Il ruolo della risorsa informazione nello sviluppo della new economy

Maria Rosaria Del Ciello

“La filosofia del secolo scorso è stata rivoluzionaria; quella del XIX secolo deve essere organizzatrice”.

(Claude-Henri de Saint-Simon, “Sulla riorganizzazione della società europea”)

“Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell’insieme da lontano. [...]

Il risultato umanitario copre quanto c’è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l’attività dell’individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorìo universale, dalla ricerca del benessere materiale alle più elevate ambizioni, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove vada questa immensa corrente dell’attività umana, non si domanda al certo come ci va. Solo l’osservatore, travolto anch’esso dalla fiumana, guardandosi attorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei soppravvegnenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch’essi, avidi anch’essi d’arrivare, e che saranno sorpassati domani.”,

(Giovanni Verga, “I Malavoglia”)

1. Premessa

L’autentica novità della nostra epoca è la formazione di un sistema globale che abbraccia tutte le società della terra. Il processo che conduce dal più noto sistema-paese ad un unico sistema mondo è infatti caratteristico dell’età contemporanea e prende le mosse dal capitalismo industriale e dall’egemonia planetaria che l’Europa ha esercitato per tutto il XIX secolo. A questo proposito è interessante il seguente brano tratto dai Principles di J.Stuart Mill:

“La straordinaria discesa dei costi dei mezzi di trasporto, che è uno dei grandi successi scientifici della nostra epoca, e la conoscenza che quasi tutte le classi della popolazione hanno ormai acquisita, o stanno per acquisire, circa le condizioni del mercato del lavoro nei paesi più remoti del mondo, hanno aperto una spontanea emigrazione da queste isole alle nuove terre oltre l’oceano, flusso che non tende a diminuire, ma anzi ad aumentare. L’emigrazione anziché uno sfogo occasionale sta diventando uno sbocco costante per l’eccedenza della popolazione: e questo fatto nuovo nella storia moderna, unitamente al flusso di prosperità prodotto dal libero scambio, ha concesso a questo paese sovrappopolato un temporaneo respiro, che potrà essere impiegato per realizzare quei progressi morali ed intellettuali in tutte le classi della popolazione, comprese quelle più povere” [1].

Il brano, sebbene scritto più di un secolo fa è di sconvolgente attualità e riesce a descrivere quali furono verso la fine del XIX secolo i primi passi mossi dal sistema economico e sociale verso quello che sarebbe stato, in seguito, chiamato col nome di processo di globalizzazione [2]. Due sono gli elementi chiave che J.S.Mill evidenzia:

• La diminuzione dei costi di trasporto;

• La conoscenza diffusa circa le condizioni del lavoro in paesi remoti.

Questi due elementi si sono oggi evoluti rispettivamente nella diminuzione del costo dei mezzi e servizi informatici e nella diffusione esponenziale delle informazioni, caratterizzando così quel processo di globalizzazione in cui il capitalismo non è più quello industriale, bensì quello della conoscenza e proprietà tecnologica, mentre l’egemonia planetaria non è più dell’Europa bensì degli Stati Uniti d’America.

In questo nuovo tipo di società lo scambio di informazioni ha raggiunto livelli impensabili solo un decennio fa, in conseguenza soprattutto dell’evoluzione della tecnologia elettronica posta al servizio, tra le altre cose, anche del progresso intellettuale.

Globalizzazione è un termine impegnativo, tuttavia molto elastico, le cui interpretazioni sono le più diverse possibili. La definizione ufficiale che ne dà l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) intende tale processo come quello “attraverso il quale mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più interdipendenti, in virtù dello scambio di beni e servizi e del movimento di capitale e tecnologia”. Questa definizione può e deve essere completata affermando che la globalizzazione prevede una competizione globale in un mercato che solo apparentemente è unico, ma che invece presenta una dimensione di aspra competizione mondiale in cui si vanno definendo le aree di influenza di almeno tre poli imperialisti: USA, UE e Giappone o area asiatica [3]. Se non ci si ferma alla semplice definizione, ma si vuole capire come e perché i mercati diventano sempre più interdipendenti, come e perché beni, tecnologia e capitali si scambiano oggi oltre i confini dei singoli paesi, occorre indagare sul significato reale del termine globalizzazione che suggerisce un avvenuto cambiamento qualitativo nella nostra società. Protagoniste indiscusse di questo cambiamento, che non assume sempre valenza positiva ma che anzi presenta spesso risvolti che incentivano le diseguaglianze economiche e sociali, sono quelle che vengono definite risorse elettroniche: programmi, testi, pagine web, archivi di dati, cataloghi di biblioteche (OPAC), fotografie, filmati, documenti sonori e tutte le informazioni che possono essere messe a disposizione soprattutto attraverso la moderna tecnologia informatica.

Così come è accaduto a suo tempo con la diffusione della stampa, l’“informazione” è a disposizione oggi di un numero sempre più elevato di utenti e ciò è stato amplificato negli ultimi anni dall’esistenza di Internet che rappresenta l’infrastruttura di quella che viene chiamata Società dell’informazione e di un nuovo modello economico che va sempre più affermandosi in Europa e nel mondo.

Alla luce di ciò possiamo chiederci come sia evoluto il concetto di “informazione” e se la “risorsa” da esso rappresentata, benché ampiamente diffusa tra la popolazione, sia equamente distribuita tra la stessa. Inoltre, qual è la facilità di accesso alle informazioni e quali gli strumenti e le garanzie che i pubblici poteri mettono in atto per agevolare i flussi informativi tra il pubblico? Ancora, può la risorsa informazione divenire strumento di potere nelle mani di pochi, alla stregua di ciò che avvenne per il capitale?

Con l’avvento di una società dell’informazione, si è recentemente affermata anche una nuova realtà economica che è quella che da più parti viene definita come new economy.

Il presente articolo si propone, quindi, di valutare il ruolo della risorsa informazione, struttura portante e determinante di questo nuovo tipo di società, all’interno dello sviluppo della new economy la quale non è altro che la naturale conseguenza del processo di globalizzazione economica.

La definizione di new economy è stata utilizzata nel recente vertice di Lisbona, intendendo con essa una “comune economia europea del sapere” sottolineando così l’importanza della risorsa informazione (nel senso più ampio di sapere, conoscenza): ciò fa però riferimento al modello statunitense di sviluppo basato sui consumi, un modello che esalta i valori di Borsa esponendo così i risparmi delle famiglie a seri rischi.

Tale modello si impone grazie all’avvento delle nuove tecnologie multimediali che hanno accresciuto la velocità di diffusione delle informazioni, ma anche la loro deperibilità, creando una sorta di piazza virtuale dove tutti vendono e comprano, tutti sperano e credono di poter diventare miliardari, senza nella maggior parte dei casi sapere cosa si produce. Le manifestazioni più eclatanti del ruolo dell’informazione nella new economy sono rappresentate dall’applicazione in misura esponenziale di Internet alle dinamiche aziendali e commerciali: e-commerce, nuove professionalità associate al web, pubblicità on-line, domain grabbing e così via.

Questo articolo, non ha l’ambizione di esaurire gli argomenti legati alla new economy, ma si propone semplicemente di offrire alcuni spunti sull’importanza dell’informazione nell’ambito dei nuovi scenari economici, partendo dall’analisi di Internet, della sua penetrazione nei settori produttivi e nelle famiglie, cercando di valutare quali modificazioni ha apportato nel mondo produttivo e quali influenze tali strumenti hanno sulla crescita dell’occupazione.

