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Lo sviluppo socialmente sostenibile

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Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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Un percorso verso uno sviluppo socialmente sostenibile

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Un percorso verso uno sviluppo socialmente sostenibile

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BILANCIO ECO-SOCIALE contabilizzare l’impatto socio-ambientale dell’attività produttiva

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3. La contabilità socio-ambientale d’impresa

La consapevolezza commerciale, che assolutamente non significa consapevolezza sociale, dell’importanza di un più moderno approccio al problema socio-ambientale fa sì che anche nella specifica ottica di accrescere la competitività dell’impresa diventi sempre più necessario dotarsi di nuovi strumenti di contabilità che consentano un salto qualitativo nella gestione di queste variabili strategiche. Per l’impresa dell’era della globalizzazione diventa fondamentale, quindi, effettuare un monitoraggio periodico del proprio impatto ambientale che consenta di pianificare le decisioni di investimento in base non solo a costi e ricavi legati alla produzione e alla vendita dei prodotti, ma anche in relazione ai costi ambientali interni ed esterni, attuali e futuri.

Si tenta così di contabilizzare le ricadute socio-ambientali derivanti dall’attività d’impresa; basta citarne alcune per comprendere appieno la complessità degli effetti che ne derivano: si pensi all’inquinamento atmosferico, idrico, sonoro, del suolo, alla soddisfazione o insoddisfazione derivante dal lavoro, alla tassazione sull’ambiente, sui profitti, alle condizioni del lavoro e alla relativa organizzazione del lavoro e del tempo libero.

Le varie ricadute ambientali derivanti dall’attività d’impresa generano i cosiddetti “costi sociali”, ossia tutte quelle poste economiche che di solito l’impresa non considera in quanto non incidono direttamente sul proprio Conto Economico, ma che d’altro canto comportano degli oneri per l’intera collettività.

I tradizionali schemi contabili di un’azienda non sono sufficienti alle necessità della gestione socio-ambientale e devono essere integrati con nuove metodologie e strumenti, al fine di modificare i criteri di misurazione esclusivamente di natura economica interna in quadri contabili e fisici in grado di evidenziare la dimensione ambientale dell’attività produttiva. I nuovi sistemi gestionali devono allora essere in grado di fornire tutte le informazioni indispensabili alla compilazione di più complessi quadri contabili completi dal punto di vista dei rapporti tra l’impresa e il macrosistema socio-ambientale.

Tale esigenza ha portato all’elaborazione di nuovi strumenti contabili in grado di fornire informazioni sull’allocazione dei costi, sulle misure dei prezzi e in generale su tutte le decisioni che il management deve prendere nelle fasi di programmazione e controllo in previsione delle nuove esigenze di protezione del patrimonio ambientale. Conseguentemente l’impresa deve fornire informazioni riguardanti l’ambiente fisico nel quale opera (ossia notizie sulle risorse naturali, sull’impatto socio-ambientale dei propri processi produttivi), sul livello di sviluppo socio-economico-culturale raggiunto e sul clima politico e istituzionale esistente, per misurare e decidere sull’utilizzo di risorse materiali e di quelle immateriali spesso a valore infinito. In questo senso le varie analisi costi-benefici risultano essere molto difficoltose soprattutto perché è quasi impossibile valutare la dimensione di costi che si riferiscono ad elementi quali la vita umana, la salute collettiva, l’ambiente ecc.

Se ci si pone da un punto di vista dell’etica sociale collettiva è chiaro che questa analisi non è attuabile, in quanto non è possibile attribuire un costo a valori infiniti che non possono essere quantificati; non è cioè possibile effettuare alcun tipo di analisi costi-benefici nell’ottica della logica e centralità d’impresa, dal momento che nessun beneficio può essere paragonato agli eventuali danni sociali ed ambientali che le attività produttive di mercato finalizzate al profitto possono provocare.

Gli schemi di contabilità ambientale che sono stati fino ad ora adottati hanno in comune tra loro il fatto di riferirsi alla teoria neoclassica, nella quale le attività e le passività ambientali vengono analizzate in modo simile a quello previsto per le attività e le passività che attraversano il mercato. Si è semplicemente ed esclusivamente compreso che è diventato fondamentale estendere la concezione di capitale produttivo includendovi anche i fattori che rappresentano il capitale naturale i quali, pur non essendo rappresentati da un prezzo di mercato, concorrono all’ottenimento di azioni d’impresa razionali e ad una efficiente allocazione delle risorse. Si è considerato in sostanza che in un’ottica prettamente di efficienza dell’attività gestionale non deve essere protetto solo l’input ambiente ma è fondamentale migliorare la qualità dell’output ambiente; questo perché per le imprese un sistema di gestione non corretto comporta un notevole spreco di risorse, ed un loro uso non corretto comporta l’allontanamento dell’obiettivo principale della minimizzazione dei costi.

