Privatizzare dal globale al locale... e viceversa. Per un quadro di riferimento sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali

Rita Martufi

1.Introduzione e generalità

Fino ad oggi sono stati molti i grandi comuni che hanno dato seguito a pieno regime alle privatizzazioni delle ex municipalizzate.

È importante sottolineare che dal punto di vista economico la riforma dei servizi pubblici locali riguarda più di 51 miliardi di euro; questa cifra si riferisce solo alle 405 aziende pubbliche locali divenute SpA (che sono per oltre i due terzi ancora di proprietà pubblica). La vendita di queste aziende ai privati permetterà agli enti locali di ottenere delle cospicue entrate di cassa.

È utile mostrare con alcune tabelle quali sono i principali dati dei diversi settori delle aziende di servizio pubblico locale; l’analisi riguarda l’anno 1998, il 1999 e infine mostra i ricavi e gli investimenti dal 1999 al 2001.

La tabella seguente invece esamina per l’anno 1999 il numero di addetti e il fatturato delle aziende municipalizzate suddivise per settori.

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 [2]

Infine si analizzano i ricavi e gli investimenti, reddito operativo e addetti delle aziende municipalizzate per gli anni che vanno dal 1999 al 2001.

Se è vero che per gestire le reti l’ente locale non può cedere la proprietà degli impianti mentre per quanto riguarda l’erogazione dei servizi è introdotto il principio del "regime di concorrenza", va comunque sottolineato che in definitiva le aziende ex municipalizzate stanno cambiando radicalmente forma e struttura. Quotazioni in Borsa, privatizzazioni, concorrenza, apertura al mercato sono ormai entrate a forza nel governo dei servizi ritenuti un tempo essenziali come acqua, gas, telecomunicazioni, elettricità.

Attualmente i servizi pubblici come energia, trasporti, telecomunicazioni rappresentano il 12% del consumo delle famiglie italiane.

Va ricordato che i servizi pubblici locali sono stati regolati fino a tutti gli anni ’80 dagli enti locali (con la creazione di aziende speciali, in economia, ecc.). La formula di solito adottata nel passaggio dalla gestione pubblica a quella privata, è stata quella dell’appalto ad imprese private. Sono stati, cioè, affidati i compiti di erogazione dei servizi ad aziende private che vengono direttamente o indirettamente finanziate dall’autorità locale, la quale si riserva di operare solo una sorta di controllo e di direzione dei lavori.

Dagli anni ’90 in poi sono stati introdotti vari processi di privatizzazione delle imprese di pubblica utilitità; lo Stato si è trovato a regolare e non più amministrare i servizi pubblici. Infatti: "Dai primi anni ’90 si verificano importanti cambiamenti:

- riduzione della spesa pubblica. Per effetto del processo di adesione all’Unione Monetaria calano i trasferimenti e i contributi statali , con un significativo impatto sui bilanci degli enti locali;

- ristrutturazione del settore. Inizia un processo di riorganizzazione aziendale e di riposizionamento sul territorio nell’offerta dei vari servizi favorito dall’adozione di importanti provvedimenti nel campo della regolamentazione come la riforma delle autonomie locali...

- apertura del mercato e privatizzazione. Cresce la spinta alla liberalizzazione dei servizi pubblici - anche per impulso dell’Unione Europea e dell’Autorità antitrust nazionale -, si afferma il ricorso a formule gestionali <privatistiche>, come la società per azioni, e inizia un processo di riallocazione proprietaria degli operatori" [3]

È importante trattare dei settori più importanti per analizzare i vari aspetti economici e giuridici e il loro stato di attuazione.-----

2. Il settore dell’energia

La nazionalizzazione del settore si è avuta con l’istituzione dell’ENEL nel 1962 con la legge 1643; a questo ente erano riservate sul territorio italiano le attività di produzione, esportazione, importazione, trasporto, trasformazione vendita e distribuzione dell’energia elettrica. Con il Decreto Legislativo 79 del 16.03.1999 (Decreto Bersani) si è avuto l’adeguamento nel nostro Paese alla direttiva europea (96/92/CE) tendente alla liberalizzazione del settore; questa direttiva, infatti, prevede la disintegrazione dei monopoli e l’introduzione della competitività nella generazione e nella vendita di energia.

Il Decreto Bersani prevede la trasformazione dell’ENEL in una holding che costituisce nuove società separate. In specifico L’ ENEL dà luogo a società separate per lo svolgimento delle attività di :

- produzione di energia elettrica;

- distribuzione di energia elettrica e vendita ai clienti vincolati;

- vendita ai clienti idonei;

- esercizio dei diritti di proprietà della rete di trasmissione e connesse attività di manutenzione e sviluppo decise dal gestore della rete di trasmissione nazionale.

