Stato, regioni ed enti locali nel quadro della riforma della Pubblica Amministrazione

Arturo Salerni

Dislocazione dei poteri, trasferimento di compiti, decentramento e federalismo: tra riforme costituzionali e mutamenti già avvenuti

La redazione di Proteo ha ritenuto necessario affrontare anche sul piano delle trasformazioni giuridiche il mutamento che ha investito e sta investendo l’assetto istituzionale della Repubblica, ed in particolare con riferimento al profilo del decentramento delle funzioni dallo Stato verso le Regioni e le autonomie locali. È un processo complesso, che merita approfondimento e discussione, ed il suo esito sarà assolutamente decisivo anche sotto il profilo delle prospettive della pubblica amministrazione. Abbiamo ritenuto utile suddividere questo lavoro - scritto da Arturo Salerni, avvocato, dell’associazione Progetto Diritti, componente del comitato scientifico del Cestes e responsabile delle pagine dedicate da Proteo a “trasformazioni sociali e diritto” - in due parti.

La prima, quella che segue, cerca di delineare in termini generali, a partire dalle trasformazioni realizzate ed in atto sul piano costituzionale, la nuova dislocazione delle funzioni tra Stato, Regioni ed Enti Locali e di ricostruire il disegno ed il senso complessivo delle riforme.

Nella seconda parte, che sarà pubblicata nel prossimo numero della rivista (1/2001), affronteremo in modo specifico i nessi esistenti tra decentramento delle funzioni e trasformazione/modifica dell’azione della pubblica amministrazione, investita anche dalla riforma del procedimento amministrativo, valutando le conseguenze che i mutamenti in atto determinano sui processi lavorativi nel settore pubblico, anche sotto il profilo dell’azione e delle regole sindacali.

 

 

1. La riforma costituzionale del 1999

Ron la legge costituzionale n.1 del 1999 sono stati modificati gli articoli 121, 122, 123 e 126 della Costituzione Italiana (parte II, titolo V “Le Regioni, le Province, i Comuni”).

Il nuovo terzo comma dell’art.121 della Costituzione amplia i poteri del Presidente della Giunta Regionale (“dirige la politica della Giunta e ne è responsabile”).

L’art.122 della Costituzione, nella nuova formulazione, prevede al primo comma che “il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta Regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”.

Viene introdotto cioè il principio che è la legge regionale e non più una “legge della Repubblica” a stabilire quale debba essere il sistema elettorale e quale la durata degli organi elettivi regionali (si può verificare l’elezione diretta non solo per i consiglieri regionali ma anche per il Presidente e per i componenti della Giunta regionale).

L’ultimo comma dello stesso articolo, modificata la vecchia formulazione (“Il Presidente ed i membri della Giunta sono eletti dal Consiglio regionale tra i suoi componenti”), introduce la nuova regola per cui “il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto”. Ed ancora: “Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta”.

Possibilità di scelta della legge elettorale, con una ipotesi già segnata: quella dell’elezione diretta del Presidente, come già avviene per i Comuni e le Province. Il segno di trasformazione istituzionale che ha segnato gli anni novanta - con lo spostamento del peso decisionale dalle assemblee elettive ai vertici degli enti territoriali eletti direttamente dal popolo e con la trasformazione in senso maggioritario dei sistemi elettorali, cui segue la necessaria semplificazione delle dinamiche politiche - continua ancora a produrre i suoi frutti.

Il nuovo articolo 123 della carta costituzionale, successivamente all’intervento di modifica del 1999, recita testualmente: “Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario di Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione.

Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi.

Il testo precedente dell’art.123 era il seguente: “Ogni Regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della regione. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

Lo statuto è deliberato dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ed è approvato con legge della Repubblica”.

Con le modifiche approvate dal Parlamento ci troviamo di fronte ad un potere statutario delle regioni praticamente senza limiti.

Nel testo originario della Costituzione lo Statuto veniva deliberato dal Consiglio Regionale ed approvato con legge dello Stato. Con la riforma del 1999 il potere statutario passa completamente in mano alla Regione, con un procedimento - la doppia lettura da parte dell’organo che lo delibera, il Consiglio Regionale e l’eventuale sottoposizione ad un referendum per la sua definitiva approvazione - che presenta una chiara similitudine al percorso previsto (dall’art.138 Cost.) per le procedure di revisione costituzionale.

Una vera e propria costituzione per le Regioni, una costituzione adottata dalla Regione stessa.

La Regione può ora scegliersi la propria forma di governo (un potere più o meno ampio dell’organo legislativo, l’elezione diretta del presidente e dell’esecutivo, o quant’altro sarà ritenuto opportuno) ed il proprio sistema elettorale. Peraltro - come abbiamo già visto - esiste una indicazione in senso “presidenzialista”, contenuta nel nuovo articolo 122, per cui se non è deciso diversamente nell’ambito dello Statuto Regionale, si avrà l’elezione diretta del Presidente della Giunta Regionale, al quale viene dato il potere di nominare e revocare i componenti dell’organo di governo regionale.

Abbiamo infatti assistito - così imponeva la disciplina transitoria - nella tornata elettorale del 2000 alla elezione diretta di coloro che sono stati subito battezzati, mutuando la terminologia statunitense, “governatori”. Peraltro tale elezione diretta si aggiunge alla riforma elettorale regionale del 1995, che già prevedeva attraverso l’attribuzione di un certo numero di seggi alla coalizione vincenti, determinando un mix tra premio di maggioranza ed elezione diretta del Presidente che di fatto blinda le posizioni dello schieramento vincente e riduce ampiamente i poteri del Consiglio regionale e la sua dialettica interna.

L’unico limite al potere statutario delle regioni resta quello della legittimità costituzionale dello Statuto, con rimessione alla Corte Costituzionale che solo il Governo centrale può promuovere nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione. E se il Governo è un Governo amico? E quale è la forza di questo Statuto? Può esserne proposta la questione di legittimità con il procedimento ordinariamente previsto per ogni altra legge?

Va peraltro evidenziato che è in corso - come vedremo - il processo di revisione costituzionale di tutto il titolo V della seconda parte della Costituzione, e cioè la ripartizione dei poteri e delle funzioni tra Stato, Regioni ed Enti Locali.

Conviene ora - per completare questo rapido excursus sulla riforma costituzionale del 1999 - porre a confronto il nuovo ed il vecchio testo dell’art.126, che attiene ai rapporti tra Regione e Governo centrale da un lato ed i rapporti tra gli organi della Regione dall’altro, con un rafforzamento ulteriore del ruolo del Presidente (si tratta delle cosiddette “norme antiribaltone”).

Il nuovo testo recita così: “Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono essere altresì disposti per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato sentita una Commissione di deputati e senatori costituita per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica.

Il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione.

L’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. In ogni caso i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio.

Il testo sostituito prevedeva invece che “il Consiglio regionale può essere sciolto quando compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, o non corrisponda all’invito del Governo di sostituire la Giunta o il Presidente,che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni.

Può essere sciolto quando, per dimissioni o per impossibilità di formare una maggioranza, non sia in grado di funzionare.

