Dalle crisi dell’America Latina un insegnamento di Josè Martì: Agricoltura con procedimenti scientifici ed istruzione, risorse essenziali per uno sviluppo indipendente

Hortensia Pichardo

1. Introduzione

Josè Martì è stato un uomo poliedrico, un uomo molteplice. È passato dal mondo con occhi ben aperti, di coloro che non dà le spalle ai problemi dell’umanità, ma che, al contrario, li studiano, li esaminano, li analizzano con l’ansia di trovargli una soluzione.

Viveva “roso dall’ansia di fare del bene” agli altri, di lottare per l’umanità, soprattutto per Cuba, suo paese natale, e per la sua grande patria: l’America spagnola.

Nei primi anni della sua vita il suo amore lo ha concentrato sulla sua patria. Andando via da Cuba, e deportato in Spagna, in piena adolescenza, apprese ad amare la patria dei suoi padri e dei buoni spagnoli, per i quali provò lo stesso affetto che per i cubani.

2. America, La Patria Grande

È stato durante il soggiorno in Messico e Guatemala che l’America si è impossessata di Martì.

È stato allora che ha potuto penetrare nei grandi problemi dell’America ispanica: il primo, la necessità di aggregazione dell’indio nella vita piena del paese di origine, perché: “Finché non si lasci andare l’indio, non inizierà ad andare bene l’America”. In Messico ha detto queste parole di ottimismo profetico: “Come giganti che sono già stanchi di riposare, si vede che si alzano e intraprendono la marcia i nostri nuovi popoli”.

All’inizio del suo soggiorno in Venezuela Martì già concepisce l’America come una grande patria, e promette di lottare per quella patria americana nel salutare la terra in cui nacque Bolívar: “Sono figlio dell’America: mi debbo dare a lei. E dell’America, alla cui rivelazione, movimento e fondazione urgente mi consacro, questa è la culla ...”.

Ha conosciuto come nessuno i problemi di tutta l’America e ha consigliato e impartito lezioni, con geniale chiarezza, sulle possibili soluzioni a popoli e governanti; e li ha messi in allerta contro i pericoli, soprattutto contro il grande pericolo che significava l’avvento dell’imperialismo nordamericano.

Poco dopo aver risieduto nella capitale azteca comprese che: “Si racchiudono sul Messico gravissimi mali......”; per la lentezza dell’avanzamento agricolo, per la pigrizia e la sfortunata speranza nell’industria, per la generale incuria del paese... Richiama l’attenzione sul fatto che in Messico si consumi più di ciò che la terra produce e non si fa niente per compensare quello squilibrio. Come conclusione di un attento esame delle fonti di ricchezza messicane e dell’abbandono in cui si trovavano -ciò che lui ha qualificato come “indifferenza colpevole”-, raccomanda al popolo messicano che crei la sua stessa economia.

Nell’articolo successivo, tornando con magistrale spirito su quelle questioni, è arrivato a queste conclusioni:

La nostra industria [la messicana] non può vivere se non grazie a una grande massa consumatrice.

Questa grande massa consumatrice non può vivere dell’industria che paga e del commercio che non ha. La sua sussistenza dipende dall’unica cosa che possiede: l’agricoltura. Ecco il nostro vero futuro.

Cioè, sin dal suo soggiorno in Messico Martì ha visto nello sviluppo agricolo la base della prosperità dell’America.

Vedeva con enorme piacere qualsiasi avanzamento dei paesi americani. Così ha celebrato con frasi di figlio amoroso l’introduzione in Uruguay di 17.000 aratri in acciaio nell’anno 1883. Commentava con piacere quanto benessere avrebbe dato al popolo uruguayano quell’investimento che le avrebbe permesso di produrre tutto il grano necessario al paese e anche di esportarne una parte.

Come sarebbe stato felice il Maestro, sia pur detto per inciso, se avesse potuto vedere l’enorme sforzo che si sta facendo nella sua patria per meccanizzare l’agricoltura, e i 42 mila trattori che si sono introdotti a Cuba dopo la Rivoluzione!

In seguito comprende un altro dei grandi problemi americani: la contraddizione che esisteva tra l’immensa ricchezza che rendeva ricco il suolo e sottosuolo in tutti questi paesi e il poco profitto di questa ricchezza per mancanza di mezzi e della preparazione tecnica sufficiente ad ottenere un rendimento efficace di dette ricchezze.