Fino ad oggi le aziende sono state maggiormente portate ad adottare delle misure di controllo ambientale più da pressioni esterne che non dalla reale necessità di ottimizzare i vari processi di produzione, mentre i nuovi orizzonti di competitività internazionale, finalizzati al mantenimento del profitto d’impresa e non alla sostenibilità sociale dello sviluppo, hanno imposto la scelta di approcciare alla contabilità ambientale utilizzando non un unico strumento o metodo. Oggi in sostanza le imprese più orientate allo sviluppo di profitto derivato da una intensificazione dei processi di qualità totale, che poi spesso significano anche espulsione di manodopera e peggioramento delle condizioni e dei ritmi di lavoro, procedono analizzando in primo luogo le informazioni già presenti nella contabilità tradizionale per poi integrarle con i nuovi strumenti e ridefinire le metodologie e le finalità.

In tale ottica costruire una contabilità ambientale, significa soltanto individuare le poste economiche collegate al fattore ambientale, e molti di questi valori sono già rilevati nella contabilità tradizionale e devono solo essere evidenziati. In particolare ci si riferisce sia alle tasse, spese per contenziosi a carattere ambientale, sia agli investimenti sostenuti per la protezione e la gestione del territorio. Va rilevato però che mentre con le prime i costi sostenuti non apportano alcun miglioramento alle zone interessate, le seconde dovrebbero invece costituire l’effettivo sforzo sostenuto dalle imprese per rafforzare la propria politica e diminuire l’impatto socio-ambientale negativo, diventando così poste contabili da mettere in stretta relazione con la costruzione di un potenziale bilancio socio-ambientale. Vi sono poi dei costi che, pur non essendo ancora stati sostenuti, costituiscono dei potenziali esborsi futuri legati ad eventi di carattere ambientale; tra questi costi si trovano ad esempio le spese per il ripristino di un sito inquinato che verrà dismesso in futuro e quelle inerenti i danni ambientali causati da potenziali incidenti.

A questo proposito è utile riportare i risultati di uno studio condotto da un’agenzia americana di protezione ambientale (US EPA) che ha costruito una vera e propria rete di costi ambientali divisi in quattro livelli. Va considerato che in tale individuazione e scomposizione dei costi ambientali solo il primo livello (costi convenzionali) è di solito preso in considerazione effettivamente dalle imprese. [1]

Approcciare alla considerazione, individuazione e misurazione di tali costi ambientali significa entrare in un contesto di accettazione da parte delle imprese di quantificazione dei fenomeni non prettamente e direttamente riconducibili alla gestione intesa in senso classico. Accettare cioè la contabilità ambientale e sociale come misuratore della propria performance reddituale e finanziaria, accettare in un’ultima analisi un giudizio, una valutazione sulle ricadute, sull’impatto sociale dell’attività produttiva. È ovvio che a seconda di come in futuro si riuscirà a condizionare il legislatore attraverso campagne di opinione, forti richieste in tal senso da parte dei movimenti ambientalisti, dalla spinta dal basso che può provenire dall’associazionismo di base e dalle forze sindacali extraconfederali dei lavoratori che spesso si sono dimostrate sensibili a queste tematiche e ancor prima del resto della società hanno posto in termini antagonisti il problema dell’impatto socio-ambientale della produzione, allora tanto più si potrà parlare di una seria contabilità socio-ambientale in grado di quantificare il livello d’impatto a vantaggio o a svantaggio di uno sviluppo sostenibile. Il problema della sostenibilità allora si porrà per l’intera società e non sarà più misurato esclusivamente dalle compatibilità d’impresa.

