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Analisi-inchiesta: il movimento dei lavoratori tra cambiamento e indipendenza

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

Sabino Venezia
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Il contraddittorio legame tra le trasformazioni economico-produttive e alcuni passaggi-chiave della storia del movimento sindacale dal dopoguerra ad oggi (terza parte). Dalla partecipazione controllata alla concertazione
Rita Martufi, Luciano Vasapollo, Sabino Venezia

 

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Il contraddittorio legame tra le trasformazioni economico-produttive e alcuni passaggi-chiave della storia del movimento sindacale dal dopoguerra ad oggi (terza parte). Dalla partecipazione controllata alla concertazione

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

Sabino Venezia

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Il decennio che segue segna svariati punti di caduta e le ripercussioni sul mondo del lavoro sono sotto gli occhi di tutti, ma anche il sindacato accusa il colpo, e anche il sindacato “più lontano” da queste soluzioni: “la CGIL rivolge in primo luogo un appello affinché il tentativo di scaricare sul sindacato e sui lavoratori la responsabilità di produrre nel sindacato stesso elementi di crisi e di scoraggiamento, sia battuto, come condizione per perseverare la forza dei lavoratori e la potenzialità del cambiamento. L’attacco al sindacato si configura ormai chiaramente come contestazione e messa in mora del proprio ruolo rappresentativo di agente contrattuale” [i].

Con l’aumentare del processo di istituzionalizzazione viene meno, come si è visto, il concetto di democrazia nel sindacato.

Quello che si comincia a registrare è una pratica mai vista in forme così generalizzate: l’arbitrio sindacale. La consultazione dei lavoratori diventa facoltativa, di fatto, come di fatto il suo esito, qualora richiesto, può essere tenuto o meno in considerazione dal sindacato.

Viene meno la democrazia perché viene meno l’autonomia che ha prodotto un unico soggetto sindacato-classe; viene meno l’autonomia del sindacato perché vengono meno le fondamenta, democratiche e partecipative, nella costruzione di un progetto sindacale.

Perdita di democrazia, processo di istituzionalizzazione, arbitrio sindacale, facce di un unico poligono che annovera un ulteriore segmento, la “maggiore rappresentatività”, una logica protezionistica, un “elemento di possibile e sistematica corruzione dell’impegno democratico nella verifica della sua azione” [i].

Mentre la CGIL puntualizza almeno nelle intenzioni dichiarate la ferma opposizione alla politica dei redditi ed a qualsiasi limitazione all’autonomia sindacale come elementi non superabili dalla pratica della partecipazione, la CISL apre all’ipotesi di una “responsabile partecipazione allo studio, all’elaborazione, alla formulazione ed all’applicazione del programma ...perché l’importanza che nel mondo moderno assumono le organizzazioni sindacali dei lavoratori, dà ad esse il diritto ed il dovere di influire sui comportamenti della politica e economica” [1].

Siglare accordi determina un gioco al ribasso: il 22 gennaio dell’83 si diminuisce il costo del lavoro con l’alleggerimento della scala mobile (che ben presto verrà cancellata) e in cambio si ottiene una riduzione del carico fiscale in busta paga e l’adeguamento degli assegni famigliari. I tre sindacati confederali applicano da subito una programmazione istituzionalizzata contro il conflitto concertando con la Confindustria sul costo del lavoro. Unico rattoppo - che però non accontenta nessuno - è quello di decurtare il punto di contingenza del 15 per cento. Si bloccano le contrattazioni aziendali e si diminuisce l’orario di lavoro; l’inizio della concertazione passa per programmazione nella quale tutta la politica, come capacità alta di mediazione, è assente dai gravi problemi economici che sta attraversando il Paese e anzi l’unico progetto politico sembra essere quello di distruggere completamente ogni residua ipotesi di affermare l’autonomia di classe.

I commenti dei vertici confederali, subito dopo la firma dell’accordo sulla riduzione del costo del lavoro, erano contrassegnati dalla convinzione e dalla certezza che questa firma sbloccava le trattative sui contratti, scaduti da oltre 14 mesi e fermi al punto di partenza.

Passata l’euforia del post-accordo (scriveranno le RdB in una analisi retrospettiva in occasione della presentazione del Progetto di legge sulle libertà sindacali nei posti di lavoro) è ripreso il balletto degli scioperi burla da parte del sindacato e delle dichiarazioni di fuoco del padronato con accuse, che rimbalzano da una parte all’altra di non rispettare i contenuti dell’accordo. E così, mentre questo balletto si trascina tutt’ora, i contenuti ufficiali delle piattaforme subiscono un ulteriore ridimensionamento e la firma dei contratti avviene su un terreno ancora più basso”  [2].