Può essere altresì sciolto per ragioni di sicurezza nazionale.

Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica, sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica.

Col decreto di scioglimento è nominata una Commissione di tre cittadini eleggibili al Consiglio regionale, che indice le elezioni entro tre mesi e provvede all’ordinaria amministrazione di competenza della Giunta e agli atti improrogabili, da sottoporre alla ratifica del nuovo Consiglio”.

 

 

2. Il disegno di legge costituzionale sui nuovi poteri delle Regioni e delle autonomie locali

 

Il processo di revisione costituzionale richiede, come è noto, un doppio passaggio dei testi di riforma all’esame dei due rami del Parlamento. La prima lettura è stata compiuta e il Parlamento si accinge (gennaio 2001) - salvo ostacoli dell’ultima ora - all’approvazione definitiva (che potrebbe essere messa in discussione soltanto dallo speciale strumento referendario previsto dall’art.138 della Costituzione) del disegno di legge costituzionale contenente “modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”.

Si tratta in buona sostanza di un ribaltamento nelle attribuzioni del potere legislativo tra Stato e Regioni, per cui allo Stato viene riservato uno spazio (sul piano della potestà legislativa e sul piano della funzione amministrativa) assolutamente residuale, ed ancor più ridotto se solo si pensa allo spostamento di attribuzioni che si è verificato - precipitosamente nell’ultimo decennio - in ragione dell’intensificarsi del progetto di integrazione europea.

Si passa dalla vecchia formulazione dell’art.114 per cui “la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” alla individuazione dello Stato quale una delle diverse entità che compongono la Repubblica (“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, primo comma dell’art.114 Cost. nel testo in via di approvazione).

Ed ancora - riallacciandosi alla riforma del 1999 - il testo approvato in prima lettura dalle Camere inserisce due ulteriori commi all’art.114 della Costituzione, l’articolo che apre il titolo dedicato a Regioni, Province e Comuni. Il secondo comma in particolare prevede: “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione” [il testo vigente dell’art.128, che verrebbe abrogato, prevede che Province e Comuni sono enti autonomi “nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni”].

Il punto centrale della riforma all’esame delle Camere è costituita dall’articolo 117 della Costituzione. Nel testo vigente si riconosce alle Regioni un potere legislativo (sia pur “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni”) in una serie limitata - e dettagliata - di materie (ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalle Regioni, circoscrizioni comunali, polizia locale urbana e rurale, fiere e mercati, beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera, istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica, musei e biblioteche di enti locali, urbanistica, turismo ed industria alberghiera, tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale, viabilità e lavori pubblici di interesse regionale, navigazione e porti lacuali, acque minerali e termali, cave e torbiere, caccia, pesca nelle acque interne, agricoltura e foreste, artigianato). Inoltre il vigente art.117 prevede, al secondo comma, che “le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione”. Ai sensi del testo in via di approvazione, innanzitutto, “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. -----

L’art.3 del disegno di legge costituzionale (che prevede la riforma dell’art.117) distingue quindi tra materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva, materie di cosiddetta legislazione concorrente, e potestà legislativa delle Regioni.

Nelle materie di legislazione concorrente “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

Le materie su cui lo Stato manterrebbe la propria legislazione esclusiva sono: la politica estera e i rapporti internazionali dello Stato, i rapporti con l’Unione Europea, il diritto di asilo e la condizione giuridica dello straniero non comunitario; l’immigrazione; i rapporti con le confessioni religiose; la difesa e la sicurezza dello Stato, le Forze armate e la legislazione sulle armi; la moneta (questione che però deve fare i conti con il passaggio all’euro e con i poteri della Banca Centrale Europea), la tutela del risparmio e dei mercati finanziari; la tutela della concorrenza; il sistema valutario ed il sistema tributario e di contabilità dello Stato; la perequazione delle risorse finanziarie; gli organi dello Stato e le relative leggi elettorali, i referendum statali, l’elezione del Parlamento europeo; l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; l’ordine pubblico e la sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; la cittadinanza, lo stato civile e le anagrafi; la giurisdizione e le norme processuali, l’ordinamento civile e penale, la giustizia amministrativa; “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”; le norme generali sull’istruzione; la previdenza sociale; la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (che sono state previste per la prima volta dalla legge 142/90); le dogane, la protezione dei confini nazionali e la profilassi internazionale; pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; le opere dell’ingegno; la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Va però tenuto presente che - secondo quanto previsto dalla riforma dell’art.116 contenuta nello stesso disegno di legge costituzionale - sono attribuibili con legge dello Stato “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” nei confronti delle Regioni a statuto ordinario anche per ciò che concerne l’organizzazione del giudice di pace (organo che si è visto attribuire con legge ordinaria del 2000 anche competenze in materia di giustizia penale), le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Per il terzo comma dell’art.117 - secondo il disegno di legge costituzionale - “sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione Europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno dell’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”.

Alle Regioni spetta “la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.

Inoltre le Regioni - è sempre il testo dell’art.117 come previsto dal disegno di legge costituzionale in esame - “nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”.

Con riferimento alla potestà regolamentare essa - nelle materie di legislazione esclusiva - spetta allo Stato, salva la possibilità di delegarla alle Regioni. In tutte le altre materie (comprese quindi anche quelle di cosiddetta legislazione concorrente) la potestà regolamentare, nelle previsioni del disegno di legge costituzionale già approvato in prima lettura dai due rami del Parlamento, spetta alle Regioni.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane avrebbero invece potestà regolamentare “in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.

Inoltre la legge regionale potrà ratificare le intese della Regione con altre Regioni “per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni” e “nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato”.

L’art.118 risultante dal testo di riforma introduce il principio per cui “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. E cioè ogni funzione amministrativa viene attribuita naturalmente all’ente territoriale più piccolo, salva l’impossibilità del Comune di esercitarla per cui questa viene conferita alla Provincia (o alla Città metropolitana) e quindi alla Regione (che oltre al potere legislativo esclusivo e concorrente con lo Stato, ha potestà regolamentare secondo i principi che abbiamo già visto ed esercita funzioni amministrative laddove - anche in relazione al principio di adeguatezza - non vi sia la possibilità che esse siano esercitate dagli enti locali). Lo Stato esercita la funzione amministrativa - anche nelle materie nelle quali ha legislazione esclusiva e potestà regolamentare (peraltro quest’ultima è sempre delegabile alle Regioni) - solo in ultima battuta e residualmente.

Per avallare tale costruzione si dice che oltre alle funzioni conferite con legge statale o regionale i Comuni, le Province e le Città metropolitane “sono titolari di funzioni amministrative proprie”, quasi che tali funzioni appartengano per natura all’ente locale e non perché una specifica normativa le attribuisca loro.

Ancora: nelle materie relative all’immigrazione ed all’ordine ed alla sicurezza pubblica (ancora una volta immigrazione e sicurezza vengono accostate; ma qui non si tratta dei soliti articoli allarmistici di cui tanto si nutre l’opinione pubblica, ma di un disegno di legge costituzionale) “la legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni”.