I servizi multimediali interattivi in rete (Mir), d’altra parte, comprendono una serie di servizi informativi rivolti all’utenza privata e di affari che rappresentano una vera e propria rivoluzione nello sviluppo evolutivo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Nel trattare Internet e le problematiche ad esso connesse occorre tenere presente che il World Wide Web è molto più di una semplice rete. Ciascuno dei suoi “componenti” - la tecnologia, i consumatori, gli offerenti di svariate tipologie di computer, la comunicazione, le informazioni, la creatività umana - sono in continua evoluzione. L’economia basata su queste componenti è tanto complessa quanto lo sono le componenti stesse. Cercare quindi di usare un singolo modello per spiegare e allocare in maniera efficiente tale vario e dinamico insieme di elementi è non solo inappropriato, è impossibile [4].

2. Il mercato evoluto

La società del 2000 è caratterizzata da quella che da più parti viene definita new economy.

Si tratta, in sostanza, di quello che potremmo definire un “falso concettuale”, in quanto qualsiasi economia nasce come “new” ed è destinata a divenire “old”, soprattutto se non rappresenta un semplice modello teorico ma una realtà che, oltre ad esprimere tendenze in atto sui mercati, implica anche modelli sociali e di comportamento che influiscono fortemente sulla vita quotidiana. Nel caso in esame, quindi, possiamo parlare di una evoluzione della old economy nell’ambito della quale il settore dei servizi alle imprese è cresciuto grazie agli sviluppi della tecnologia elettronica e informatica. Il terziario vive così una nuova era, arricchendosi di categorie che sembrano una naturale evoluzione di quelle già esistenti, grazie alla crescita del mondo della conoscenza.

Non ha molto senso quindi parlare di una nuova economia, separata da tutto ciò che l’ha preceduta e resa possibile; ha senso, invece, parlare di un mercato evoluto in cui gli scambi privilegiano beni ad alto contenuto tecnologico e sono essenzialmente resi possibili dal mezzo informatico.

La new economy non è altro che la conseguenza dell’affermarsi di quella società dell’informazione che sembra ormai dominare gli scenari economici e sociali.

Quella in cui viviamo è infatti la società dell’informazione globale, cioè dell’economia basata sulle conoscenze e tutte le economie avanzate dipendono oramai sempre più dalla capacità di elaborare, distribuire e utilizzare informazioni e conoscenze. In base ad una indagine dell’OCSE del 1996 [5]-based Economy”, 1996.]] oltre la metà del PIL complessivo delle economie avanzate si basa attualmente sulle conoscenze e la caratteristica peculiare di queste economie non risiede tanto nella gran quantità di informazioni che esse producono a beneficio dei consumatori, quanto nell’uso pervasivo delle conoscenze sia come input sia come output in ogni settore.

Da sempre la conoscenza è la fonte primaria della crescita economica nel lungo periodo, dalla rivoluzione agricola ai nostri giorni, anche se una differenza fondamentale c’è: oggi, grazie all’informatica, è possibile trasmettere a grandi distanze e a costi relativamente modesti una grande quantità di informazioni, accelerando così la spinta verso un’economia basata sulle conoscenze.

Come affermato nel Libro verde della Commissione europea del 1997 [6], lo sviluppo della società dell’informazione ha ricevuto impulso dai rapidi cambiamenti tecnologici che trasformano le industrie

dell’informazione con una velocità e con caratteristiche tali da porre nuove sfide ai responsabili politici. Si è generalmente concordi sul fatto che gli sviluppi dell’elettronica digitale e del software creino il potenziale tecnologico per un nuovo approccio alla diffusione e all’uso dei servizi d’informazione: meno d’accordo si è sulla portata di tali sviluppi e sui tempi richiesti. Secondo alcuni, le caratteristiche specifiche di ciascun settore limiteranno la portata della convergenza dei servizi: condizioni economiche e contenuto dei servizi d’informazione, cioè, devono essere regolamentati separatamente se se ne vogliono garantire l’efficacia e la qualità. Secondo altri la trasformazione rapida e completa degli attuali settori delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell’informazione saranno tali che aree oggi indipendenti finiranno col confluire in una sola, annullando le reciproche differenze. Ci sembra che finora questa sia l’ipotesi più realistica, anche se non del tutto accettabile, visto che attualmente l’interdipendenza tra settori sia sempre più marcata, accelerando la spinta verso la globalizzazione dell’economia e verso l’affermazione del potere delle “multinazionali” in campo informatico e tecnologico.

La base politica di queste argomentazioni è fornita dal concetto stesso di Società dell’informazione che prevede una logica che succede a precedenti epoche nello sviluppo economico del mondo industrializzato: la società feudale poggiava sulla forza lavoro, la società industriale sull’energia, la società dell’informazione, appunto, sull’informazione [7]. Lo sviluppo della società dell’informazione, rappresenta quello stadio di evoluzione economica caratterizzato da creazione di valore economico attraverso la produzione e l’uso dell’informazione, ossia attraverso la differenza tra il valore d’uso dell’informazione prodotta ed il suo costo [8].-----

Così mentre la rivoluzione industriale è stata determinata dal progresso tecnico dei sistemi di produzione e trasporto, la rivoluzione dell’informazione è alimentata dalle innovazioni che consentono di elaborare, conservare e distribuire le informazioni in modo sempre più rapido e sempre meno costoso. Mentre l’impresa espressa dalla rivoluzione industriale era fondata sulla produzione di massa e sullo sviluppo delle strutture di trasporto e logistiche, quella che sta emergendo dalla rivoluzione in atto fonda la propria ragion d’essere sulla capacità di coordinare tra di loro, attraverso le tecnologie dell’informazione i vari fattori produttivi interni ed esterni in funzione del mercato [9].

“Oggi il capitale informazione interviene pesantemente in tutto il modello produttivo postfordista poiché interessa non solo sistemi produttivi di beni, ma anche attività che comportano l’uso prevalente di tecnologia a base informatica-telematica utilizzando e producendo a loro volta nuova informazione.

La risorsa immateriale informazione-comunicazione nella società dell’attuale tardo capitalismo post fordista risulta economicamente indispensabile; è il fondamento dello scambio, la soddisfazione dei nuovi bisogni umani, coincide con l’identità stessa delle persone, condiziona e determina identità, ruolo sociale” [10].

L’evoluzione delle informazioni ha prodotto un importante mutamento nella moderna funzione imprenditoriale [11]: le risorse informative sono determinanti nel contesto imprenditoriale poiché ogni unità decisionale, o decisore aziendale, ha bisogno di cercare, acquisire ed elaborare informazioni per realizzare una gestione economica equilibrata. L’azienda che si inserisce in mercati sempre più complessi deve elaborare e trasmettere flussi informativi qualitativamente sempre più elevati in parallelo al crescere della complessità ambientale in cui viene ad operare. La capacità aziendale non è quindi solo quella di reperire informazioni, ma soprattutto di utilizzarle in maniera competitiva rispetto alla concorrenza.

Ciò che le nuove tecnologie rendono possibile è, non solo la costituzione di nuovi settori industriali, ma soprattutto la modificazione della struttura e dell’attività dei settori esistenti.

Ed è proprio il mercato, inteso come manifestazione della domanda della collettività dei consumatori, ad essere il vero protagonista degli scenari che si stanno configurando.

