L’elezione di Lula in Brasile: un’eccezione o una tendenza atinoamericana?

Francisco Domínguez

1. Introduzione

Nel 1994 l’esperto messicano di politica Jorge Castañeda scrisse in un libro che ebbe una larga diffusione l’epitaffio delle sinistre latinoamericane:

“La Guerra Fredda è finita, il Comunismo e il blocco socialista sono collassati. Gli Stati Uniti e il capitalismo hanno vinto e in poche aree del pianeta, come in America Latina, questa vittoria è così ben delineata e spettacolare. La democrazia, l’economia di libero mercato, le manifestazioni di sentimenti e di politiche in favore degli americani segnano il panorama di una regione dove fino a poco fa il confronto destra-sinistra, i potenziali di una rivoluzione socialista e la riforma progressista erano assai diffuse. Oggi tecnocrati conservatori, a favore degli affari e degli Stati Uniti, spesso democraticamente eletti, detengono cariche su tutto l’emisfero. Gli Stati Uniti spesero circa trenta anni combattendo i rivoluzionari Marxisti nazionalisti dove la destra era attiva, influente, e a volte al potere e dove ora è in fuga o al cappio” (Unarmed Utopia, Vintage Books, 1994).

Castañeda aveva ragione. Dal Messico fino alla Terra del Fuoco, c’erano governi dediti in un modo o nell’altro al neoliberalismo. L’unica eccezione era Cuba che a causa del collasso del blocco socialista nel 1989-1991 stava attraversando un terrificante supplizio economico. Infatti il 1994, anno in cui Unarmed Utopia fu pubblicato, fu per Cuba l’anno peggiore. La situazione generale era assai peggiore del semplice impegno in politiche neoliberali. La maggior parte dei governi erano entusiasti di essere assorbiti economicamente dagli Stati Uniti in un’area di libero scambio facendovi sprofondare l’intero continente. Il presidente messicano Salinas fu il primo ad esserlo costituendo, nel gennaio del 1994, un’area di libero scambio con il Canada e gli Stati Uniti detta North American Free Trade Agreement (NAFTA o Area Nordamericana di Libero Scambio). La Rivoluzione Sandinista era stata pienamente soffocata a febbraio del 1990 e i processi di pace guidati ed incitati dagli Stati Uniti stavano avendo luogo sia ad El Salvador sia in Guatemala, paesi che sin dal 1989 furono l’epicentro della guerriglia sovversiva marxista. Colombia ed Ecuador stavano seguendo le istruzioni del FMI e parlare della dollarizzazione delle loro economie stava diventando, tra le elites di politici, non solo di moda ma un evento irresistibile. Il Brasile si stava dirigendo verso i due mandati neoliberali di Cardoso, seguito a Collor de Melo, e verso un periodo di confusione a seguito dell’impeachment per corruzione di quest’ultimo. In Perù, dove Alberto Fujimori si stava sempre più rafforzando, la guerriglia dello Shining Path si trovava su posizioni difensive a seguito della generale ritirata della Sinistra. In Argentina, Menem stava facilmente privatizzando tutti i beni nazionali come le linee aeree, le compagnie telefoniche ed ogni azienda di Stato costituita durante i precedenti 50 anni di sviluppo economico. Ditto in Cile, dove il governo Concertacion, una coalizione tra Socialisti Blairite e Democratici Cristiani, mantenne l’edificio neoliberale di Pinochet intatto, fece il massimo per proteggere coloro che erano stati accusati di violazione dei diritti umani, e pose freno alla democratizzazione del paese sotto il vigile occhio dei militari. Paraguay ed Uruguay non erano molto differenti poiché, nonostante la fine delle leggi marziali, avevano governi fedelmente a favore del neoliberalismo. Il Venezuela, un paese che aveva goduto per circa 40 anni di una condizione eccezionale dovuta ai suoi proventi legati all’estrazione del petrolio, aveva resistito ai sanguinosi tumulti del 1989 e a un fallito golpe militare, dopo aver adottato un austero pacchetto di risoluzioni del FMI.

Inoltre, con la Sinistra nel caos, il suo rafforzamento elettorale era in rapido declino quasi ovunque, e una maggioranza d’intellettuali e politici legati a questa stavano affrontando un processo di metamorfosi ideologica senza precedenti. Con sorprendente entusiasmo stavano accogliendo il mercato, il neoliberalismo e le politiche della destra. Fernando Henrique Cardoso, presidente del Brasile prima di Lula, incarnava questa tendenza. Dall’essere un ampiamente rispettato intellettuale marxista che aveva influenzato un’intera generazione d’intellettuali latinoamericani, in particolare circa le radici del sottosviluppo, che egli stesso aveva esaminato con competenza nel suo acclamato libro, Il Capitalismo e il Sottosviluppo in America Latina, pubblicato nel 1979, diventò un devoto avvocato delle politiche neoliberali. Molti dei ministri dei paesi recentemente democratizzati che stavano implementando con entusiasmo le politiche economiche della destra erano un tempo intellettuali marxisti.