Ed all’ultimo comma dell’art.118 della Costituzione viene inserito il principio - già presente in forme diverse nel testo elaborato dalla Commissione bicamerale istituita per la riforma della seconda parte della Costituzione, presieduta da D’Alema - per cui “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Il concetto della sussidiarietà ed il principio per cui va favorita la gestione da parte dei privati dei servizi pubblici entrano dunque per questa via prepotentemente nel tessuto costituzionale: il favore con cui la Confindustria guarda al testo del disegno di legge costituzionale sulle nuove funzioni di Regioni ed autonomie locali è innanzitutto motivato da quest’elemento.

La filosofia del disegno di legge emerge ancora più chiaramente dalla lettura della proposta di modifica dell’art.119 della Costituzione, che contiene alcuni principi fondamentali.

Innanzitutto l’ “autonomia finanziaria di entrata e di spesa” conferita a Regioni ed enti locali (Comune, Province e Città metropolitane).

Ed ancora: “I Comuni, le Province, le Città metropolitane hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario [principi che vengono fissati attraverso la legislazione concorrente, per cui spetta alle regioni la potestà legislativa “salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”]”. Inoltre - oltre all’applicazione dei propri tributi - regioni ed enti locali “dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio”.

Per i territori con minore capacità fiscale per abitante - sarebbe questo il principio del cosiddetto federalismo solidale - “la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione” ed inoltre “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città e metropolitane e Regioni”.

Si stabilisce - all’art.6 del disegno di legge che prevede la sostituzione dell’art.120 della Costituzione - l’impossibilità per la Regione di stabilire dazi di importazione, esportazione o transito, o di ostacolare in qualsiasi modo il principio della libera circolazione delle persone, o ancora di limitare “l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale”.

È previsto per il Governo il potere di sostituirsi ad organi della Regione o degli Enti Locali in presenza di “mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

Si inserisce - prevedendo che il sistema delineato e le tendenze in atto possono determinare frizioni e conflitti non solo tra Stato e Regioni, ma anche tra Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane - all’art.123 della Costituzione il Consiglio delle autonomie locali (che deve essere disciplinato dallo Statuto regionale) “quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali”.

L’organo cui è demandata la risoluzione dei conflitti che intervengono tra Stato e Regioni, oppure tra diverse regioni, è - e non potrebbe essere altrimenti - la Corte Costituzionale.

Alcune considerazioni devono essere fatte. La prima è ovvia, ma non per questo meno importante. Da un lato il trasferimento di funzioni che viene determinato dal processo sempre più avanzato di costruzione europea, dall’altro il cammino a tappe forzate verso l’aumento dei poteri da parte delle Regioni ed il decentramento delle funzioni nei confronti degli enti locali riducono fortemente ruolo e poteri dello Stato centrale, dello Stato nazionale.

Il processo di integrazione europea soffre evidentemente di un deficit profondo di democrazia, affidato com’è alle trattative degli esecutivi, alle decisioni degli euroburocrati e dei banchieri, alla assoluta mancanza di argini alle volontà dei grandi potentati economici. La mancanza di un effettivo percorso verso la definizione di una Costituzione europea, l’inesistenza di un organo legislativo democraticamente eletto (i poteri del Parlamento europeo sono poco più che di natura meramente consultiva), l’accettazione quasi unanime del modello liberista dell’economia e della necessità di svuotamento dell’azione dei pubblici poteri segnano profondamente - quantomeno nel presente - il percorso dell’Unione Europea.

Dall’altro lato la rincorsa spesso confusa delle istanze disgregative, del “decentrare tutto” per “sburocratizzare tutto”: in questo quadro non si comprende cosa lega le diverse entità regionali nell’ambito di un quadro unitario, e soprattutto dove finisca quel compito della Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (principio fissato dall’art.3, capoverso, della Costituzione).

E cioè in un quadro così spezzettato, e senza l’attribuzione di funzioni precise in tal senso alle tante entità che costituiscono la Repubblica, svaporano ad esempio la promozione delle condizioni che rendono effettivo quel diritto al lavoro riconosciuto dall’art.4 della Costituzione a tutti i cittadini, il potere attribuito alla legge di determinare “i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” (art.41 Cost.).

Il progetto ha tre perni principali: a) la nuova disciplina in tema di ripartizione della funzione legislativa tra Stato e regioni; b) la nuova disciplina in tema di ripartizione delle funzioni amministrative tra Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, [Comuni n.d.r.] e privati; c) la nuova disciplina in tema di ripartizione del potere di imposizione tributario”(Giuseppe Ugo Rescigno, in Le autonomie, novembre 2000, pag.15). -----

Sul punto della ripartizione della funzione legislativa vi è di fatto una implicita modifica della disposizione contenuta nell’art.72 della Costituzione, per cui “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Il Parlamento - qualora venisse approvato definitivamente il disegno di legge costituzionale - potrebbe legiferare solo nelle materie e nelle ipotesi che vengono previste dal nuovo articolo 117. Le Regioni invece - art.117, quarto comma, nel testo di modifica contenuto nell’art.3 del disegno di legge costituzionale - avranno la potestà legislativa, come abbiamo visto, “in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.

La potestà legislativa delle regioni sarà concorrente in alcune materie espressamente elencate (art.117 terzo comma, nel testo previsto dall’art.3 del d.d.l. costituzionale) ed esclusiva, in tutte le altre materie, “e per queste materie non elencate e residuali l’unico limite è dato dalla Costituzione, dall’ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali (vincoli che riguardano tutte le leggi, anche quelle statali)” (G.U. Rescigno, articolo citato, nel quale si prevede che “vi saranno continue ed accanite dispute se un certo oggetto rientra nella materia statale, o in quella regionale concorrente o in quella esclusiva, se la legge statale di principio è veramente di principio oppure invade il campo regionale, e così via. Qualche esempio: spetta allo Stato dettare “norme generali sull’istruzione”, ma spetta alla competenza concorrente delle Regioni legiferare sull’istruzione, “salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”).

Afferma Rescigno (pagine 14 e 15 dell’articolo citato): “il senso effettivo di questa riforma non è, e non può essere e non riesce ad essere, un nuovo ordine costituzionale, ma la legittimazione nel testo costituzionale delle rivendicazioni crescenti di autogoverno di alcune Regioni (non per caso le più ricche), fino al massimo possibile all’interno del quadro costituito dall’Unione europea. Per quanto riguarda le funzioni amministrative, la confusione è se possibile, ancora più grave. La sola cosa certa, e non per caso, è costituita dalla legittimazione costituzionale del principio di sussidiarietà nei confronti dei privati, cosicché, se la riforma venisse approvata, Stat, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni sarebbero sempre legittimati dalla costituzione ad attribuire a cittadini, singoli e associati, funzioni amministrative (attività di interesse generale viene detto nel testo: si tratta di scuola, assistenza, sanità, ecc., e cioè di tutti i servizi sociali”).