È possibile parlare di un mercato che si fonda sulla concezione di informazione come risorsa economica e come parte del patrimonio di una organizzazione perché la società dell’informazione è una realtà caratterizzata dalla progressiva applicazione ai vari campi della vita economica e sociale delle tecnologie dell’elaborazione e della trasmissione a distanza della “risorsa informazione”. Il termine risorsa indica, nell’accezione ad uso aziendale, una entità (tangibile o intangibile) usata dall’azienda per il raggiungimento dei propri obiettivi. Le risorse intangibili, pur non riflettendo una misura tangibile della gestione economica aziendale, sono tuttavia determinanti per l’evoluzione di lungo periodo del sistema-azienda: risorse umane e cultura aziendale, espresse da qualifiche professionali, conoscenza, formazione, idee, creatività, in una parola sola da “informazione”, costituiscono la risorsa chiave del capitale intangibile [12].

Il concetto di “risorsa informativa” è secondo Lynch [13] un complesso di basi di dati e di applicazioni informatiche che rendono accessibili tali basi di dati ad una vasta comunità di utenti.

Abbiamo così diverse definizioni di informazioni:

Informazione in linea: informazione elettronica commerciale, distribuita a pagamento dall’industria dell’informazione in linea;

Informazione in rete: informazione elettronica originata e distribuita gratuitamente su Internet;

Informazione elettronica: comprende oltre che 1) e 2) anche l’informazione su supporto ottico;

Risorsa informatica di rete: oggetto o servizio interattivo disponibile nella rete in senso lato che potrà esprimersi come:

files (testi, immagini, archivi numerici strutturati, audio o video digitali, programmi per computer)

servizi interattivi (es. servizi di conferenza elettronica)

aggregazioni di informazioni (basi di dati, archivi elettronici accessibili via Ftp, archivi di messaggi di conferenze elettroniche).

L’informazione è quindi ormai una risorsa importante al pari di capitale e lavoro, tanto che il “fattore produttivo immateriale informazione” è determinante per i processi di incremento valoriale d’impresa e dell’intero sistema capitalistico [14] che caratterizzano gli attuali scenari economici.

“È il capitale informazione e quindi di conseguenza i modelli comunicazionali ad esso associati, che va a costituire la risorsa chiave del capitale intangibile e in questo senso lo si può definire capitale dell’astrazione. Si può anzi sostenere che tutte le risorse che direttamente o indirettamente derivano dall’informazione sono capitale dell’astrazione cioè insieme di risorse invisibili che si rivelano sempre più in grado di far acquisire vantaggi competitivi e a valenza strategica. (...). Il capitale informazione è strategico per imporre le dinamiche darwiniste del capitalismo selvaggio per la determinazione dei superprofitti, di incrementi valoriali d’impresa, per l’esplosione delle forme di accumulazione flessibile” [15].

A questo proposito è interessante notare come la diffusione pervasiva delle informazioni sia paradossalmente accompagnata da una profonda ignoranza sulla maggior parte dei fenomeni da parte della collettività: sembra strano ma più le notizie sono diffuse più sono in pochi a conoscerle e utilizzarle. Questo perché uno dei problemi sottostanti la new economy è la divaricazione tra potenzialità ed utilizzazione, tra fruitori e non fruitori della modernità. In altre parole quello che può facilmente verificarsi sono delle false aspettative o visioni ideali. La potenzialità tecnologica, l’innovazione, spesso non trovano applicazione e questo in parte a causa della velocità con cui le innovazioni stesse si susseguono, in parte per l’incapacità dell’individuo di star dietro a tali cambiamenti e quindi di farli culturalmente propri. D’altra parte nel settore dell’informatica il proliferare di un’amplissima e diversificata tipologia di apparati e la conseguente offerta di numerose soluzioni ai vari problemi rendono più ardui gli orientamenti e le previsioni in un contesto molto frammentato per ciò che riguarda gli standard: standard che vengono spesso imposti dalle maggiori società che dominano il mercato [16].

“In quella che viene definita new economy la comunicazione è una comunicazione per la comunicazione, che riproduce se stessa e non comunica null’altro che cultura del profitto e tende saldamente a diventare comunicazione nomade deviante, totale, globale; anch’essa merce, una merce strategica che trasmette la cultura dell’impero del capitale in un mercato ormai mondializzato, in cui la crisi di produzione è del tutto soppiantata ma allo stesso tempo sostituita da quella della distribuzione sociale dei beni, del reddito e della ricchezza complessivamente e socialmente realizzata” [17].

3. La net economy e l’e-commerce

Quanto sia centrale il posto occupato dall’informazione nel contesto dei nuovi scenari economici è dimostrato dalla crescita del fenomeno Internet e dell’economia ad esso legata. L’economia di Internet rappresenta lo studio del mercato dei servizi legati a Internet [18]. In questo mercato la nuova rete costituirebbe il volano dell’economia e della società dell’informazione avendo come effetto principale la possibilità di comprimere il tempo più che lo spazio [19]. Infatti nessun altro prodotto o servizio di successo ha conosciuto un’evoluzione rapida come è successo per Internet. I cambiamenti che la rete implica sono stati e si prefigurano talmente veloci che chi non riesce ad anticipare i tempi rischia di essere tagliato fuori dal mercato e dagli eventuali vantaggi del suo evolvere.

In tale contesto i nuovi servizi e attività resi possibili dalle diverse tendenze tecnologiche e di mercato possono influire su tutte le fasi della nostra esistenza: dalla vita familiare a quella lavorativa, dalla maniera di condurre gli affari alla maniera di vivere. Oggi, in molti casi è possibile usare il computer per collegarsi alla propria banca, prenotare i biglietti teatrali, acquistare lo stesso computer: affinchè ciò sia possibile gli utilizzatori devono sentirsi a proprio agio, utilizzare le nuove tecnologie con facilità e sicurezza, e il quadro normativo ha un compito importante da svolgere per far sì che gli utenti abbiano fiducia nella nuova realtà.

Uno scenario del genere mette profondamente in crisi la teoria economica classica, in particolare il principio che essa esprime di scarsità. In senso tradizionale, infatti, non si può parlare di scarsità delle conoscenze in quanto più si usano e si trasmettono più esse proliferano. A differenza dei beni tradizionali le conoscenze e le informazioni, rese disponibili attraverso la Rete, sono caratterizzate dalla loro possibilità di “espandersi all’infinito”, nel senso che il loro utilizzo da parte di un maggior numero di persone non ne provoca l’esaurimento: a essere scarsa nella nuova economia è la capacità di capire e usare le conoscenze. È su questa scarsità quindi che occorre focalizzare l’attenzione, cercando di capirne le cause e se nel caso rimuoverle.

In Italia, per quanto riguarda Internet, esiste un gap notevole con i Paesi più avanzati. Alcune ragioni di questo gap sono da ritrovare in:

• dislivelli di reddito pro capite

• diversa penetrazione dei P.C. in uffici e case

• differenziali nei livelli di istruzione e alfabetizzazione informatica

• differenze nei consumi culturali (libri, giornali, etc.)