Viene inoltre fondata una nuova società per la dismissione delle centrali nucleari, che risponde al Ministero del Tesoro.

L’articolo 1 del decreto Bersani stabilisce che :

- le attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica sono libere nell’ambito delle disposizioni del decreto;

- le attività di trasmissione e dispacciamento sono riservate allo Stato e attribuite in concessione al gestore della rete di trasmissione nazionale;

- l’ attività di distribuzione è svolta in regime di concessione rilasciata dal Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato.

Per quanto riguarda la generazione di energia è previsto che dal gennaio del 2003 la produzione e l’importazione dell’energia elettrica nel nostro Paese non potrà essere maggiore per nessun operatore del 50% del totale; sempre entro il gennaio 2003 l’ENEL dovrà abbandonare almeno 15.000 MW della potenza attualmente detenuta. Per raggiungere questo scopo sono state create tre distinte società: la Genco A. "Eurogen"; la Genco B. "Elettrogen e la Genco C. "Interpower".

Un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 agosto del 1999 ha approvato il piano ENEL; in esso si fa riferimento anche ai possibili modi di cessione delle tre società GENCO attraverso trattativa diretta o offerta pubblica di vendita (OPV). Nel gennaio del 2000 il Ministero del Tesoro ha emanato un decreto con il quale si stabiliva che la trattativa diretta era lo strumento più adatto all’ottenimento di un azionariato stabile delle tre società GENCO; unica eccezione una quota della società Eurogen che potrà essere ceduta attraverso OPV.

"È stato approvato dal Parlamento, con legge n.55/2002, un decreto del Ministero delle Attività Produttive (cosiddetto decreto sblocca-centrali) che prevede una procedura semplificata ed accentrata per l’autorizzazione ai nuovi impianti termoelettrici con potenza superiore a 300 MW, da rilasciarsi entro un termine perentorio di 180 giorni" [4].

Le attività di trasmissione e dispacciamento sono date in concessione ad una società per azioni che ha la funzione di "gestore" della rete; le azioni del gestore sono detenute dal Ministero del Tesoro.

L’ENEL ha istituito il Gestore delle Rete di Trasmissione s.p.a. (GRTN) nel 1999, mentre il Decreto MICA del luglio 2000 ha dato la concessione trentennale per lo svolgimento delle attività istituzionali al GRTN.

Per quanto riguarda, infine, la distribuzione il decreto Bersani prevede una sola concessione per Comune; è previsto il mantenimento le concessioni date entro il 31 marzo 2001 con scadenza 31 dicembre 2003; da questa data in poi le concessioni saranno date sulla base di gare pubbliche.

Vi sono comuni come ad esempio Roma, Milano e Torino nei quali sono presenti più distributori; vi è infatti l’azienda elettrica locale (Roma - ACEA, Milano - AEM- e Torino- AEM) e l’ENEL.

Queste aziende locali dovevano essere scorporate in una o più società per azioni, anche se in pratica ad agosto 2002 non era ancora stata effettuata nessuna aggregazione delle reti di distribuzione tra imprese elettriche locali ed ENEL (sono stati realizzati degli accordi con l’ACEA di Roma, l’AEM di Torino e di Milano, l’ACEGAS di Trieste e l’AMPS di Parma). L’ACEA [5] di Roma e l’AEM di Milano hanno già realizzato delle società per la vendita e la distribuzione a clienti vincolati.

Fino ad oggi le cessioni da parte dell’ENEL hanno riguardato circa 1 milione di clienti finali.

Nella tabella seguente si mostra un quadro riassuntivo di alcuni dati del mercato dell’energia elettrica fino al 2001.

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Per quanto concerne il gestore del mercato dell’energia elettrica (costituito il 28 giugno 2000) va ricordato che in seguito all’attuazione del Decreto Bersani, è stata predisposta la creazione della Borsa dell’energia elettrica, ossia un mercato all’ingrosso nel quale si svolgono le contrattazioni e i coordinamenti tra domanda e offerta. La disciplina del mercato elettrico si è attuata con decreto del 9 maggio 2001.

"La borsa elettrica italiana verrà articolata su 5 mercati contigui:

1) un mercato del giorno prima ;

2) un mercato infragiornaliero di aggiustamento;

3) un mercato per la risoluzione delle congestioni di rete;

4) un mercato della riserva

5) un mercato per il bilanciamento in tempo reale.