 

 

3. La legge “Bassanini” del 1997

 

Con la legge n.59 del 15 marzo 1997 il Governo veniva delegato ad emanare decreti legislativi volti a conferire alle regioni e agli enti locali (province, comuni e comunità montane) funzioni e compiti amministrativi.

In particolare si prevedeva di conferire alle regioni ed agli enti locali, nell’osservanza del principio di sussidiarietà, “tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici” (art.1, secondo comma, legge 59/1997).

Si escludono dal conferimento funzioni e compiti riconducibili tra l’altro ad affari esteri, “cooperazione internazionale e attività promozionale all’estero di rilievo nazionale”, difesa, armi, rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose, tutela dei beni culturali e del patrimonio storico artistico, vigilanza su stato civile ed anagrafe, cittadinanza, immigrazione, rifugiati ed asilo politico, estradizione, consultazioni elettorali, elettorato attivo e passivo, referendum (esclusi quelli regionali), moneta, perequazione delle risorse finanziarie, sistema valutario e banche, dogane, protezione dei confini nazionali, ordine pubblico e sicurezza pubblica, amministrazione della giustizia, poste e telecomunicazioni, previdenza sociale, “eccedenze di personale temporanee e strutturali”, ricerca scientifica, “istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, programmi scolastici, organizzazione generale dell’istruzione scolastica e stato giuridico del personale”, “vigilanza in materia di lavoro e cooperazione”, “trasporti aerei, marittimi e ferroviari di interesse nazionale” (quest’ultimo punto è stato aggiunto al testo originario dalla legge 191/98).

Ulteriormente il quarto comma dell’art.1 della legge n.59 del 1997 prevede l’esclusione dal conferimento a Regioni ed enti locali per:

a) i compiti di regolazione e controllo già attribuiti con legge statale ad apposite autorità indipendenti;

b) i compiti strettamente preordinati alla programmazione, progettazione, esecuzione e manutenzione di grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse nazionale [...];

c) i compiti di rilievo nazionale del sistema di protezione civile, per la difesa del suolo, per la tutela dell’ambiente e della salute, per gli indirizzi, le funzioni e i programmi nel settore dello spettacolo, per la ricerca, la produzione, il trasporto di energia[...];

d) i compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e dalle università degli studi;

e) il coordinamento dei rapporti con l’Unione Europea e i compiti preordinati ad assicurare l’esecuzione a livello nazionale degli obblighi derivanti dal Trattato sull’Unione Europea e dagli accordi internazionali”.

Al sesto comma dell’art.1 della legge 59/1997, comma integrato dalla legge 191/1998, si prevede: “La promozione dello sviluppo economico, la valorizzazione dei sistemi produttivi e la promozione della ricerca applicata sono interessi pubblici che lo Stato, le regioni, le province e gli altri enti locali assicurano nell’ambito delle rispettive competenze, nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, delle esigenze della salute, della sanità e sicurezza pubblica e della tutela dell’ambiente”.

Anche in questo caso sfuma fino a scomparire anche sul piano programmatico e generale quel compito fondamentale della Repubblica, fissato dall’art.3 della Costituzione, di rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano libertà ed eguaglianza dei cittadini ed “impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, ovvero quell’obiettivo fissato dal costituente e che costituisce il vero elemento distintivo ed aggiuntivo rispetto alle costituzioni di stampo tipicamente liberale.

Vediamo come la disciplina del 1997 precede - quantomeno sul piano delle competenze amministrative - l’impianto contenuto nel disegno di legge costituzionale attualmente all’esame del Parlamento.

Ed infatti il secondo comma dell’art.2 specifica ulteriormente che “in ogni caso, la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni e dei compiti amministrativi conferiti ai sensi dell’art.1 è disposta, secondo le rispettive competenze e nell’ambito della rispettiva potestà normativa, dalle regioni e dagli enti locali”.

Si afferma che i decreti legislativi adottati sulla base della legge delega individueranno tassativamente funzioni e compiti da mantenere in capo alle amministrazioni statali, si atterranno nella distribuzione di compiti e funzioni tra Regioni ed enti locali osservando il principio di sussidiarietà, “nonché i criteri di conseguente e contestuale attribuzione e ripartizione tra le regioni, e tra queste e gli enti locali, dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative”; individueranno “le procedure e gli strumenti di raccordo, anche permanente, con eventuale modificazione o nuova costituzione di forme di cooperazione strutturali e funzionali, che consentano la collaborazione e l’azione coordinata tra enti locali, tra regioni e tra i diversi livelli di governo e di amministrazione anche con eventuali interventi sostitutivi nel caso di inadempienze delle regioni e degli enti locali nell’esercizio delle funzioni amministrative ad essi conferite, nonché la presenza e l’intervento, anche unitario, di rappresentanti statali, regionale e locali nelle diverse strutture, necessarie per l’esercizio delle funzioni di raccordo, indirizzo, coordinamento e controllo” (art.3, lettere a, b e).

Si prevede conseguentemente la soppressione, la trasformazione o l’accorpamento delle strutture centrali e periferiche interessate dal conferimento delle funzioni e dei compiti, con individuazione - sempre attraverso lo strumento del decreto legislativo - delle modalità e delle procedure per il trasferimento del personale statale “senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica”, la possibilità per lo Stato di avvalersi di uffici regionali e locali “per la cura di interessi nazionali”. Ed ancora (art.3, lett.h) si stabilisce che con i decreti legislativi da adottare siano “previste le modalità e le condizioni per l’accessibilità da parte del singolo cittadino temporaneamente dimorante al di fuori della propria residenza ai servizi di cui voglia o debba usufruire”.

Il rapporto tra regione ed ente locale è più specificamente regolato dall’art.4 della legge 59 del 1997, con la previsione - per le materie rispetto a cui attualmente l’art.117 della Costituzione prevede la competenza legislativa delle Regioni - per cui “le regioni, in conformità ai singoli ordinamenti regionali, conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale”. Nelle materie previste dalla legge 59/1997 compiti e funzioni vengono conferite a regioni ed enti locali attraverso lo strumento del decreto legislativo.

Per i conferimenti delle funzioni di cui sopra si prevede l’osservanza di alcuni principi fondamentali:

a) il principio di sussidiarietà, con l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati;

b) il principio di completezza con l’attribuzione alla regione dei compiti e delle funzioni amministrative non assegnati ai sensi della lettera a), e delle funzioni di programmazione;

c) il principio di efficienza e di economicità anche con la soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti superflui;

d) il principio di cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali anche al fine di garantire un’adeguata partecipazione alle iniziative adottate nell’ambito dell’Unione europea;

e) i principi di responsabilità ed unicità dell’amministrazione, con la conseguente attribuzione ad un unico soggetto delle funzioni e dei compiti connessi, strumentali e complementari, e quello di identificabilità in capo ad un unico soggetto anche associativo della responsabilità di ciascun servizio o attività amministrativa;

f) il principio di omogeneità, tenendo conto in particolare delle funzioni già esercitate con l’attribuzione di funzioni e compiti omogenei allo stesso livello di governo;

g) il principio di adeguatezza, in relazione all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle funzioni;

h) il principio di differenziazione nell’allocazione delle funzioni in considerazione delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi;

i) il principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l’esercizio delle funzioni amministrative conferite;

l) il principio di autonomia organizzativa e regolamentare e di responsabilità degli enti locali nell’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi ad essi conferiti”.