Può essere interessante osservare le seguenti tabelle:

L’Italia mostra i livelli di crescita più bassi del P.I.L. e di spesa in R&D: il livello di reddito pro capite è basso se confrontato con quello degli altri paesi e va d’accordo con un relativo modesto mercato dell’informatica, anche se in crescita rispetto agli anni precedenti. -----

Come si evince chiaramente dalla tabella 5 altri fattori che possono essere chiamati in causa per spiegare il ritardo italiano sono i bassi livelli di spesa per IT, sia in percentuale del PIL che rispetto ai singoli occupati. Ciò porta fatalmente il nostro Paese a registrare:

• una ridotta informatizzazione della Pubblica Amministrazione rispetto ai partners europei

• una scarsa natalità e vitalità di imprese in settori di attività basati sulle tecnologie

• una ridotta propensione agli investimenti in innovazione

Le forze della liberalizzazione e della globalizzazione stanno determinando sulla scena mondiale fenomeni di portata storica, che minacciano la sopravvivenza delle strutture economiche e sociali più fragili e meno pronte ad adattarsi al nuovo contesto. La soluzione sembra quella di stimolare l’investimento in innovazione, dove questo investimento sembra uno dei fattori fondamentali per far diminuire la disoccupazione.

Tra le innovazioni più eclatanti degli ultimi tempi c’è senza dubbio quella che ha reso possibile il Commercio Elettronico: anche in questo caso il motore principale del fenomeno è stato l’evolversi di Internet che ha accelerato la trasformazione già in atto nel processo generale di raccordo produzione-distribuzione-consumo.

Ma la filosofia a cui fa riferimento il concetto di Commercio elettronico è ancora una volta quella della globalizzazione dei mercati, mediante l’impiego di sistemi elettronici la cui origine deriva dagli studi sviluppati negli anni ’80 presso le organizzazioni di ricerca del Ministero della difesa statunitense [20].

Come può notarsi dalle tabelle 6 e 7, il fenomeno dell’e-commerce (in termini di introiti monetari) sembra aver registrato tassi di incremento via via crescenti, nel corso del tempo, e le previsioni per il futuro sembrano confermare questo trend crescente.

Occorre però fare attenzione a quelli che Roberto Azzano chiama i falsi miti [21] e cioè ai luoghi comuni legati allo sviluppo dell’economia di Internet. Si afferma spesso che “on line è piccolo” intendendo con ciò che le nuove tecnologie favorirebbero le realtà minori a svantaggio delle maggiori. Questa tesi è però discutibile se significa che la fase di introduzione e decollo dei nuovi servizi, tra cui il commercio elettronico, sarà dovuto al ruolo delle piccole imprese. Infatti, come spiega Azzano, costruire portafogli di offerta accettabili o acquisire tecnologie per garantire l’erogazione dei nuovi servizi, implica un insieme di investimenti al di fuori della portata di aziende di piccole dimensioni. Quindi se la soglia di accesso ai nuovi mercati si abbassa, la possibilità di incidere a livello di mercato richiede l’entrata in campo delle grandi società di servizi. Ciò non fa altro che favorire le imprese di grosse dimensioni a danno delle minori, sfatando così la convinzione che un’economia del genere favorirebbe la proliferazione delle piccole realtà imprenditoriali.-----

Altro luogo comune è quello secondo cui i nuovi canali on line eliminerebbero l’intermediazione, creando un rapporto diretto tra produttore e cliente. Anche se è vero che con le reti ipermediali tutti sono in contatto con tutti, che l’accesso è diffuso e poco costoso, è vero anche che essendo l’informazione sovrabbondante, diventa complesso il suo reperimento e la sua conseguente analisi. La complessità del processo d’acquisto rimane alta, anche se le variabili che influiscono su questa complessità sono diverse da quelle che agiscono sul reperimento di informazioni fuori dalla rete: si passa da una necessita’ di ottimizzazione della logistica del territorio ad una necessità di ottimizzazione della logistica cognitiva. Le regole cambiano, le competenze anche, e quindi anche se ci sarà bisogno ancora di intermediari, questi dovranno avere una natura completamente diversa da quella degli intermediari commerciali che siamo abituati a conoscere [22].

Le nuove tecnologie impongono, quindi, la costruzione di una nuova intermediazione fatta di staff specializzati e risorse hardware e software ad hoc, se è vero che nel lungo periodo i costi sarebbero inferiori a quelli dalla tradizionale intermediazione, è vero anche che sarebbero richieste operazioni di marketing altamente complesse e investimenti iniziali cospicui che solo le grandi imprese potrebbero affrontare. Anche in questo caso viene danneggiata la piccola impresa che difficilmente riesce ad avere le risorse necessarie per operazioni di questo genere e i cui lavoratori non riescono a beneficiare di adeguati investimenti in formazione professionale.

Non dimentichiamo poi che l’industria legata ad Internet è caratterizzata dalla logica degli increasing returns, per cui le aziende leader, ovvero quelle di maggiori dimensioni, riescono a distaccarsi sempre più facilmente dalle concorrenti. Questo fenomeno tipico dei settori knowledge-based trova una conferma nelle ultime analisi di mercato relative al fatturato mondiale della pubblicità via Internet: l’80% di questo volume d’affari si concentra su 35 siti [23].

4. Come cambia il mondo del lavoro: le nuove figure professionali

In questo sistema capitalistico la new economy è, quindi, espressione di una società in cui gran parte del lavoro e del tempo libero che ha a che fare con la comunicazione e la gestione delle informazioni è una percentuale crescente di ogni attività umana. Idealmente in questo tipo di società la tecnologia elettronica dovrebbe permettere di adattare i messaggi alle specifiche esigenze del singolo: nella realtà invece l’informazione non assume quei criteri di democratizzazione, ubiquità, indipendenza dal tempo e dallo strumento di accesso, perché l’innovazione, intesa, quest’ultima, come processi di miglioramento dell’organizzazione del lavoro, non è quasi mai al servizio della collettività.

Il mondo delle imprese e la conseguente organizzazione del lavoro sono modificati giorno dopo giorno dagli sviluppi della telematica. La Società dell’informazione fa sentire, infatti, i suoi effetti sulle attività produttive e sulle tendenze del mondo del lavoro in diversi modi:

• Variano le qualifiche della forza lavoro, ma solo perché cambia la manodopera richiesta;

• Aumenta lo sviluppo di nuove mansioni e attività, ma queste non si vanno ad aggiungere alle precedenti, semplicemente le sostituiscono.

Se diamo uno sguardo alle condizioni del mercato del lavoro in Europa notiamo che il tasso di disoccupazione in quest’area si mantiene su livelli elevati, circa tre volte quelli registrati agli inizi degli anni settanta. I problemi paiono concentrarsi in determinati gruppi, come le donne, i giovani, i lavoratori anziani e quelli meno qualificati. La dimensione regionale della disoccupazione è rilevante in alcuni paesi dell’area e la disoccupazione di lunga durata è un problema grave, comune a tutti i paesi. Nell’area dell’euro la disoccupazione è aumentata nel tempo: per la popolazione femminile il tasso di disoccupazione si è mantenuto costantemente superiore a quello relativo ai maschi. Fin dai primi anni ottanta il tasso di disoccupazione femminile si colloca in media 4,9 punti percentuali al di sopra di quello maschile. L’elevato divario che nell’area dell’euro persiste tra la disoccupazione maschile e quella femminile indica l’esistenza di ostacoli strutturali alla crescita dell’occupazione, che agiscono soprattutto a danno delle donne: un livello più basso di istruzione, la mancanza di servizi di custodia dei bambini a prezzi accessibili, i regimi fiscali e quelli assistenziali.

Un altro aspetto del mercato del lavoro nell’area dell’euro è il continuo aumento del tasso di disoccupazione delle persone in età compresa tra i 55 e i 59 anni. Alla fine degli anni 90 esso superava il 10 per cento, un livello doppio rispetto a quello dei primi anni ottanta. Il fenomeno da attribuire principalmente all’aumento della disoccupazione maschile in questa fascia di età, deriva in parte dalle ristrutturazioni su vasta scala intervenute in taluni comparti industriali. Le competenze dei lavoratori più anziani occupati nei settori industriali in declino non coincidono con quelle richieste dai settori in espansione.

