Costituzione Europea: apoteosi dell’ipocrisia liberista
Arturo Salerni
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Sempre all’unanimità “una legge o una legge quadro
europea del Consiglio può stabilire misure relative ai passaporti, alle carte d’identità,
ai titoli di soggiorno o altro documento assimilato e misure relative alla
sicurezza sociale o alla protezione sociale” (art. III-9, paragrafo 2, ex
articolo 18 Trattato C.E.).
Ed ancora all’unanimità (art. III-10, ex articolo 19
Trattato C.E.) si può deliberare una legge o una legge quadro europea per
stabilire le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle
elezioni comunali e alle elezioni del parlamento europeo “per ogni
cittadino dell’Unione nello Stato membro in cui risiede senza essere cittadino
di tale Stato”.
9. Il titolo III della parte III - il più corposo - è
dedicato alle “politiche e azioni interne”, ed è a sua volta
suddiviso in cinque capi, che a loro si volta si articolano in sezioni.
Il capo I è titolato “Mercato interno”, il Capo
II “Politica economica e monetaria”, il terzo “Politiche in
altri settori”, il quarto “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia”,
il quinto “Settori nei quali l’Unione può decidere di esplicare un’azione
di coordinamento, di integrazione o di sostegno”.
Le sezioni in cui è suddiviso il primo capo, quello sul
mercato interno, sono “I - Instaurazione e funzionamento del mercato
interno”, “II - Libera circolazione delle persone e dei servizi”,
a sua volta articolata in sottosezioni su lavoratori, libertà di stabilimento,
libera prestazione di servizi, “III - Libera circolazione delle merci”,
con sottosezioni su unione doganale, cooperazione doganale, divieto delle
restrizioni quantitative, “IV - Capitali e pagamenti”, “V -
Regole di concorrenza”, con sottosezioni dedicate alle regole applicate
alle imprese e agli aiuti concessi dagli Stati membri, “VI - Disposizioni
fiscali”.
10. Con riguardo a instaurazione e funzionamento del
mercato interno il trattato costituzionale richiama innanzitutto le disposizioni
contenute negli articoli 14 e 15 del Trattato C.E., e quindi “il mercato
interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la
libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali”.
Nel puntare al raggiungimento di tale obiettivo “la Commissione tiene conto
dell’ampiezza dello sforzo che dovrà essere sopportato, per l’instaurazione
del mercato interno, da talune economie che presentano differenze di sviluppo e
può proporre le misure appropriate. Se queste misure assumono la forma di
deroghe, esse debbono avere un carattere temporaneo ed arrecare quante meno
perturbazioni possibile al funzionamento del mercato” (art. III-14).
Inoltre (art. III-16) “gli Stati membri si consultano al
fine di prendere di comune accordo le disposizioni necessarie ad evitare che il
funzionamento del mercato interno abbia a risentire delle disposizioni che uno
Stato membro può essere indotto a prendere nell’eventualità di gravi
agitazioni interne che turbino l’ordine pubblico, in caso di guerra o di grave
tensione internazionale che costituisca una minaccia di guerra ovvero per far
fronte agli impegni da esso assunti al fine del mantenimento della pace e della
sicurezza internazionale”. La regola e l’obiettivo non possono che
essere che il funzionamento del mercato interno, ragione costitutiva delle
comunità europee: tutto il resto è visto solo come un disturbo, guerre o
conflitti sociali interni agli Stati. L’Unione deve stringersi per ovviare
alle turbative e rendere possibile comunque il funzionamento del mercato
interno.
Se questo è il fine ultimo dell’Unione, almeno quello che
traspare da questo titolo della III parte del trattato costituzionale, allora la
libera circolazione diventa elemento costitutivo essenziale, strumento e fine
delle istituzioni europee. Ma quando si parla di libera circolazione i
lavoratori vanno distinti da servizi e beni.
E tra i lavoratori vanno distinti i cittadini da coloro che -
pur risiedendo e lavorando da anni nei paesi europei - vengono da fuori, anzi
dalle aree povere del pianeta, e non hanno la cittadinanza europea.
Conseguentemente - e la norma appare semplicemente razzista - “è vietata
qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli
Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre
condizioni di lavoro”.
I lavoratori - dovrebbe intendersi qui i soli cittadini U.E.
, “salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico,
pubblica sicurezza e sanità pubblica”, hanno il diritto di rispondere a
effettive offerte di lavoro e di spostarsi liberamente a tal fine, di prendere
dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro e
di rimanere “dopo avere occupato un impiego” nel territorio di tale
Stato membro. Si specifica però che l’articolo in questione (III-18) “non
si applica agli impieghi nella pubblica amministrazione”.
Una legge o una legge quadro europea - sulla quale non è
richiesta l’unanimità, e si comprende il perché, trattandosi in questo caso
di uno degli elementi profondamente e storicamente fondativi dell’integrazione
tra gli Stati dell’Europa, - dovrà stabilire le misure necessarie per
realizzare la libera circolazione dei lavoratori, previa consultazione del
Comitato economico e sociale, mirando ad assicurare una stretta collaborazione
tra le amministrazioni nazionali del lavoro, ad eliminare procedure e pratiche
amministrative “il cui mantenimento sarebbe di ostacolo alla
liberalizzazione dei movimenti dei lavoratori”, ad “istituire
meccanismi idonei a mettere in contatto le offerte e le domande di lavoro e a
facilitarne l’equilibrio a condizioni che evitino di compromettere gravemente
il tenore di vita e il livello dell’occupazione nelle diverse regioni e
industrie” (art. III-19).