In data 18 gennaio 2002 sono state trasmesse al Ministero delle Attività Produttive, per l’approvazione, le istruzioni alla disciplina del mercato elettrico. La reale implementazione ed operatività della borsa elettrica sarà posticipata verosimilmente al 2003 e comunque dopo la cessione delle tre GENCO."  [7]

Nella Borsa elettrica i produttori e gli importatori devono offrire il proprio prodotto all’Acquirente Unico che è stato creato, come società per azioni, con lo scopo di "garantire ai clienti vincolati la disponibilità della capacità produttiva necessaria ad assicurare la fornitura di energia elettrica in condizioni di continuità. Sicurezza ed efficienza del servizio non c’è di parità di trattamento, anche tariffario". [8]

"Costituito il 5 dicembre 1999, l’Acquirente Unico diverrà operativo nel momento in cui il Ministero dell’Industria (ora Ministero delle Attività Produttive) ne fisserà la data di assunzione delle funzioni di garante della fornitura ai clienti vincolati. Il Ministero dell’Industria, con Direttiva 3 maggio 2001, ha fissato gli indirizzi cui l’Acquirente Unico dovrà attenersi una volta operativo". [9]

Per quanto riguarda il sistema tariffario la nuova condizione di apertura al mercato e la conseguente liberalizzazione prevede la definizione di nuovi prezzi. A questo proposito l’Aeeg con la Delibera n.204 / 1999 ha previsto la regolazione delle tariffe e successive deliberazioni hanno definito le tariffe per gli anni 2000,2001 e 2002.

Le tabelle seguenti mostrano i prezzi dell’energia elettrica sia per usi domestici sia per usi industriali.

Se si confrontano i prezzi dell’energia nel nostro Paese con quelli degli altri paesi europei è evidente che gli utenti italiani risultano penalizzati. Infatti anche se gli utenti con bassi livelli di consumo hanno tariffe pari a circa la metà di quelli corrispondenti negli altri paesi europei, gli utenti con consumi più elevati subiscono tariffe molto al di sopra della media europea, con differenze pari al 46% e al 53%.

La tabella 7 [10] dimostra quanto sostenuto precedentemente.

Va ricordato che nel 2000 l’85% della richiesta di energia elettrica è stata coperta dalla produzione nazionale.

L’ENEL è ancora l’operatore dominate in tutti e quattro i segmenti principali (generazione, trasmissione, distribuzione e fornitura); nel 2000 infatti ha avuto rispettivamente: il 77% della produzione netta e il 74,3% della potenza ; l’89% della rete di trasmissione, più dell’80% della distribuzione e nella vendita al mercato libero la quota del mercato è del 40,5%.

Se si analizza la domanda di energia elettrica va segnalato che le dimensioni sono molto elevate, in quanto il mercato risulta essere il quarto in Europa (dopo quello tedesco, francese e britannico).

Vi è una tendenza di crescita della domanda in percentuali superiori a quelle del PIL; ad esempio tra il 1999 e il 2000 si è avuta una crescita della domanda pari al 4,1% a fronte di una percentuale del PIL del 2,9%, mentre tra il 2000 e il 2001 a fronte di una percentuale del PIL dell’1,8% la domanda di energia è cresciuta del 2,3%.

Anche l’offerta di energia elettrica ha registrato una percentuale di crescita media annua superiore al 3%.

3. Il settore dei trasporti

Il nostro Paese è uno dei pochi paesi europei ad aver avviato la liberalizzazione di tutti i segmenti del trasporto ferroviario ad iniziare dalla riforma delle Ferrovie dello Stato SpA. Nel luglio del 2001 è sorta la società Rete Ferroviaria Italiana con il compito di gestire le infrastrutture e garantire sicurezza ed efficienza della rete.

Con i la legge delega n. 549/1995, i Decreti Legislativi n.422 del 1997 (Decreto Burlando) e n. 400 del 1999 è iniziato il processo di riforma: in base alle norme è stata data una nuova definizione dei Trasporti Pubblici Locali:

"Sono servizi pubblici di trasporto regionale e locale i servizi di trasporto di persone e merci che comprendono l’insieme dei sistemi di mobilità terrestri, marittimi, lagunari, lacuali, fluviali e aerei che operano in modo continuativo o periadico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite, ad accesso generalizzato, nell’ambito di un territorio di dimensione normalmente regionale o infraregionale".

Per risolvere i problemi presenti nel settore sono stati fissati degli obiettivi che hanno il fine di favorire maggiore qualità del servizio, con il miglioramento del traffico privato e il riordino dei servizi pubblici; indicare le funzioni e i compiti da assegnare alle Regioni e agli enti locali; incoraggiare la ristrutturazione della rete extraurbana;determinare il livello del servizio utile alla domanda di mobilità degli utenti; ricercare la soluzione migliore per l’utilizzo delle risorse finanziarie.

Il raggiungimento di questi obiettivi viene individuato attraverso la determinazione di regole per la concorrenza nella gestione dei servizi, attraverso l’introduzione dei contratti di servizio e l’assegnazione ad un soggetto indipendente della gestione delle gare e dei contratti di servizio.