Così pure l’evoluzione del mercato del lavoro negli ultimi 20 anni non ha favorito i lavoratori scarsamente qualificati, una categoria il cui tasso di disoccupazione è aumentato: oltre il 22% dei disoccupati si collocano nella categoria dei lavoratori scarsamente qualificati.

Infine, un altro importante aspetto dei mercati del lavoro nell’area dell’euro è la forte incidenza della disoccupazione di lunga durata. Nel 1998 nell’area suddetta i disoccupati da oltre un anno erano più del 50% del totale, e quelli che lo erano da più di due anni sfioravano un terzo della disoccupazione complessiva. Quello della disoccupazione di lunga durata è un problema generalizzato nei mercati del lavoro dell’area dell’euro: la sua incidenza è elevata in tutti gli stati membri, compresi quelli con un basso tasso di disoccupazione. Una possibile spiegazione del fenomeno è che le caratteristiche strutturali di questi mercati del lavoro hanno contribuito a far cristallizzare aumenti di disoccupazione dovuti a shock economici sfavorevoli.

L’esistenza di una elevata disoccupazione può essere dovuta a fenomeni di mismatch - cioè di diversa composizione della domanda e dell’offerta di lavoro - che sorgono a vari livelli. Può accadere che vi siano posti disponibili ma che i lavoratori restino disoccupati perché non dispongono delle qualifiche richieste.

Gli elevati livelli di disoccupazione di lunga durata nell’area dell’euro segnalano l’esistenza di una vasta fascia di lavoratori non facilmente reintegrabili nel mercato del lavoro. Trascorrere un lungo periodo senza lavorare può rendere obsoleto il capitale umano delle persone e far sì che le imprese esitino ad assumerle [24].

Negli ultimi anni un fattore importante di creazione di posti di lavoro nell’area dell’euro è stato l’espansione del lavoro a tempo parziale. Tra il 1995 ed il 1999 esso è salito dal 14,2 al 16,7 per cento dell’occupazione totale.

È aumentato anche il lavoro a tempo determinato che nel 1999 interessava il 14,9 per cento dei dipendenti a fronte del 13,2 per cento del 1995.

I cambiamenti tecnologici hanno inciso molto sull’organizzazione del lavoro, in modo da rendere possibili i fenomeni ora citati. In particolare:

1. È aumentato il numero dei lavoratori a tempo parziale o con contratto di lavoro atipico;

2. Sono cambiati i bisogni formativi e modalità di accesso alla formazione per i lavoratori.

Quello che è stato e viene incentivato è il ricorso al c.d. lavoro atipico, che in Italia comprende una gamma molto vasta di rapporti, che va dal lavoro parasubordinato, al lavoro temporaneo (interinale), ai contratti a tempo determinato, ai contratti di formazione e lavoro, a istituti specifici come i piani di inserimento professionale, le borse lavoro, gli stages. Queste ultime stanno a metà tra rapporto di lavoro breve e percorso formativo, alcune di queste forme non attivando rapporti di lavoro vero e proprio, nemmeno a tempo determinato, ma costituendo forme speciali di inserimento al solo scopo formativo.

I soggetti più interessati al lavoro atipico sono generalmente i soggetti più deboli ovvero i più giovani, alcuni dei quali portatori di sapere e professionalità innovative, utilmente spendibili sul mercato del lavoro e i pensionati. Per una parte, anch’essa consistente, si tratta di persone che acconsentono ad attivare tali forme di prestazione lavorativa, in assenza di altre possibilità.; infatti non sono rari i rapporti di lavoro ‘’parasubordinato’’ che impegnano persone in attività non particolarmente qualificate.

I settori più interessati al lavoro parasubordinato sono quelli connessi alle tecnologie dell’informazione e, più in generale, le attività tradizionalmente definite ‘’di servizio’’ e quelle più esposte a processi di esternalizzazione.

Non è del tutto vera l’affermazione secondo cui si tratta solo di attività ad alto contenuto professionale; l’attuale assenza di normative consente anche abusi motivati solamente dalla convenienza economica dell’impresa committente.

Anche immaginando acquisite norme di legge e norme contrattuali in grado di eliminare le forme più immotivate le imprese guadagnano con tali contratti in flessibilità e adattabilità del lavoro, mentre al lavoratore viene prospettata l’idea di poter gestire con ampia autonomia i propri tempi di lavoro e di vita, e di poter attivare rapporti di committenza con più imprese contemporaneamente.

Sta di fatto che chi è impegnato in questo tipo di attività non è integrato nel ciclo produttivo e ciò ha conseguenze negative soprattutto sul piano della formazione.

Occorre quindi in tempi brevi una legge che definisca almeno i requisiti base per l’instaurarsi di un rapporto di lavoro cosiddetto di terzo genere, né tradizionalmente subordinato, né tradizionalmente autonomo. Devono essere fissati i diritti di queste persone e deve essere indicato in quali casi è ammissibile e ragionevole attivare rapporti di lavoro di questo genere, e in quali casi invece si tratta di una mascheratura e, se non proprio di lavoro nero, di una forma anomala di occupazione. Inoltre la contrattazione collettiva su questa base dovrà espandere il sistema delle tutele e anche dei controlli.

Risulta particolarmente significativo a questo riguardo il confronto tra il 1997 ed il 1998 per quanto riguarda la scomposizione per tipo di contratto [25]: nel 1998 aumenta significativamente il personale in particolar modo per i contratti cosiddetti atipici:

• A conferma del fatto che il sistema imprenditoriale punta molto sulle forme di lavoro atipico nel corso del ’99 i contratti a tempo indeterminato subiscono una rilevante riduzione passando a 117,5 in media per azienda, con una diminuzione di quasi il 9% rispetto all’anno precedente. Tra i contratti part-time, quelli a tempo indeterminato sono i più numerosi (2,6 persone coinvolte nel ’97 e 2,9 nel ’98), anche in questo caso l’andamento previsto per quest’anno è in diminuzione.

• Le persone contrattualizzate a tempo determinato passano da 1,9 a 2,3 in media per azienda nel 1998, ed un’ulteriore crescita è attesa per il ’99. Tendenza opposta la troviamo nei contratti a tempo determinato part-time (da 0,8 addetti per azienda nel ’97 a 0,4 nel ’99).

• I contratti di formazione e lavoro a tempo pieno passano da 11,3 nel ’97 a 17 nel ’98, i valori stimati per il 1999 però segnano una diminuzione (10,3). Il numero delle persone assunte con contratto di formazione e lavoro part-time è in numero davvero irrilevante ed in diminuzione nel corso del 1999.

• Gli occupati in stage erano 0,2 in media nel ’97, diventano 0,9 per azienda nel ’98 e nel corso del 1999 raggiungono il valore medio di uno stagista per azienda.

• Molto significativo è l’aumento dei contratti di collaborazione. I collaboratori esterni passano da 2,7 per azienda nel ’97 a 4,3 nel ’98 con un aumento del 59,3%. Anche i collaboratori a tempo parziale sono in forte crescita, seppur interessando solo una minima parte degli occupati (circa 0,2 per azienda).