La fino ad ora formidabile guerriglia marxista dell’America Centrale, come la FMLN e la URNG, rispettivamente del Salvador e del Guatemala, abbandonarono la lotta armata e si trasformarono in partiti politici abbracciando politiche liberali. I comandanti Sandinisti di un tempo, come Victor Tirado, arrivarono alla conclusione che non importava quanto duramente si provasse, ma sconfiggere l’imperialismo statunitense era impossibile. Gli Stati Uniti, concludeva Tirado, sono troppo potenti. Questo, quindi insistette su una strategia politica di riforme all’interno dei confini del capitalismo neoliberale. Quindi Tirado arrivò alle stesse conclusioni di Castañeda: il socialismo uscì dall’agenda per sempre.

A queste sventure va aggiunto che la Sinistra tradizionale, anche nella forma del partito comunista, andava soffrendo su tutto l’emisfero un declino terminale, una certa confusione, una massiccia riduzione di risorse e una irrilevanza elettorale. Il Partito Comunista Cileno, ad esempio, fino a quel momento uno dei più grandi del continente si ridusse al 3% delle preferenze elettorali. La Sinistra sembrò morta o morente.

Ma andando verso il 2000, comunque, la situazione in America Latina sembrò cambiare. Tanto per cominciare, l’integrazione del Messico nel NAFTA cominciò a deteriorarsi portando la svalutazione del peso tra dicembre 1994 e gennaio 1995 a circa il 35%, vicino al collasso economico e ad un massiccio aumento del debito estero ($ 53 miliardi - un aumento di circa il 50%). In effetti, i postumi della sbornia di tequila, colpirono paese dopo paese tutto il continente, in un crescente gorgoglio di malessere economico al quale nessuna nazione sembrò essere immune. È qui che si scoprono i primi barlumi della ricomposizione politica della Sinistra latinoamericana. L’enigmatica immagine mascherata del Subcomandante Marcos, con una fumante pipa sporgente dalla sua faccia ... coperta, stava facendo il giro del mondo, suscitando la simpatia spontanea di milioni di persone per la causa che egli stesso guidava, ossia, per i diritti politici, sociali, economici e culturali delle popolazioni indigene del Chiapas, lo Stato più povero del Messico. La rivolta armata Zapatista cominciò il 1 gennaio 1994, data in cui l’inchiostro sul libro di Castañeda, che annunciava la fine della Sinistra e d’ogni attività rivoluzionaria nel continente, non era ancora asciutto. Questo pubblicò velocemente una versione ampliata del Unarmed Utopia con una aggiunta successiva nella quale affermava che il suo punto di vista era completamente giustificato dal fatto che i Zapatisti erano “riformisti armati”.

Dal quel momento nella Sinistra latinoamericana cominciò un penoso e lento processo di ricomposizione che fino ad adesso ha prodotto il più sorprendente risultato, l’elezione di Luiz Ignacio da Silva, Lula, un tornitore e sindacalista, che non andò mai all’università e che è diventato il presidente del Brasile.

2. Tendenze economiche nell’America Latina

Secondo le proiezioni dell’ECLAC nel suo Panorama social de America Latina, 2001-2002 (7 novembre, 2001), 214 milioni di persone, quasi il 43% della popolazione dell’America Latina, era povera e tra queste 92,8 milioni (18,6%) vivevano in assoluta povertà. Le proiezioni per l’anno 2002 indicano una crescita dei poveri di circa 7 milioni di persone con 6 milioni in situazione di estrema povertà. La maggior parte dei poveri avranno origine dalla crisi Argentina.

Nello stesso modo, c’e stato un declino quasi catastrofico del FDI da $ 84.013 nel 2001 ad appena $ 56.687 nel 2002 (un declino del 33%), con il più grande declino (40%) nella regione de bacino Messicano-Caraibico e il secondo (35%) nella regione Mercosur-Cile (CEPAL, La inversíon en América Latina Y el Caribe. Informe, 2001, p. 21).

Inoltre, il debito estero era un fattore significativo per il deterioramento economico della regione, mostrando una forte correlazione tra la crescita in dimensione del debito e degli sviluppi politici.

I risultati dell’Import-export della regione hanno continuato a deteriorarsi nel 2002 come era accaduto negli ultimi anni ed il tasso di disoccupazione era aumentato piuttosto drammaticamente nella maggior parte dei paesi. In Uruguay il 18% (dal 15% nel 2001), in Venezuela dal 11 al 15%, in Argentina è rimasto intorno al 18%, in Brasile è rimasto al 5/6%, in Cile è rimasto a circa 8%, in Colombia dal 16 al 18%, in Messico al 3%, in Perù è aumentato di un punto percentuale a 10% (Latin Focus, www.latin-focus.com). Ciò significa, un aumento generale della disoccupazione in molte delle regioni e si deve tenere a mente che le fonti ufficiali tendono in alcuni casi a sottostimare il tasso di disoccupazione.

