Il sindacalismo di base contro il G8

Emidia Papi

La partecipazione della CUB al Genoa Social Forum si è caratterizzata da subito con un accento particolare sul piano dei contenuti che tendeva a mettere in risalto uno specifico angolo visuale e cioè le ripercussioni della globalizzazione, o ancora meglio della competizione globale, sul mondo del lavoro; evidenziando così come le decisioni prese in questi vertici abbiano portato allo smantellamento dello Stato sociale, all’abbassamento dei salari, alla privatizzazione dei servizi, alla flessibilità del lavoro, all’aumento della disoccupazione, al precariato.

In nome della globalizzazione le conquiste dei lavoratori e le esigenze dei settori popolari sono state sottoposte ad un attacco che ha riportato la situazione indietro di mezzo secolo, non solo nei paesi industrializzati ma anche in quelli in via di sviluppo.

Il movimento antiglobalizzazione nel nostro Paese si era espresso chiaramente sul fatto che queste misure hanno provocato il ritorno di malattie scomparse, l’emigrazione forzata di milioni di uomini e donne, la devastazione dell’ambiente, oltre ad un uso della scienza forzatamente finalizzata all’accrescimenti dei profitti; meno attenzione veniva dedicata agli sconquassi provocati da anni di arretramenti o di patti sociali che hanno indebolito il movimento de lavoratori, ai sacrifici imposti dalle misure liberiste che hanno fatto crescere una domanda di opposizione, di resistenza e lotta anche su questi terreni.

In tal senso è stata significativa l’accettazione da parte della CUB, ma anche dello SLAI Cobas e dell’USI, della proposta di convocare uno sciopero generale per il 20 luglio, avanzata da tutto il Genoa Social Forum al mondo sindacale.

Naturalmente la FIOM, presente nel GSF, si è ben guardata dal fare propria tale richiesta, anzi la sua contrarietà a tale proposta, e anche l’evidente fastidio con cui ha dovuto digerire la nostra presenza, è all’origine dell’oscuramento totale sia della proclamazione dello sciopero sia della conseguente manifestazione nazionale del 20 a Genova, che fino all’ultimo non è stata assunta tra le iniziative ufficiali riconosciute dal GSF per la giornata del 20 Luglio.

Un intenso lavoro di preparazione sui luoghi di lavoro, sostenuto da un appello firmato da oltre cinquecento delegati eletti nelle Rappresentanze Sindacali Unitare, partito dall’assemblea nazionale dei delegati RSU delle RdB del Pubblico Impiego tenutasi a Roma il 1° Giugno, ci ha permesso di capire come fosse diffusa tra i lavoratori la coscienza che questi vertici servono a pianificare misure economiche e sociali tese a rafforzare lo strapotere delle multinazionali e a far convergere i governi, di qualunque colore politico ed orientamento essi siano, su interessi che contrastano con quelli del mondo del lavoro, dei pensionati, dei disoccupati, dei giovani, delle donne.

La scelta di manifestare il 20 con un corteo di lavoratori nella zona operaia di Sampierdarena, nel Ponente della città, non era quindi una scelta di separatezza dal resto del movimento, scaturiva dall’esigenza di evidenziare fortemente i contenuti della mobilitazione, considerato anche il fatto che nelle settimane immediatamente precedenti i contenuti delle stesse mobilitazioni “ufficiali” indette dal GSF venivano oscurati da un crescendo di dichiarazioni, che si rincorrevano tra di loro, tese a trasformare in un fatto mediatico il virtuale assalto alla zona rossa.

Sui pericoli derivanti da questo fatto, la CUB e lo SLAI Cobas hanno tentato di riportare il dibattito non sugli assalti virtuali ma sui contenuti delle mobilitazioni.

Oltre diecimila lavoratori hanno partecipato alla manifestazione nonostante il problema costituito dalla divisione in due della città e dalla mancanza di mezzi pubblici di trasporto, cosa che ha impedito a molti, giunti con i treni, di raggiungere il luogo del concentramento.

Partendo da P.zza Montano il corteo si è snodato fino a P.zza Di Negro, con migliaia e migliaia di persone provenienti da tutte le regioni con una massiccia presenza di lavoratori pubblici, della sanità, degli enti di previdenza, degli enti locali, dei ministeri, di metalmeccanici, di chimici, ma anche di studenti e disoccupati e con la partecipazione solidale dei Genovesi che applaudivano e spesso si univano a noi. Alla manifestazione erano presenti anche la Federazione Anarchica Italiana, l’USI e delegazioni straniere, greche e turche.

Momenti di tensione si sono vissuti durante il percorso, a causa di un massiccio spiegamento di polizia dall’aria nervosa e agitata, ma soprattutto nella piazza d’arrivo che era chiusa per metà da consistenti cordoni di PS e CC pronti alle cariche.

La decisione di rifare in senso inverso il corteo è scaturito proprio dalla necessità di non esporre le migliaia di lavoratori presenti ad aggressioni brutali che oltretutto avrebbero oscurato il senso della protesta, come purtroppo è avvenuto nei giorni seguenti a causa del tragico epilogo con cui il Governo ha voluto dare il via ad un’imponente repressione di massa, con l’assassinio di Carlo Giuliani, con le cariche al corteo dei trecentomila del 21 e con l’incursione alla Diaz e gli avvenimenti della caserma Bolzaneto.

Non è il caso qui di intervenire sullo specifico di quanto è successo a Genova, ma nei giorni precedenti il G8 la CUB e lo SLAI, intuendo i pericoli derivanti dall’eccessiva spettacolarizzazione dell’evento e delle manifestazioni antivertice, avevano indirizzato al movimento antiglobalizzazione una lettera aperta, che riportiamo a pagina 2.