Si ricorda che la contabilità ambientale può essere applicata in diversi contesti: si può avere la contabilità nazionale che analizza le unità fisiche o monetarie con riferimento al consumo delle varie risorse naturali di una nazione, siano esse rinnovabili o non; vi è poi l’applicazione più strettamente aziendale. In questo ambito vi sono due aree di interesse: la prima è quella valutativa (financial accounting) che consente all’azienda di costruire il report finanziario per tutti gli investitori interessati all’impresa; la seconda è quella gestionale (management accounting): si tratta di tutte le analisi di misurazione, preparazione, comunicazione di informazioni utilizzate dal top management per pianificare ed organizzare la gestione aziendale assicurando una esatta contabilizzazione ed uso delle risorse.

Sono quattro le fasi da seguire per realizzare un primo approccio di contabilità ambientale aziendale: in una prima fase vanno rilevate tutte le spese ambientali dell’impresa per consentire una loro riclassificazione; in seguito vengono registrate le passività ambientali relative sia all’adeguamento a norme legislative sia ai probabili esborsi futuri che riguardano la necessità di ripristino di siti produttivi o per danni causati da possibili incidenti ambientali. Una ulteriore fase sarà quella di adottare strumenti come l’eco-bilancio per affiancare l’informazione di tipo fisico ai dati finanziari. L’ultima tappa infine, attraverso una rifondazione di tutti i principi regolanti la contabilità, consentirà di integrare i dati fisici con quelli monetari in modo da avere una valutazione che permetta di misurare la compatibilità complessiva socio-ecologica dell’impresa.

Si ricorda che stiamo analizzando gli approcci attuali alla contabilità ambientale, pertanto si parla ancora di ambiti di compatibilità esclusivamente in un’ottica d’impresa e non in una visione sociale generale; visione che può nascere, lo ripetiamo, solo a partire da una imposizione per legge di una contabilizzazione di impatto socio-ambientale dell’attività produttiva, che sia però finalizzata alla prefigurazione di un generale diverso modello di sviluppo che si ponga in una dimensione anche di produzione fuori mercato.

Va considerato che comunque, anche nella specifica ottica basata sulle compatibilità delle centralità d’impresa, tutte le proposte per integrare i conti ambientali con quelli economici sono finora parziali e molto insoddisfacenti. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che si ritiene molto difficile costruire uno schema di calcolo in grado di risolvere le numerose questioni da affrontare. Ma ciò è vero perché si continua a reputare come insostituibile e insuperabile l’attuale sistema di parametrizzazione, gli attuali strumenti di misurazione che monetizzano e misurano solo alcune componenti della ricchezza, quelle compatibili con il modello di sviluppo capitalistico.

I costi socio-ambientali sono di vario genere ed è possibile quantificarli in differenti modi soprattutto in relazione al loro aspetto qualitativo e quantitativo; è chiaro che sono molto diversi, ad esempio, i casi di danni provocati dal sacrificio connesso al panorama da quelli derivanti da eventuali malattie che comportano problemi ben più gravi di quelli riconducibili alle sole spese mediche. La distinzione tra aspetti quantitativi e qualitativi, necessaria per avviare un processo di valutazione in grado di estendere a tutte le risorse del pianeta il principio dell’uso ottimale dei mezzi scarsi, consente di effettuare delle “convenienti compensazioni” e precise prese di posizione da parte di tutti coloro che sono danneggiati in aspetti fondamentali della propria esistenza, della propria salute e in genere in peggioramenti della qualità della vita sociale e di relazione.

La strada da percorrere e necessaria è quella di effettuare una stima complessiva del danno ambientale come costo economico-sociale. Molti studiosi sono convinti che, non essendo ancora attuabile l’impostazione in termini di costi benefici socio-ambientali, è necessario ricorrere alla costruzione di specifici indici in grado di misurare il tasso di nocività di alcune sostanze introdotte nel sistema ecologico. Altri studiosi effettuano una distinzione tra aziende ambientali e aziende non ambientali e propongono modelli di valutazione che si basano su un inventario delle aree di maggiore impatto ambientale alle quali riferire un insieme di dati statistici e di misure tecniche usando in sostanza diverse unità di misura.

Il rischio di queste analisi è comunque sempre quello di non essere in grado di arrivare a risultati confrontabili e controllabili tra loro: infatti il miglioramento ambientale non può essere confrontato con gli altri dati sociali e si rischia così di esaltare e favorire quelle imprese che pur apparendo “più ambientaliste” operano però in altre direzioni di danno sociale complessivo; va ricordato inoltre che non esiste un immediato confronto tra il miglioramento di alcuni indici rispetto al peggioramento di altri. È vero comunque che attraverso le analisi per indici è possibile costruire dei valori “soglia” da non oltrepassare che possono essere utilizzati come punti di partenza, ma che dovrebbero essere commisurati non solo a parametri di efficienza aziendale ma ad un ipotetico valore base di indicatori di benessere sociale validi per l’intera collettività.