Secondo l’ECLA (Panorama social de America Latina, 2000-2002, Santiago, Cile 2002) mentre la partecipazione dell’Asia (Giappone escluso) all’economia globale è aumentata dal 15% al 30% nel periodo 1973-2002, quella dell’America Latina è rimasta stagnante al 8%. Al momento il 40% delle famiglie ricevono il 15% del reddito nel continente facendo della regione quella più iniqua del mondo.

In Argentina il più ricco 20% (5 milioni di persone) riceve il 53% del reddito totale mentre l’80% della popolazione (31 milioni) riceve il rimanente 47% (Le Monde Diplomatique, novembre 2002). In Bolivia, Brasile e Nicaragua il 20% della popolazioneha un reddito che è 30 volte più grande del del più povero 20% della popolazione. Nel resto del continente questa disparità è solo 20 volte più grande. Per ogni indicatore statistico, il Brasile è il paese più iniquo del continente (Le Monde Diplomatique, novembre 2002). I paesi meno ineguali dell’area sono il Costa Rica e l’Uruguay, con la più equa ridistribuzione del reddito nel continente (e molto verosimilmente per il mondo intero è Cuba). Nell’intero continente circa 150 milioni di persone sopravvivono con un reddito di meno di $ 2 al giorno. Ci sono circa 300.000 persone che hanno beni per oltre $ 1 milione. Al momento ci sono 24 multimilionari in America Latina con un reddito combinato di $ 25 miliardi (il Messico ha 12 multimilionari, l’Argentina ne aveva alcuni ed ora uno solo). Una significativa proporzione di poveri in America Latina proviene dall’esclusione sociale di persone con origine africana ed indiana che, in totale, rappresentano il 40% della popolazione del continente.

Le politiche economiche neoliberali non sono l’unica causa principale di questa distribuzione altamente retrograda del reddito. Queste politiche minano, in alcuni casi in maniera catastrofica, la capacità dell’economia nazionale di assorbire gli shock causati dai bruschi movimenti di capitale in risposta alla volatilità dell’economia globale. La crisi brasiliana del 1999, come conseguenza della crisi economica del sudest asiatico del 1997, portò al collasso delle parità del real, la moneta brasiliana, al dollaro e ad un aumento dell’indebitamento di $ 43 miliardi. Quindi il Brasile ha attualmente un debito con l’estero di $ 260 miliardi (dieci volte il PIL di Cuba e circa un terzo del PIL del paese). La crisi del real del 1999 segnò il destino politico di Fernando Henrique Cardoso e spianò la strada alla vittoria di Lula. Si deve ricordare che non esisteva un partito di massa organizzato a livello nazionale come il PT e non esisteva, quindi, alcuna garanzia che i guai economici di Cardoso si sarebbero trasformati automaticamente nel successo elettorale di Lula.

Sotto la presidenza di Carlos Menem, anche l’Argentina legò la sua moneta, il peso, al dollaro in una parità letale che stava per portare l’economia allo sfacelo e alla caduta dell’amministrazione di De La Rua, la quale aveva ereditato una serie di difficoltà strutturali associate alle politiche economiche di Menem, il valore del peso crollò e le banche chiusero senza pagare i depositi dei propri clienti. Le province emisero loro monete che circolavano soltanto all’interno dei loro confini e che, per permettere il commercio, dovevano essere cambiate con quelle delle province limitrofe. Furono emesse più di una dozzina di queste monete. Nessun governo potrebbe sopravvivere politicamente se dovesse attuare i rimedi del FMI in una nazione in queste condizioni. Si deve ricordare che fu un’ondata di massa nella protesta popolare a determinare la caduta di De La Rua, il quale, per essere salvato dalla folla inferocita che aveva sfondato i cancelli del palazzo presidenziale di Buenos Aires, fu prelevato dal terrazzo da un elicottero.

Uno dopo l’altro, i paesi dell’America Latina sono stati massicciamente indeboliti dall’applicazione delle politiche neoliberali. L’Ecuador per esempio, risentì del doppio impatto della crisi economica messicana e del sudest asiatico, rispettivamente del 1995 e del 1997. La posizione relativamente competitiva del paese e la fuga di capitali trasformarono il paese da un esportatore di prodotti agricoli ad un importatore di eccedenze agricole come il grano, l’avena, le lenticchie, la soia, il granturco, e il latte in polvere dagli Stati Uniti. Quindi nel 1999 il governo di Yamil Mahuad congelò l’equivalente di $ 3,8 miliardi in depositi che rappresentavano i risparmi di una vita di circa 2 milioni di Ecuadoriani i (molti dei quali non li hanno ancora completamente recuperati). Ciò portò ad un inasprimento delle tensioni sociali e alla mobilitazione contro gli austeri rimedi in cui i movimenti indigeni ebbero un ruolo centrale. Fu il vescovo di Riobanda, Leonidas Praño, che con una prospettiva di Teologia di Liberazione, portò avanti, per alcune decadi, un processo di politicizzazione e d’organizzazione delle comunità indigene che condusse alla prima rivolta indigena del 1990. Il movimento è organizzato con una struttura ad ombrello chiamata CONAIE, Confederación de Nacionalidades Indígenas dell’Ecuador. All’interno di quest’ampio movimento ci sono diverse correnti politiche ed ideologiche ma il suo braccio politico è il Movimento Plurinacional Pachakútik. Ci sono altre strutture con presenza nazionale come il FENOCIN, Federación Nacional de Organizaciones Campesinas, Indígenas y Negras, d’orientamento socialista, e il FEINE, Federacíon Ecuadoriana de Indios Evangélicos. Per il 2000 c’erano tutte le condizioni per un’enorme esplosione sociale. Sorprendentemente il 21 marzo 2000, l’esercito e il movimento degli indigeni in una sollevazione che ebbe il supporto dell’80% della popolazione rovesciò il governo e mantenne il potere per circa 18 ore. La questione principale era la dollazizzazione dell’economia Ecuadoriana.

