Il riaggiustamento economico-produttivo cubano degli anni ’90 e le sue conseguenze sul mondo del lavoro

José Luis Martín Romero

I differenti spazi di azione economica di base per le organizzazioni dei lavoratori

Introduzione [1]

Qualcosa mi dice che devo scrivere questo articolo pensando a quelli - o quelle, che non hanno mai letto niente sul lavoro a Cuba. Non perché non si sia scritto o pubblicato in altri paesi, ma perché il nome di Cuba e i processi che comprendono i suoi soggetti lavorativi sono stati appena sfiorati nei dibattiti abituali dei centri accademici degli studi sul lavoro.

A questo possono concorrere vari fattori che vado solo ad elencare visto che non è il caso di analizzarli in questa sede. In primo luogo la nostra grandissima colpa di non aver fatto lo sforzo necessario per divulgare le nostre ricerche ed idee; in secondo luogo il relativo isolamento che per lunghi anni abbiamo avuto rispetto al movimento delle idee in questa disciplina, tanto nel continente come in quello che prima chiamavamo il “mondo capitalista” e che oggi non vale la pena distinguere; in terzo luogo il fatto di condividere una certa geografia dell’oblio insieme ad altri paesi del Centro-America e del Caribe e con altri del Sud-America.

Sarebbe presuntuoso cercare di arrestare con questo scritto tutta quella tradizione di ingiusta ma virtuale opacità; ma sicuramente cercherò di smuovere la curiosità e le inquietudini, cioè, di richiamare l’attenzione su quello che sta succedendo da queste parti. Ciò non solo perché vi interesserà (ve lo prometto) ma perché non è giusto che siamo solamente noi cubani a dare una valutazione e a discutere della nostra realtà, di modo che l’esperienza del nostro paese possa essere utile, in qualche maniera, ad un altro contesto e per altre riflessioni.

Tutti sanno come si è ritrovata Cuba dopo la caduta della vecchia area socialista est-europea: senza i suoi mercati fondamentali, la sua fonte di finanziamento essenziale e meno tutelata che mai di fronte al blocco economico e finanziario degli Stati Uniti, un paese che non ha perso tempo nel prendere nuove misure restrittive con la scusa di problemi internazionali.

Questa crisi, tanto inevitabile come repentina, si univa a sviluppi interni che denunciavano la necessità di una rivalutazione del modello economico: la crescita bloccata, la produzione con tendenze al ribasso e, sul piano lavorativo, un sistema di relazioni sociali tacitamente non funzionale, aspetto questo sul quale tornerò più avanti.

Faccio questo breve promemoria perché si possa capire perfettamente qual è il contesto storico concreto che condiziona ed orienta il reimpianto rinnovato cubano degli anni ’90.

Abbiamo chiamato rimpasto, o meglio reimpianto rinnovato, il processo di crisi che interessò tutti gli ordini che seguì la “caduta del Muro di Berlino” [2] e alle misure che sono state prese per fronteggiarla, ossia il reimpianto o riaggiustamento è la crisi più il suo farvi fronte.

Questo rimpasto forse - e la Storia si incaricherà di valutarlo- è la prima fase di un reimpianto e una ri-creazione e rinnovamento totale del socialismo come sistema, come modello di sviluppo. È pertanto di una ricchezza sociologica straordinaria per i singolari e contraddittori processi che sono stati posti in marcia.

Non so quanto si conosca questo fatto; ma tutte le misure prese furono precedute da un processo di costruzione di consensi a livello societario in tutte ed ognuna delle sezioni lavorative del paese (Martín, 1994). Tutti abbiamo potuto dire e in molti abbiamo dato opinioni sul “che fare?”.

Lo facemmo quando mancavano alimenti, corrente elettrica, trasporti, investimenti per la produzione, mercati per vendere, tecnologie per il rinnovamento, quando potevamo contare solo su noi stessi. Lo si fece per salvare il progetto di nazione nel quale siamo impegnati da più di un secolo.

La crisi non è terminata e neanche il nostro farvi fronte. Vi parlo di qualcosa che sta accadendo e a giudicare da un freddo, ma al fine eloquente indicatore come è la crescita economica in termini di PIL, Cuba ha raggiunto, per lo meno, un indiscutibile rafforzamento economico che ha invertito gli effetti più traumatici della crisi.

Chiaramente questo non è che voglia dire chissà cosa, ma l’obiettivo oltre che resistere è fare progressi, e progredire per i cubani e le cubane di oggi è poter contare su ciò che occorre per vivere cioè costruire il futuro soddisfacendo il più importante fabbisogno per continuare ad andare avanti e perché valga la pena vivere. Questo significa alto sviluppo economico e sociale, elevata ricchezza spirituale nell’equità sociale, ed infine, crescita umana. E ciò è impossibile se il lavoro, oltre ad essere efficiente ed efficace è anche alienante.

Per questo per quanto possa valere la nostra tenacia, o forse ostinazione nazionale, si deve misurare, in primissimo luogo, con la qualità delle relazioni sociali nel lavoro, con che tipo di società costruiamo noi uomini e donne cubane quando lavoriamo.

Quella fu l’osservazione essenziale della ricerca che fa da supporto a questo articolo.