Infatti di solito le decisioni dell’impresa in campo socio-ambientale sono valutate in base all’analisi basata sulla minimizzazione dei costi massimizzando il profitto e di costi-efficacia. Diventa così necessario effettuare una valutazione dei costi ambientali e sociali attraverso i prezzi di mercato che rispettano le valutazioni individuali e non collettive; per quanto riguarda i benefici invece, va ricordato che questi non sono valutati monetariamente ma attraverso livelli di benefici fissati e determinati tenendo come centrale il risultato ottimo per l’impresa.

Tra l’altro non sempre è chiaramente identificabile un costo socio-ambientale; spesso infatti alcuni costi possono essere considerati ambientali solo in parte. Se si vuole fare una prima distinzione tra i costi sostenuti si può ad esempio distinguere tra: costi diretti di materiale e lavoro; costi generali di fabbricazione; costi commerciali, generali e amministrativi, costi di sviluppo e ricerca. È possibile classificare i costi ambientali in ognuna di queste categorie così come in tutte. Una ulteriore classificazione distingue [2]: costi convenzionali o usuali, costi potenzialmente nascosti, passività potenziali, costi d’immagine.

I costi convenzionali rappresentati da costi in conto capitale (impianti, macchinari ecc.) e in conto esercizio (materie prime, lavoro ecc.), di solito non sono neanche in parte classificati come ambientali, poiché è molto difficile individuare la loro quota di carattere socio-ambientale, che cioè si traduce in un effettivo beneficio per l’intera collettività.

Tra i costi potenzialmente nascosti ci sono quelli riguardanti le spese per gli studi e le ricerche sulla preparazione dei siti, per la ricerca e lo sviluppo, per la preparazione e installazione di impianti e macchinari “verdi”; di solito questi costi sono sostenuti prima dell’avvio dei processi produttivi e quindi sono classificati più generalmente tra le spese di ricerca e sviluppo. Tra i costi nascosti ci sono anche quelli sostenuti per ottemperare alle leggi e quelli volontari quali le assicurazioni ambientali, i monitoraggi, i report, i progetti per la protezione del patrimonio ecc., che vengono classificati tra i costi generali. C’è poi un’altra categoria di costi sostenuti per operazioni correnti che si sosterranno in un futuro non precisato (quali i costi per la sistemazione di depositi contenti sostanze dannose o quelli per l’adeguamento a regolamenti non ancora applicati ma già promulgati); questi costi se non contabilizzati in modo preciso e adeguato potrebbero non comparire per niente tra le poste della contabilità d’impresa.

Le passività potenziali, di natura probabilistica, riguardano i costi per possibili danni ambientali, per adeguamenti alle norme in vigore in materia di protezione del territorio, alle eventuali multe, ecc.; va considerato che non essendovi obblighi per quanto riguarda l’effettivo sostenimento e contabilizzazione di questi costi, essi possono anche essere completamente trascurati dalla direzione aziendale.

I cosiddetti costi d’immagine riguardano tutte le spese necessarie a mantenere e migliorare i rapporti con gli investitori esterni, quali quelle sostenute per la costruzione del report ambientale e tutte le informazioni di carattere ambientale che l’impresa fornisce all’esterno.

In relazione a tutti i suddetti costi elencati va considerato che è fondamentale sia la loro determinazione monetaria ed entità sia la reale applicazione della contabilità ambientale nella gestione d’impresa in relazione ai bisogni, agli interessi e agli obiettivi che l’azienda si propone di raggiungere. Tale processo sarebbe socialmente rilevante se il tutto fosse relazionato al raggiungimento di determinati benefici validi per l’intera collettività, misurabili in termini di parametrizzazione sociale (ad esempio ricadute occupazionali, qualità del lavoro, quantità del tempo liberato dal lavoro, infortunistica, danno ambientale e biologico, uso razionale delle risorse, salvaguardia del patrimonio naturale, creazione di lavori ambientalmente e socialmente utili, ecc.).