Ovunque si guardi in America Latina, esistono condizioni sociali e politiche simili che creano un contesto in cui è fortemente sentito il bisogno di dare espressione politica ad un ampio e vario movimento sociale. Questo è stato il caso del Messico, dell’Ecuador, dell’Argentina e recentemente della Bolivia e del Perù. .-----

3. Tendenze politiche in America Latina

Dopo i tumulti del 1989 a Caracas, in Venezuela, la pressione di massa contro un regime che cominciava a disintegrarsi molto rapidamente trovava espressione politica all’interno delle forze armate del Movimento Revolucionario Bolivariano 200. Il MRB-200 era guidato da un giovane ufficiale, Hugo Chavez, coinvolto nel colpo di stato del 1992 e per il quale era stato anche imprigionato, (“por ahora”). Questo divenne il candidato scelto dalla massa popolare alle presidenziali e nel 1998, con un successo inaspettato, vinse diventando il presidente e sottoponendo il paese ad un processo di mutamento politico che lo cambiò completamente. Il successo di Chavez fu tale da dover affrontare la massiccia opposizione orchestrata degli Stati Uniti (come in Cile prima del rovesciamento di Allende nel 1973), in particolare con scioperi generali guidati dalla classe media a Caracas e con un colpo di stato nell’Aprile del 2002. L’attuale amministrazione Bush ebbe un ruolo centrale nell’ultimo colpo di Stato.

Ciò che ha scatenato un’opposizione così feroce è stato il radicale e anti-neoliberale programma di riforme strutturali intrapreso dal governo di Chavez. Questo consiste di una nuova costituzione Bolivariana che rende impossibile la privatizzazione dell’industria petrolifera e dà allo Stato un ruolo centrale in questioni economiche, come la designazione di un nuovo sistema giudiziario, la rimozione del vecchio parlamento e l’elezione dell’Assemblea Nazionale. La nuova costituzione garantisce i diritti culturali delle popolazioni indigene, dà alle donne il diritto all’aborto per ragioni pratiche, garantisce un certo numero di diritti sociali alla popolazione (come l’educazione, l’impiego ecc.) e impegna il governo a farsi carico della riforma agraria. Nonostante le enormi disparità, Chavez è stato in grado di reagire ai vari tentativi di rendere il paese ingovernabile e di far naufragare l’economia nazionale. Ha assorbito il colpo di Stato incoraggiato dagli Stati Uniti e l’ondata di scioperi generali. Non c’è dubbio che la Sinistra latinoamericana si identifichi nella rivoluzione Bolivariana di Chavez e trovi in essa una fonte di ispirazione e di forza. La maggiore debolezza di Chavez è la mancanza di un partito che trasformi le necessità represse di una vasta maggioranza di persone in Venezuela, in una forza politica che dia impulso alla rivoluzione Bolivariana. Tuttavia il fallimento del colpo di Stato del 11 aprile 2002 caldeggiato dagli Stati Uniti (il direttore della CIA aveva detto al Senate Committe on Intelligence due mesi prima che se Chavez non avesse cambiato direzione non avrebbe ultimato il suo mandato [1]) e gli scioperi generali che seguirono avevano rafforzato politicamente Chavez e lo avevano preparato alla reazione. Si deve tenere presente che il presidente rimasto brevemente in carica durante il colpo di stato, Pedro Carmona Estanga, aveva immediatamente sciolto il parlamento, sospeso la Corte Suprema e ripudiato la costituzione. La reazione rapida dei poveri a Caracas e del resto del paese e degli ufficiali rimasti leali a Chavez chiamarono a raccolta una divisione dopo l’altra e “gli abitanti dei ranchitos sulla collina sopra Caracas si riversarono nelle strade, bruciando automobili, saccheggiando negozi e minacciando di occupare la città - come già fecero in precedenza”. La fine della rivolta vide lo straordinario spettacolo dei soldati unirsi nelle strade alla gioiosa folla, “sventolando i loro fucili e i loro berretti mentre la gente comune circondava il palazzo presidenziale” (Jeremy Alderman, New Left Review, Nov/Dec 2002, p. 65)

Un’interessante sviluppo è il Primer Encuentro de Solidaridad con la Revolucíon Bolivariana che sta avendo luogo in questo momento, (9-13 Aprile, 2003, Caracas) e che è rivolto a fare del Venezuela l’epicentro della lotta contro la globalizzazione neoliberale, in particolare del ALCA - FTAA. All’evento parteciperanno, tra gli altri, Evo Morales, Ignacio Ramonet, Nidia Díaz, James Petras, Hebe de Bonafini, Jean-Pierre Chevenement, Jose Bové, Ahmed Ben Bella, Rafael Alegría, Bernard Chancoso. Recentemente Lula e Chavez si sono incontrati per discutere su una più stretta collaborazione tra i due paesi ed verificare la possibilità dell’entrata del Venezuela nel Mercosur.