I. Il Riaggiustamento o Reimpianto socialista. Situazione di partenza e contenuto concreto.

A) LA SITUAZIONE DI PARTENZA

Nel 1989 il nostro gruppo di lavoro [3] portò a termine una ricerca di taglio quantitativo su un’indagine nazionale intitolata Rasgos y Contradicciones de la Esfera Laboral del Modo de la Vida Socialista en Cuba [4] (Tratti e Contraddizioni della Sfera Lavorativa dello Stile di Vita Socialista a Cuba). Non immaginavamo che quell’anno avrebbe significato la fine di un’epoca che può essere presa come riferimento dei traguardi, già allora importanti, della Rivoluzione Cubana, ma anche delle contraddizioni di un modello di sviluppo sociale sospinto da trasformazioni essenziali o, nella sua imperfezione, destinato a scomparire.

Allora concludevamo, con un forte sostegno statistico, che il Sistema delle Relazioni Sociali nel Lavoro (vedi nota finale).

- Non chiariva né individualmente né collettivamente chi fosse il proprietario dei mezzi di produzione, cosicché la proprietà di tutti funzionava come la proprietà di nessuno.

- Non definiva il processo di cooperazione che tutto il lavoro è come lo spazio del confronto cooperativo delle capacità umane, ossia non incentivava la competenza a causa di un sempre maggiore disimpegno.

- Non controllava efficacemente la condotta lavorativa perché non distingueva a sufficienza l’esercizio dei lavoratori con un regime di gratificazioni né sanzioni adeguate alla motivazione lavorativa.

- Non disponeva dei suoi elementi basilari: forza lavoro e mezzi di produzione in una relazione tale che fossero potenziate le possibilità di entrambi.

Queste tesi (qui succintamente ricordate) erano sostenute in numerosi studi molto uniformi tra di loro e coincidenti anche con altre ricerche del periodo (Espina ed altri, 1989 e Casañas e altri, 1989). Ciò che era fondamentale, secondo il mio giudizio, era la dimostrazione matematica che mancava l’implicazione economica.

Ciò vuol dire che ricevere maggiori o minori guadagni non dipendeva dal fatto che si lavorasse di più o di meno o meglio o peggio. Questa mancanza di spiegazioni non dava una definizione al compromesso politico, posto che si sarebbe potuto rispondere solo, in termini politici, a convocazioni generali ai collettivi operai e non a quelle che si sarebbero potuto inoltre generare per il singolo, e ciò a partire dalle conseguenze economiche del loro disimpegno sociale e nel lavoro.

Questa modalità condizionava un altro fatto che avevamo captato (il cui vincolo avevamo misurato con l’argomento precedente) e che è essenziale per il socialismo: la partecipazione degli operai nelle decisioni era un atto formale, privo di contenuto, che in pratica non verificava il principio di realizzazione della proprietà sociale sui mezzi di produzione.

Raccogliemmo anche elementi allora positivi: un’alta potenzialità di partecipazione da parte della gioventù di entrambi i sessi, l’esistenza di un’avanguardia con un alto grado di esigenza di lavorare (innovare, superarsi, competere, potenziare la qualità, partecipare alla dirigenza, etc...). Questa avanguardia si identificava in quei giovani più qualificati.

Abbiamo colto anche un alto grado di compromesso politico degli operai e delle operaie con la Rivoluzione che, sebbene allora avrebbe potuto scambiarsi col sospetto di servilismo, la vita ci ha dimostrato che era vero; quindi ha resistito alla prova del tempo di questo doloroso Periodo Speciale, come si è cominciata a chiamare la tappa che abbiamo vissuto dagli anni ’90 fino ad ora.

Tuttavia, il nostro spirito critico allora non riuscì ad apprezzare i vantaggi che, malgrado quello che si è detto, erano visibili anche allora ed erano tanto il risultato di quel carente modello economico quanto dell’enorme programma sociale della Rivoluzione che cominciava a dare frutti tangibili.

Riuscimmo a vedere il rischio di instabilità, ma non la ragione dell’instabilità. Il tempo ce l’avrebbe insegnata:

- Godevamo di una convertibilità quasi assoluta della moneta nazionale sul mercato all’interno delle nostre frontiere e questo veniva completato da una correlazione funzionale apprezzabile tra i guadagni della popolazione e le loro spese, nelle aspettative di consumo di allora. Cioè, si godeva di una libertà economica indiscutibile, sebbene modesta, simultaneamente si contava su un’ampia copertura dei bisogni primari, delle necessità di prim’ordine attraverso i fondi sociali del consumo. Eravamo al terzo posto per reddito pro-capite dell’America Latina, con la distribuzione più equa dell’emisfero.

- Vivevamo in un’epoca di virtuale piena occupazione, anche se ci furono delle tensioni congiunturali. L’accesso al lavoro era garantito dalla pianificazione.

- Predominava il lavoro formale-statale e quella condizione altamente e favorevolmente regolata da tutte le leggi e dalla cultura di direzione che le è annessa, caratterizzava il legame dei cubani con il lavoro. Esistevano sia l’impiego cooperativo che quello che si realizzava per conto proprio, ma non appartenevano a differenti spazi economici né per la loro estensione né perché le loro attività fossero contrapposte alla pianificazione e al mercato, come avvenne successivamente.

Non è che non avessimo piena coscienza di questi tratti di equilibrio, è che li ritenevamo “naturali” e ci concentravamo sul desiderio di progresso.

B) IL REIMPIANTO: CONTENUTO CONCRETO

Gli anni ’90 significarono il più severo cambiamento come nazione all’interno, però, dello stesso progetto politico.

