Competizione globale e identità sociale

Filippo Viola

L’analisi-inchiesta promossa da Cestes-Proteo ha un connotato che merita attenzione. Intende realizzare una sorta di simbiosi di due versanti della ricerca: il versante dei processi materiali, che investono il sistema capitalistico di produzione, e il versante dei processi immateriali, che attraversano l’universo della soggettività, dell’identità e della coscienza collettiva.

Il compito non è di facile attuazione. Per lunga e consolidata tradizione, nell’area culturale della sinistra i due versanti di analisi non solo appaiono divaricati, ma anche fortemente squilibrati. In tale area, i processi materiali vengono studiati in tutti i loro aspetti, mentre i processi immateriali stentano a conquistarsi la dignità di accesso all’analisi scientifica. E quando vengono chiamati in causa, non si va oltre un doveroso riferimento nominalistico.

Il tentativo in corso di coniugare le due facce dell’analisi è dunque quanto mai opportuno. Facendo parte del gruppo di lavoro, lascio ad altri la valutazione dei risultati finora raggiunti. Il compito che mi è stato affidato è ben delimitato: riferire brevemente sui punti salienti dei contributi che compaiono nell’ultimo volume pubblicato [1], senza la pretesa di rendere in poche battute lavori di un certo impegno e dando per scontato il rischio di ridurre a schemi analisi articolate e complesse.

1. Competizione globale e delocalizzazione della produzione

L’analisi parte da una precisazione che è alla base dell’impostazione delle ricerche promosse da Cestes-Proteo. La cosiddetta globalizzazione si configura sempre più come competizione globale, che porta alla delocalizzazione della produzione.

Nel primo contributo [2] vengono individuati gli eventi politici ed economici che negli ultimi anni hanno modificato gli assetti del mercato mondiale, provocando forti cambiamenti nelle relazioni internazionali. C’è intanto da registrare una crescita esponenziale delle importazioni, delle esportazioni ed in particolare degli investimenti diretti esteri. Il capitale produttivo e l’investimento finanziario interagiscono reciprocamente, al fine di disporre della massa-denaro che permetta di destabilizzare l’economia o meglio di imporre la “stabilità” voluta dai grandi blocchi geopolitici.

La mutazione profonda del sistema capitalistico di produzione
 determinata dalla competizione globale - non ha comportato soltanto modifiche contabili o nella bilancia dei pagamenti. Ha anche prodotto, in tendenza, una significativa modifica della composizione di classe (questione trattata specificamente in un’altra parte del volume).

Su scala nazionale, in Italia il sistema industriale è dominato dai grandi gruppi dell’industria manifatturiera. Le modalità di accumulazione si definiscono sempre più nell’ambito dei settori finanziari ai quali l’investimento industriale si è adattato e sottomesso. Si avvertono però segnali di un conflitto intercapitalistico per il ritorno al predominio dell’investimento produttivo.

2. L’internazionalizzazione produttiva in Italia

Un contributo specifico viene dedicato alla internazionalizzazione produttiva italiana [3]. In passato tale concetto sottintendeva la crescita dell’impresa in mercati al di fuori dei confini nazionali. Oggi invece con tale espressione si intende parlare non solo dello sviluppo di attività all’estero o dell’attività di imprese estere nel territorio nazionale, ma anche di una attenuazione delle differenze di modalità operative.

Le forme più semplici di internazionalizzazione sono costituite dal saldo netto delle esportazioni, da forme di scambio di licenze, brevetti, marchi e degli investimenti diretti esteri. Va poi considerato un altro fattore che influenza le varie forme di internazionalizzazione produttiva. Si tratta dell’innovazione tecnologica e delle spese per ricerca e sviluppo.

Sulla scena della competizione globale l’Italia è decisa ad avere un ruolo di primo piano. In ciò è avvantaggiata dalle relazione politiche ed economiche con i paesi dell’Europa dell’Est, in quanto a loro legata da vincoli storici oltre che dalla contiguità territoriale.