In Perù, dopo lo sgretolamento del regime di Fujimori, l’APRA mostrò uno straordinario recupero politico con la seconda posizione ottenuta da Alan Garcia in soli tre mesi di campagna, contro il neoliberale Toledo. “Nelle elezioni regionali del novembre 2002 L’APRA ottenne 11 presidenze regionali su 25, controllando la costa del Pacifico e la sierra nord e sud. Quattro peruviani su dieci votarono per candidati indipendenti. Negli altopiani centrali e nella regione dell’Amazonia ci furono molti militanti di sinistra che avevano guidato proteste sociali contro le politiche di privatizzazione di Toledo” (Jeremy Adelman, Andean Impasses, New Left Review, 18 Nov/Dic 2002, p. 61). Altre sette presidenze regionali andarono ad indipendenti, mentre il partito del signor Toledo, Perú Possibile, ne vinse soltanto una. In quel periodo, Toledo aveva un tasso di gradimento del solo 25% (BBC, 18 novembre, 2002). Ciò avveniva durante le elezioni dell’aprile 2001 ossia quando l’APRA di Alan Garcia arrivò al ballottaggio ottenendo il 26% dei voti contro il 36% di Toledo. Questo risultato sorprese tutti poiché Garcia era appena ritornato in Perù dall’esilio. Garcia, infatti, portava con sè il ricordo della sua precedente amministrazione (1980-85) in cui il tasso d’inflazione aveva raggiunto il 7.000% e lui stesso era stato implicato in alcuni scandali di corruzione. Toledo vinse il secondo round a Giugno del 2001 con circa il 52% dei voti, mentre Alan Garcia ottenne un impressionante 43%. Con questo sfondo politico i coltivatori di cocaina avevano iniziato ad ostruire le autostrade protestando contro le politiche antidroga del governo. Il governo, infatti, aveva cominciato a distruggere le coltivazioni di foglie di cocaina portando i coltivatori allo scontro diretto con la polizia. Toledo aveva accusato i cocaleros di essere finanziati dai trafficanti di droga e/o di essere legati al terrorismo. La situazione sembrerebbe migliorare da quando il Perù ha pagato $ 2.25 miliardi per risanare il debito estero e si accinge ad emettere $ 2 miliardi di obbligazioni per riequilibrare la sua bilancia dei pagamenti. Il 54% dei peruviani vive in povertà. ...

Il movimento dei cocalero ebbe origine dalle tradizioni culturali delle comunità indigene precolombiane che coltivavano, consumavano e commerciavano foglie di coca. Questi crearono un movimento che si opponeva al neoliberalismo e che aveva collegamenti con la sinistra, ottenendo risultati impressionanti. Gli indipendenti organizzarono fronti elettorali come il Movimento Popular Regional (MOPRE) o “Luchemos por Huanuco”, Union Popular peruana, Frente Amplio i cui vittoriosi candidati avevano militato nel MRTA, nel Movimiento Nueva Izquierda ecc. Questi agirono e si organizzarono indipendentemente dai principali partiti politici. Furono flessibili a tal punto da coalizzarsi tra loro. Si identificavano negli oppressi e opposero ampiamente le politiche neoliberali di Toledo (o di chiunque altro).

In Argentina lo stato permanente di ribellione delle province, la costante mobilitazione di massa dei disoccupati, la nascita del movimento dei piquetero e di quello delle classi media e operaia dei cacerolazos erano visibili quotidianamente nelle strade di Buenos Aires, rendendo il paese ingovernabile. Nessun partito politico propone alcun supporto ai movimenti che nel frattempo si organizzano da soli includendo i più poveri, i disoccupati, i barrios, gli studenti universitari e gli operai. Questi diventarono gli attori principali di una crisi che aveva messo a terra la nazione a partire dal tracollo economico del 2002. Lo slogan “Que se vayan todos!” è una chiara conferma di ciò. Nel paese ebbero luogo varie conferenze con lo scopo di costituire un nuovo partito su modello del brasiliano Partido dos Trabalhadores. Oratori, intellettuali e leader delle organizzazioni sociali rimpiangevano profondamente di non aver avuto un PT in Argentina che tirasse il paese fuori dalla confusione in cui era stato gettato da decenni di politiche neoliberali [2]. Intellettuali, economisti e esperti di politica avevano proposto il Fenix Plan che indicava soluzioni concrete per risolvere la crisi all’interno di una struttura neoliberale. Le organizzazioni neoliberali, d’altro canto, avevano proposto il Prometeo Plan. Il Fenix Plan criticava le politiche neoliberali applicate in Argentina e proponeva la riduzione del pagamento del debito estero, controlli incrociati per prevenire la fuga di capitali, un sistema di tassazione progressivo al fine di favorire la ridistribuzione del reddito, l’abolizione dei sussidi ai ricchi e l’implementazione di programmi economici per dare nuovo incentivo all’economia (nuove scuole, abitazioni meno care, lavori pubblici ecc.). Il Prometeo Plan, era molto più radicale. Questo proponeva la nazionalizzazione del commercio con l’estero al fine di finanziare l’investimento nel pubblico e l’industrializzazione; la nazionalizzazione del petrolio per finanziare programmi di formazione, infrastrutture e programmi sociali; l’introduzione di un sistema di tassazione progressiva con l’espropriazione come pena per chi tentasse l’evasione fiscale.