Ho già dato i tratti generali della crisi, ai quali dovrei aggiungere la contrazione dell’impiego, la quasi totale paralisi della produzione industriale, l’aumento del debito estero e un’inenarrabile serie di concreti disagi della vita quotidiana. E ciò senza che se ne potesse intravedere l’uscita. Il Prodotto Interno Lordo scese del 35% nei 5 anni seguenti e ancora non ha recuperato il livello del 1989.

In realtà il riaggiustamento o reimpianto complessivo socialista, anche per il suo significato linguistico, si distingue essenzialmente per l’insieme delle misure sul terreno economico, politico e giuridico con il quale il paese reagì alla minaccia che si trovava ad affrontare. Le misure sono state numerose (suggerisco di visionare nella bibliografia corrispondente, Martín, J.L. 2000), qui cercherò di sintetizzare ciò che è andato cambiando dalla prospettiva di coloro che come me studiano il lavoro:

a) La diversificazione delle forme di proprietà mediante l’apertura al capitale straniero; la creazione delle Unità di Base di Produzione Cooperativa (UBPC), con la concessione in usufrutto della terra amministrata dallo Stato e anche mediante l’ampliamento del lavoro per conto proprio.

b) La concentrazione dello sforzo di investimento nel settore emergente o nelle assicurazioni essenziali, cioè l’impiego delle limitate risorse finanziarie nelle attività a rapido recupero del capitale al fine di garantire provvigioni essenziali all’economia o al consumo popolare (energia, acqua, produzione di alimenti, etc...).

c) Il libero possesso e la circolazione della valuta, misura che ha provocato la parallela circolazione del dollaro nord-americano e del peso nazionale nelle transazioni private ed imprenditoriali con un danno inevitabile per la moneta nazionale a favore di una ricezione di divise monetarie nuove più forti. Ciò ha provocato la segmentazione del mercato in due grandi aree; quella del peso e quella del dollaro.

d) L’inizio della lenta trasformazione dell’impresa socialista, che ha guadagnato sotto il profilo dell’autonomia di gestione, ha sostituito i bilanci materiali con quelli finanziari ed ha iniziato a muoversi verso un modello di gestione denominato perfezionamento imprenditoriale che corre parallelamente alla riduzione del sussidio statale.

Come si può vedere ci sono delle trasformazioni che gravano sulla struttura socio-classista e fanno strada a soggetti lavorativi di recente comparsa. Potremmo dire che nell’economia cubana sono apparsi nuovi modi di accumulazione che obbligano necessariamente a nuovi modi di regolamentazione. Tuttavia, il predominio -che è programmatico- della proprietà statale denota un segno di continuità che relativizza quella trasformazione.

Ciò che viene chiamato, in termini non molto esatti, la dollarizzazione dell’economia ha fatto modificare tutte le strategie di vita della popolazione economicamente attiva, così come hanno fatto le imprese. In tal modo, la divisione del mercato ha imposto ai soggetti economici una sorta di “volto di Giano” che da una parte guardano alla pianificazione e con l’altra al mercato.

La struttura economica come risultato delle nuove strategie di sviluppo ha riportato un cambiamento sensibile. La condizione bicentenaria che vedeva “la nostra principale industria” monopolizzata dallo zucchero, in soli cinque anni è cambiata in favore del turismo. Tutta l’economia ha camminato insieme al mondo, verso la terziarizzazione.

Particolare importanza ha l’ancora lento processo di modernizzazione gestionale che vive l’impresa cubana sotto il nome di Perfezionamento Imprenditoriale. Talora questo processo viene visto come un’evoluzione naturale della cultura direzionale nel paese: ma la verità è che la necessità di ricollocare l’economia cubana nel competitivo insieme del mercato mondiale ha reso urgente il passaggio dalla tradizionale e sconveniente cultura direzionale predominante fino agli anni ’90 verso un’altra che promuoveva la reale identità dell’impresa socialista.

Il riaggiustamento e reimpianto socialista degli anni ’90 ci ha consegnato un nuovo paese all’inizio del XXI secolo, ha condensato vecchie e anche nuove (al tempo stesso urgenti) necessità di cambiamento, sebbene non le abbia esaurite, ma ha significato, in generale, e per il lavoro, non solo una nuova articolazione dell’occupazione [5] e della forza lavoro, ma anche una frammentazione inedita delle condizioni e relazioni lavorative potenzialmente generatrici di nuove identità nel mondo del lavoro allo stesso modo in cui ha prefigurato molti nuovi elementi occupazionali.

L’economia cubana è passata dal monospazio virtuale, in più di tre decadi, al multispazio e questo è il contenuto essenziale del rimpasto, del reimpianto economico-produttivo. -----

II. Il multispazio economico. Il Sistema di Relazioni Sociali nel lavoro nei differenti spazi economici

a) Il multispazio economico e gli spazi

economici che include

Quando nei nostri articoli parliamo di multispazio economico ci riferiamo a qualcosa che si spiega da sé, cioè, designa la coesistenza nello stesso tempo storico di differenti spazi di azione economica per singoli e organizzazioni di lavoro.

Ora, gli spazi economici sono ambiti di azione degli oggetti, dei mezzi e della forza lavoro, che si differenziano tra di loro per il modo particolare in cui si configurano al loro interno i seguenti elementi:

• Il tipo di proprietà dominante (statale, mista, cooperativa, privata).

• Il grado del vincolo con la pianificazione o con il mercato come meccanismo di regolamentazione.

• La forma di gestione e dei meccanismi o/e delle prerogative di amministrazione prevalenti.

• Le condizioni e le relazioni di lavoro caratteristiche al suo interno.