Il problema dell’adeguamento professionale dei lavoratori è sempre più evidente: serve manodopera qualificata e quindi bisogna urgentemente confrontarsi con la formazione di esperti in tecnologie della comunicazione e informazione. In sostanza, manca la “manodopera” sofisticata richiesta dall’economia del Terzo Millennio. La domanda di personale qualificato per lavorare sul Web cresce a ritmi esponenziali e non trova sbocchi sufficienti: oltre mezzo milione di posti di lavoro, secondo il rapporto Eito, non sono stati riempiti nel 1998 per la mancanza di risorse umane adeguate. Agli attuali ritmi di crescita, il gap è destinato ad allargarsi: nel 2002, a meno di interventi di ampio respiro nella formazione, oltre 1,6 milioni di impieghi non troveranno candidati nei paesi europei. “Le conseguenze sono allarmanti: riduzione del tasso di crescita dell’economia, limitato aumento della produttività, crescente utilizzo di risorse di origine extra-europea. In questo settore, le iniziative pubbliche e private sono ancora insufficienti; è necessario moltiplicare gli sforzi e programmare enormi investimenti nell’addestramento, nell’istruzione e nella riqualificazione”  [26].

Risulta evidente che con l’applicazione in massa delle nuove tecnologie informatiche non scompare il lavoro, come invece spesso da più parti si sente affermare: scompare invece il “fordismo”, la forma di organizzazione produttiva che ha dominato il ’900. La nuova organizzazione del lavoro sostituisce la flessibilità all’antica rigidità del fordismo che favoriva il gesto ripetitivo e la subordinazione ad una gerarchia centralizzata. Questo non deve tuttavia confortare poichè si crea quello che è stato definito “cybertaylorismo”, in quanto le nuove tecnologie eliminano i tempi morti e aumentano le possibilità di controllo.-----

Ed infatti, la comunicazione, secondo il principio della flessibilità sociale, deve perseguire obiettivi mirati a controllare i lavoratori anche attraverso sollecitazioni ed incentivi economici con il fine di concertare le decisioni a partire dalla conoscenza delle opinioni dei lavoratori. Il principio della flessibilità sociale e del lavoro viene ad essere applicato quindi come sistema del controllo sociale [27].

5. Conclusioni

Così l’informazione, più spesso in forma digitale, è la materia prima della “nuova economia”. L’energia indispensabile per trasformare questa materia prima non è l’elettricità, ma l’elettronica, mentre le reti digitali (tra le quali Internet svolge un ruolo determinante) costituiscono il mezzo di trasporto per portare a destinazione l’informazione sotto tutte le sue forme, ivi compresi il suono e l’immagine. La concorrenza diventa universale, in particolare su Internet. La “nuova economia” è globale, privilegia gli oggetti immateriali, come per esempio l’informazione, ed è strettamente interconnessa.

Che l’ideologia della new economy provenga dagli Stati Uniti non deve stupire poichè gli Stati Uniti sono stati il fulcro ed il motore della globalizzazione finanziaria che, nella società americana ha causato l’indebolimento dell’apparato industriale e la sua subordinazione ai settori più strettamente collegati ai processi finanziari. L’indebolimento dell’industria ha prodotto una caduta nei posti di lavoro ben pagati in favore di occupazioni precarie.

Strutturalmente la new economy esiste da molto tempo, da almeno trent’anni. I prodotti dell’information technology hanno costituito la componente più dinamica degli investimenti dalla metà degli anni Sessanta.

Informatica, globalizzazione e flessibilità sarebbero quindi al centro di una terza rivoluzione industriale: i sistemi in rete sono capaci di produrre in funzione delle esigenze particolari di ogni cliente e moltiplicano quindi il mercato potenziale.

Così facendo, però, si perde di vista che ciò che c’è di nuovo nelle tecnologie dell’informazione non è la tecnologia digitale quanto la trasformazione in merce di tutta una parte dell’attività umana: la comunicazione. L’affermazione della telematica e dei mezzi di comunicazione sempre più sofisticati ha provocato una decisa evoluzione del concetto di comunicazione: non più semplice processo di trasmissione di informazioni a prevalente carattere commerciale, ma come capacità organizzativa di acquisire consenso nel sociale (...) capace di finalizzare le conoscenze e i comportamenti organizzativi al fine di trasmettere l’idea-azienda nell’intera società [28].

Se è vero però che “ogni modello di impresa è il frutto delle condizioni economiche della storia, delle tradizioni e della cultura del paese nel quale agisce” [29], allora il modello di impresa che si sta sempre più affermando nel nostro paese sta anche cercando di smentire questa affermazione. Quello che infatti caratterizza sempre più il sistema imprenditoriale emergente è una massiccia imitazione di modelli oltreoceano: precarietà del lavoro subordinato, azionariato diffuso, prevalenza di attività finanziaria speculativa a danno del fattore produttivo lavoro. Si afferma cioè sempre più quel liberismo selvaggio proprio del modello capitalistico anglosassone, in cui dominano l’aggressività, l’individualismo, e nel quale si vorrebbe far prevalere sempre più la finanziarizzazione dell’economia, legata alle logiche dei grossi potentati finanziari internazionali [30].

In questa situazione, fuori da ogni possibile controllo degli stati, il capitale precisa la sua funzione matura e, dall’integrazione globale semplice, dovuta a rapporti produttivi tradizionali meramente internazionalizzati, passa ad una integrazione globale complessa, dove i sistemi produttivi, commerciali, contabili e finanziari, si diffondono fino a quando l’azienda può essere definita come virtuale. La società madre, in questo scenario, affidando la produzione a filiali e subcontrattisti in diversi paesi, sfrutta razionalmente a proprio vantaggio le differenze fra leggi e condizioni locali per l’investimento, la produzione, i servizi. Si tratta, in sostanza, di quella divisione del lavoro un tempo esistente all’interno della singola impresa e che oggi è invece proiettata all’esterno. Tali dinamiche globali non rappresentano altro che la lotta del capitale contro la caduta del saggio di profitto, causata da fattori quali l’aumento del grado di sfruttamento della forza-lavoro attraverso la riduzione del salario al di sotto del valore medio della forza-lavoro.

L’integrazione tra telecomunicazioni e informatica è, quindi, alla base del processo di globalizzazione che caratterizza gli attuali scenari economico-sociali. Idealmente questo processo viene descritto nel seguente modo: le nuove tecnologie riducono il costo delle comunicazioni, favorendo la globalizzazione della produzione e dei mercati finanziari. Quest’ultima, a sua volta, stimola il progresso tecnologico, intensificando la concorrenza e accelerando la diffusione delle nuove tecnologie attraverso investimenti esteri diretti [31].

Tale processo, anche se di modernizzazione, ha prodotto gerarchie e diseguaglianze macroscopiche tra Nord e Sud del mondo. Resa possibile grazie ai progressi nelle tecnologie della comunicazione, all’insegna di un capitalismo divenuto un sistema mondiale privo di concorrenti, la globalizzazione tende ad accrescere l’interdipendenza tra tutte le società, alterando i confini e le distinzioni tra le società.

La contiguità spaziale viene, allora, meno come criterio di regionalizzazione ed è sostituita da flussi finanziari e di informazioni tramite reti computerizzate che accentuano la contiguità temporale degli eventi prefigurando un sistema-mondo unitario. La globalizzazione che caratterizza l’economia mondiale si lega alla rivoluzione nelle comunicazioni ed indica un processo di propagazione di certe attività economiche e di certe imprese su scala globale, che non si arresta di fronte a barriere territoriali o giuridiche. E tutto ciò significa che le economie sono tutte intrecciate tra loro in un unico mercato competitivo [32].