3. Il ruolo dello Stato competitivo

La questione che è al centro del successivo contributo [4] è il ruolo di classe dello Stato. C’è chi, anche a sinistra, ritiene ormai inutilizzabile la categoria di “comitato d’affari della borghesia” come chiave di lettura dello Stato. Tuttavia questa categoria coglie la sostanza del ruolo dello Stato nel sistema politico ed economico del capitale.

La devastante offensiva antioperaia ha via via liquidato ogni pretesa di neutralità o di universalità dello Stato del capitale e lo ha ricondotto alla sua funzione storica. La privatizzazione dei servizi, i tagli alle spese sociali, la riorganizzazione della previdenza e della sanità, l’organizzazione apertamente antipopolare del sistema fiscale, corrispondono ad una precisa funzione dello Stato. Esso deve gestire il continuo trasferimento di ricchezza dal lavoro alla rendita finanziaria e al profitto.

In questo quadro, le rivendicazioni sociali su cui era stato costruito lo Stato sociale non hanno più ragione di essere. L’internazionalizzazione della produzione richiede uno Stato forte e flessibile, in sostanza uno “Stato competitivo”, capace di stare dentro una competizione che ha come scenario l’intero globo.

Parlare di competizione globale invece che di globalizzazione ha un senso. Viviamo infatti in un’epoca in cui la competizione economica e quella politica tra le economie più forti e/o i principali poli geoeconomici (Stati Uniti ed Europa soprattutto) tenderà ad accentuarsi più che a comporsi in un unico “impero” dominato dalle società transnazionali. Oggi infatti la struttura di dominio internazionale non appare più organizzata sulla base dello “Stato Nazionale”, ma su poli dentro cui si coordinano vari Stati tendenzialmente sempre più omogenei sul piano economico, finanziario, monetario e militare. Ed è errato ritenere che in questo processo gli Stati non abbiano più una funzione determinante. Lo “Stato comitato d’affari” si è ormai allargato a livello regionale, ma mantiene pienamente la sua funzione strategica di sostegno politico ed economico all’accumulazione capitalistica.

3. Una nuova composizione di classe?

Costituzione dei blocchi economici continentali, trasformazione del ruolo economico del nostro Paese, modifica del ruolo dello Stato, sono tutti elementi che hanno condizionato i lavoratori nelle loro espressioni conflittuali e nella loro condizione di lavoro. Da qui la necessità di osservare l’attuale scenario in relazione alla classe lavoratrice. Si può parlare di una nuova composizione di classe? A questo interrogativo intende rispondere il quarto contributo [5]

Non si tratta solo di descrivere i fenomeni della trasformazione. Non basta dire, per esempio, che aumenta il lavoro autonomo e che diminuisce quello dipendente. Non basta affermare che aumentano i lavoratori della conoscenza piuttosto che gli operai di fabbrica. Occorre andare oltre.

In Italia appaiono evidenti ed immediati, in particolare in questi ultimi venti anni, gli elementi di discontinuità del lavoro. L’applicazione della informatica, della robotica e direttamente della scienza alla produzione sta determinando modifiche qualitative e quantitative del lavoro. Sul piano della qualità vengono trasformati i contenuti del lavoro. Cresce in modo consistente, nei principali paesi capitalisti, il lavoro della conoscenza. Si sviluppa il settore terziario, cioè dei servizi, a discapito della produzione di merci.

Anche se il capitalismo oggi si presenta in forma nuova, non è cambiato il modo capitalistico dei produzione, non è cambiato il sistema di sfruttamento. L’attuale passaggio si presenta quindi non come elemento di discontinuità, ma come un ulteriore sviluppo della società capitalistica.

4. Ridefinizione dell’identità sociale

Fin qui l’analisi si è mossa nell’ambito della sfera materiale. Ma un processo così articolato e complesso, che investe tutti gli aspetti della sfera della produzione e del lavoro, è esposto a continui imprevisti se non ha riscontro nella sfera immateriale e in particolare nell’identità sociale. Questa considerazione è alla base del quinto contributo [6].