Vengono immediatamente accantonati i lavoratori di basso livello (2°-3°), “quello che gli spettava l’hanno avuto il 22 Gennaio” dirà Lama al Comitato Direttivo CGIL del 17 e 18 Febbraio, perché i contratti devono servire per premiare la professionalità, la produttività, i quadri e l’orario di lavoro. La distanza salariale torna a diventare enorme e si sposta per una riparametrazione a favore dei vertici più alti delle gerarchie dei posti di lavoro. Il salario riassume tutto il valore discriminatorio degli anni 69 - 70; viene inserita per la prima volta in un contratto privato la voce “indennità di funzione” (chimici), vecchio strumento clientelare nel pubblico impiego per i livelli più alti. A fronte di ridicole riduzioni di orario, vengono accettati sfondamenti nell’uso dello straordinario anche di 80 ore (calzaturiero) e 120 ore (chimico) mentre nel metalmeccanico le riduzioni a 40 ore previste per il ’79 vengono spostate all’86. Nella sanità, il 10 % dei lavoratori (i medici) portano a casa un rinnovo contrattuale pari al 60% del valore stanziato dal Ministero della Sanità. Eppure, nonostante tutto questo, i sindacati confederali continuano a chiamare allo sciopero, impoverendo ancora di più le tasche dei lavoratori, per dimostrare che quel poco che otterranno sarà stato frutto di sacrifici e di lotte, mentre invece la frequentazione del “potere” piace ai vertici sclerotizzati e sempre più sulla strada del definitivo abbandono degli interessi di classe.

Gli scioperi nella “programmazione istituzionalizzata” e nella “partecipazione controllata” sono davvero troppo poco per rappresentare degnamente un conflitto sociale, troppo poco per non sentire, forte, il grido di allarme della classe operaia che si ribella e della società che non ha più fiducia nella sponda sindacale.

Sono questi gli anni in cui l’attacco al sindacato autoritario e burocraticizzato arriva da più fronti, anche da frange di estremismo e della stessa area della “lotta armata” che proprio nelle fabbriche aveva ricostruito la sua rinascita, favorita dalla politica di rinuncia e di accettazione consapevole delle scelte padronali in quel terreno di cultura fatto di alienazione, di precariato, di connivenze dei capi e capetti con i padroni e di clientelismo mediato dallo stesso sindacato tradizionale, ormai del tutto istituzionalizzato, che non rappresenta gli interessi di classe. Un sindacato che si svuota progressivamente di democrazia e che si struttura in senso verticistico, trascurando il diritto alla rappresentanza, elemento sostanziale della democrazia dei consigli che aveva caratterizzato gli anni ’70; un sindacato che sperimenta la mediazione moderata (che diventerà concertazione), che indica la strada della partecipazione al ribasso e controllata dai voleri padronali e dei vertici sindacali corrotti senza più spinta ideale e assorbiti dalla logica clientelare e dal favoritismo; una sorta di logica di scambio in cui gli interessi dei lavoratori sono lesi a favore di quelli del sindacato.

Un vero e proprio assedio ha stretto in questi anni il sindacato. Si sono aperte divisioni al suo interno, tra esso e i lavoratori, si è ristretto il fronte di lotta, in particolare quello tra occupati e disoccupati, si è registrata una grave caduta dell’unità tra Nord e Sud”  [3].

Le RdB, che denunciano con largo anticipo i risvolti nefasti di questo accordo e le ripercussioni in termine di garanzia di adeguati livelli salariali, scriveranno il 1° Maggio: “...il rifiuto di questa farsa, il boicottaggio attivo delle scadenze sindacali appare il terreno migliore per impegnare le nostre forze nel progetto di ricostruzione di una organizzazione sindacale di classe per la difesa degli interessi materiali dei lavoratori ai quali aggiungere il diritto alle libertà sindacali nel momento in cui CGIL-CISL-UIL RIVENDICANO OBIETTIVI CONTRARI agli interessi della stragrande maggioranza dei lavoratori” [4].

4. Ripresa dell’iniziativa di classe e sviluppo del sindacalismo di base

È in questo contesto di ribellione che si consoliderà l’alternativa ai sindacati confederali attraverso un percorso che non mira né alla legittimazione del sindacato-istituzione, né alla gestione del potere ma esclusivamente a dar voce alle istanze dei lavoratori, attraverso un sistema di delega diretta e rapidamente sostituibile. Si intersecano e si rielaborano con successo le esperienze dei Comitati di lotta e dei Comitati Unitari di Base, si confrontano le esperienze dei Consigli di Fabbrica e di Zona, con l’operazione delle Liste di Lotta, con le realtà in lotta per la casa, per la soluzione del precariato (L.285/80).