Tale sistema non è però necessariamente omogeneo o privo di conflitti.

Alla fine del XVIII secolo la macchina a vapore ha provocato la rivoluzione industriale favorendo l’ascesa del capitalismo, la nascita della classe operaia e l’espansione del colonialismo, così come oggi Internet e le autostrade della comunicazione sono vigorosi fattori di impulso e intensificazione degli scambi [33]. Tuttavia alla fine del Settecento se si affacciava un nuovo modo di produrre ricchezza, il progresso che ne conseguiva non attenuava, anzi accresceva i conflitti e le turbolenze sociali favorendo il totalitarismo e il socialismo reale: così oggi l’unificazione del mercato mondiale può produrre disastri o benefici a seconda di come viene interpretata e guidata [34].

Il sistema capitalistico globale ha creato un terreno di gioco molto irregolare. Il divario tra ricchi e poveri è sempre maggiore.

Il capitalismo crea ricchezza ma non dà garanzie di rispetto della libertà, della democrazia e dello stato di diritto. Il mondo degli affari è motivato dal profitto, non è fatto per salvaguardare principi universali. Gli interessi personali non sono sufficienti neppure alla protezione del mercato stesso: i partecipanti sono in competizione per vincere e, se potessero, eliminerebbero la concorrenza. Così la libertà, la democrazia e lo stato di diritto non possono essere affidati alle forze di mercato, c’è bisogno di salvaguardie istituzionali [35].

Due sono gli aspetti più attuali della new economy:

1. La net-economy;

2. Il mercato delle telecomunicazioni

1) Net economy. Essa è tuttora in crescita ed ha trasformato lo spazio virtuale del web da spazio libero e anarchico per la diffusione delle conoscenze in piazza del mercato, anzi dei mercati, poiché molteplici sono le configurazioni che il web assume e va assumendo. Abbiamo così il semplice spazio di e-commerce, in cui si promuove la vendita di prodotti, ma anche vere e proprie “aste Internet” in cui i prezzi sono predeterminati ma dinamici, ovvero contrattati momento dopo momento.

Lo scambio di informazioni attraverso un mercato elettronico centralizzato è differente dall’invio di un messaggio elettronico attraverso Internet in quanto un mercato elettronico centralizzato permette di manipolare le informazioni, catalogandole, verificandole, datandole, criptandole, insomma utilizzandole nel modo più redditizio a chi lavora in questo tipo di mercato e, molto probabilmente, a danno dei soggetti proprietari di queste informazioni.

La net economy è poi rappresentata da quelli che in America si chiamano day trader, ovvero giocatori di borsa su Internet: professionisti della compravendita di azioni tramite il web che stanno facendo proseliti anche fra chi su azioni e fondi di investimento investe qualche risparmio in modo, diciamo, amatoriale.

I numeri americani resi noti dalla Securities Industries Association dicono che il 18 per cento, l’8 per cento in più rispetto al 1998, degli investitori utilizza il web per fare affari mentre il 45 per cento utilizza i servizi web di società di intermediazione finanziaria.

E in effetti il tempo reale che Internet assicura sembra nato per i mercati finanziari dove il minuto è già un tempo infinito e può influire in modo pesante su una transazione. D’altra parte sulla Rete si seguono le borse di tutto il mondo, le news letter finanziarie inondano di notizie le mail box ad una velocità che nessun broker o banca del mondo può garantire e soprattutto si può comprare e vendere.

Un colpo di acceleratore alla velocità delle transazioni e soprattutto alla velocità delle informazioni finanziarie che rischia però di diventare incontrollabile e di portare fuori strada, perché si gioca e si scommette su un terreno virtuale, ma se si perde si perdono soldi reali, un rischio che davanti al terminale di un Pc spesso tende ad essere dimenticato [36].

E questo spiega la grossa ondata speculativa che ha caratterizzato e continua a caratterizzare l’economia di questo terzo millennio: basti pensare all’aumento dell’85,6% registrato nel 1999 dal solo Nasdaq, il mercato americano in cui sono quotate la maggior parte delle società tecnologiche: tipicamente quelle legate all’informatica ed alla comunicazione.

Sappiamo però che nell’economia finanziaria esiste un particolare problema detto dell’asimmetria informativa, che si verifica quando i diversi partecipanti presenti su un mercato non hanno, e in alcuni casi non possono avere, le stesse informazioni. Il caso più importante di asimmetria informativa è quello di una banca, o altro intermediario, che può fungere da filtro informativo tra investitori e prenditori. Nelle imprese gli unici depositari di tutte le informazioni sono i “managers”, mentre le principali vittime dell’asimmetria informativa sono i titoli azionari: il relativo mercato sconta infatti l’opinione che i managers non trasmettano tutte le informazioni a loro disposizione.

L’altra grande critica nei confronti della “nuova economia” riguarda i rischi che fa correre all’economia reale. Dal 1997, si è formata una vera e propria bolla speculativa in Borsa intorno alle società Internet. Queste ultime, che lungi dall’essere redditizie a volte accumulano addirittura perdite record, conoscono tuttavia dei livelli di valorizzazione notevoli in Borsa.

“In generale la comunicazione finanziaria deviante assume una forte valenza informativa a carattere sociale il cui obiettivo principale è quello di coinvolgere gli strati popolari, i piccoli risparmiatori in qualità di fondamentali operatori economici che incidono sulle evoluzioni e sui mutamenti dell’assetto finanziario complessivo dell’impresa, agendo sull’andamento dei titoli emessi e dei titoli acquisiti in portafoglio in chiave utile, così al grande capitale in quella determinata fase economico-borsistica.(...) I flussi comunicazionali sono orientati quasi esclusivamente non più alla conquista di fette di mercato per la singola impresa ma ad un interesse di omologazione alla cultura e al modo di essere della società competitiva del profitto.

Le aspettative borsistiche mantengono in vita la quasi totalità del commercio e-mail. Megasocietà come Amazon.com continuano ad esistere grazie a queste aspettative dato che non generano profitti dal volume delle transazioni correnti. In realtà società del tipo Amazon operano strategicamente in perdita vendendo a margini negativi o nulli. Gli ottimisti sostengono che una volta affermata la propria reputazione simili aziende potranno ristabilire i margini di profitto che, nel lungo periodo, saranno più elevati di quelli della old economy. Tale tesi non sembra convincente perché una delle caratteristiche dell’e-commerce è la mancanza di lealtà dalla parte dei clienti che possono spostarsi verso il prezzo più basso utilizzando il Web. Inoltre il prezzo Web deve essere significamente inferiore a quello dei punti fissi.

2) Mercato delle telecomunicazioni. È il mercato che sta realizzando i maggiori profitti in questi ultimi tempi, grazie anche alle prospettive del UMTS (Universal mobile telecommunications system), la terza generazione di telefonia mobile (dopo TACS e GSM) che garantirebbe una velocità di trasferimento dei dati 200 volte superiore a quella attuale. Attraverso l’applicazione di questo nuovo sistema sarà possibile, attraverso i telefoni cellulari a banda larga navigare in Internet e utilizzare la posta elettronica, collegarsi a un computer, effettuare acquisti e pagare inserendo direttamente il bancomat nel telefonino, accedere ad una serie di servizi, come tra gli altri, la visualizzazione dell’estratto di conto corrente bancario o la possibilità di seguire l’andamento delle quotazioni di borsa.