La sua preoccupazione nel trovare una soluzione ai grandi problemi della sua Cuba, ancora non liberata, e dell’America in generale, le ha trasmesse in articoli giornalistici, appunti, lettere, conferenze e discorsi. Tutti i temi concernenti l’America vennero trattati da Martì: il governo che “deve nascere dal paese” perché: “Il governo non è nient’altro che l’equilibrio degli elementi naturali del paese”; l’educazione alla quale ha dedicato innumerevoli pagine, tutte piene di comprensione e sapienza; l’economia, sulla quale dovevano sedersi la libertà e il progresso dei popoli americani.

Sono conosciute le pagine che Martì ha scritto sulla Conferenza Internazionale Americana celebrata a Washington nel 1889-90, e sulla Conferenza Monetaria del 1891.

Conosciuto è anche -e dovrebbe essere più conosciuto e studiato- il suo ammirevole programma sull’americanismo condensato nel suo articolo Nuestra América.

Meno conosciute sono le pagine che Martì ha dedicato nel consigliare la necessità di ricercare una migliore agricoltura, nella quale lui stesso considerava doveva sostenersi la base economica di Cuba e dell’America e sopra di essa assicurare la libertà politica, giacché “l’unica ricchezza interminabile di un paese consiste nell’eguagliare la sua produzione agricola al suo consumo”.

È stata ferma la sua convinzione che l’indipendenza economica stava alla base dell’indipendenza politica e più di una volta è tornato su questo tema: “Non c’è alcun rimedio di assicurare la libertà in patria e il decoro dell’uomo, che stimolare la ricchezza pubblica”.

3. L’Agricoltura, Base Economica

Quale credeva Martì che doveva essere la base economica, non solo di Cuba, ma di tutti i paesi della nostra America?

Lo ha chiaramente esposto nel suo bellissimo saggio sul Guatemala: “La terra è la gran madre della fortuna. Lavorarla è andare direttamente a lei”.

In un altro lavoro ha insistito su questa idea:

Ci sono attività che devono essere fatte senza fatica e ogni occasione è quella opportuna per farle. La ricchezza mineraria di raggiungimento difficile e casuale, affonda tutte le fortune con la stessa rapidità con cui le commisura. La ricchezza industriale ha bisogno di una lunga preparazione e incredibili forze, senza le quali entrerebbe già vinta in una concorrenza molteplice e temibile. La ricchezza agricola, come produttrice di elementi di prima necessità, più veloce di quella industriale, più stabile di quella mineraria, più facile da produrre, più comoda da collocare, assicura al paese che la possiede un vero benessere. Le miniere di solito terminano; i prodotti agricoli fluttuano e valgono più o meno, ma sono sempre consumati, e la terra, la sua agente, non si stanca mai.

Era tale la sua convinzione che il futuro e la grandezza dei popoli d’America fossero nello sviluppo della ricchezza agricola che scrisse:

Ai bambini si dovrebbe insegnare a leggere in questa frase: l’agricoltura è l’unica fonte costante e certa e interamente pura di ricchezza.

Nell’originale articolo Maestros Ambulantes, ammirevole programma di pedagogia rurale, ha consegnato queste frasi, che si ripetono molto, ma incomplete, non con il significato esatto:

Essere buono è l’unico modo di essere fortunato.

Essere colto è l’unico modo di essere libero.

Ma comunemente nella natura umana, è necessario essere prospero per essere buono.

E l’unico cammino aperto verso la prosperità costante e facile è di conoscere, coltivare e servirsi degli elementi eterni e inesauribili della natura.

Con frequenza Martì unisce le idee di colore e di dignità al lavoro della terra. Dice:“... il coltivare la terra è l’unica fonte assolutamente onorevole di ricchezza”...

In un altro momento:“Un seme che si semina non è solo il seme di una pianta, ma il seme della dignità”.

E ancora:“Il commercio con la natura rende belli e rafforza. E rende degni: di un popolo di agricoltori non se ne farà mai un gregge”.

Con il pensiero sempre rivolto alla futura repubblica cubana ha scritto:

Grande è la terra incolta di Cuba e chiara è la giustizia di aprirla a chi la utilizzi, e allontanarla da chi non la deve usare; e con un buon sistema di terre, utile all’iniziazione di un paese che ne ha in sovrabbondanza, Cuba avrà una casa per molti uomini buoni, equilibrio per i problemi sociali e radice per una Repubblica che, più che di litigi e di nomi, deve essere di impresa e di lavoro.

Questa idea è una anticipazione della riforma agraria portata a termine a Cuba: “chiara è la giustizia di aprirla [la terra] a chi la sappia impiegare, e allontanarla da chi non la deve usare”...

