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Osservatorio meridionale

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NO SMOKING. Critica dell’incenerimento dei rifiuti (prima parte)

Antonio Bove

Antonio Spadaro

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Consuma o muori. Questo è il dettato della cultura.
E finisce tutto nella pattumiera.
Noi creiamo quantità stupefacenti di spazzatura,
poi reagiamo a questa creazione,
non solo tecnologicamente ma anche con il cuore e con la mente.
Lasciamo che ci plasmi. Lasciamo che controlli il nostro pensiero.
Prima creiamo la spazzatura e dopo
costruiamo un sistema per riuscire a fronteggiarla.
Don De Lillo, Underworld, 1997

1. La città dei rifiuti

In una Berlino di macerie, fra le forme del disastro che alterano la fisionomia della città, Edmund percorre la sua passeggiata nel mondo trasformato dalla guerra. Le immagini gelate di “Germania anno zero”, presentato da Rossellini al Festival di Locarno nel 1948, sono la volontà di comprendere il disastro con lo sguardo e capire, oltre ogni misura del dolore, che c’è stata una trasformazione. Niente assomiglia a prima.

In quella passeggiata, prima del tragico volo che spegnerà lo sguardo di quell’angelo malato, un elemento centrale è dato dalla presenza delle macerie. Calcinacci, pezzi di ferro, barattoli, proiettili, carcasse di automobili e di radio. La geografia di “quello che rimane”, delle cose svuotate del loro utilizzo primario che diventano residui. Una città affollata di scheletri di cose, di eccedenze.

La ricostruzione avviata prontamente grazie all’iniezione di capitali in un’area importante come il centro Europa, ha edificato su quelle macerie città nuove, produttive, veloci. Città che producono e consumano. E lasciano scorie.

Alla fine di questa parabola del progresso che parte dalla città delle macerie si ritrova un’immagine nuova, la città dei rifiuti. Nel suo tragico affresco postmoderno, Underworld, Don De Lillo costruisce l’immagine di città che crescono sulla spazzatura, si espandono accumulando immondizia e spingendola ai margini, sotto terra, in ogni spazio disponibile, “producendo ratti e paranoia”. È l’allucinazione dei nostri anni, la passeggiata dell’Edmund che ha attraversato la modernità e dalle macerie della guerra passa ai residui della produzione.

Negli ultimi anni, la “questione rifiuti” ha occupato la riflessione di moltissimi settori della politica e dell’intellettualità pressoché in tutto il Pianeta, restando confinata, in un primo tempo, alle scrivanie dei tecnici o degli ambientalisti che gridavano la preoccupazione per un tema che diventava sempre più urgente con il passare del tempo. L’esplosione della questione, generata dall’immensa quantità di rifiuti che ha finito per costituire un problema non più rinviabile, ha generato, in particolare nel nostro Paese, una catena di conflitti dal significato profondo. La stagione di lotte ambientaliste che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, nata e cresciuta sull’onda lunga del movimento Noglobal, ha segnato infatti la ricomposizione di una cultura politica profondamente avversa alla delega “in bianco” data alle istituzioni e una forte spinta all’autogoverno. Una decisa volontà di partecipazione ai processi democratici che pertanto contiene in nuce la necessità di mutarne i meccanismi, di trasformarli in qualcosa d’altro. È in quest’ottica che questa stagione di mobilitazioni, da Scanzano alle lotte contro il Ponte a quelle contro gli inceneritori, presenta i caratteri di processo costituente di una visione alternativa della politica.

La questione rifiuti, in particolare, riveste un’importanza cruciale poiché rappresenta il punto di partenza per una critica radicale del sistema di produzione/consumo capitalista. La risposta dura dello Stato, del resto, è direttamente correlata alla “pericolosità” di una ribellione che rischia di toccare i nervi scoperti della democrazia capitalista. Opporsi alla trasformazione della propria terra in discarica, analizzare i perché di un processo di devastazione ambientale giunto a livelli insostenibili e collegarlo direttamente al sistema produttivo vuol dire mettere a nudo aspetti centrali delle contraddizioni interne al sistema capitalista. Questo ha smosso il gigante, toccandone i punti deboli ne ha suscitato la reazione violenta e scomposta che è sempre sintomo di debolezza.

E se una riflessione nuova sul Mezzogiorno d’Italia partisse da questo spirito ribelle?

2. Munnezza. La situazione dei rifiuti in Italia e nella UE

A fronte della retorica delle normative UE, che puntavano ad instaurare il mercato dello smaltimento sostenibile attraverso il ricorso alla diminuzione della quantità di rifiuti complessivamente prodotta, alla raccolta differenziata, al riciclaggio, al riuso, non è riscontrabile altrettanta coerenza e linearità nella prassi.

Per quanto riguarda le quantità di rifiuti prodotte in Italia (quasi 30 milioni di tonnellate) si può osservare un incremento dal 1995 al 2002 di 3988 tonnellate in più. Questa continua e repentina produzione di rifiuti ha causato problemi aggiuntivi legati all’individuazione di nuove aree di stoccaggio e smaltimento, alla rigidità delle normative europee introdotte attraverso il DL 13/1/2003n°36 e il DL 5/2/97 n°38 che limitano fortemente il ricorso alla discarica.