La lettura dei principi fissati dal legislatore delegante del 1997 è indicativa di linee e percorsi ormai quasi unanimemente condivisi dalle diverse forze dello schieramento politico, e che comunque precedono la definizione del testo di riforma costituzionale che abbiamo esaminato, determinando l’evoluzione del quadro normativo nel senso di un trasferimento massiccio delle funzioni e delle competenze, che prescinde dalle modifiche della Costituzione.

Vi è l’affermazione del principio di sussidiarietà con la previsione del conferimento di funzioni pubbliche a soggetti privati - anche se in termini meno netti di quelli contenuti nel disegno di legge costituzionale - e l’indicazione della “naturale” attribuzione al Comune delle funzioni e dei compiti amministrativi - salvo deroga in favore dell’amministrazione statale o regionale o di altro ente locale o di associazione di enti locali - ed alla regione dei compiti di programmazione; vi è l’indicazione programmatica del “taglio” delle funzioni e dei compiti assolti dal settore pubblico; vi è la rielaborazione di principi già indicati con la riforma delle autonomie locali contenuta nella legge 142 del giugno 1990.

Ancora l’art.4, quarto comma, della legge 59/1997 prevede che - attraverso i decreti legislativi da adottare - il Governo provvede anche a “delegare alle regioni il compito di programmazione in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale”, e ad attribuire alle regioni, d’intesa con gli enti locali, il compito di definire “il livello dei servizi minimi qualitativamente e quantitativamente sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini, servizi i cui costi sono a carico dei bilanci regionali, prevedendo che i costi dei servizi ulteriori rispetto a quelli minimi siano a carico degli enti locali che ne programmino l’esercizio”.


Ed inoltre i decreti delegati devono prevedere “che le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolino l’esercizio dei servizi con qualsiasi modalità effettuati e in qualsiasi forma affidati [....] mediante contratti di servizio pubblico” formulati nel rispetto degli accordi CEE e con “caratteristiche di certezza finanziaria e copertura di bilancio” (si tratta dei trasporti ferroviari di interesse regionale e locale), e devono “definire le modalità per incentivare il superamento degli assetti monopolistici nella gestione dei servizi di trasporto urbano ed extraurbano e per introdurre regole di concorrenzialità nel periodico affidamento dei servizi”. Liberalizzazione e privatizzazione, nonché contrazione della spesa pubblica e quindi restrizione dell’intervento del settore pubblico nel campo dei trasporti di interesse regionale e locale, sono gli elementi che accompagno il processo di decentramento e l’attribuzione dei compiti e delle funzioni alle regioni (prevalentemente di natura programmatoria) ed agli enti locali.

Si prevede infine - sulla base dei principi che abbiamo elencato precedentemente - di ridefinire, riordinare e razionalizzare “per quanto possibile individuando momenti decisionali unitari, la disciplina relativa alle attività economiche ed industriali, in particolare per quanto riguarda il sostegno e lo sviluppo delle imprese operanti nell’industria, nel commercio, nell’artigianato, nel comparto agroindustriale e nei servizi alla produzione; per quanto riguarda le politiche regionali, strutturali e di coesione dell’Unione Europea, ivi compresi gli interventi nelle aree depresse del territorio nazionale, la ricerca applicata, l’innovazione tecnologica, la promozione della internazionalizzazione e della competitività delle imprese nel mercato globale e la promozione della razionalizzazione della rete commerciale anche in relazione all’obiettivo del contenimento dei prezzi e dell’efficienza della distribuzione; per quanto riguarda la cooperazione nei settori produttivi e il sostegno dell’occupazione; per quanto riguarda la cooperazione nei settori produttivi e il sostegno dell’occupazione; per quanto riguarda le attività relative alla realizzazione, all’ampliamento, alla ristrutturazione e riconversione degli impianti industriali, all’avvio degli impianti medesimi e alla creazione, ristrutturazione e valorizzazione di aree industriali ecologicamente attrezzate, con particolare riguardo alle dotazioni e impianti di tutela dell’ambiente, della sicurezza e della salute pubblica”.

Si prevedeva che fosse la legge regionale - nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di efficienza ed economicità - ad individuare puntualmente le funzioni trasferite o delegate agli enti locali e quelle mantenute in capo alla regione stessa, ed in caso di mancata approvazione delle leggi regionali in materia si prevedeva l’intervento sostitutivo del Governo (si possono richiamare in tal senso il decreto legislativo 5 marzo 1998 n. 60 con cui il Governo esercita il potere sostitutivo nei confronti delle regioni Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Molise, Campania e Calabria, che non hanno provveduto, nei termini previsti, ad adottare i propri provvedimenti di trasferimento delle funzioni in materia di agricoltura e pesca agli Enti locali dei rispettivi territori, ed il decreto legislativo 30 marzo 1999, n.96 con riferimento alle regioni sopra richiamate ed al Lazio e alla Puglia e riguardante il sostegno alle imprese, l’industria, l’energia, le miniere, fiere, mercati e commercio, il turismo, il territorio e l’urbanistica, l’edilizia residenziale pubblica, l’ambiente e la protezione della flora e della fauna, le attività a rischio, i parchi e le riserve naturali, l’inquinamento delle acque, l’inquinamento acustico, atmosferico ed elettromagnetico, le risorse idriche e la difesa del suolo, le opere pubbliche, la viabilità, i trasporti, la tutela della salute, i servizi sociali, la formazione professionale).

L’art.7 della legge 59/1997, al primo comma, fissa un altro principio - da attuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (e cioè con atto amministrativo) - che segna conferimento a regioni ed enti locali di funzioni e compiti amministrativi: “Il trasferimento di beni e delle risorse deve comunque essere congruo rispetto alle competenze trasferite e al contempo deve comportare la parallela soppressione o il ridimensionamento dell’amministrazione statale periferica, in rapporto ad eventuali compiti residui”.

Per il riordino delle strutture statali, in relazione allo svolgimento dei residui compiti e delle restanti funzioni si prevedeva lo strumento del regolamento, da adottare con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentiti il Consiglio di Stato e l’apposita Commissione parlamentare.

Inoltre il comma 4 bis dell’art.7 - inserito con la legge 191/1998 - prevede l’istituzione di una addizionale comunale sull’IRPEF, con riduzione delle aliquote IRPEF in misura pari all’aliquota base dell’addizione comunale, salva una possibilità aggiuntiva attribuita ai Comuni

Tra le disposizioni abrogate espressamente dalla legge 59/1997 vi è l’art.3 della legge 382 del 1975 (che dettava “norme sull’ordinamento regionale e sull’organizzazione della pubblica amministrazione”): ai sensi di tale disposizione la funzione attribuita allo Stato di indirizzo e coordinamento delle regioni a statuto ordinario “attiene ad esigenze unitarie, anche con riferimento agli obiettivi della programmazione economica nazionale”..