Martì pensa alla giustizia sociale e vede nel riparto della terra “equilibrio per i problemi sociali”, “e radice per una repubblica che... deve essere di impresa e di lavoro”.

Inoltre avverte il combattente rivoluzionario che non va a lottare solamente per l’indipendenza e la libertà, ma per la terra dove ogni “uomo buono” avrà la sua casa.

Intromissione nordamericana nella Guerra del 1895 ha impedito che quella “grande terra di Cuba incolta” servisse per far innalzare la casa a “un così tanto uomo buono” che aveva dato il suo sangue per la patria ed i cui figli e moglie avevano sofferto la fame e la miseria in attesa del giorno in cui la patria fosse stata libera.

Ma la patria non fu libera. Non solo vi rimasero gli spagnoli che durante il conflitto andarono appropriandosi delle piccole finca, le case, le proprietà che, salvate questa volta dalla confisca, erano state ipotecate per pagare i debiti e per sussistere durante la guerra, inoltre, dietro l’esercito di occupazione nordamericano, arrivò l’esercito di capitani di industria e di pretendenti ad esserlo, che venivano in cerca di quella “grande terra incolta di Cuba”, per la quale gli Stati Uniti erano intervenuti nella guerra di Cuba.

4. Agricoltura e Istruzione

Martì ha visto chiaramente la direzione sbagliata per la quale stava andando l’educazione in America, dove i giovani aspiravano solamente a studiare ed esercitare carriere letterarie, o a lavorare nei diversi uffici dello Stato lasciando da parte il lavoro agricolo.

Questo male già si vedeva dall’epoca coloniale, strascico del funesto sistema schiavista che considerava tutti i lavori manuali un lavoro solo per lo schiavo.

I bianchi spagnoli venivano dalla Penisola verso la colonia per occupare le migliori posizioni del paese, come nell’amministrazione, nell’esercito o nel clero. I creoli potevano solo aspirare a degli incarichi da maestri, sempre mal pagati, o di sacerdoti in povere parrocchie alle quali non aspiravano i membri del clero spagnolo a Cuba. Gli altri, o vivevano nei campi o vivevano come parassiti di ciò che dava loro il caso, altri nella miseria; non lavoravano, vegetavano, perché si considerava non nobile per un bianco dedicarsi agli affari della produzione.

Contro il pericolo che rappresentavano questa concezione del lavoro e questo sistema di educazione Martì ha scritto:

L’indipendenza dei popoli e il loro buon governo arrivano solamente quando i loro abitanti devono la sussistenza a un lavoro che non è alla mercé di uno che regala i posti pubblici, che li toglie come li dà, ed ha sempre paura quando vanno armati in guerra quelli che vivono di lui.

E ha consigliato:

Nei popoli che devono vivere dell’agricoltura, i Governi hanno il dovere di insegnare di preferenza la coltivazione dei campi. Nel sistema educativo dell’America latina si sta commettendo un errore gravissimo: nei popoli che vivono quasi completamente dei prodotti del campo, si educano gli uomini esclusivamente alla vita urbana, e non li si prepara alla vita contadina. E poiché la vita urbana esiste solamente a spese e per virtù della vita campestre, e con il commercio dei suoi prodotti, risulta che con l’attuale sistema educativo si sta creando un grande esercito di disoccupati e disperati; si sta mettendo una testa da gigante ad un corpo da formica.

Ancora una volta Martì ha insistito sulla necessità di cambiare il sistema educativo nei paesi americani d’accordo con le loro peculiari caratteristiche.

In un articolo pubblicato sul giornale La America di New York, nel 1884, ha scritto:

Bisogna educare degli uomini contro le loro necessità, o perché possano soddisfarle...?

L’educazione ha un dovere non eludibile con gli uomini,
 non farlo è un crimine: bisogna renderlo conforme al tempo- senza deviarla dalla grandiosa e finale tendenza umana. Che l’uomo viva in analogia con l’universo, e con la sua epoca...

In un altro articolo interessantissimo, “Mentre Latina”, ha scritto:

Uccide suo figlio nell’America del Sud colui che dà mera educazione universitaria.

Si aprono campagne per la libertà politica; si dovrebbero aprire con maggiore vigore per la libertà spirituale; per l’accordo dell’uomo alla terra in cui deve vivere.