Nell’attuale fase storica, sulla condizione identitaria delle masse popolari nel nostro paese incidono in modo particolare la flessibilità del lavoro nella sfera materiale e l’ideologia capitalistica nella sfera immateriale. Operando contemporaneamente sui due versanti, si tende ad una ridefinizione dell’identità sociale. I soggetti vengono chiamati a mettersi in sintonia con le nuove modalità della valorizzazione ed a percepirle come percorsi della propria realizzazione esistenziale.

Lo sconvolgimento del sistema di ruoli sociali provocato dal nuovo modo di produrre e di scambiare ha spiazzato una identità sociale ancora legata al mondo della stabilità del lavoro e del sistema di garanzie. C’è quindi il rischio che i soggetti vivano la nuova realtà con la testa nel passato e in una condizione di forte tensione psicologica, che potrebbe tradursi in antagonismo sociale. Da qui la necessità di riallineare l’identità sociale con il nuovo sistema di produzione, in modo che i soggetti si riconoscano nella loro mutata condizione esistenziale, caratterizzata dalla precarietà.

In questa direzione, un intervento ideologico di particolare rilievo è puntato sulla percezione collettiva dello smantellamento del sistema di garanzie che, nel vecchio assetto sociale, presidiava la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici. Tale smantellamento viene presentato come processo di “modernizzazione”. E chi si oppone a tale operazione viene presentato come “conservatore”. Nell’immaginario collettivo e in particolare del popolo di sinistra, che per lunga tradizione si autodefinisce “progressista” - ritrovarsi nell’area della conservazione provoca un certo disagio.

In fondo a questo percorso ideologico c’è l’esaltazione della instabilità del lavoro. La precarietà occupazionale viene presentata non come degrado sociale, ma anzi come possibilità per i soggetti occupati di arricchire il proprio bagaglio di esperienze lavorative e per i non occupati di introdursi nel mondo del lavoro. Per questa via, una rinuncia alle garanzie di base viene fatta apparire come condizione indispensabile per dare un futuro ai giovani. Così - mettendo perfidamente i giovani contro gli anziani, i figli contro i padri - i sacerdoti della ideologia del capitale chiudono a morsa il cerchio sulla condizione esistenziale di milioni di donne e uomini in carne e ossa.

6. Soggettività e organizzazione

Il forte arretramento del movimento operaio e dei lavoratori più in generale ha avuto un effetto sul piano del ruolo dell’organizzazione. Come è facile capire, una crisi di portata storica non può non rimettere in discussione anche i modelli organizzativi adottati. Questo problema è al centro del contributo che chiude il volume [7].

È diffusa la tendenza a cancellare la funzione storicamente positiva dell’organizzazione sociale. Si tende a contrapporre artificiosamente la struttura organizzativa alla spinta spontanea dei movimenti, non cogliendo il nesso stretto tra la nascita dei movimenti e la costruzione dell’organizzazione. C’è anche da dire che la questione dell’organizzazione non può essere affrontata solo in termini di “modelli, ma va connessa alla condizione dei lavoratori nelle relazioni determinate dall’attuale modo di produzione.

D’altra parte, di fronte all’attuale livello di sviluppo dei mezzi di produzione, i lavoratori, per riconoscersi come soggetti di una dialettica, di un conflitto sociale, non possono partire solo dalla propria specifica condizione materiale. Ai fini della costruzione di un movimento indipendente, non basta quindi fare l’analisi della composizione sociale. A partire dalla ricerca e dal confronto, bisogna lavorare alla costruzione di una soggettività indipendente rispetto alla ideologia del capitale.


[1] AA. VV., No/Made Italy, Roma, Edizioni Media Print, 2001. I saggi che compongono questo volume verranno citati per autore e titolo, senza altra indicazione.

[2] L. Vasapollo, Il nomadismo delocalizzato italiano nella competizione globale.

[3] R. Martufi, L’internazionalizzazione produttiva italiana. Caratteri e dinamiche delocalizzate.

[4] S. Cararo, Lo Stato competitivo.

[5] M. Casadio, Dall’operaio massa al lavoratore unico. Una nuova composizione di classe?

[6] F. Viola, L’identità sociale tra flessibilità del lavoro e ideologia istituzionale.

[7] M. Casadio, La soggettività possibile.