Devo chiarire che il concetto di spazio economico è qualcosa sul quale stiamo ancora lavorando. Malgrado l’esistenza del multispazio sia indiscutibile, la natura, la sua relativa novità e la sua reale complessità fanno si che allo stesso tempo, il numero e il carattere degli spazi economici, così come le loro frontiere, siano ancora elementi imprecisi o difficili da delineare. È probabile, soprattutto, che questi elementi già identificati possano svilupparsi maggiormente al suo interno.

Per cominciare, intanto, privilegiamo il tipo di proprietà come tratto distintivo fondamentale, sebbene ciò che è veramente caratteristico è la configurazione dei tanti fattori e mai uno solo di essi.

Oggi, a Cuba, facciamo distinzione tra due spazi economici, uno reattivo e uno non reattivo. Il primo è sottoposto a meccanismi di finanziamento monetario, questo ha permesso in generale di realizzare una gestione riproduttiva del denaro ottenuto inizialmente attraverso un movimento economico più autonomo e un vincolo più diretto con il mercato interno ed estero. Comunemente in questo spazio si incontrano relazioni e condizioni di lavoro più favorevoli rispetto a quello non reattivo e anche aggregazioni culturali nella gestione imprenditoriale più legate alle impostazioni attuali a livello internazionale.

Nel caso del non reattivo (che raggruppa più della metà delle imprese cubane) le sue imprese o unità economiche dipendono completamente dalle sovvenzioni statali e le attività o non sono propriamente mercantili o lo sono solo nei limiti locali.

Questo è uno spazio relativamente svantaggiato soprattutto per quelle unità che sono propriamente imprese. La sua cultura gestionale segue vecchi schemi e le loro condizioni e relazioni di lavoro sono, rispettivamente, inadeguate o sottoposte alla vecchia usanza.

Lo spazio misto è formato da entità economiche dove esistono in associazione diverse modalità della proprietà statale e straniera. È uno spazio emblematico del riaggiustamento, cioè del rinnovamento economico produttivo.

Lo spazio cooperativo è costituito dalle due forme di associazione e gestione collettiva che oggi caratterizzano il lavoro e l’attività economica agricola a Cuba. Ossia questo spazio è occupato dalle Cooperative di Produzione Agricola e Pastorizia (CPA) e le Unità di Base di Produzione Cooperativa (UBPC). La differenza sta nell’origine rurale delle prime e operaia delle seconde. Questo spazio è soggetto, a nostro parere, ad ampliamenti con attività di produzione in aree urbane.

Lo spazio privato è rappresentato fondamentalmente dalle attività per conto proprio. Sebbene sia possibile legalmente la proprietà straniera al 100%, in realtà, difficilmente esiste un’impresa in quella condizione. Anche in questo spazio esistono piccoli agricoltori privati, che non sono un numero irrilevante, ma sono un gruppo di contatto con lo spazio cooperativo; gran parte di essi è associato a cooperative creditizie e di servizi.

Per lo spazio misto, come per la massa critica degli operai del settore cooperativo e del privato, il loro spazio è vantaggioso in termini relativi e il suo vincolo, più o meno diretto con il mercato, sebbene abbia i suoi rischi, ha un’immagine più chiara rispetto a quello statale non reattivo. È chiaro che quando la cooperativa non produce buoni risultati o esiste solo un privato, quei vantaggi scompaiono. Anche nello spazio misto l’insicurezza pende come la spada di Damocle su molte imprese nella cui associazione c’è un solo socio straniero debole.

Oltre a tutti questi spazi descritti esiste uno spazio residuo dove vengono ubicate sia l’inattività che la disoccupazione, o l’attività illegale dell’economia sommersa. Sebbene sia chiaro che disoccupati ed illegali siano due gruppi in contatto permanente, non è neanche corretto identificarli. I disoccupati dipendono dall’appoggio familiare -a volte statale- o da un eventuale lavoro privato. Gli illegali si occupano quasi sempre di attività economiche parassite, che si arricchiscono attraverso lo scarso controllo dei restanti spazi, o sono semplicemente criminali. È lo spazio della disfunzione economica, del lavoro nero o dell’inattività.

La capacità sociale del lavoro a Cuba viene distribuita essenzialmente tra questi spazi, anche se non bisogna intendere che tutte le forme di lavoro reale si possano ripartire in questa distribuzione. La stessa crisi ha potenziato diverse e imprecisate quote di lavoro sommerso dentro e fuori delle mura domestiche, allo stesso tempo non si possono dimenticare diverse forme più o meno tradizionali di lavoro volontario, comunitario o di attivismo politico che qui, non per disattenzione, non possono considerarsi.

b) Il sistema delle relazioni sociali dell’occupazione nei diversi spazi economici

Il nostro gruppo di ricerca [6] nell’anno 2000 sviluppò lo studio intitolato Riaggiustamento e Lavoro negli anni ’90 dal cui testo estraggo il contenuto essenziale di questo articolo [i]. Studieremo la problematica dell’occupazione, ma, inoltre, il comportamento multispaziale del Sistema delle Relazioni Sociali nell’Impiego (SRT) e della soggettività. Per ragioni tecniche, economiche e pratiche non studiamo in questa occasione o non includiamo in questo articolo lo spazio privato e quello residuale.

Mi limiterò, inoltre, a rendere conto del comportamento del SRT in ogni spazio.

b-1) Lo spazio statale non reattivo

Le persone o i gruppi con i quali entrammo in contatto in questo spazio conservano un forte legame con la loro professione accompagnato da un’elevata autostima professionale (bisogna considerare che una buona parte di questo spazio è occupato da operatori sanitari, dell’educazione, dell’amministrazione statale, etc) in permanente lotta per realizzarsi in un contesto sfavorevolissimo al loro esercizio.