Martì credeva che i giovani che dovevano dedicarsi ai lavori agricoli avrebbero dovuto ricevere una istruzione attenta perché: “L’Agricoltura è imperfetta senza l’ausilio dell’Istruzione”, giacché:

L’Istruzione dà i mezzi per conoscere la coltivazione, accrescerla, perfezionarla..., Come si potrà scegliere la migliore aratura, se non si conoscono le diverse classi di aratura? Come si potrà riformare la terra, se non si conosce la natura della terra...? Come si potrà fare tutto questo, e sentirsi uomini e dirsi che lo siamo, se non si sa leggere e scrivere?

Continuando su questa idea che l’agricoltura ha bisogno dell’ausilio dell’istruzione Martì ha scritto:

Il coltivatore ha bisogno di conoscere la natura, le malattie, i capricci, le strane idee delle piante stesse per dirigere la coltivazione in modo da trarre profitto dalle forze vegetali ed evitare gli errori. Ha bisogno di innamorarsi del suo lavoro, ed incontrarla così come è, più nobile che nessuna altra...

Ed esclama:

Oh! All’udire il nostro voto, vicino ad ogni culla di ogni ispanoamericano si porrebbe un vaso di terra e una zappa...

E dietro ad ogni scuola una officina agricola, alla pioggia e al sole, dove ogni studente semini e pianti un albero.

Martì sapeva dell’impossibilità che nell’epoca in cui lui scriveva si creassero molte scuole di agricoltura, neanche che si stabilissero molte scuole nella campagna; perciò, per rimediare in parte all’ignoranza dei contadini e dei loro figli, ha ideato il suo sistema di “Maestri Ambulanti” che ha esposto in un articolo che porta quello stesso nome. Ecco qui alcune delle sue idee:

La maggior parte degli uomini è passato addormentato sulla terra. Hanno mangiato e bevuto; ma non l’hanno saputo. La crociata si deve intraprendere adesso per rivelare agli uomini la loro stessa natura, e per dar loro, con la conoscenza della scienza chiara e pratica l’indipendenza personale che rafforza la bontà e fomenta il decoro e l’orgoglio di essere una creatura amorevole e una cosa vivente nell’immenso universo.

Ecco qui, allora, ciò che devono portare i maestri per i campi, non solo le spiegazioni agricole e gli strumenti meccanici; ma la tenerezza, che tanto manca e fa tanto bene agli uomini...

Gli uomini sono ancora macchine per mangiare, reliquiari di preoccupazioni. È necessario fare di ogni un uomo una fiaccola.

Martì non voleva che si inviassero pedagoghi a misura del dogmatismo professionale dei campi, “ma gente istruita che andasse rispondendo ai dubbi che gli ignoranti presentavano e alle domande che avessero preparato per quando fossero venuti”...

Il maestro doveva vedere gli errori nelle coltivazioni, e consigliare altre cose.

Come si vede, ciò che Martì progettava era un sistema di insegnamento totalmente nuovo, per il quale “c’è bisogno di aprire una campagna di tenerezza e di scienza, e creare per questo un corpo, che non esiste, di maestri e missionari”.

Di fronte all’ampiezza dell’analfabetismo che ha lasciato a Cuba il regime di democrazia rappresentativa e la necessità di porre rimedio entro un breve termine, il governo rivoluzionario, nell’anno 1961, mise in pratica un sistema simile a quello che Martì aveva raccomandato nel 1884. Cento mila giovani alfabetizzatori si sparsero per le campagne di Cuba fino agli angoli più lontani, con il fine di lasciare il paese senza analfabeti, in una campagna senza eguali, campagna di comprensione e di amicizia, in cui gli alfabetizzatori, molti di essi bambini, convivevano con i contadini, li aiutavano nei lavori, e dopo, terminate le faccende di ogni giorno, insegnavano, per cambiare quella vita, per fare di ognuno di essi una “torcia”.

Alla fine di quella campagna avevano appreso a leggere a Cuba più di 700 mila persone e l’Isola si poteva dichiarare “territorio libero dall’analfabetismo”.

Martì credeva che fosse necessario dare un’istruzione adeguata anche all’agricoltore, perché:

come vede [l’agricoltore] che per lavorare il campo con intelligenza, c’è bisogno di una scienza varia e non di quella semplice, varie volte profonda, ha tutto l’interesse per un lavoro che gli permetta di essere allo stesso tempo che creatore, che rende felice l’anima e la eleva, un uomo colto, sapiente nei libri e degno del suo tempo. Il segreto del benessere è nell’evitare ogni conflitto tra le aspirazioni e le occupazioni.