Vengono al contempo ampliate le attribuzioni della Conferenza Stato-Regioni e la sua unificazione - per le materie e i compiti di interesse comune delle regioni, delle provincia e dei comuni - con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali.

Va evidenziato che tale processo di conferimento di compiti e funzioni dalla Stato alle regioni ed agli enti locali è accompagnato - per espressa previsione della legge n.59 del 1997 - da una serie di provvedimenti e misure che incidono complessivamente sulla struttura e sul funzionamento della Pubblica Amministrazione, ed in particolare il riordino dei Ministeri, la riforma della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il riordino degli enti pubblici nazionali e delle istituzioni di diritto privato e delle società per azioni controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nella promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo nazionale, il riordino dei sistemi “di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche” e del settore della ricerca scientifica e tecnologia.

Inoltre con la stesse legge delega si è avviata la modifica del decreto legislativo n.29 del 1993, che regola sia i rapporti di lavoro nella pubblica amministrazione che il sistema delle relazioni sindacali nei diversi comparti del settore pubblico, modifica che - come è noto - ha accelerato e definito termini e modalità della complessiva privatizzazione del pubblico impiego ed ha portato anche alla riforma della dirigenza.

Con riferimento alla “razionalizzazione e redistribuzione delle competenze tra i Ministeri” la legge n.589/1997, all’art.12 primo comma, detta quale criteri direttivi il tener conto “delle esigenze derivanti dall’appartenenza dello Stato all’Unione Europea” e dei conferimenti di compiti e funzioni a regioni ed autonomie locali, con l’obiettivo “in ogni caso” di ridurne il numero, e quello (lett.g) di “eliminare le duplicazioni organizzative e funzionali, sia all’interno di ciascuna amministrazione, sia fra di esse, sia tra organi amministrativi e organi tecnici,con eventuale trasferimento, riallocazione o unificazione delle funzioni e degli uffici esistenti, e ridisegnare le strutture di primo livello, anche mediante istituzione di dipartimenti o di amministrazioni ad ordinamento autonomo o di agenzie e aziende, anche risultanti dalla aggregazione di uffici di diverse amministrazioni, sulla base di criteri di omogeneità, di complementarietà e di organicità”.

Lo stesso articolo 12 detta, tra gli altri, i seguenti obiettivi e criteri: “procedere, d’intesa con le regioni interessate, all’articolazione delle attività decentrate e dei servizi pubblici, in qualunque forma essi siano gestiti o sottoposti al controllo dell’amministrazione centrale dello Stato, in modo che se organizzati a livello sovraregionale, ne sia assicurata la fruibilità alle comunità, considerate unitamente dal punto di vista regionale” (primo comma, lett. i); “riordinare le residue strutture periferiche dei Ministeri, dislocate presso ciascuna provincia, in modo da realizzare l’accorpamento e la concentrazione, sotto il profilo funzionale, organizzativo e logistico di tutte quelle presso le quali i cittadini effettuano operazioni o pratiche di versamento di debiti o di riscossione di crediti a favore o a carico dell’Erario dello Stato” (lett. l); istituire “un più razionale collegamento tra gestione finanziaria ed azione amministrativa, organizzando le strutture per funzioni omogenee e per centri di imputazione delle responsabilità” (lett. m); “garantire la speditezza dell’azione amministrativa e il superamento della frammentazione delle procedure, anche attraverso opportune modalità e idoneistrumenti di coordinamento tra uffici, anche istituendo i centri interservizi, sia all’interno di ciascuna amministrazione, sia fra le diverse amministrazioni” (lett. p); “organizzare le strutture secondo criteri di flessibilità, per consentire sia lo svolgimento dei compiti permanenti, sia il perseguimento di specifici obiettivi e missioni” (lett. q); realizzare i conseguenti processi di mobilità del personale.

Come si vede, la legge n.59 avvia un processo di radicale trasferimento e modificazione delle competenze accompagnato da un altrettanto radicale percorso di trasformazione dell’organizzazione della pubblica amministrazione nel suo complesso e del rapporto di lavoro nel settore pubblico. Necessariamente questo processo normativo, e le sue evoluzioni certamente non concluse (si pensi ai mutamenti che potrebbero seguire all’eventuale approvazione del disegno di legge costituzionale di cui abbiamo parlato) meritano di essere ampiamente analizzate anche sotto il profilo delle conseguenze che innescano sul piano dell’organizzazione e dell’attività sindacale in quelli che oggi costituiscono i diversi comparti del pubblico impiego.

La modifica dell’art.17 della legge 23 agosto 1988 n.400 prevede l’adozione di regolamenti, emanati dal Ministro competente di intesa con il Presidente del Consiglio dei Ministri e con il Ministro del Tesoro, per la conseguente organizzazione e disciplina degli uffici dei Ministeri.

È importante anche considerare i principi - rilevatori di una complessiva filosofia della riforma, e tra essi l’esigenza del contenimento del disavanzo pubblico - che vengono indicati nel quadro dell’obiettivo del riordino degli enti pubblici nazionali, e cioè la fusione o soppressione di enti con finalità omologhe o complementari, la “trasformazione di enti per i quali l’autonomia non sia necessaria o funzionalmente utile in ufficio dello Stato o di altra amministrazione pubblica”, la “trasformazione in associazioni o in persone giuridiche di diritto privato degli enti che non svolgono funzioni o servizi di rilevante interesse pubblico nonché di altri enti per il cui funzionamento non è necessaria la personalità di diritto pubblico”, la “trasformazione in ente pubblico economico o in società di diritto privato di enti ad alto indice di autonomia finanziaria”, il contenimento delle spese di funzionamento, “la programmazione atta a favorire la mobilità e l’ottimale utilizzo delle strutture impiantistiche”.

Ed ancora si prevede che ciascuna amministrazione istituisca sistemi per la valutazione dei risultati dell’attività amministrativa e dei servizi pubblici favorendo l’adozione di carte dei servizi e assicurando sanzioni in caso di loro violazione e “che ciascuna amministrazione provveda periodicamente e comunque annualmente alla elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati” (art.17, primo comma, lett.b, legge 59/1997), indicatori da collegare alla allocazione annuale delle risorse.

Accanto ai provvedimenti relativi al conferimento di funzioni e compiti a regioni ed autonomie locali ed alla riforma delle strutture della pubblica amministrazione nel suo complesso, la legge 59 del 1997 prevede la cosiddetta “delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi, anche coinvolgenti amministrazioni centrali, locali o autonomi” e l’incremento della potestà regolamentare.