Le suddette varie categorie di costi sono considerate come “costi privati” poiché l’impresa è per essi ritenuta direttamente responsabile; le “diseconomie esterne” invece misurano il costo che l’impresa sostiene per il suo impatto con l’ambiente; si tratta in sostanza di ciò che noi reputiamo più importante e fondamentale nella valutazione dell’impatto reale dell’attività produttiva, cioè le perdite sociali derivanti dalle azioni dirette e indirette dell’azienda.

Va comunque notato che al momento essendo le normative ambientali presenti nei vari paesi molto diverse fra loro, il confine tra costi privati delle imprese e diseconomie esterne può variare considerevolmente; i cosiddetti “costi sociali” possono quindi essere molti diversi. Va inoltre considerato che, non essendovi a tutt’oggi alcun obbligo specifico di considerare questi costi nel processo decisionale del management, la loro rilevazione è da considerarsi volontaria, anche se ormai è tempo che sia resa obbligatoria al fine di poter controllare per legge l’attività realizzata da parte delle imprese che sia almeno conforme a delle regole imposte dal punto di vista socio-ambientale.

Attualmente in ambito d’impresa vi sono varie ipotesi di applicazione della contabilità socio-ambientale: ci può essere il caso in cui questa venga applicata solo a livello di un processo individuale, come ad esempio un tipo di prodotto; oppure può essere applicata a livello di sistema come ad esempio nel trattamento degli agenti inquinanti causati dall’impresa; a livello di attrezzature, di gruppi di attrezzature o dipartimento di determinate aree regionali ed infine a livello all’impresa nel suo intero o in alcune sue divisioni o affiliate.

Se si considerano, ad esempio, le metodologie adottate dalle maggiori imprese statunitensi, è possibile distinguere la contabilità ambientale in quattro principali componenti [3]:

1) la contabilità dei costi ambientali;

2) la valutazione delle passività ambientali;

3) la programmazione e le decisioni di investimento “verdi”;

4) i costi delle esternalità ambientali ed i limiti delle valutazioni monetarie.

Di seguito per ogni categoria se ne darà un generale resoconto dei contenuti caratterizzanti.

1) Gli obiettivi da raggiungere per costruire una contabilità dei costi ambientali sono: l’individuazione dei costi/benefici ambientali e la loro allocazione in relazione al prodotto per il quale sono realizzati. L’inventario di tali costi consente di distinguerli in specifiche categorie determinate in relazione alla loro destinazione di uso connessa con l’ambiente. Si avranno in tal modo costi di rettifica e provvedimenti di riaggiustamento dei problemi ambientali pregressi; costi di allineamento alle normative correnti e di anticipazione di tutte le leggi che potrebbero entrare in vigore nell’immediato futuro; infine i costi sostenuti per ottenere benefici immediati o costi sostenuti per motivi strategici (che comporteranno comunque un miglioramento ambientale). Questi costi saranno distinti poi in costi in conto esercizio e costi in conto capitale. Va rilevato comunque che molto spesso si verificano delle divergenze sostanziali tra le imprese sul modo di contabilizzare i costi ambientali; va considerato però che l’analisi, l’individuazione e la compilazione di informazioni che evidenziano questi costi è un passaggio obbligato per tutte le imprese che sono almeno interessate a decidere ed agire secondo dei criteri minimali di ecocompatibilità.

Un aspetto rilevante riguarda poi il controllo contabile dei costi al fine di evitare fenomeni come la duplicazione degli stessi. A tal fine è necessario effettuare una specifica determinazione dell’ampiezza dei costi e della loro applicazione per consentire una precisa identificazione, quantificazione ed esatta attribuzione all’impianto o prodotto responsabile. Un altro aspetto da non sottovalutare nella costruzione di una contabilità ambientale è rappresentato dalla pluralità di soggetti aziendali interessati a questo processo. Per adottare comportamenti d’impresa coerenti con le problematiche ambientali infatti occorre una stretta collaborazione tra il management, lo staff legale, gli ingegneri della produzione , gli ingegneri ambientali e i responsabili della contabilità e della finanza coinvolti nei processi informativi ambientali con il top management. Sarebbe auspicabile che almeno, e da subito, venissero coinvolti i rappresentanti dei lavoratori e le associazioni di base che intervengono nel territorio, che meglio di ogni altro riuscirebbero a fornire un contributo ad alta rilevanza sociale, poiché sono interpreti delle problematiche complessive delle popolazioni direttamente o indirettamente coinvolte dalle attività produttive.