Aveva ragione Martì nel cercare di evitare i conflitti tra le aspirazioni e le occupazioni.

Ogni lavoratore deve amare e stimare la sua occupazione. Se il lavoro che fa è puramente meccanico, svilisce tutto ciò che realizza, arriva a disprezzarlo e a disprezzare se stesso. Non così quando, con le conoscenze necessarie, il lavoratore sa apprezzare i benefici che il suo lavoro apporta ai membri della comunità in cui vive e in che maniera può migliorarlo con una migliore preparazione.

Martì ha compreso anche l’inadeguatezza del sistema di coltivazione nelle terre d’America, un modo di coltivare basato unicamente sullo sforzo umano o animale, senza mezzi meccanici e scientifici che faciliterebbero e renderebbero più produttivo il lavoro.

Allora scrisse:

La nostra terra florida, ricca di ogni genere di coltivazioni, dà poco frutto e ancor meno di quello che dovrebbe dare a causa dei sistemi routinari e antichi di aratura, seminatura e raccolta che ancora esistono nel nostro paese a causa dell’uso di strumenti vecchi.

Da ciò sorge un’immediata necessità: bisogna introdurre nelle nostre terre nuovi strumenti; bisogna insegnare ai nostri agricoltori i mezzi sicuri con i quali con gli stessi frutti gli altri paesi raggiungono risultati stupefacenti.

E raccomanda che, così come si mandano i bambini di Ispanoamerica ad imparare nelle scuole straniere, li mandino

a studiare la nuova agricoltura nelle coltivazioni prospere, a vivere durante l’epoca di una o vari raccolti in delle fazende dove si seguono i sistemi recenti, ad acquisire tutti i dettagli, senza ciò che non dà frutti, la conoscenza personale e diretta dei vantaggi, dei metodi e degli strumenti moderni.

Martì ha conosciuto l’importanza di concimare la terra: “Chi concima bene la sua terra lavora meno, ha la terra per più tempo, e guadagna di più”, perché “non c’è terra, per ricca che sia, che non migliori con la concimazione”.

Ma sapeva anche che ogni terra e ogni coltivazione ha bisogno di una concimazione adeguata, e contro il pericolo di usare concimi sconosciuti, senza prima provarli, avverte gli agricoltori:

Non bisogna credere che ogni concime che viene raccomandato sia buono, perché ogni pugno di terra ha la sua propria costituzione.

E come con la concimazione della terra con certe sostanze possono venire mali irreparabili, non deve l’agricoltore, senza ben provarli prima in un piccolo spazio di terreno, decidersi ad usare un concime sconosciuto nella sua coltivazione.

5. Diversificazione Agricola

Una delle questioni che hanno preoccupato maggiormente Martì è stata la diversificazione agricola: “Un popolo che affida un giorno la sua sussistenza ad un solo frutto commette un suicidio”.

In un’altra occasione ha completato il suo pensiero: “Terra, quanta se ne ha deve coltivarsi: e con varie coltivazioni, giammai con uno solo”.

E per ripetere più avanti questa lezione di economia agricola: “Dovrebbe essere un capitolo del nostro Vangelo agricolo la diversificazione e l’abbondanza delle coltivazioni minori”.

Perché, sosteneva Martì:

Le coltivazioni minori di diversi rami agricoli e le loro corrispondenti industrie, mantengono in equilibrio i popoli dedicati per sfortuna a maggiori coltivazioni esclusive: caffè, canna da zucchero, eccetera. Queste coltivazioni sono venute ad essere, con le grandi operazioni borsistiche che si basano su di loro, veri giochi di azzardo, e come bombe magiche, che già sono di oro, e già di sapone. -È meglio, se si rompono le redini lungo il cammino, portare il cavallo per molte redini che per una.

6. I Contadini

Al problema dell’agricoltura segue quello dei contadini che secondo Martì:

sono la migliore massa nazionale, è la più sana e la più giocosa, perché riceve da vicino e appieno gli tutti i flussi dell’amorevole corrispondenza della terra, nel tratto in cui vivono. Le città sono solamente le nazioni; ma il suo cuore, dove si raggruppa e dove si divide il sangue, è nei campi.

Martì ha chiamato il contadino “il creatore” e ha affermato: “ho più piacere io nel meritare la simpatia di un contadino, invece che mi applaudano per un discorso”.