Il perno fondamentale della riforma va ricercato nello spostamento delle competenze e dei poteri di decisione dallo Stato alle Regioni, alle Province e ai Comuni.-----

Per quanto riguarda la regolamentazione del mercato va rilevato che entro il 2003 è previsto che la gestione dei servizi di trasporto venga decisa attraverso gare organizzate dalle Regioni.

Va ricordato che il servizio di trasporto viene effettuato con modalità diverse tra le quali le più diffuse ed importanti sono:

- le ferrovie

- le metropolitane

- le autolinee

- le tramvie

Queste 4 modalità costituiscono il 98,7% dei servizi offerti ; vi sono poi da ricordare i servizi di navigazione interna e gli impianti fissi (es. funicolari, ecc.).

Le autolinee rappresentano il 76,9% della distribuzione del traffico e rappresentano quindi la modalità di trasporto più utilizzata. (Cfr. Tab.8)

La domanda dei trasporti pubblici è in forte declino ormai da circa 15 anni; basti pensare che nel 1981 il numero dei passeggeri dei trasporti pubblici era di circa 6,1 miliardi mentre nel 1998 sono scesi a 3,8 miliardi. Questo risultato negativo va imputato in primo luogo alla cattiva qualità dei servizi accompagnati da un aumento dell’uso dei mezzi propri dei cittadini. I dati ci mostrano che, ad esempio, nell’anno 2000 nelle Regioni di Nord Ovest il mezzo pubblico è stato utilizzato da un 14,9% di cittadini , nelle regioni di Nord Est dal 9,9%, nel Centro da un 14,2% mentre nel Sud dal 9,5% [11]; è chiaro comunque, per ovvi problemi di addensamento della popolazione, che il mezzo pubblico è più diffuso nelle città mentre il mezzo privato nei centri di dimensioni più piccole.

L’offerta del Trasporto Pubblico Locale (vista come posti-km) è rimasta invece negli anni ’90 abbastanza stabile. Anche in questo caso vi è una forte predominanza delle autolinee rispetto agli altri mezzi di trasporto (nel 2000 hanno rappresentato l’84,2% dell’offerta) mentre il treno ha registrato una percentuale pari al l’1,8%, le tramvie il 3,3% e le metropolitane il 10,6%. Si registra questa prevalenza dei trasporti su gomma nonostante si debba rilevare che il nostro parco macchine è molto vecchio; l’età media del parco mezzi del nostro Paese è di circa 13 anni, a fronte di una media europea di 7 anni.

Per il trasporto su metropolitane va fatta un’osservazione : la rete di metro nel nostro Paese è ancora molto limitata rispetto agli altri paesi europei; infatti, al momento solo grandi città come Roma, Milano e Napoli posseggono adeguate reti metropolitane. Basti pensare che in Italia nel 1998 si avevano circa 113 km di metropolitana a fronte di Parigi che ha 199 km e Londra 157 km.

Se si analizzano, invece, le reti tranviarie si ricorda che al momento nel nostro Paese vi sono 407 Km di rete tranviarie (nelle città di Torino, Roma, Milano, Genova, Trieste e Napoli).

Per quanto riguarda invece il servizio ferroviario è interessante riportare i risultati di una ricerca dell’ISTAT che lo analizza per frequenza di uso e per classi di giudizio negli anni dal 1993 al 2000. La valutazione, rappresentata con valori di scala che vanno da 1 a 10, mostra che gli utenti soddisfatti decrescono da Nord a Sud e risulta essere più alta nei centri urbani (cfr. Tab.9 [12]).

Per quanto riguarda la sicurezza si noti che nel 2000 il numero degli incidenti “tipici” (quelli cioè direttamente legati alla circolazione ferroviaria), si è ridotto passando dai 100 incidenti del 1999, per arrivare ai 95 incidenti del 2000 (cfr. Tab.10).

Per la puntualità negli orari i valori più alti registrati nel 1995-1996 sono stati raggiunti di nuovo nel 2000.

Anche il trasporto internazionale è stato liberalizzato e nell’anno 2000 sono state concesse 19 licenze (cfr. Tab.12).-----

Per le tariffe del Trasporto Pubblico Urbano la riforma ha stabilito che debbano essere determinate in sede di contratto di servizio; ad oggi però questo elemento non è stato ancora attuato. Se si analizza ad esempio il servizio urbano si ricorda che il costo medio di un biglietto a gennaio 2002 nelle maggiori città italiane era di e 0,86 con un valore massimo di e 1,03 a Firenze e un valore minimo di e 0,77 ad esempio a Roma, Napoli, Torino, ecc.

