essere una vittoria quasi religiosa del liberalismo, è stato di fatto la fine di un’era “quasi religiosa” ed il ritorno al mondo nudo e crudo dei sovrani e degli interessi nazionali. D’altra parte, dal decennio dell’80, ma in particolare negli anni ’90, sparì completamente la convergenza d’interessi economici tra le grandi potenze. In questo periodo, l’economia americana è cresciuta quasi continuamente, mentre le economie della maggior parte delle potenze stagnarono, e la possibilità di mobilità dalla periferia all’interno del sistema, è rimasta praticamente ridotta ai casi dell’India e della Cina, due paesi che disputano potenzialmente la leader-ship nord-americana.

Da tutti i punti di vista, il mondo non è mai stato tanto lontano da qualcosa che possa chiamarsi egemonia o ordine mondiale. La potenza mondiale del momento difende da due decenni la regolazione di tutti i mercati e sistemi di comunicazione, energia e trasporti. E sta abbandonando tutti gli accordi, compromessi e regimi internazionali che intralciano la sua capacità di azione unilaterale. La sua moneta adesso è rigorosamente universale e non obbedisce a nessun regime, appena alle decisioni sovrane del FES. La sua economia internazionale ha conquistato spazi fondamentali nella direzione della globalizzazione della sua moneta, debito e sistema di tassazione. Ma allo stesso tempo si è ridotto l’appoggio alla sua leader-ship morale-internazionale, e ognuna delle grandi potenze si dedica oggi a “raccogliere i casi” e ridefinire i loro interessi e spazi d’influenza, voltando le spalle agli Stati Uniti.

In questo scenario internazionale, l’idea o il progetto di un “governo mondiale”, mantiene la sua bellezza etica kantiana, e continua ad essere una bandiera o un’utopia politica valida, ma non è una realtà probabile e la sua esistenza quasi impossibile in questo momento, non può servire da base per nessun calcolo strategico durante il prossimo decennio, forse durante i prossimi decenni. A meno che sia il caso della governabilità mondiale lodata dai conservatori, come Nial Ferguson, professoressa di Hervard e una delle più applaudite tra gli storici inglesi contemporanei: “Far from retreating like some snail behind an eletronic Shell, the United State should be devoting a lager percentage. But like free trade, these are not naturally occurring, but require strong institutional foundations of law and order. The proper role of an imperial America is to establish these institutions where they are lacking, if necessary-as in German and Japan in 1945-by military force” (2001;p.416).

La stessa utopia e progetto “liberale” dei fisiocrati francesi del secolo XVII, che credevano anche loro, che il buon funzionamento di una economia di mercato, richiedesse un “governo tirannico” che eliminasse i conflitti della vita politica. Ma un tiranno che fosse, di preferenza, economista, liberale e fisiocrate.


[1] Questo lavoro è stato scritto per il Seminario “the first Conference Innovation Systems and Development Strategies for the Third Millenium”, realizzato a Rio de Janeiro, dal 3 al 5 novembre 2003 e inviato a Proteo per la pubblicazione autorizzata.