L’UMTS rappresenta l’offerta convergente tra Internet e telecomunicazioni mobili, ma coinvolge investimenti molto elevati. Inoltre comporta per i Governi la vendita delle frequenze con dei costi molto elevati per utente.

La tecnologia UMTS è considerata da molti strategica per l’incremento della crescita economica, ma ciò non sembra tanto realistico se è vera l’ipotesi che l’UMTS avrebbe un target di clientela definito e limitato, in quanto caratterizzato da necessità sofisticate. Se poi pensiamo che l’UMTS è la diretta applicazione di Internet alla telefonia mobile e a quanto sia ancora poco sviluppato l’utilizzo di Internet da parte della popolazione nel suo complesso, questo farebbe pensare che anche la tecnologia UMTS, a dispetto degli enormi investimenti che sta smuovendo, non possa avere degli sviluppi considerevoli, o perlomeno non così incisivi sulla crescita economica.

Forse il dibattito sulla nuova economia dovrebbe piuttosto trasformarsi in un dibattito sullo scontro tra il Capitale ed il Lavoro. Nel contesto delle nuove tecnologie, la riapertura della discussione dei rapporti tra capitale e lavoro dovrebbe avvenire all’interno di un quadro analitico in cui domina il concetto di immiserizing growth. Nel passato tale concetto veniva applicato ai paesi in via di sviluppo. Tuttavia l’evoluzione socio-economica degli Stati Uniti mostra che l’immiserizing growth è al cuore dell’attuale dinamica economica fondata sulla doppia flessibilità del lavoro imposta alla grande maggioranza delle famiglie americane. Inoltre la velocità di propagazione della “Net economy” è ben lungi dall’essere la stessa in tutto il mondo. Mentre i paesi del Nord investono miliardi di dollari in infrastrutture (fibre ottiche, telefonia mobile, generalizzazioni della strumentazione informatica nelle scuole e nelle amministrazioni ecc.) quelli del Sud, per mancanza di soldi, restano al traino. Dopo aver mancato la rivoluzione industriale, rischiano di perdere ogni possibilità di agganciarsi all’economia mondiale.

Scriveva Owen più di un secolo fa: ”È opinione diffusa tra i teorici dell’economia che l’uomo può provvedere a se stesso meglio e in modo più vantaggioso quando tutto è lasciato alla sua iniziativa privata, quando cioè è in concorrenza con i suoi simili (...). Tuttavia, quando finalmente conosceranno se stessi e scopriranno i meravigliosi effetti che la cooperazione e l’unione possono produrre, gli uomini riconosceranno che l’attuale organizzazione della società è la più antisociale, la più impolitica e irrazionale che si possa immaginare”  [37].

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[1] J. Stuart Mill, Principi di economia politica, UTET, Torino, 1956.

[2] Per una ampia descrizione del concetto di “globalizzazione” e delle tematiche ad esso connesse si consulti il sito http://www.sinistra.net/lib/upt/quader/let/qualetgloi.html

[3] Vasapollo Luciano, Martufi Rita, Comunicazione deviante. L’impero del capitale sulla comunicazione, MediaPrint Edizioni, 2000.

[4] 4 McKnight Lee W., Bailey Joseph P., Internet Economics, Cambridge, MIT, 1997.

[5] OCSE, “The Knowledge

[6] Libro Verde sulla convergenza tra i settori delle telecomunicazioni, dell’audiovisivo e delle tecnologie dell’informazione e sulle sue implicazioni normative, Commissione Europea, Bruxelles, 1997, in: http://www.ispo.cec.be/convergencegp

[7] Basili Carla, La biblioteca in rete, Milano, Editrice Bibliografica, 1999.

[8] Mandelli Andreina, “Internet, la conoscenza e la fiducia: prime riflessioni sull’economia delle risorse immateriali nel cyberspazio”, Milano, SDA Bocconi, in: http://www.tin.it/osservatorio_bocconi/papfidu.htm

[9] Scott Walter Giorgio, “Il commercio elettronico: un nuovo scenario competitivo”, in: http://www. ilsole24ore.it/informatica

[10] Martufi Rita, Vasapollo Luciano, “Comunicazione deviante. L’impero del capitale sulla comunicazione”, MediaPrint Edizioni, 2000.

[11] Martufi Rita, Vasapollo Luciano, “Profit State, redistribuzione dell’accumulazione e reddito sociale minimo”, Napoli, La Città del Sole, 1999.

[12] Vasapollo Luciano, “Nuove frontiere del capitale intangibile come risorsa strategica per il management aziendale del 2000”, International Review of Sociology, n.1/1994.

[13] Lynch C., Preston C.M., “Internet Access to Information Resources”, Annual Review of Information Science and technology, vol. 25, 1990.

[14] Martufi Rita, Vasapollo Luciano, “Comunicazione deviante. L’impero del capitale sulla comunicazione”, MediaPrint Edizioni, 2000.

[15] Martufi Rita, Vasapollo Luciano, op.cit.

[16] “Oltre il 2000. VII Rapporto sulla tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia”, in: http:// www.forumti.it

[17] Martufi Rita, Vasapollo Luciano, “Comunicazione deviante. L’impero del capitale sulla comunicazione”, MediaPrint Edizioni, 2000.

[18] McKnight Lee W., Bailey Joseph P., Internet Economics, Cambridge, MIT, 1997.

[19] Grazzini Enrico, “Piccole imprese crescono on line”, L’IMPRESA, n.9/1997.

[20] Marturano Nicola, “Dall’EDI al commercio elettronico”, in: CNEL, La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia. Rapporto 1998 (Forum per la Tecnologia dell’informazione), Milano, 1998.

[21] Azzano, Roberto, “Attenzione ai falsi miti”, L’IMPRESA, n. 6/1998.

[22] Mandelli Andreina, op. cit.

[23] Botti Carolina, Cervini Paolo, “La rivoluzione bussa al computer”, L’IMPRESA, n.9/97.

[24] “Evoluzione e caratteristiche strutturali dei mercati del lavoro nell’area dell’euro”, Bollettino mensile della Banca Centrale Europea, maggio 2000.

[25] Informatica e lavoro. Dinamiche Occupazionali nelle Aziende Italiane di Software e Servizi IT, Ricerca 1999 a cura di IDC Italia, in: http://www.ilsole24ore.it/24oreinformatica/biblioteca/

[26] Rapporto Eito (European information technology observarory) 2000, “Italia star della crescita tecnologica”, in: http://www. ilsole24ore.it/informatica

[27] Martufi R., Vasapollo L., Comunicazione deviante. L’impero del capitale sulla comunicazione, MediaPrint Edizioni, 2000.

[28] Martufi R., Vasapollo L., op. cit.

[29] Martufi R., Vasapollo L., op. cit.

[30] Martufi R., Vasapollo L., op. cit.

[31] Woodell Pam, “Economia Globale”, The Economist, settembre, 1996.

[32] Bonalumi Gilberto, “Le incognite della democrazia globale”, Politica Internazionale, n.3/1995.

[33] Ramonet Ignacio, “La nuova economia”, Le Monde Diplomatique, marzo 2000.

[34] Vertone Saverio, “Fine della politica? Non se ne parla nemmeno”, Il Sole 24 Ore, 21/3/2000.

[35] George Soros, “Se il capitalismo è contro la democrazia”, la Repubblica, 2 agosto 2000).

[36] Owen Robert, “Rapporto alla Contea di Lanark”, 1820.

[37] Owen Robert, “Rapporto alla Contea di Lanark”, 1820.