Con la legge finanziaria del 2002 (art. 35) è previsto che la proprietà delle reti e degli impianti resti agli enti locali. Entro la fine del 2003 la gestione dei servizi di trasporto dovrà essere attuata attraverso gare.

4. Il settore del gas naturale

Il processo di liberalizzazione dei servizi pubblici avviata nella Comunità europea ha interessato anche il settore del gas, infatti il recepimento della direttiva europea 98/30/CE ha posto le basi per la costituzione di un mercato interno concorrenziale del gas naturale.

Il decreto legislativo n.164 del 23 maggio 2000 (decreto Letta) fissa le regole per una ristrutturazione del settore. Il decreto cita testualmente:

Art. 1. Liberalizzazione del mercato interno del gas naturale

"1. Nei limiti delle disposizioni del presente decreto le attività di importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita di gas naturale, in qualunque sua forma e comunque utilizzato, sono libere".

La liberalizzazione del mercato del gas prevede l’accesso libero alla rete di trasporto da parte dei "clienti idonei", ossia operatori in grado di poter scegliere il proprio fornitore di gas. L’importazione di gas naturale è libera nei paesi UE mentre per gli altri paesi al di fuori dell’UE è necessaria l’autorizzazione del Ministero delle Attività Produttive. La produzione nazionale è incentivata con contributi statali e la ricerca geofisica è libera anche se sottoposta ad autorizzazione del Ministero delle Attività Produttive. Per quanto riguarda l’attività di trasporto e dispacciamento va ricordato che queste vengono definite dal decreto come attività di interesse pubblico e il Ministero delle attività produttive definisce le condizioni di emergenza e sicurezza.

L’ENI per poter separare le attività di trasporto e dispacciamento del gas dai settori di approvvigionamento e vendita ha distaccato dalla SNAM la rete del trasporto del gas nel nostro Paese; la nuova società, la Snam Rete Gas ha un valore riconosciuto dall’Autorità di 9,5 miliardi di euro.

Per quanto riguarda l’attività di distribuzione (anch’essa considerata di servizio pubblico) il decreto stabilisce che "Il servizio è affidato esclusivamente mediante gara per periodi non superiori a dodici anni. Gli enti locali che affidano il servizio, anche in forma associata, svolgono attività di indirizzo, di vigilanza, di programmazione e di controllo sulle attività di distribuzione, ed i loro rapporti con il gestore del servizio sono regolati da appositi contratti di servizio, sulla base di un contratto tipo predisposto dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas ed approvato dal Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato..." [13] (Si ricorda che per enti locali si intendono Comuni, Unioni di Comuni e Comunità Montane).

La vendita del gas naturale può essere svolta solo da imprese che abbiano l’autorizzazione del Ministero dell’Industria, il quale ha il compito di accertare la disponibilità di un servizio adeguato, la provenienza del gas e dell’affidabilità del trasporto. Le tariffe per il trasporto e dispacciamento, per lo stoccaggio minerario, strategico e di modulazione, per l’utilizzo dei terminali di GNL e per la distribuzione, in modo da assicurare una congrua remunerazione del capitale investito, sono stabilite dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas [14].

Il decreto prevede, inoltre, che dal 1 gennaio 2003 al 31 dicembre 2010, non possono essere venduti più del 50% dei consumi nazionali di gas naturale ai clienti finali da nessuna impresa (sia direttamente sia indirettamente) per rispettare lo sviluppo della concorrenza. Il decreto stabilisce, poi, il rispetto delle condizioni di reciprocità secondo le quali le imprese del gas italiane possono avere contratti con clienti stranieri e viceversa. Si ricorda che nel 2001 si sono avuti consumi pari a 70,1 mld/mc; il 22% del fabbisogno totale è stato effettuato con produzione nazionale (di cui la maggior parte dal gruppo ENI e in minima quota dal Edison Gas); il restante 78% di consumo totale è soddisfatto dalla importazioni da paesi come Russia, Algeria, Paesi Bassi, Norvegia.

Va ricordato che gli usi del gas sono stati nel 1998 per il 58,2% indirizzati verso il riscaldamento domestico, per il 20,7% verso usi artigianali, commerciali e di piccola industria, per il 18,6% verso usi di cucina e acqua calda ed infine il 2,5% verso usi ospedalieri. Il Nord del Paese assorbe circa il 70% del gas distribuito, anche perché in queste regioni oltre ad una più alta rigidità del clima sono presenti le maggiori concentrazioni industriali.

L’offerta del gas naturale è contraddistinta da un’alta frammentazione soprattutto perché di solito il servizio di distribuzione viene effettuato dai Comuni.

La gestione è prevalentemente di tipo privato (il 42% delle imprese totali) anche se un certo rilevo assumono anche le imprese pubbliche locali. (cfr. Tab.14).