2) Per una esatta valutazione delle passività ambientali si deve far riferimento alle responsabilità di un’impresa per i danni ambientali causati dal proprio processo produttivo in passato o nel periodo corrente e al rispetto delle norme in vigore in tale ambito; vanno poi considerati anche i costi che l’impresa sostiene per eventuali responsabilità che potranno esserle attribuite da leggi future.

La stima delle passività è strettamente legata all’identificazione del sito produttivo, al suo eventuale rispristino e alle incertezze che li accompagnano, alle eventuali assicurazioni e ai costi che potrebbero derivare da controversie legali o pendenze in cui sia coinvolta l’impresa. Il coinvolgimento di responsabili finanziari consente una correzione delle sotto-sovrastime delle passività; c’è però da notare che solo le grandi imprese saranno portate ad effettuare ed usare i risultati di queste stime, perché quelle di piccole e medie dimensioni non sono in grado di sostenere lo sforzo economico dell’organizzazione gestionale per ottenere dei valori realmente attendibili.

Negli Stati Uniti, paese con una avanzata legislazione in materia, anche se non orientata al controllo sociale delle modalità di sviluppo, è presente una specifica disciplina relativa ai danni ambientali, che però non considera l’insieme delle valutazioni delle passività ambientali, anche perché queste sono molto difficili da effettuare visti anche i numerosi soggetti e aspetti che possono interessare. Ci si riferisce sia alla salute, alla sicurezza, all’impatto ambientale, sia alle tecniche di ingegneria, agli strumenti normativi e ai vari regolamenti da applicare, alle ricadute occupazionali ed in termini remunerativi per i lavoratori e la collettività nel suo insieme.

3) Una efficace contabilità ambientale può aiutare e promuovere una programmazione di investimento verde; introdurre in una normale pianificazione d’impresa dei progetti ambientalmente compatibili può risultare molto complicato a causa soprattutto di incompatibilità con le pratiche correnti di pianificazione degli investimenti. L’incertezza della determinazione, individuazione e ammontare dei costi/benefici ambientali è dovuta soprattutto alla complessità delle stime dei rischi ambientali e alla rapidità di cambiamenti delle leggi, delle norme che possono alterare e mutare continuamente le voci di costo.

Dalla lettura della realtà possiamo evincere che comunque le analisi dei costi ambientali favoriscono gli investimenti che non prevengono ma distruggono gli effetti negativi prodotti dall’impresa sull’ambiente. Questo perché la sostituzione di impianti, di materiali, finalizzata a migliorare l’immagine ambientale dell’impresa comporta dei costi molto maggiori rispetto a quelli da sostenere per eliminare i disagi che l’azienda ha già creato, i danni sociali che sono difficili da quantificare e che comunque sia le imprese sia le istituzioni non hanno attualmente alcun interesse a quantificare realmente.

Imporre una omogenea legislazione europea in tal senso significa che lo Stato, almeno nel suo ruolo di garante e regolatore, ha compreso che non è più possibile trascurare i costi e i benefici socio-ambientali ed è quindi necessario adottare degli approcci di programmazione economica orientati alla prevenzione dell’intero danno sociale riconducibile alle attività produttive d’impresa e non più solo sollecitare degli interventi riparatori di danni già fatti.

4) Un’impresa anche rispettando i soli obiettivi interni di redditività ed efficienza ha molti motivi per cercare di calcolare le conseguenze ecologiche legate alla sua produzione; è comunque per cercare di identificare i futuri problemi in cui potrebbe incorrere che il management aziendale è portato a dimostrare che un determinato prodotto o processo produttivo provoca più o meno esternalità positive rispetto alle altre alternative. Ciò anche al sol fine di produrre delle informazioni utili ai responsabili aziendali ed istituzionali per confrontare le diverse alternative di scelta ed evidenziare le esternalità più significative, sensibili e derivate dalle azioni delle autorità di governo per consentire loro di agire in considerazione nelle varie decisioni macroeconomiche. In tal modo è possibile ottenere come ritorno dei benefici in termini di detassazione, di incentivi, di trasferimenti in conto esercizio o in conto capitale che vanno a ricadere sulla fiscalità generale.