Una procedura estremamente complicata e piena di possibilità
di veto formale e sostanziale è contenuta nell’art. III-21 in materia di
sicurezza sociale ed in particolare con riferimento al diritto al cumulo ai fini
assistenziali e pensionistici dei diversi periodi lavorativi per i lavoratori
migranti dipendenti.
Si prevede - nella sottosezione 2 (art. III-22) - il divieto
delle restrizioni delle libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato
membro nel territorio di altro Stato membro dell’Unione europea e si afferma
che “i cittadini di uno Stato membro hanno il diritto di accedere, nel
territorio di un altro Stato membro, alle attività autonome e di esercitarle,
nonché di costituire e gestire imprese”. Si punta a sopprimere procedure
e pratiche amministrative il cui mantenimento possa essere di ostacolo alla
libertà di stabilimento, a rendere possibile l’acquisto e lo sfruttamento di
proprietà fondiarie situate nel territorio di uno Stato membro da parte di
cittadini di latro Stato membro, e ad accertare “che le condizioni di
stabilimento non vengano alterate mediante aiuti concessi dagli Stati membri”
(art. III-23, paragrafo 2, lettera h). Va considerato però talune attività con
legge o legge quadro europea possano essere escluse dall’applicazione della
sottosezione relativa alla libertà di stabilimento.
Con riferimento all’accesso alle attività autonome ed all’esercizio
di queste, la legge quadro europea - ai sensi dell’art. III-26 - deve mirare
al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli ed al
coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative
degli Stati membri.
Allo stesso modo per l’art. III-29 “le restrizioni
alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei
confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non
sia quello del destinatario della prestazione”. Per servizi si intendono
attività di carattere industriale, di carattere commerciale, artigiane, delle
libere professioni.
11. “L’Unione comprende un’unione doganale che
si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli
Stati membri, dei dazi doganali all’importazione ed all’esportazione e di
qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l’adozione di una tariffa
doganale comune nei rapporti tra gli Stati membri ed i paesi terzi”:
così, riprendendo l’art. 23 del Trattato C.E. l’incipit della
sezione dedicata alla libera circolazione delle merci, sulla cui importanza
anche con riguardo alla genesi del percorso di costruzione europea è inutile
insistere.
I regolamenti in materia sono adottati con regolamento e con
decisioni dal Consiglio su proposta della Commissione, la quale deve ispirarsi
alla necessità di promuovere gli scambi commerciali fra gli Stati membri ed i
paesi terzi, all’evoluzione delle condizioni di concorrenza all’interno dell’Unione,
alla necessità di approvvigionamento dell’Unione in materie prine e semi
prodotti, alla necessità di evitare gravi turbamenti nella vita economica degli
Stati membri e di assicurare uno sviluppo razionale della produzione e una
espansione del consumo nell’Unione.
Sono possibili soltanto (art. III-43, che riprendere quanto
contenuto nell’art. 30 del trattato C.E.) “i divieti o restrizioni all’importazione,
all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica,
di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita
delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del
patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della
proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non
devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione
dissimulata al commercio tra gli Stati membri”.
Vengono ancora vietate le restrizioni sia ai movimenti di
capitali sia ai pagamenti tra Stati membri, e tra Stati membri e paesi terzi,
salvo nei confronti dei paesi terzi le restrizioni in vigore alla fine del 1993
(per Estonia ed Ungheria alla fine del 1999) e nei casi previsti all’unanimità
dal Consiglio con legge o legge quadro europea. E sempre nei confronti dei paesi
terzi l’art. III-48 (richiamando le previsioni dell’art. 59 del Trattato
C.E.) prevede che “qualora, in circostanze eccezionali, i movimenti di
capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti causino o minaccino di
causare difficoltà gravi per il funzionamento dell’unione economica e
monetaria, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare
regolamenti europei o decisioni europee che istituiscono misure di salvaguardia
nei confronti di paesi terzi, per un periodo non superiore a sei mesi, se tali
misure sono strettamente necessarie. Esso delibera previa consultazione della
Banca centrale europea”.
Con riferimento alla prevenzione ed alla lotta contro il
terrorismo e le attività connesse la legge quadro europea può definire misure
amministrative concernenti i movimenti dei capitali e i pagamenti, come il
congelamento dei capitali.
L’art. III-50 afferma - all’inizio della sezione riguardante le regole di
concorrenza - che “sono incompatibili con il mercato interno e vietati
tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e
tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati
membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in
particolare quelli consistenti nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto
o di vendita ovvero altre condizioni di transazioni;
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo
sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri
contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da
determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione
da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro
natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto
dei contratti stessi”.
Siamo di fronte all’apoteosi dell’utopia (o dell’ipocrisia)
liberista dell’anti-trust. Si tratta di uno degli elementi portanti della
costruzione dell’Europa, specie della sua prima fase, che trova nel trattato
costituzionale la sua sistemazione e consacrazione. Naturalmente dopo la
solennità nell’affermazione del principio il terzo paragrafo detta le deroghe
alla regola (e cioè l’accordo che viola la libera concorrenza può essere
ammesso se esso serva “a migliorare la produzione o la distribuzione dei
prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli
utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva”). Dalla legge
bronzea alla regola elastica. Così va il mondo.