Esiste un insieme di fattori, come il congelamento dei posti di lavoro e fino a poco tempo fa dei salari, la mancanza di rinnovamento tecnologico, le cattive condizioni di lavoro e il funzionamento irregolare delle diverse unità, che fanno sì che la qualifica o la competenza lavorativa siano caratterizzate dal congelamento o incluso dalla tendenza allo scioglimento.

A questo processo si accompagna una forte tensione psicologica, per cui il grado di istruzione su cui contano li spinge al superamento mentre la situazione reale di lavoro li inibisce. Sebbene in alcuni segmenti come la sanità e l’istruzione vi appaiano soluzioni palliative e persino di miglior raggiungimento con gli sforzi del paese per non perdere i loro traguardi, nell’area industriale di questo spazio la contraddizione è viva e vegeta.

Riassumendo: diminuiscono i contenuti e questo, in molti casi, danneggia la specializzazione.

Le severe limitazioni delle risorse materiali e finanziarie, unito ad una apatia culturale della gestione di questo spazio, provoca che i sistemi di controllo che sono sopravvissuti possano individuare con chiarezza la mancanza di impegno né possano rispettivamente gratificare o sollecitare adeguatamente il lavoro ben fatto o mal fatto a seconda del caso.

La motivazione lavorativa, dal canto suo, è fortemente marcata dalle necessità della sopravvivenza, e solo alcune attività professionali si difendono a tutti i costi e sostengono la volontà di un maggior impegno. La speranza e la fiducia nel cambiamento sono un contrassegno di questo spazio.

Vale a dire: le motivazioni si spostano dall’area lavorativa verso quella extra-lavorativa (o estranea al vincolo lavorativo concreto) e i sistemi di incentivazione hanno pochissime possibilità di arginarle.

Nelle condizioni anzidette manca un sostegno che renda possibile la partecipazione collettiva alla presa di decisioni. Sebbene si possa contare su nuove impostazioni finalizzate alla partecipazione, queste sono legate a vecchi funzionamenti formali. Le scarse possibilità di trovare una soluzione ai problemi opprimono l’iniziativa, al contempo la competitività per un maggiore impegno manca di uno stimolo reale.

L’applicazione e l’impegno si vedono sostituiti dalla “cultura dell’attesa”, dalla speranza in agenti esterni alle unità economiche, dalle spinte forti del cambiamento. C’è una potenzialità dell’attività partecipativa che proviene da un passato senza obiettivi e da un presente ed un futuro incerti. La crisi ha sottoposto l’identità socio-politica dei soggetti lavorativi di questo spazio ad una forte tensione.

In conclusione, nello spazio statale non reattivo si distinguono nitidamente gli effetti della crisi: la specializzazione viene oppressa, le motivazioni vengono attenuate e non si approfitta delle potenzialità di partecipazione.

b-2) Lo spazio statale reattivo

Qui vengono concentrate le imprese che hanno potuto affrontare gli impatti impressionanti della crisi e che oggi hanno iniziato a dar cenni di recupero. Ciò è stato possibile perché, con l’aiuto della pianificazione, seppero conquistare una quota del mercato.

Le condizioni di immobilità tecnologica provocate dalla crisi non hanno permesso il miglioramento di qualifica della maggior parte dei lavoratori di questo spazio, malgrado i dirigenti, i funzionari e parte del personale tecnico, si siano associati per dar vita a processi di formazione continua come non esistevano negli anni ’80.

Ciò si deve alla necessaria combinazione di tecniche di direzione, di mercato, di aumento delle attività a livello informatico che si sono dovute attuare per elevare la competitività. È successo anche che certi investimenti in aree chiave hanno motivato questa specializzazione.

Cioè, c’è una divisione nell’aumento della specializzazione nei segmenti direttamente o indirettamente vincolati alla produzione o al servizio che si presta e i cambiamenti sono stati più intensi nelle relazioni dell’impresa con il suo intorno e con il mercato, che è il terreno della sua attività o ragione sociale specifica.

In questo spazio, pertanto, c’è un livellamento verso il basso tra la specializzazione e la domanda dei contenuti, tra quelli legati direttamente alla ragione sociale dell’impresa e un livellamento crescente, in ascesa, ma -potremmo aggiungere- ancora incompleto tra i lavoratori legati indirettamente alla ragione sociale.

In questa struttura sono stati attivati sistemi di incentivazione, che, malgrado siano influenzati da delimitazioni centralizzate e presentino alcune incongruenze, hanno saputo rispondere alle motivazioni proprie della sopravvivenza. Per i lavoratori indiretti possiamo intuire che certe motivazioni vincolate alla condizione sociale sembrano avere certamente una migliore prospettiva.

Comunque, sebbene il salario si consideri insufficiente, soprattutto se relazionato allo sforzo che di norma bisogna impiegare (si tenga in conto che si lavora in una economia bloccata), le imprese dello spazio reattivo possono contare sull’attrazione che esercitano i vantaggi in confronto all’altro spazio statale, con l’elemento aggiuntivo che i restanti spazi non sono zone né di libero né di facile accesso e ci sono molte professioni e mestieri con scarsa elasticità occupazionale.