Per le elezioni presidenziali regnava una totale confusione. Il partito Radicale era completamente screditato, il che spiega perché la contesa elettorale è avvenuta tra differenti caudillos Peronisti. Questi sono Adolfo Rodríguez Saa (Frente Para La Victoria), Eduardo Duhalde, l’attuale presidente, Nestor Kirchner e Carlos Menen. Accanto a questa troika ci sono pochi candidati della sinistra come il socialista Alfredo Bravo, e Patricia Walsh, candidata per la Izquierda Unida. Mentre scriviamo nessuno dei candidati è riuscito ad ottenere il 25% delle preferenze elettorali della popolazione argentina.

Ciò che caratterizza principalmente la situazione degli argentini è il disgusto per la disoccupazione, per la povertà crescente e per il collasso della nazione, l’avversione per il governo e le altre istituzioni corrotte (la Corte Suprema e il Parlamento), il rigetto per l’intero establishment, la rabbia della gretta borghesia urbana e dei lavoratori più agiati per il congelamento e la svalutazione dei loro depositi bancari e risparmi, la generale ed attivaopposizione alla privatizzazione dei principali servizi pubblici e gli alti prezzi richiesti dalle multinazionali straniere, il senso di umiliazione nel vedere la nazione più ricca e colta del continente essere ridotta allo stato di povertà e quasi ad una colonia. Ciò ha portato ad una generale sfiducia nei confronti dei partiti visti come al servizio di interessi stranieri. Ci sono occupazioni di fabbrica (circa 100), meeting, manifestazioni e intense attività ed organizzazioni autonome di piqueteros e Asembleas de Barrio. La disillusione legata all’azione delle formazioni politiche esistenti è assoluta e daciò ne deriva lo slogan: “Que se vayan todos!

La ricchezza di contraddizioni che emerge tra le vittime del feroce neoliberalismo e il mucchio di criminali che erano stati al potere è costretto a mandare in frantumi il legame storico tra la classe lavoratrice e i poveri con il Peronismo (per lo meno nella corrente dominante). In secondo luogo, l’intensa attivita politica autonoma delle masse dovrebbe verosimilmente portare all’emergere di ampie alleanze politiche ed alla fine ad un partito politico di massa, come il PT. Inoltre le cause delle loro attività ed organizzazioni indipendenti danno l’impressione che il movimento sia parte di dinamiche oggettive o soggettive neoliberali.

In Bolivia Evo Morales e Felipe Quispe, alla guida di una coalizione che includeva movimenti indigeni, sindacati, contadini e poveri in generale, formarono il Movimento para el Socialismo che, nel giugno 2002, li portò quasi a vincere la carica presidenziale. Il suo programma fu decisamente contro il neoliberalismo. Questo propose la bozza di una nuova Costituzione rivolta a recuperare le risorse naturali del paese attualmente nelle mani delle compagnie straniere, all’adozione di politiche economiche di rilancio, alla riduzione del pagamento del debito pubblico, al regime fiscale progressivo ecc. Evo Morales è diventato da allora un attivista a livello continentale partecipando al World Social Forum a Porto Alegre e richiamando vari leader del continente, tra cui Lucio Gutierrez in Ecuador e Hugo Chavez in Venezuela, ad un coordinamento unitario degli sforzi per opporsi alle attuali politiche economiche. Inoltre, Evo Morales ha adottato Bolivar come mantello ideologico per il suo movimento politico. Il 12 e il 13 Febbraio, il governo introdusse una tassa sui redditi da salario che spinse alla ribellione i ranghi più bassi della polizia e ad uno scambio a fuoco con i soldati di guardia al palazzo nazionale di Lima e che provocò 33 morti (The Economist, 22 Feb 2003, p. 57). La questione è così seria che è materia d’investigazione da parte dell’ Organizzazione degli Stati Americani. In Bolivia, e in ogni altro luogo, il neoliberalismo, sta intralciando le attività principali dello Stato.