Verso la fine del decennio degli anni ’70, grazie alla riproposizione del contesto politico e sindacale che ne aveva determinato la nascita e grazie anche alla corretta individuazione degli elementi che ne avevano decretato la fine, si svilupperanno modelli simili di sindacalismo di base che faranno dell’autonomia di classe, dell’indipendenza dai partiti e dalla politica consociativa e concertativa dei sindacati storici la strategia di lunga durata e della coerente rappresentanza della base lo strumento di lotta quotidiana.

Già nell’Aprile ’79 alcuni rappresentanti dei lavoratori della sede centrale dell’INPS di Roma, componenti del Consiglio dei Delegati, regolarmente eletti, tentano di ridisegnare un modello di democrazia partecipativa in forte contrasto con la segreteria provinciale FLEP e con il resto del CdD (CGIL-CISL-UIL) dando vita ad un Comitato di Lotta contro il rifiuto costante del CdD di tener conto delle volontà dell’assemblea: “I ‘signori delle tessere’ della FLEP, questa sorta di monarchia sindacale, non si sono resi conto ... che lo scontro che si è determinato in questi anni ha fatto crescere la coscienza dei lavoratori, il rifiuto delle deleghe in bianco e della accettazione della ragion di stato che ha sempre segnato le più pesanti sconfitte per i lavoratori” [5].

Le RdB (Rappresentanze Sindacali di Base) nate da alcune esperienze di fabbriche metalmeccaniche alla fine degli anni ’70, si svilupperanno poi nel Pubblico Impiego e nelle lotte del precariato costituito con la legge 285/77 avviando un percorso di organizzazione stabile. Si affermano poi come realtà sindacale consolidata, con strutture di federazione radicate su tutto il territorio nazionale, fortemente caratterizzata da una attenta analisi e da una corretta strategia che ne legittima il peso sullo panorama sindacale nazionale. Le RdB sapranno coniugare gli elementi portanti dell’esperienza dei sindacati di base del decennio precedente (l’indipendenza dai partiti e il costante rapporto con la base) adeguando costantemente le strategie alla fase politica di riferimento, con un occhio sempre attento (dalla base) all’involuzione delle dinamiche sociali frutto del capitalismo selvaggio ed un altro vigile sullo scenario internazionale. Le RdB saranno elemento indispensabile per la costruzione della Confederazione Unitaria di Base (CUB), da alcuni anni ormai unica realtà di base tra le Confederazioni maggiormente rappresentative presenti nel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL).

“La nascita della Rappresentanza di Base è una risposta nuova e più avanzata alle loro illusioni di aver chiuso la partita coi lavoratori. È la proposta non di un nuovo sindacato, ma di un terreno di organizzazione dei lavoratori dove si scontreranno da una parte la volontà di continuare con la gestione “monarchica” del sindacato e dall’altra l’iniziativa di base di coloro che hanno interessi giusti da difendere e vogliono rafforzare il potere contrattuale dentro l’istituto. I principi a cui si ispira la rappresentanza di base sono quelli delle decisioni assembleari e della determinazione di strutture che siano interne ai posti di lavoro e la cui rappresentatività è in funzione delle decisioni che in quelle sedi vengono prese dai lavoratori. La rappresentanza di base, che nasce come strumento unitario, si riconosce nella tradizione di lotta che i lavoratori italiani hanno fino ad oggi espresso per la loro emancipazione e con essa vuole stabilire una continuità ideale”. (da “Statuto della Rappresentanza di Base dell’INPS”).

Negli anni successivi le RdB si svilupperanno nella Pubblica Amministrazione come nel privato e nelle fabbriche adeguando le proprie strategie alle varie fasi politiche, contrastando sempre le pratiche consociative, anche quando queste si determineranno come unica strategia di sopravvivenza per il sindacato confederale (accordi di Luglio del ’93) ed anche quando il sindacato tradizionale da “istituzionalizzabile” diventerà istituzione, quando cioè ci sarà completa osmosi tra ruoli sindacali e ruoli di partito e/o di governo. Le RdB rappresenteranno addirittura quasi l’unica voce fuori dal coro quando i processi di trasformazione della Pubblica Amministrazione si sposteranno prepotentemente verso la privatizzazione e lo smantellamento dello Stato sociale diverrà l’unica meta delle compagini governative, spostate alternativamente a destra a sinistra di quel grande centro che si riproporrà dopo la farsa conclusiva della prima Repubblica.

Alla metà degli anni ’80 alla esperienza delle RdB, già realtà confederata seppure ancora ridotta quantitativamente, si aggiungono due importanti momenti di lotta che rompono l’isolamento dei primi nuclei del sindacalismo di base. Il primo è quello dei macchinisti delle Ferrovie dello Stato che, con una serie lunghissima di scioperi, tutti riusciti, vince la propria battaglia e costituisce “Il Coordinamento Macchinisti Uniti”(COMU).