Sto dicendo che c’è una maggior aderenza relativa in questo spazio tra la motivazione e l’incentivazione (la sanzione di non ricevere incentivazioni è parte del sistema), ciò non implica assolutamente e neanche lontanamente un funzionamento che si avvicini a quello ideale.

La partecipazione dei lavoratori alla direzione in questo spazio ha un comportamento molto interessante e non si può perdere di vista, poiché si presenta su due piani e con un comportamento diametralmente opposto: la partecipazione al processo di lavoro si è incrementata enormemente, fino alla co-decisione in molti casi. Tuttavia, in tutto il processo vitale dell’organizzazione, cioè nella sua politica di investimento, i suoi sistemi di incentivazione, la sua politica di specializzazione, etc, la partecipazione riprende vecchi comportamenti formali, inconsistenti e al fine nulli.

Succede che la partecipazione al processo di lavoro è colpita dall’enorme ruolo che giocano, nella fase di recupero, la creatività e l’iniziativa nelle difficili condizioni in cui oggi si producono. A questo bisogna aggiungere che nella crescita dei poteri direzionali -molto influenzati dall’”esperienza del mondo sviluppato”- è stato utile considerare l’opinione popolare e dei lavoratori in aspetti tecnici od organizzativi che gravano sul processo di lavoro, non così in altri aspetti che implicano il vero e proprio esercizio del potere.

Nel processo di vita organizzativa gli operai passano da soggetto ad oggetto delle decisioni, che non possono essere svincolate dalle diversificazioni che ci sono state nel piano della specializzazione.

In concreto la partecipazione è senza dubbio cresciuta, ma con carattere strumentale, subordinato ed utilitaristico, mentre il flusso della conoscenza scorre nello stesso senso degli interessi del potere reale dentro le strutture lavorative e non nel senso di un potenziamento integrale e reale dei lavoratori.

Siamo davanti ad uno spazio che cambia, che amalgama nuovi elementi e sviluppa nuove relazioni, tuttavia non ha lasciato dietro di sé vecchi segni del passato e neanche tutto ciò che ha incorporato coincide con ciò che potremmo chiamare un futuro allettante. Sicuramente il futuro renderà più chiara la differenza tra apprendere dai capitalisti ed apprendere come essere capitalisti.

b-3) Lo spazio misto

Sebbene qualcuno si sorprenda, il riscontro legale dell’apparizione dello spazio misto esiste dal 1982 con il decreto 50 del Consiglio di Stato, tuttavia è sorto realmente dalla seconda metà degli anni ’90, ovvero è un prodotto della fase del riaggiustamento.

Secondo gli studiosi gli aspetti più importanti della strategia economica che avviarono il riaggiustamento sul piano esterno furono la promozione e l’apertura verso il capitale straniero, la ristrutturazione del commercio estero (decentralizzandolo) e lo sviluppo accelerato del turismo internazionale. L’ampliamento dell’investimento estero dal 1995 creò il contorno propizio alla conferma e successiva estensione di ciò che abbiamo denominato spazio misto.

Come si può supporre -e malgrado la sua eterogeneità- lo spazio misto ha aperto la strada ad un sistema veramente inedito nell’esperienza cubana di quasi nove lustri di Relazioni Sociali nel lavoro.

Lo spazio misto ha promosso una logica dell’arricchimento del lavoro nella concezione stessa dei contenuti che non può intendersi se non come un beneficio. In generale la specializzazione è corrispondente alla richiesta di contenuti e di fatto è frequente la ultra-specializzazione.

Ciò è spiegato dal relativo esodo che si è prodotto da molte attività professionali in direzione del turismo e altri settori dove esistono associazioni di capitale misto alla ricerca di migliori condizioni di lavoro e accesso alla valuta estera per mezzo di schemi di incentivazione che la includono o attraverso extra nel caso del turismo, etc.

Ciò che sembra anche una norma è che gli schemi di specializzazione permanente non sono dove si vuole e, di fatto, dipendono dal grado in cui l’investimento favorisce l’innovazione tecnologica che non è un tratto generale né permanente. Di buon grado l’innovazione tecnologica a Cuba non è espressa dall’investimento straniero ma dallo sforzo, a volte eroico, dello Stato cubano, dalla nazione.

La discrepanza generale, rafforzata dalla doppia moneta, esistente tra le entrate per il lavoro a Cuba ed il costo della vita, è molto più attenuata in questo spazio perché le migliori condizioni diminuiscono le spese personali (vestiario, calzature, trasporti, alimentazione) e permettono, come si è già detto, un accesso più diretto alla valuta estera. Questo crea un condizionamento motivazionale di risalita. In questo senso i sistemi di incentivazione di questo spazio vengono a coincidere con motivazioni di natura materiale, sebbene in misura minore con la natura meno obiettiva e più vicina ai sentimenti, i valori, le condizioni umane.

Da un certo punto di vista questo sottosistema, sebbene funzioni meglio in questo spazio che in qualunque altro, giacché aderisce molto di più a motivazioni che lo stesso orientamento del paese rende dominanti, presenta anch’esso delle disfunzioni.

Da una parte perché predominano schemi simili a quelli dello spazio statale reattivo, dall’altra perché dipende dal funzionamento imprenditoriale in cui gli operai non possono influire e in tutti i casi perché il collettivo non partecipa all’elaborazione e alla definizione delle forme e dei meccanismi di incentivazione.

Di modo che in questo spazio, sebbene il ruolo auto-regolante del sottosistema di incentivazione avviene meglio che nello spazio statale, neanche si realizza un modello da seguire e gli si può pronosticare un’efficacia temporanea che dipenderà dalla permanenza dei vantaggi comparativi di questo spazio in base alle condizioni di lavoro e le risorse materiali.