Negli ultimi anni si è assistito ad un rilevante processo di consolidamento delle aziende di distribuzione e vendita di gas naturale. I dati riferiti al 2001 dimostrano una elevata concentrazione degli operatori del settore; le 10 più grandi imprese di distribuzione hanno servito circa il 60% dei clienti finali assegnando il 50% del volume complessivo di gas naturale.

La tabella seguente [15] mostra come ad esempio l’Italgas detenga il 26,6% del mercato complessivo; di seguito vi è la Camuzzi che si aggiudica però solo il 5,8% nel 2001.

Se si analizzano le tariffe va evidenziato che nel nostro Paese, a differenza degli altri paesi europei, non vi sono tariffe regressive rispetto al consumo; infatti l’Italia pur avendo prezzi bassi per consumi ridotti è svantaggiata rispetto all’Europa per quanto riguarda le utenze con alti consumi (cfr. Tab.16 [16]).

Con la delibera n. 237/2000 l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha stabilito nuovi sistemi di tariffe per la distribuzione e vendita del gas naturale.

Infatti la citata delibera stabilisce:

- "I criteri per la determinazione delle tariffe di distribuzione, tramite la definizione di un vincolo sui ricavi massimi conseguibili da tale attività e l’individuazione di un livello di costo minimo per l’utente.

- Lo schema per il calcolo delle tariffe per l’attività di vendita ai clienti del mercato vincolato che resteranno in vigore fino al 31 dicembre 2002, data a partire dalla quale tutti i clienti si qualificheranno come idonei.

L’Aeeg ha stabilito... la tariffa unica per ambito territoriale in cui i costi del servizio abbiano natura congiunta ed indivisibile..."  [17]-----

5. Il settore idrico

Per quanto riguarda il settore idrico si ricorda che questo comprende:

- le attività di produzione e distribuzione dell’acqua potabile

- le fognature

- la depurazione delle acque reflue.

La legge del 5 gennaio 1994, n. 36 (conosciuta come legge Galli), è la prima che traccia una disciplina del settore accogliendo la maggior parte dei principi predisposti in sede europea; sono state infatti introdotte alcune regole che impongono al settore idrico italiano una riorganizzazione del sistema, al fine di attuare una maggiore chiarezza in un quadro caratterizzato da una richiesta di servizi sempre più selezionati ed orientati al cittadino-utente.

L’obiettivo del miglioramento del servizio e della tutela dell’integrità ambientale non è stato però raggiunto con la legge Galli. Vi è stata una integrazione con il successivo D.M. del 22 novembre 2001 (Decreto Matteoli) riguardante le modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del Servizio Idrico Integrato, a norma dell’art. 20, comma 1, della L. 5 gennaio 1994, n. 36, che stabiliva le modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico integrato. Con questo decreto sono anche determinati i criteri per la assegnazione delle gare, le quali sono determinati in base alla salvaguardia e al rispetto dell’ambiente, al piano di utilizzo del personale presente nelle gestioni precedenti, alla capacità dei soggetti concorrenti e ai miglioramenti del piano economico-finanziario.

Se si analizza il mercato del settore idrico si nota una marcata differenza della disponibilità delle risorse idriche tra il Nord e il Sud; oltre la metà delle risorse idriche utilizzabili infatti si concentrano al Nord (53%), il 21% nell’Italia Meridionale, il 7% nelle isole e il 19% nell’Italia Centrale. È chiaro che questa differenza è dovuta soprattutto alla diversa intensità delle precipitazioni (nelle regioni settentrionali vi è il 40% delle precipitazioni, il 22% nelle regioni centrali, il 12% nelle isole e il 24% nelle regioni meridionali). La tabella seguente mostra come vengono utilizzate le risorse idriche nel Paese; è evidente che pur essendo presente al Nord un importante sfruttamento della risorsa, la situazione diventa critica al Sud in quanto i prelievi arrivano al 96% della disponibilità.


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Il nostro Paese (insieme al Belgio, alla Spagna e ai Paesi Bassi) risulta essere tra i primi posti rispetto alla domanda complessiva di acqua; ciò è dovuto alla forte presenza in questi paesi di un settore agricolo forte che naturalmente richiede un elevato fabbisogno idrico. La tabella 18 mostra come l’agricoltura assorba la metà dell’uso delle risorse idriche.

È interessante anche notare che per i consumi per settore e per area geografica mostrano che il Nord utilizza la percentuale più alta di risorsa idrica dovuto soprattutto agli usi industriali.