Il secondo è quello degli insegnanti che, in modo inaspettato e storicamente inedito per il nostro Paese, scioperano e scendono in piazza a decine e decine migliaia; una categoria, fino a quel momento, sempre estranea al conflitto sociale nel nostro Paese. Da quella esperienza nascono i Cobas della scuola.

Questi due momenti di lotta e di organizzazione seppure molto radicati nelle necessità specifiche della categoria rompono l’egemonia di CGIL-CISL-UIL in modo palese e pongono obiettivamente la questione della ricostruzione di una nuova rappresentanza sindacale di classe.

5. A passi svelti verso la concertazione

L’inadeguatezza del quadro sindacale confederale dimostrerà tutta la sua pressoché totale subordinazione al potere del capitale nella stagione dei rinnovi contrattuali dell’83.

Il 13 marzo si chiude il contratto dei chimici.

Scaduto il 30 Giugno 1982, le trattative sono durate 9 mesi con circa 70 ore di sciopero (300.000 £ circa a lavoratore)la prossima scadenza è fissata per il 30.6.86 con una durata contrattuale di 4 anni.

Nessun recupero salariale per i 6 mesi dell’82.

Aumenti scaglionati in 3 anni a partire dall’1.1.’83 e fortemente differenziati a favore dei quadri e dei livelli + alti. Per un operaio di 3° livello l’aumento lordo complessivo sarà di 82.000£ nel triennio. Per i quadri, 7° e 8° liv. è prevista una indennità di funzione pari a 40.000 £ al 7° e 70.000£ all’8°da sommare agli aumenti contrattuali di 114 e 124.000£ lorde.

L’orario di lavoro resta a 40 ore.

Flessibilità dell’orario settimanale. Viene utilizzata questa forma per far fronte alle esigenze produttive dell’azienda. In sostanza si prevede la possibilità, a fronte di un piano annuo di lavoro, di poter stabilire un regime di orario settimanale diverso da quello contrattuale, sia aumentandolo che diminuendolo.

Viene fissato un orario annuo flessibile per combattere l’assenteismo, da 2024 a 2144 ore anno. Il lavoratore che realizzerà l’orario completo, 2144 ore, avrà un premio presenza pari al pagamento delle 120 ore lavorate in più del minimo orario annuo con maggiorazione del 30%. Si tratta di uno straordinario mascherato sotto forma di lotta all’assenteismo e che rappresenta un incentivo alla produttività [6].

Il 31 luglio si rinnova del contratto dei Tessili, scaduto il 31 Maggio dell’82, durata della trattativa 14 mesi con 200 ore di sciopero (circa 1.000.000 £ per dipendente).

Il contratto scadrà il 31.5.86 con una durata superiore ai 4 anni, gli aumenti salariali scaglionati in 3 anni, 1.7.83, 1.7.84, 1.7.85, nessun recupero per i 7 mesi dell’82, 120.000 £ una tantum come recupero dei primi 6 mesi dell’83 (in 3 rate). Aumenti complessivi nel triennio per le fasce operaie (2° e 3° liv.) dove sono ammassati l’80% dei dipendenti, di 70 e 80.000 £ che al netto scendono a 50, 60.000£.

In questo caso i lavoratori tessili impiegheranno qualche anno per poter recuperare una parte del salario perso per “strappare” questo contratto.


[i] “ La Segreteria CGIL alla ripresa post - feriale” 2/9/1982, oggi su: “I Documenti CGIL dal X° all’XI° Congresso” Volume I°, EDIESSE, Roma 1986, Pag. 92

[i] “La democrazia autoritaria” F. Bertinotti, Datanews, Roma settembre 1996, pag. 103.

[1] Vittorio Valli, “Programmazione e sindacati in Italia” F.Angeli Editore, Milano 1970

[2] “Noi” Periodico delle Rappresentanze di Base, n°6 - 1 Maggio 1983 pag.3

[3] Relazione di G. Rastrelli, della Seg. Nazionale CGIL, alla Conferenza Nazionale di Organizzazione della CGIL, Rimini 14 -17 Luglio 1983. Oggi in: “I Congressi CGIL dal X° all’XI°” EDIESSE 1986, Vol. 2°, pag. 221.

[4] “Noi” Periodico delle Rappresentanze di Base, n°6 - 1 Maggio 1983 pag.3.

[5] Documentazione curata dalla Rappresentanza di Base della sede INPS di Roma, oggi presso l’Archivio della Federazione Nazionale RdB/CUB.

[6] Per approfondimenti vedi: “Noi” periodico delle Rappresentanze di Base - n°7 pag.7