E sui figli dei contadini ha scritto:

Il ragazzo contadino o della città piccola, che vive a più diretto contatto con i lavoratori, e deve sforzarsi di più per ottenere ciò che desidera, -è una nobile specie di uomo, che a singolare astuzia unisce un cieco e grandioso impeto al quale nulla può mettere paura né limite.

7. Missione Della Gioventù

Martì sperava, per tutti quegli affari che dovevano realizzarsi nei paesi sottosviluppati della “sua America”, nella gioventù.

Non ha mai utilizzato il termine “sottosviluppati”; non era un vocabolo usuale nella sua epoca, ma ha compreso perfettamente tutti i problemi che doveva affrontare l’America spagnola e sono quelli che caratterizzano i paesi che oggi vengono denominati sottosviluppati.

Della gioventù Martì ha detto:

La gioventù deve andare verso quello che nasce, creare, innalzare, denso di popoli vergini, non deve starsene attaccata alle gonne della città come bambinetti che non vogliono lasciare il seno della madre.

Questa speranza nella missione creatrice della gioventù, e alla quale partecipa il governo rivoluzionario, è quella che sta trasformando l’Isola dei Pini, che, da rifugio di pirati nell’epoca coloniale, a luogo di vacanze e centro di osservazione di alcune compagnie nordamericane nella repubblica neo coloniale, con la maggior parte dei suoi territori totalmente vergini, oggi sta venendo trasformata dalla gioventù cubana.

8. I Boschi

Un tema di grande preoccupazione per Martì è stato il disboscamento indiscriminato che costituiscono parte della “fortuna pubblica” e

Unafonte di ricchezza permanente, non tanto per ciò che portano in sé i boschi di legno buono, ma per la protezione e il rifugio che danno i boschi alle vicine zone agricole.”

Dimostra la sua conoscenza dell’importanza dei boschi quando scrive:

Regione senza alberi è povera. Città senza alberi è malsana. Terreno senza alberi, richiama poca pioggia e dà frutti violenti.

E insiste

È ovvio che la distruzione dei boschi significa a lungo andare e fatalmente e senza rimedio, il futuro rachitismo della terra e l’impoverimento agricolo del paese.

E raccomanda: “la conservazione dei boschi, dove esistono; il miglioramento di essi, dove c’è il male; la loro creazione, dove non esistono”.

9. Conclusione

Ha visto così Josè Martì il problema agrario in America: un’economia basata sull’agricoltura, senza che per ciò si disegni lo sviluppo dell’industria “che abbia radici costanti nel territorio che la inizia”; l’agricoltura realizzata con procedimenti scientifici e metodi moderni, per un contadino preparato in maniera adeguata, di modo che capisca, ami e rispetti il suo lavoro; boschi curati e costantemente riguardati; una gioventù educata all’amore per la natura, e in contatto costante con essa posto che la sua conoscenza diretta è molto più utile e feconda che quella dei libri.

Il nostro Apostolo pensava in questo modo di gettare le basi dell’economia cubana e americana, senza necessità di aiuti stranieri, posto che un paese che si dedica a varie coltivazioni avrà sempre l’opportunità di distribuire i suoi prodotti nei paesi che, per natura e clima diversi, non li producono, mentre riceve quelli che si coltivano e con quell’interscambio sano e fecondo si assicurano la prosperità, la comodità e la ricchezza.

Su queste belle linee lasciò plasmata Josè Martì la sua futura

 

VISIONE D’AMERICA

“ E vidi allora, da queste vaste valli, uno spettacolo futuro in cui io voglio o cadere o prendere parte. Vidi ribollire le forze della terra; e coprirsi come di spumeggianti delfini di allegre navi i ribollenti fiumi; e abbattersi (stendersi) i boschi sull’erba (terra), per lasciare il passo a quella grande conquistatrice che geme, vola e brama; -e verdeggiare le falde dei monti, non del verde scuro della foresta ma del verde chiaro della fazenda prospera; -e sulla meseta vidi ergersi i popoli (il popolo); -e nei porti, come stormi di farfalle, vidi aleggiare (sventolare), su alberi delicati festeggianti, (allegre e) numerosissime bandiere; -e vidi, posti al servizio degli uomini, l’acqua del fiume, le viscere della terra, il fuoco del vulcani.
 I visi non erano tristi, ma felici; ogni uomo, come ogni arabo, aveva piantato un albero, scritto un libro, creato un figlio; l’immensa nuova terra, ubriaca di piacere che i suoi figli l’avessero alla fine scoperta, sorrideva; tutti gli abiti erano bianchi; e un sole soave di Gennaio indorava dolcemente quel paesaggio”.