Dall’analisi della gestione del servizio idrico risulta evidente che a tutt’oggi la stragrande maggioranza delle conduzioni degli acquedotti sono gestiti dai comuni (81,9% ), il 12,4% è gestito dai consorzi, il 2,1% dai privati, l’1,4% dalle municipalizzate, lo 0,8% dagli enti pubblici e l’1,4% da altri soggetti. Circa il 60% dei gestori dei servizi idrici appartiene al Nord, il 29% al Sud e l’11 al Centro. Con riguardo agli operatori va rilevato che i primi dieci del settore idrico coprono il 25% del mercato; è una quota importante se si considera che il settore appare molto frammentato.

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Inoltre va evidenziato che non vi è una tariffazione unitaria.

Comunque il livello della tariffa media è minore di quello degli altri paesi europei.

6. I Rifiuti Solidi Urbani

Il settore dei rifiuti solidi urbani è stato per lungo tempo caratterizzato da una gestione del ciclo dei rifiuti basata sullo smaltimento in discarica, sulla pulizia delle strade, sulla raccolta e trattamento. Con il Decreto legislativo n.22 del 1997 (conosciuto come Decreto Ronchi) si pongono le basi per la nascita di un sistema integrato di gestione dei rifiuti che si occupa in modo unitario sia della raccolta, della trasformazione e del recupero. Questo decreto è stato poi integrato dal Decreto n.389/1997 e dalla legge 426/1998 ; con queste norme vengono accolte le indicazioni presenti nella legislazione europea. I principi che sostengono le nuove norme sono basati sulla possibilità di riutilizzare, riciclare e se possibile recuperare i rifiuti solidi urbani.

Viene introdotta la nozione di raccolta differenziata che tende al recupero delle materie per poterle reinserire nel ciclo produttivo. Questo decreto introduce poi il concetto di "responsabilità condivisa" tra cittadini, imprese ed Enti Locali.

L’attuazione dei principi emanati dal decreto Ronchi avviene attraverso la predisposizione di piani provinciali e regionali; al momento la maggior parte delle Regioni del Sud non hanno ancora attuato tali norme mentre per le Regioni del Centro -Nord la situazione è migliore.

Il miglioramento delle condizioni di vita e lo sviluppo dell’industria hanno fatto si che la gestione dei rifiuti sia diventata sempre più complessa in questi ultimi anni; nel nostro Paese si è avuta infatti una crescita in termini assoluti dal 1996 al 2000 di circa l’11% con tassi medi annui del 2,3%.

La tabella seguente mostra, ad esempio per il 2000, il riparto per aree geografiche.

Nel nostro Paese quindi la raccolta in discarica rimane ancora prevalente, poco è utilizzata la raccolta differenziata ; questo fa si che il nostro sistema sia uno dei più arretrati a livello europeo. La tabella seguente mostra infatti che nel 1999 oltre il 74% dei Rifiuti Solidi Urbani è stato raccolto nelle discariche.

Nel 1999 a fronte di 41 impianti di incenerimento vi erano in tutta Italia 786 discariche. Gli inceneritori sono presenti soprattutto al Nord in alcune regioni nelle quali è molto presente la raccolta differenziata; ci si riferisce al Veneto, alla Lombardia, al Friuli Venezia Giulia e all’Emilia Romagna. Il Sud del paese, invece, presenta un forte ritardo in quanto a tutto il 1999 non era presente neppure un impianto di incenerimento.

Per il mercato dei Rifiuti Solidi Urbani va evidenziato che è presente una alta frammentazione delle attività che ha causato oltre a pochi investimenti nel settore anche una scarsa efficienza e a condizioni di monopolio locale.

 

Considerando che l’attività di gestione dei Rifiuti Solidi Urbani si può distinguere in raccolta, spezzamento, trasporto, recupero e smaltimento, vi possono essere due tipologie di operatori che si diversificano a seconda del tipo del rifiuto:

- " gestori di rifiuti urbani : sono in prevalenza operatori pubblici, come Comuni, consorzi di comuni e aziende municipalizzate, anche se non è trascurabile la presenza di soggetti privati;

- gestori di rifiuti speciali: sono quasi esclusivamente privati. Attualmente è attivo in Italia circa un centinaio di aziende con capacità di smaltimento ridotte". [20]

La tabella seguente [21] mostra come siano molto diffuse le gestioni in economia (3.600 su 4000 circa in totale).

Nell’anno 1999 il 44% dei Comuni è stato servito da gestioni in economia mentre il 32% è stato servito dalle imprese private. Un’analisi territoriale mostra che le regioni del Centro Nord sono gestite in prevalenza da imprese private mentre il Nord-Est è gestito in maggioranza dalle imprese pubbliche (nel 1999 il 58%).