I regolamenti debbono conformarsi ad alcuni criteri e principi, indicati dall’art.20, comma 5, della legge 59 ed integrati dalle previsioni contenute nella legge 191 del 1998. Si prevede in particolare: la “semplificazione dei procedimenti amministrativi, e di quelli che agli stessi risultano strettamente connessi o strumentali, in modo da ridurre il numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni intervenienti, anche riordinando le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei, sopprimendo gli organi che risultino superflui e costituendo centri interservizi dove raggruppare competenze diverse ma confluenti in una unica procedura” (lett. a); la “riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti” (lett. b); la regolazione in termini uniformi di procedimenti appartenenti allo stesso tipo che si svolgono presso diverse amministrazioni o diversi uffici della stessa amministrazione; la riduzione del numero dei procedimenti amministrativi; la semplificazione delle procedure di spesa e contabili; la “soppressione dei procedimenti che risultino non più rispondenti alle finalità e agli obiettivi fondamentali definiti dalla legislazione di settore o che risultino in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale o comunitario” (lett. g-bis); la “soppressione dei procedimenti che comportino, per l’amministrazione e per i cittadini, costi più elevati dei benefici conseguibili, anche attraverso la sostituzione dell’attività amministrativa diretta con forme di autoregolamentazione da parte degli interessati” (lett. g.ter); la sostituzione, ove possibile, con il regime autorizzatorio del regime concessorio e “la soppressione dei procedimenti che derogano alla normativa procedimentale di carattere generale, qualora non sussistano più le ragioni che giustifichino una difforme disciplina settoriale” (lett. g-quinques).-----

 

 

4. La legge 15 maggio 1997 n.127

 

È importante ricordare che la legge 59/1997, che dà il via ad una serie amplissima di decreti legislativi e di regolamenti nelle materie e con le finalità e i criteri che sono stati richiamati, è seguita di poco dalla legge 127 (la cd. Bassanini bis), che - sia pur non investendo le questioni relative al conferimento di compiti e funzioni amministrative a regioni ed enti locali - determina innovazioni significative anche con riferimento allo svolgimento delle funzioni amministrative e con riguardo alla vita degli enti locali.

In realtà gli aspetti per cui la legge 127 - anch’essa modificata ed integrata dalla legge 191 del 1998 - è più nota sono quelli della semplificazione delle norme sulla documentazione amministrativa, semplificazione da realizzare attraverso l’emanazione di regolamenti, nonché quelli più specifici relativi alle disposizioni in materia di stato civile e di certificazione anagrafica ed in materia di dichiarazioni sostitutive e di semplificazione delle domande di ammissioni agli impieghi. Ma la legge 127/1997 disciplina anche - modificando le precedenti previsioni della legge n.142 del 1990 - i regolamenti relativi all’organizzazione degli uffici di comuni e province nonché le funzioni dei dirigenti degli enti locali, la nomina dei direttori generali nelle province e nei comuni con popolazione superiore ai quindicimila abitanti, le assunzioni a tempo determinato nei Comuni, alcuni aspetti “in materia di equilibrio finanziario e contabilità degli enti locali”.

In particolare su tale ultimo punto si prevedono (art.9, terzo comma):

a) sistemi di verifica dell’attendibilità delle previsioni di bilancio da parte dei collegi dei revisori;

b) le sanzioni per gli amministratori, esclusa ogni limitazione ai diritti di elettorato attivo e passivo, quando il dissesto finanziario sia diretta conseguenze di azioni od omissioni dolose o colpose accertate secondo giusto procedimento;

c) procedure semplificate e celeri per la rilevazione e il pagamento dei debiti conseguenti al dissesto finanziario;

d) disposizioni per garantire il rispetto dell’obbligo di idonea copertura finanziaria nelle deliberazioni dei provvedimenti degli enti locali e per contenere il fenomeno dei debiti fuori bilancio”.

L’art.16 della legge, modificato dalla legge 191 del 1998, introduce disposizioni sui difensori civici delle regioni, i quali “su sollecitazione di cittadini singoli o associati, esercitano, sino all’istituzione del difensore civico nazionale, anche nei confronti delle amministrazioni periferiche dello Stato, limitatamente agli ambiti territoriali di rispettiva competenza, con esclusione di quelle che operano nei settori della difesa, della sicurezza pubblica e della giustizia, le medesime funzioni di richiesta, di proposta, di sollecitazione e di informazione che i rispettivi ordinamenti attribuiscono agli stessi nei confronti delle strutture regionali”.

L’ultimo articolo della legge 127, l’art.17 (“Ulteriori disposizioni in materia di semplificazione dell’attività amministrativa e di snellimento dei procedimenti di decisione e di controllo”), si articola in ben 138 commi. Si tratta di conferenze di servizi - istituto inserito dalla legge 7 agosto 1990 n.241 -, di valutazione di impatto ambientale, di accordi di programmi nell’ambito di progetti per la realizzazione di opere pubbliche, di questioni attinenti al pubblico impiego ed in particolare del “comando” del personale da un’amministrazione ad un’altra, di Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione, di consigli di indirizzi e vigilanza degli enti previdenziali (organismi istituiti con il decreto legislativo n.479 del 1994), di procedimento amministrativo, di pareri da rendersi da parte del Consiglio del Stato (con riduzione dell’area di intervento di questo organo consultivo), di riduzione dell’area del controllo di legittimità sugli atti amministrativi della regione e sugli atti degli enti locali, di trasformazione delle aziende speciali degli enti locali in società per azioni, di costituzione delle società per azioni da parte degli enti locali “per progettare e realizzare interventi di trasformazione urbana”, di segretari provinciali e comunali (con evidente trasformazione del ruolo e delle modalità di reclutamento ditale soggetto), di regolamenti comunali e provinciali in tema di termine e responsabile del procedimento amministrativo e di accesso agli atti.

Nel complesso un insieme di norme tendenti a “snellire” il procedimento, che riducono di fatto il numero e l’intensità dei controlli, che modificano nel loro insieme le modalità di svolgimento del procedimento amministrativo e di formazione degli atti e dei provvedimenti.

 

 

5. La mappa dell’attuazione delle leggi Bassanini e la riforma delle autonomie locali

 

Un ampia serie di provvedimenti legislativi ha preso il via dalla legge 59 e dalla 127 del 1997.

Ad esempio con decreto legislativo n.143 del giugno 1997 vengono conferite alle Regioni - che le esercitano direttamente o mediante delega agli Enti locali - le competenze già svolte dal Ministro delle Risorse agricole, alimentari e forestali, relative all’agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale ed alimentare. Con lo stesso decreto viene istituito il Ministero per le Politiche agricole, che svolge compiti di elaborazione e coordinamento delle linee di politica agricola, agroindustriale e forestale, in coerenza con quella comunitaria.

Con decreto legislativo n. 281 del 28 agosto 1997 vengono disciplinate le attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e la sua unificazione, per materie e compiti di interesse comune, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. La Conferenza tralaltro esprime il proprio parere sul disegno di legge finanziaria e sui collegati alla finanziaria, sul documento di programmazione economica e finanziaria.

Con decreto legislativo n.422 del 19 novembre 1997 si conferiscono a regione ed enti locali funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale. In particolare sono considerati servizi pubblici di trasporto di interesse nazionale i servizi di trasporto aereo, salvo quelli di ambito regionale, i servizi di trasporto marittimo, i servizi di trasporto automobilistico a carattere internazionale, i servizi di trasporto ferroviari internazionali e nazionali di percorrenza medio-lunga, i servizi di trasporto di merci pericolose, nocive ed inquinanti. Sono delegati alle Regioni funzioni e compiti di programmazione e di amministrazione inerenti ai servizi ferroviari in concessione alle Ferrovie dello Stato di interesse regionale e locale.