Già nel 1997, in connessione con la Bolivia, James Petras menzionò l’arrivo di un nuovo movimento che produsse leader come Evo Morales [3] (e Felipe Quispe [4]). In quel periodo, i contadini e gli agricoltori boliviani delusi dai partiti di Centro-Sinistra, facendo sempre più affidamento sul neoliberalismo, costituirono l’ASP (Asamblea para la Soberanía de los Pueblos), mettendo in campo candidati delle regioni della cocaina e vincendo in circa una dozzina di queste (NLR, 223, May/June 1997, p. 26-27). Attraverso tutto il 2000 e il 2001 gli indios, i contadini e coltivatori di coca, i cocaleros, combatterono per i loro diritti marciando verso la capitale sotto lo slogan “Coca o Muerte”, incontrando inevitabilmente la feroce repressione del governo Boliviano. Nonostante il forte schieramento di militari e polizia i dimostranti riuscirono in tutti i modi a bloccare le autostrade.

Come nel caso dell’Argentina, in Bolivia il movimento di massa attuò intense mobilitazioni politiche e sociali contro il governo e tra gennaio e febbraio 2003, le autostrade bloccate e le marce hanno causato oltre 30 morti e centinaia di feriti nel confronto con l’esercito e la polizia.

La vittoria del PT in Brasile è il risultato di un lungo e protratto processo di accumulo di forze che è durato circa venti anni. Già nel 1979 il leader degli operai metallurgici di San Paolo creò un partito politico a difesa delle classi lavoratrici. Nel 1980 nel suo primo manifesto il PT espresse i suoi obiettivi: creare un Brasile migliore e più decente che “sarà il frutto della volontà politica di indipendenza dei lavoratori, che sono stanchi di essere manipolati dai politici che appartengono a partiti che sono stati creati dal basso verso l’alto, dallo Stato alla società, dagli sfruttatori agli sfruttati” (Le Monde Diplomatique, novembre 2002, 4). In questo senso il PT è una formazione altamente originale che nacque dal basso e dalle classi lavoratrici [5]. In quel tempo, il manifesto del PT diceva: “la Nazione, il popolo e il paese saranno indipendenti solo quando esisteranno le condizioni per una libera partecipazione dei lavoratori nelle sue decisioni” (Le Monde Diplomatique, Novembre 2002, 4). Nel suo lungo cammino (che non è ancora terminato) il PT e Lula, furono sconfitti tre volte prima di ottenere l’incarico. I capisaldi del programma del governo Lula sono l’opposizione all’Alca, che egli definisce come un “progetto di annessione” (Le Monde Dipolmatique, Novembre 2002, 4) e un rinvigorimento del Mercosur con un chiaro orientamento verso l’Unione Europea. Recentemente il Brasile ottenne lo status di Most Favoured Nation dall’Unione Europea e il tipico cibo brasiliano, il pollo, inondò il mercato europeo e quello britannico. I problemi sono, ad ogni modo, enormi. -----

Lula ha ereditato una situazione finanziaria altamente volatile e un debito esterno gigantesco che è fondamentale per il capitale internazionale, per il FMI e per la Banca Mondiale. Quindi il pagamento del debito estero peserà fortemente sulla capacità di Lula di implementare il suo programma sociale. Lula deve mantenere la fiducia dei mercati, quindi mantenere l’autonomia della Banca Centrale di stabilire il tasso di interesse e di conseguenza rendere il governo alquanto inutile nel momento in cui si debba prendere decisioni su politiche economiche. Lula non può nè aumentare soltanto la tassazione sui ricchi per rendere effettiva una ridistribuzione dei redditi nè introdurre politiche che colpiscano le enormi ineguaglianze sociali ed economiche che caratterizzano il Brasile. Ciò causerebbe la fuga di capitali su grande scala. Tuttavia Lula non ha bisogno di grandi risorse per ottenere significativi miglioramenti nello standard di vita dei poveri. La sua maggiore difficoltà è l’attitudine altamente ostile adottata dall’amministrazione Bush nei riguardi del suo governo, la relativa debolezza dell’Unione Europea come principale partner commerciale del Brasile e soprattutto lo spiacevole stato del Mercosur dopo il collasso dell’economia argentina. L’aspetto peggiore di tutto ciò è che se non dovessero avere successo Lula e il PT al governo, è possibile che sia, nel migliore dei casi, una seria battuta d’arresto o, nel peggiore, avere conseguenze catastrofiche per il resto della Sinistra nell’America Latina. Al contrario, dovesse avere successo sia nell’andare incontro in qualche soddisfacente modo alle richieste dei poveri in Brasile e sia fermare l’ALCA, la Sinistra in America Latina potrà avere un futuro piuttosto promettente.

Come cosa curiosa deve essere riportato che la Sinistra in Cile sembra essere... per sempre senza alcuna prospettiva di recupero. Sebbene la Sinistra Cilena sia valorosa, influente e piena di vita intellettualmente, il suo componente principale, il Partito Comunista, commise un grave errore quando alla seconda tornata delle elezioni presidenziali, il segretario generale del partito, Gladys Marin, richiamò i sostenitori del partito ad astenersi e a non votare per il socialista Ricardo Lagos, che affrontava la formidabile sfida del Pinochetista Eduardo Lavín.