La più grande impresa privata del settore dei Rifiuti Solidi Urbani è la Waste Italia S.p.a, che è controllata per intero da Italcogin ; invece le imprese maggiori presenti nel Paese che hanno una gestione a prevalente capitale pubblico sono :

- l’AMIAT - Torino s.p.a. che, sorta nel 2000 a seguito della trasformazione dell’azienda speciale del Comune, agisce prevalentemente nel campo della raccolta e smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani oltre che alla pulizia delle strade;

- l’AMA - Roma s.p.a. che disciplina la raccolta dei Rifiuti Solidi Urbani in tutto il territorio del Comune che è il più grande del Paese.

- L’AMSA - Milano S.p.a. che a seguito della trasformazione avvenuta nel 2000 in società per azioni conta oggi oltre 2.00 lavoratori dipendenti.

Per quanto riguarda le tariffe il Decreto Ronchi ha provveduto a sostituire la TARSU (TAssa per lo smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani) con una tariffa che risulti proporzionale alla quantità di rifiuti prodotti ed è di pertinenza del Comune di appartenenza.

Vi è comunque una distinzione tra le fasce di utenti (domestica o non domestica) e gli Ambiti Territoriali Ottimali e la tariffa è determinata quindi come il risultato di una parte fissa e una parte variabile.

7. Alcune riflessioni... Efficienza!? No, come sconfiggere i lavoratori!

Ci auguriamo che questo articolo possa servire a chi è impegnato nelle battaglie sindacali e sociali per avere elementi in più per capire che i processi di privatizzazione non attaccano solo il salario, il reddito, lo Stato sociale ma, attraverso anche la privatizzazione dei servizi pubblici locali, si vogliono piegare le comunità locali di cittadini a convivere con la diffusione sociale del paradigma del mercato, per vivere esclusivamente del e nel privato.

I progetti elencati nel libro Bianco sulle privatizzazioni e dalle politiche del Governo dimostrano che la tendenza è sempre più orientata verso la liberalizzazione più sfrenata e senza limiti. Una liberalizzazione che non terrà in alcun conto le esigenze dei lavoratori, delle classi più deboli della società, "in nome del Dio mercato" continueranno ad essere tolte anche le minime garanzie di Stato sociale presenti ancora oggi, anche se ormai in forma quasi residuale. Quando si parla di privatizzare energia, trasporti, scuola, sanità, si comprende bene quali potranno essere le conseguenze per i cittadini, per i lavoratori, per i disoccupati e tutte le figure sociali precarie, marginali e a basso reddito.

Se si vogliono trarre delle immediate considerazioni sul processo di liberalizzazione e privatizzazione attuato nel nostro Paese dal 1992 in poi , basterebbe considerare che gli obiettivi proposti dal Libro Verde sulle privatizzazioni del 1992 non sono stati minimamente raggiunti. Infatti che il cosiddetto miglioramento nell’efficienza delle imprese, l’aumento della concorrenza e la cosiddetta internazionalizzazione del nostro mercato sono rimasti sulla carta. Ed allora è lecito pensare che tutto ciò è servito in una visione prettamente liberista ad affermare il ruolo sociale dominante dell’impresa imponendo la piena e concreta subalternità del lavoro. Si tratta, quindi, esclusivamente di un’ulteriore resa di conti nel conflitto capitale-lavoro, per tagliare i costi del lavoro diretto, indiretto e differito, per smantellare lo Stato sociale, per affermare definitivamente il paradigma neoliberista dell’accumulazione flessibile attraverso la precarizzazione dell’intero vivere sociale , nella società del “malessere da mercato”.


[1] IL SOLE 24 ORE, Mercoledi 17 /10 /2001

[2] Cfr. IL SOLE 24 ORE, Martedì 27 /11 /2001

[3] Cfr. A. Quadrio Curzio e Fortis M., "Le privatizzazioni dei servizi pubblici locali", Il Mulino, Bologna, 2000, pag.45.

[4] Cfr. "The Times They are a- Changin’. I servizi pubblici Locali tra regolamentazione e concorrenza", MCC, settembre 2002, pag.86.

[5] Si ricorda che nel 2001 l’ACEA ha avuto un numero di clienti pari a 1.500.000 pur tenendo conto dell’apporto della rete ENEL relativamente al secondo semestre del 2001; l’AEM di Torino ha avuto 900.000 clienti e l’AEM di Milano 440.000.

[6] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.88.

[7] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.86.

[8] Cfr. Decreto Bersani

[9] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.86; la situazione si riferisce ad Agosto 2002

[10] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.88.

[11] Dati MCC, Federtrasporto 2001.

[12] Valori percentuali - anno 2000

[13] Art.14 Decreto n.164 del 23 maggio 2000

[14] Cfr. Art.23, Decreto n.164 del 23 maggio 2000

[15] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.110

[16] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.115

[17] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.117.

[18] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.129.

[19] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.131.

[20] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag. 152

[21] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.152