Con il decreto legislativo n.469 del 1997 viene disciplinato il conferimento alle Regioni e agli Enti locali di funzioni e compiti relativi al collocamento e alle politiche attive del lavoro, riservando allo Stato un ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento. Restano riservati allo Stato la vigilanza in materia di lavoro anche con riferimento ai lavoratori non appartenenti all’Unione europea; la conciliazione delle controversie individuali di lavoro; il raccordo con gli organismi internazionali. Risultano conferiti alle Regioni i compiti di collocamento ordinario, nonché i vari tipi di collocamento speciale. L’art.10 del decreto disciplina l’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro che può essere svolta, previa autorizzazione, da imprese o gruppi di imprese, da taluni tipi di società cooperative e da taluni tipi di enti non commerciali.

Il decreto legislativo 31 marzo 1998 n.112 costituisce la maggiore applicazione del primo capo della legge 59 del 1997, in quanto disciplina il generale conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli Enti locali. Il testo è ripartito in 164 articoli, distribuiti in cinque titoli, e riguarda compiti attinenti allo “sviluppo economico e attività produttive”, al “territorio, ambiente e infrastrutture”, ai “servizi alla persona e alla comunità” e infine alla “polizia amministrativa regionale e locale e regime autorizzatorio”. Il decreto, nell’ambito del conferimento di funzioni e compiti, attua una sensibile abrogazione di norme che prevedono la necessità di autorizzazioni amministrative e crea uno sportello per le attività produttive. Viene riservato allo Stato il potere di indirizzo e coordinamento in ordine alle funzioni ed ai compiti conferiti, nonché la possibilità di esercitare poteri sostitutivi (art.5 del decreto) nel caso di accertata inattività che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea o pericolo di grave pregiudizio agli interessi nazionali.

L’articolo 4, comma 7, del decreto chiarisce che tutte le funzioni e i compiti non espressamente riservati allo Stato vengono conferiti alle Regioni e agli Enti locali.

Il decreto legislativo n.443 del 29 ottobre 1999 ha peraltro inserito disposizioni correttive ed integrative del D.L.vo 112 del 1998 [decreto che sarà necessario analizzare più compiutamente nella seconda parte di questo lavoro].

Conviene citare ancora il D.L.vo n.123 del 31 marzo 1998: il decreto individua i principi che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive, con individuazione di diverse tipologie procedimentali (automatica, valutativa e negoziale). L aprocedura negoziale si applica agli interventi di sviluppo territoriale o settoriale, anche se realizzati da una sola impresa o da un gruppo di imprese nell’ambito di forme di programmazione concertata..

Oltre ai decreti 396/97 e 80/1998, riguardanti la materia del pubblico impiego, abbiamo una serie di provvedimenti relativi al riordino dei ministeri e degli enti pubblici, in primo luogo i decreti legislativi 30 luglio 1999 n. 300 (“riforma dell’organizzazione del governo”) e 29 ottobre 1999 n. 419 (“riordinamento degli enti pubblici nazionali”) [anche su tali provvedimenti sarà utile ritornare nella seconda parte del nostro lavoro].

Ed ancora si aggiunge l’insieme notevole dei regolamenti adottati per previsione delle leggi citate, e che costituisce materiale significativo ed attuale attraverso il quale si può comprendere lo stato generale di attuazione della riforma.

Altro elemento che vale la pena richiamare in questa sede [e sul quale ci soffermeremo nella seconda parte del dossier, sul prossimo numero di Proteo] è la complessiva riforma delle autonomie locali, intervenuta con legge 265 del 1999, nonché la pubblicazione del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 recante il “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”.

La prima parte del testo unico (che “contiene i principi e le disposizioni in materia di ordinamento degli enti locali”) è dedicata all’ordinamento istituzionale, con un primo titolo riservato alle disposizioni generali (autonomia, programmazione, statuti e regolamenti, partecipazione popolare, azione popolare, diritto di accesso, difensore civico), un secondo titolo ai soggetti (il titolo è articolato in cinque capi: Comuni, Province, Città Metropolitane, Comunità Montane, forme associative), un terzo titolo agli organi (consigli comunali e provinciali, giunte, sindaco e presidente della Provincia, ineleggibilità ed incompatibilità, sistemi elettorali, status degli amministratori locali), un quarto titolo all’organizzazione e al personale (con particolare riguardo alla dirigenza ed alla separazione dei compiti di indirizzo politico da quelli di gestione), un quinto titolo a servizi e interventi pubblici locali, un sesto titolo ai controlli sugli atti e sugli organi.

La seconda parte del Testo Unico degli Enti Locali è dedicata all’ordinamento finanziario e contabile, alla programmazione e ai bilanci, agli investimenti ed ai finanziamenti.. La terza parte è invece dedicata alle associazioni degli enti locali, ed è seguita da una lunga serie di abrogazioni di norme preesistenti.

Come fatto rilevare dagli osservatori, non si tratta di un testo unico di mera compilazione, essendo chiara la portata innovativa rivestita dalla raccolta di norme, che trae origine dalla delega conferita al Governo con l’art.31 della legge n.265 del 1999.

 

* * * * *

 

Il materiale normativo che si è accumulato nel corso degli ultimi quattro anni definisce una situazione in tumultuoso rinnovamento. Dove possa condurre questa nuova allocazione dei poteri è difficile dire: certamente la discussione sul decentramento non può essere sganciata dalle valutazioni generali in ordine alle grandi linee di trasformazione che segnano un progressivo svuotamento della funzione pubblica, sia sotto il profilo della generale capacità di direzione dei processi di natura economica e sociale che sotto il profilo della gestione di settori rilevanti della vita pubblica, ovvero quei settori dove sono in gioco le reali possibilità di accedere ai diritti di cosiddetta seconda generazione, quei diritti connotati socialmente, e che rischiano di essere cancellati nel generale attacco al welfare state. In questo senso anche la scomposizione dello Stato nazionale, determinata da una serie di processi storici e macroeconomici, rischia di divenire uno dei terreni in cui - senza la tenuta di alcun argine ed in termini micidiali - può dilagare la rottura di ogni sistema di protezione sociale e di ogni possibilità di incidenza della sfera pubblica nelle determinazioni che investono la vita collettiva ed i diritti dei singoli.

Anche sotto tale profilo, dopo aver delineato sul piano normativo le grandi linee delle trasformazioni istituzionali in atto, conviene analizzare le conseguenze che queste determinano nel concreto e quotidiano agire della pubblica amministrazione, sia nell’ambito di ciò che resta dell’amministrazione statale che con riguardo alle regioni ed alle autonomie locali, così come disegnate dalle recenti riforme o così come rischiano di divenire ad esito dei processi di trasformazione in atti, con particolare attenzione al mutamento dei processi lavorativi ed al significato ed alle prospettive dell’azione sindacale nel quadro modificato del settore pubblico.