Per settimane e settimane, infatti, i mass media rincorrevano i ‘portavoce’ dell’area antagonista, a caccia dello scoop e del pezzo di colore, della dichiarazione reboante, gioco a cui purtroppo molti si son prestati, senza rendersi troppo conto che la situazione era cambiata rispetto ai tempi del Governo di centro sinistra, quando le rappresentazioni simboliche dello scontro potevano ancora reggere; anche se un’avvisaglia si era già avuta a Napoli il 17 Marzo scorso, in occasione della manifestazione contro il Global Forum, conclusasi con violente cariche della polizia, dei carabinieri e perfino della Guardia di Finanza.

Il Governo cercava lo scontro e la presenza di esponenti del governo nelle centrali di comando delle operazioni e nelle caserme lo testimonia. Già a Goteborg, ma anche a Nizza e a Praga, era risultato chiaro che i fautori della finanziarizzazione dell’economia, i pianificatori della distruzione dei diritti di interi popoli, i profeti del libero mercato, non sarebbero scesi a patti con nessuna della rivendicazioni del movimento. Ma era anche chiaro che non avrebbero sopportato a lungo che il movimento potesse crescere magari saldandosi con quei settori sociali e con quelle aree del mondo che soffrono degli effetti della ‘globalizzazione’.

Le trasformazioni profonde della società, i profondi cambiamenti avvenuti a livello di relazioni produttive e sociali, con l’emarginazione della stragrande maggioranza dei giovani, tagliati fuori da prospettive di vita decenti anche nei paesi più sviluppati, soggetta a lavori precari, interinali, malpagati, l’affermarsi di politiche oscurantiste nei confronti delle donne, la scomparsa di rapporti di solidarietà sociali, la disumanizzazione della vita nelle grandi metropoli; in una parola la violenza insita nella società dominata dalla finanza e dai super profitti, stanno provocando delle reazioni, dei sommovimenti, che se ancora non trovano forma compiuta e riferimenti politici ben solidi, sono tuttavia veri e pericolosi per il potere.

Per questo era necessario dare un segnale molto forte e preciso contro tutti quelli che non ci stanno ad arrendersi alla logica del capitale e dell’ordine costituito.

Ma questo, insieme alla necessità della saldatura tra il movimento antiglobalizzazione e il movimento dei lavoratori su contenuti seri e antagonisti, non è stato ben compreso.

Il richiamo ossessivo all’unità nelle differenze, alle diversità che arricchiscono va bene ma non quando tutto ciò si trasforma in ipocrita dimenticanza di tutte le responsabilità che la CGIL, la FIOM, hanno avuto in questi anni nella distruzione dello Stato sociale, nell’invocare le privatizzazioni a partire dalle pensioni, per finire con le telecomunicazioni, l’energia, i trasporti.

Il movimento è antiliberista e contro le privatizazioni? Dovrebbe chiedere al sindacato confederale dove stava quando si liberalizzava e si privatizzava tutto il sistema bancario pubblico, quando si svendeva la Telecom ai ‘capitani coraggiosi’, quando si parlava di fondi pensionistici privati? La CGIL sosteneva il Governo di centro sinistra che procedeva spedito sulla ali della modernità, la FIOM entrava nella gestione del fondo COMETA, il fondo pensionistico privato dei metalmeccanici, mentre dava il suo benestare ai piani di ristrutturazione della Telecom che finora hanno prodotto oltre diecimila posti di lavoro in meno, un contratto ben peggiore del precedente e qualche miglio di prossimi esuberi.

Dove stava la CGIL quando la concertazione tagliava stipendi, salari e pensioni,non stava forse concordando su tassi di inflazione presunti, programmati si dice, e lontani almeno quattro volte dal vero aumento del costo della vita?

Dove stava quando il governo introduceva il lavoro interinale e la massima flessibilità? Non stava forse creando le sue agenzie di lavoro temporaneo?

Scambiare il protagonismo politico di Cofferati - in crisi di rappresentanza per la caduta del governo amico e per la crisi potenzialmente dissolutiva dei DS - e la copertura a sinistra che gli offre la FIOM, per una dislocazione antagonista del sindacato italiano maggiormente responsabile dello sbandamento, della divisione e corporativizzazione del movimento sindacale italiano, sarebbe veramente miope.

A meno che tutto ciò non nasconda invece un’altra realtà e cioè la sostanziale confusione nel riconoscere le coordinate strutturali della globalizzazione; il ruolo imperialistico dell’Europa, che non è il regno della democrazia e del compromesso sociale contrapposto al modello anglosassone, in competizione con l’altro polo imperialista, gli Stati Uniti; il ruolo di sostanziale e convinto sostegno dato dalla sinistra italiana alla nascita dell’Euro.

Dovremmo ricordarci delle finanziarie di lacrime e sangue attuate dai governi del centro sinistra per permettere l’ingresso dell’Italia nella moneta unica e forse anche della prima guerra ufficialmente combattuta dal nostro Paese da mezzo secolo in qua, contro la Yugoslavia.

Alla decisione di partecipare a quella guerra si opposero solo le organizzazioni sindacali di base che mobilitarono i lavoratori anche con la proclamazione di uno sciopero generale; tutta la CGIL, compresa la FIOM, l’accettò come una contingente necessità!

Purtroppo la realtà è ben più dura delle rappresentazioni simboliche dello scontro. Pensiamo che il movimento antiglobalizzazione nel nostro Paese debba fare un’ approfondita riflessione sulle analisi, sui contenuti delle lotta, sulle alleanze, se vuole avere un ruolo reale nel futuro.