La partecipazione dei lavoratori alla dirigenza, all’interno dello spazio misto, ha delle similitudini concettuali con quella dello spazio reattivo, anche se con tratti molto più distintivi nel loro ruolo di rafforzamento della dirigenza ed in base a dei limiti posti da altri aspetti che bisogna considerare.

L’iniziativa e la creatività hanno un’amplia copertura e grande spazio di estensione; l’emulazione per un migliore impegno ha degli atteggiamenti difformi, ma relativamente accettabili. Comunque, la democrazia operaia, sebbene conti sull’esempio di altri spazi (assemblee sindacali, etc) si trova a metà tra il timore di infastidire l’amministrazione straniera e l’inaccessibilità dell’opinione popolare alla determinazione della politica imprenditoriale.

Le relazioni con l’amministrazione sono di una varietà enorme e non permettono generalizzazioni. Ci sono degli amministratori che si confondono con i membri del collettivo e altri che addirittura ricordano ai borghesi gli anni precedenti alla Rivoluzione.

In due parole: è una partecipazione a favore del beneficio delle imprese e non del beneficio dei lavoratori. Chiaro che ci sono delle sfumature qui e là, ma quanto scritto è valido in generale.

Il Sistema di Relazioni Sociali nel Lavoro nello spazio misto presenta progressi in relazione alla fase precedente gli anni ’80 negli aspetti puntuali di tutto il sottosistema e bisogna accettare che raggiunga livelli di efficacia superiore nell’esecuzione della missione organizzativa; comunque, non è per niente un modello da seguire né potrebbe sperarsi che lo fosse. L’efficacia sociale del lavoro, la crescita umana è un tema irrilevante per l’SRT predominante in questo spazio.

b-4) Lo spazio cooperativo

La creazione delle UBPC nel settembre del 1993, quando lo stato ha ceduto in usufrutto il 70% della sua terra all’amministrazione dei collettivi operai, convertiti anche in padroni della produzione e dei mezzi di lavoro, ha rappresentato il cambiamento radicale che provocò la nascita di questo spazio economico.

Le cooperative agricole (CPA) esistevano già da prima, ma né la grandezza proporzionale della sua terra, né il numero degli effettivi, né il suo ruolo economico -sempre subordinato alle imprese agricole statali- giustificavano l’identificazione di uno spazio economico propriamente detto.

L’incorporazione delle UBPC a questa forma di proprietà ha evidenziato il cambiamento definitivo. Il peso effettivo di questa decisione forse non è ancora possibile da misurare, comunque l’esame dei tratti del SRT che si sviluppa al suo interno permette di distinguere bagliori che non possono passare inosservati.

Nello spazio cooperativo la specializzazione è venuta ad aderire ai contenuti del lavoro in una forma involutiva. Vuol dire che, sebbene il “ritorno” a forme più tradizionali di produzione non debba implicare necessariamente una regressione qualitativa, potrebbe essere vincolata allo sviluppo di un’agricoltura avanzata, ciò che è sicuro è che la specializzazione ha dovuto anzi adattarsi alla trazione animale e ad altri metodi più primitivi senza realizzare un ri-orientamento specialistico né un corrispondente di tipo tecnologico.

Sia nel piano oggettivo che in quello soggettivo, ciò che è successo è un regresso alle forme più primitive del lavoro, in funzione dell’impossibilità di usare parte dei mezzi meccanici di cui si dispone per mancanza di pezzi di ricambio, combustibile o per deterioramento dei mezzi stessi.

In questo spazio c’è una certa immobilità della specializzazione che si interrompe solo con l’introduzione di alcune tecnologie di irrigazione, l’utilizzo di agenti biologici o l’applicazione dell’inventiva soggettiva e non pianificata alla risoluzione di problemi tecnici.

L’aumento più importante della specializzazione si è riscontrato non nei contenuti ma nelle relazioni di lavoro; per questo è dovuta emergere necessariamente una nuova considerazione rispetto alla proprietà e così i lavoratori di tutte le categorie e i generi hanno dovuto acquisire capacità dirigenziali e auto-educarsi nell’implicazione e nel legame con ciò che si fa e con cosa si fa.

Infine, in una cornice di mancanza di approccio alla specializzazione, nel lavoro fisico va producendosi un’ascesa singolare della competenza per essere proprietario collettivo dei mezzi di produzione.

Il meccanismo di incentivazione in questo spazio è segnato dalla riuscita o meno della gestione cooperativa e la corrispondenza che ha con una certa omogeneità nelle motivazioni dell’uomo di campagna: efficienza produttiva, consumo proprio, un’abitazione decorosa, entrate alte e stabili, prestigio personale e benessere collettivo.

La condizione di autogestione delle cooperative permette di garantire, quando c’è un buon risultato, che si trovino risorse per dare una copertura a queste motivazioni, non così quando non c’è il risultato atteso. Il fatto, comunque, che è il collettivo che determina cosa, come, quando, quanto e a chi bisogna stimolare, è una chiave importante per capire che esiste un controllo eccellente, nella maggior parte delle cooperative e in tutte quelle che abbiamo conosciuto, che hanno tutte una buona riuscita nelle relazioni di lavoro.