Rispetto all’obiettivo della riduzione dei rifiuti è però da riscontrare l’assoluta mancanza di normative volte a regolamentare il packaging e il consumo di beni di breve durata.

Vista attraverso la lente europea, nonostante le molteplici differenze empiricamente riscontrabili, nella produzione dei rifiuti, l’Europa raggiunge quota 198,560 milioni di tonnellate con una media procapite di 527 kg/abitante. La media italiana è di 516 kg annui, rientrando nella media europea. Ciò ovviamente non è un merito.

Centrale, ai fini della individuazione delle tipologie di smaltimento dei rifiuti, è sicuramente l’analisi merceologica.

Tra le diverse tipologie d’analisi, preferiamo anzitutto operare una prima distinzione tra dati riguardanti le fonti di produzione dei rifiuti e analisi ad esse connesse.

Sapremo quindi, prendendo ad esempio le 198 milioni di tonnellate di rifiuti europei, che il 22% proviene da costruzioni e demolizioni, che il 26% proviene dall’industria manifatturiera, che il 29% ha origine dall’attività estrattiva, il 14% dai rifiuti solidi urbani, il 4% dalla produzione di energia, e il 5% da altre fonti.

Ciò allarga la visione della produzione dal solo problema di smaltimento degli RSU all’intero compartimento della produzione industriale consumistica.

A seconda della pericolosità del rifiuto avremo rifiuti pericolosi, tossici, nocivi ecc.

Uno dei tanti problemi legati a questa distinzione è quello dell’adeguamento degli impianti di smaltimento alla pericolosità del rifiuto. Al sud soprattutto è però possibile riscontrare un’assoluta incuranza rispetto alla pericolosità e capita spesso di trovarsi di fronte ad esempi di discariche per Rifiuti Solidi Urbani (RSU) che, anche a causa della gestione privata dello smaltimento, contengono altre tipologie senza alcuna norma di sicurezza. Ad Ariano Irpino ad esempio, secondo un rapporto di legambiente sono presenti più di 1800 tonnellate di amianto proveniente dagli impianti dell’ex-Italsider di Bagnoli.

Infine riguardo alla tipologia merceologica degli RSU e alle metodologie di smaltimento possiamo dire che in un ipotetico contenitore dell’immondizia troveremmo il 30% di scarti alimentari (da cui si ricava il compost ossia concime per piante), 23,15% di cartone (riciclabile o riutilizzabile) e all’incirca un 15% di plastica. In poche parole quasi il 70% dell’immondizia che buttiamo può essere riutilizzata almeno una volta.

Sulla base dei dati forniti dal Rapporto Rifiuti 2003 dell’Osservatorio Nazionale sui Rifiuti possiamo suddividere le tipologie di smaltimento tra discarica, inceneritore e altro (R.D. ecc.)

In Europa la discarica è ancora la tipologia di smaltimento più “quotata” nonostante l’approvazione dei regolamenti in materia che la volevano oramai obsoleta. La Grecia ad esempio manda in discarica il 91 % di ciò che butta, la Spagna il 71%, la Francia il 41%, la Germania il 35,5% l’Italia il 67,1% e la Danimarca (che poi non è così piccola) il 10,8. In totale l’Europa butta in discarica 108 milioni di tonnellate di rifiuti, brucia 19 milioni di tonnellate negli inceneritori, mentre 54 mil. di tonn. vengono smaltite in “altro modo”.

Delle 30 milioni di tonnellate tricolori 20 finiscono in discarica, mentre 2,6 tonn. finiscono negli inceneritori.

Differenze sostanziali sono invece riscontrabili nel campo della raccolta differenziata, dove l’Italia si continua a muovere nel solco della tradizionale dicotomia Nord-CentroSud (Tabella 1).

3. Le politiche di gestione

Le politiche di gestione dello smaltimento sono ispirate da alcuni saldi principi.

1. privatizzazione della gestione del servizio. Come già sottolineato in precedenza, l’interesse privato si muove sugli assi cartesiani di costi e ricavi. Ciò ovviamente presuppone che, avendo vinto un appalto sullo smaltimento, il privato possa individuare siti di discarica diversi da quelli indicati, per risparmiare su una delle procedure ad egli affidata.

2. ricorso allo stato di eccezione e sospensione delle regole di gestione democratiche. La situazione di emergenza nello smaltimento dei rifiuti, è divenuta norma al centro sud, dove praticamente tutte le regioni sono commissariate attraverso due formule di assegnazione dei poteri, che possono nominare il commissario prefettizio con particolari poteri speciali, sia nei presidenti delle regioni che in un prefetto del governo. Per quanto concerne i poteri affidati al commissario, possiamo annoverare la discrezionalità dello stesso di sciogliere consigli comunali (come è avvenuto ad Acerra), di espropriare terreni privati per opere legate all’emergenza, di affidare a terzi la scelta dei siti da destinare ad impiantistica e/o discarica, di sciogliere, di concerto con prefetto e questore, assembramenti di protesta, ecc.

3. Assoluta inadeguatezza di mezzi e strutture per avviare una reale raccolta differenziata al sud. Secondo un calcolo effettuato dalla Provincia di Napoli solo il 12% delle spese complessive riguardanti questo settore è destinato alla raccolta differenziata.