La mancanza di uno scambio di risorse ambientali sul mercato e il fatto che non può essere misurato tutto con parametri mercantili, da cui deriva l’impossibilità di stabilirne un prezzo, crea uno dei principali problemi ai tentativi di quantificare monetariamente il danno socio-ambientale dell’attività produttiva. Gli economisti hanno cercato di qualificare il danno socio-ambientale in relazione alla perdita di utilità per la società nella sua interezza; i naturalisti invece attribuiscono un valore intrinseco ai beni e servizi della natura indipendentemente dalle sue eventuali potenzialità di uso. È necessario allora per le imprese e le istituzioni determinare da subito dei sistemi almeno in grado di cercare di conciliare i dati economici con quelli ambientali, al fine di garantire una coerenza socio-ecologico-economica nelle decisioni di investimento e nelle politiche dell’impresa.

In tal senso è fondamentale immediatamente almeno imporre per legge il cambiamento del sistema contabile attuale per individuare e riconoscere i costi e gli eventuali ricavi legati al macrosistema ambientale e per giungere a contabilizzarli. Tra questi vanno considerate senz’altro le poste inerenti i rifiuti, l’energia, i costi legali, le passività ambientali connesse al ripristino dei siti inquinati, gli infortuni sul lavoro, le malattie da lavoro, il danno alla salute dei cittadini, l’impatto socio-economico complessivo dell’attività d’impresa misurato non solo in termini di salario diretto e di occupazione, ma anche e soprattutto in termini di benefici sociali, di redistribuzione complessiva del reddito e ricchezza prodotta, contabilizzando il disvalore aggiunto che ricade sull’intera collettività.

Va inoltre eliminato a tal fine ogni eventuale conflitto tra il sistema contabile tradizionale e le questioni riguardanti la quantificazione dell’impatto complessivo sul sistema socio-ambientale, soprattutto attraverso un orientamento sempre più rivolto al futuro. Infine deve essere sviluppato un sistema contabile in grado di equilibrare le informazioni fisiche con quelle di carattere economico-finanziario e di carattere qualitativo, dando un peso significativo alle risorse sociali intangibili difficilmente misurabili secondo i parametri esclusivi dell’economia di mercato, per arrivare alla costruzione di prospetti sintetici, chiari e facilmente interpretabili, a forte connotazione sociale.

A questo punto sembra utile presentare ciò che oggi è già immediatamente praticabile per almeno poter iniziare a percorrere un cammino verso l’individuazione e rafforzamento di strumenti in grado di fornire un approccio socio-ambientale alla contabilità d’impresa. Si tratta di individuare e analizzare alcuni strumenti minimi che da subito si pongano nell’ottica di una produzione socio-eco-compatibile, in modo da iniziare un percorso che dovrà portare alla rivendicazione di un diverso modello di sviluppo solidale socialmente sostenibile per i lavoratori e i cittadini tutti.

Di seguito si presenterà un po’ lo “stato dell’arte” in materia, rappresentando ciò che c’è o è in progetto in termini di costruzione di una contabilità eco-sociale d’impresa, fornendo un nostro contributo nella speranza di arrivare presto a legiferare a livello europeo su tali contenuti omogenei minimali. Ciò nella certezza che l’imposizione di un diverso modello di sviluppo non necessariamente mercantile e legato alle leggi neoliberiste e al mondo dei finanzieri e degli imprenditori, è possibile determinarlo a partire solo da una inversione dei rapporti di forza fra capitale e lavoro, in modo da innescare dinamiche di sviluppo compatibili con i bisogni dei popoli.

Di seguito, quindi, oltre all’eco-audit già analizzato saranno esaminati altri mezzi, altre tecniche che contribuiscono a individuare e a valutare l’impatto complessivo che l’attività produttiva d’impresa ha sul macrosistema socio-ambientale; tra questi si ricordano il bilancio sociale e il bilancio ambientale.


[1] 9 Cfr.Bartolomeo M., Fondazione Enrico Mattei, Articolo per l’Impresa Ambiente, “L’ambiente nei conti d’impresa: non solo un fatto di trasparenza”, p.2-3.

[2] Cfr. EPA, Pollution Prevention Benefits, Ottobre, 1989, ed ancora “Finding Cost-effettive Pollution Prevention Iniziative, 1994.

[3] Per questa suddivisione si fa riferimento a: Bennet M., James P., “Draft Report”, Gennaio 1996.