Ora, nello spazio cooperativo l’emulazione si è concretizzata molto di più poiché c’è più chiarezza, l’impegno si può constatare direttamente ed economicamente. Si continuano a seguire vecchie prassi, ma è cambiata la sostanza. Lo spiegamento dell’iniziativa e della creatività, sebbene con carattere palliativo e regressivo ha avuto un grande sviluppo a ragione della sopravvivenza delle unità.

Ora nella democrazia lavorativa e nell’area dirigenziale si sono fatti passi da gigante messi in risalto dalla direzione collettiva e dalla chiara implicazione economica nell’attività lavorativa degli operai di questo spazio.

La rimozione e la sostituzione dei dirigenti è comune nelle cooperative, come è vero che tutti i lavoratori a lunga permanenza al loro posto (molte volte sono gli stessi che dirigono cooperative con buon esito) si caratterizzino in funzione dei loro subordinati con metodi altamente partecipativi.

La richiesta più frequente è quella dell’autonomia (le UBPC continuano ad avere la guida metodologica e continuano a fare da via di comunicazione con il mercato nell’Impresa Statale Agricola che prima amministrava), autonomia che non può vedersi se non come risultato diretto della crescente implicazione economica.

In questo spazio sta sorgendo un nuovo soggetto lavorativo: il cooperativista.

III. Una conclusione provvisoria

La complessa eterogeneità, che caratterizza la vita lavorativa cubana in conseguenza del multispazio economico generato dal riaggiustamento economico complessivo, ha un’espressione chiara nei sistemi delle relazioni sociali nel lavoro che si trovano nei diversi spazi economici.

La diversificazione del soggetto popolare e del lavoro e dei suoi vincoli con la pianificazione o con il mercato è accompagnata inoltre da un’alta complessità.

Ci sono ovviamente vincitori e perdenti nel processo di riaggiustamento, c’è un mondo soggettivo ambivalente in corrispondenza alle contraddizioni del mondo oggettivo. Scompaiono antichi protagonisti sociali, sorgono nuovi soggetti sociali del lavoro.

La contraddizione tra le entrate e il costo della vita delinea la realtà attuale e condiziona il grosso della condotta lavorativa e sociale in generale.

Il livello di specializzazione e la domanda di contenuti scendono nella maggior parte delle unità lavorative, le tradizionali condizioni del meccanismo o sottosistema di incentivazione in generale si mantengono, sebbene in alcuni spazi (soprattutto in quello cooperativo) c’è il segnale di un cambiamento.

La partecipazione si è mossa in senso positivo, una via di mezzo che sta tra la cultura del lavoro da una parte e la direttrice tipicamente cubana dall’altra.

 

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Cuba cambia, amici e amiche che ci state leggendo, i segni del futuro sono contraddittori: vanno dal molto preoccupante al molto promettente, lo studio continua... verranno nuove conclusioni...-----

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Nota

1) Il Sistema delle Relazioni Sociali nel Lavoro è un’asse concettuale degli studi del nostro gruppo. Oggigiorno non solo è una guida per l’analisi ma lo è anche per l’intervento trasformazionale nel circuito delle imprese.

Si basa sull’interazione sistematica di tre sottosistemi o meccanismi basati su livelli di interconnessione tra:

• La specializzazione dei lavoratori e le domande dei loro contenuti del lavoro (meccanismo di specializzazione).

• La motivazione lavorativa e le forme e i procedimenti di incentivazione o sensazione (meccanismo di stimolo).

• Le necessità e le capacità dei lavoratori nel prendere le decisioni e il livello di esercizio concreto nella partecipazione alla direzione nella organizzazione lavorativa e nei diversi livelli della società (meccanismo di Partecipazione).

Il primo è il meccanismo o sottosistema strutturale, il secondo quello di equilibrio e il terzo quello di funzionamento.


[1] Ns. Traduzione dall’originale spagnolo

[2] Riprendo questa immagine eufemistica che è divenuta tanto popolare, non perché creda che descriva ciò che realmente cadde, che fu un sogno propriamente falso, ma perché era l’unica cosa che meritava di essere distrutta. Ebbi l’opportunità di vederlo e fu ciò che sentii. L’altra parte meritava, e un giorno l’avrà, una ricostruzione su nuove basi.

[3] Allora composto, oltre che dall’autore, da José Luis Nicolau Cruz, Adriana Fernández Graza e Manuel Santos Sánchez.

[4] Era un vero programma di ricerca nel quale la nostra equipe era inserita; si riferiva alla Struttura Sociale e allo Stile di Vita Socialista a Cuba. In ogni modo, occasionalmente, abbiamo sempre detto che quella tappa era quella dei “titoli sovietici”.

[5] L’estensione prevista per questo articolo mi ha imposto di scegliere e ho deciso che la problematica dell’occupazione riceva un trattamento particolare, per cui non esaminerò qui le nostre scoperte in quel senso.

[6] Il gruppo è diretto dall’autore ed è composto da: José Luis Nicolau, Armando Capote, Juan Carlos Campos, Isabel Candelé e Arnaldo Pérez, oltre alla nostra ausiliaria Yanet Castellanos. Si chiama Gruppo degli Studi sul Lavoro.

[i] Reajuste y Trabajo en los ’90. Dr. José Luis Martín Romero. Fondi del CIPS. 2000.

[7] Nota: questa bibliografia come si è visto ha pochi riferimenti nel testo; ciò è dovuto al fatto che i risultati di base che servono come riferimento a questo articolo includevano analisi che qui sono state omesse in favore della brevità, dall’altro lato non volevo tralasciare un insieme di testi che sono stati presenti nel nostro lavoro e che servono da appoggio ad altri interessi del lettore.