4. Conclusione

La Sinistra in America Latina si sta sottoponendo ad un processo di ricomposizione politica che ha tempi differenti e caratteristiche diverse, in ogni singolo paese del continente. Tra il Venezuela, il Brasile e Cuba c’è oggettivamente una sorta d’asse, non solo perché in questi paesi la Sinistra è al potere o ricopre cariche importanti, ma anche perché le tre esperienze racchiudono il ricco e variegato universo delle realtà della storia latinoamericana, la sua composizione sociale e razziale e la sua identità nazionale. Tutte e tre sono divenute forti sostenitrici e promotrici del World Social Forum e del São Paulo Forum, eventi che permettono entrambi, a livello sociale e politico, lo scambio, con la possibilità di imparare reciprocamente, delle esperienze dei movimenti sociali e politici del continente. Questi forniscono l’ossature migliore dell’opposizione all’ALCA - una questione vitale per la Sinistra del continente. I tre suddetti governi hanno tutti delle piattaforme politiche che includono domande ed interessi, non solo della classe lavoratrice ma anche della popolazione nera, delle comunità di indigeni, delle donne, della difesa dell’ambiente, dei piccoli agricoltori e dei piccoli imprenditori, ossia gli interessi delle immensa maggioranza del continente.

Quindi, se la Sinistra è in grado di diventare uno strumento utile per gli oppressi del continente allora deve iniziare dal riformulare criticamente le basi della nazione incorporando i diritti e gli interessi di tutti i gruppi oppressi. In relazione a ciò, il riaffermarsi e la riscoperta di leader latinoamericani storici soppressi e dimenticati, è cruciale per latinoamericanizzare le loro ideologie. Potrebbe anche essere necessario sviluppare un nuovo concetto d’identità nazionale. Riguardo a ciò il Guatemala è un caso pertinente. L’FSLN del Nicaragua ottenne molta della sua legittimazione identificando se stesso con la figura di Cesare Augusto Sandino. In un contesto molto differente, l’EZLN ha fatto qualcosa di simile con Emilio Zapata. Così ha fatto anche Chavez con Símon Bolivar in Venezuela. La Rivoluzione Cubana ha fatto lo stesso con José Martí.

L’area più difficile della Sinistra è lo sviluppo di un programma economico alternativo a quello del neoliberalismo, specialmente se non si è in vista di una rivoluzione in America Latina per l’immediato futuro. Ciò significa che la Sinistra deve sviluppare una strategia che deve includere, arrivando al governo pacificamente attraverso elezioni per liberare dal nodo diabolico del neoliberalismo. Ciò che è cruciale è il non accettare che Castañeda e altri come lui dicano che la rivoluzione e le riforma sono opzioni totalmente incompatibili, quindi, la Sinistra latinoamericana “deve riconciliare se stessa con l’ammettere che il futuro non sarà nulla di più della versione intensificata - se non migliorata - del presente”. Secondo Luis Fernandes, questa visione ha i forti echi di Fukuyama; “non esiste alcun corso alternativo di sviluppo dietro le frontiere di un’economia incentrata sul mercato” e “alcun concetto di democrazia liberale-procedurale” (New Left Review, 215, Gen/Feb 1996, p. 142-143)  [6]. L’esperienza Argentina dimostra che questi limiti possono e devono essere superati. Altrimenti la logica del neo-liberalismo si riaffermerebbe con conseguenze politiche devastanti, come nel caso di Lagos, che ha felicemente rinunciato a diventare un efficiente amministratore del sistema economico stabilito e sviluppato in 17 anni di dittatura militare.Questa logica deve essere fermata, ostacolata e dove possibile invertita. Affinché ciò avvenga, ogni governo avrà bisogno di godere di un controllo decisivo - parziale o totale attraverso la nazionalizzazione - delle banche. Inoltre, come affermato da Luis Fernandes: “Una strategia efficace della Sinistra in America Latina deve seriamente e coraggiosamente confrontarsi con le strutture estremamente concentrate della povertà del continente” (New Left Review, 215, Gen/Feb 1996, p. 148). Non c’è altra via per colpire i livello d’iniquità sociale, d’emarginazione e di povertà che prevale in America Latina.

Finalmente la sinistra deve affrontare la sfida del neoliberalismo su scala continentale, ossia deve cercare un coordinamento continentale d’opposizione collettiva, ma deve anche sforzarsi di porre in atto l’integrazione regionale, la cooperazione regionale, il commercio regionale e una impostazione centrale del suo programma di governo. Nella stessa maniera, deve utilizzare questo meccanismo regionale per opporsi alle iniziative guidate dagli Stati Uniti nella regione, come il Plan Colombia, il Andean Regional Initiative, o il Plan Dignidad.

Quanto detto sopra è una sfida formidabile resa ancora più difficile dalla struttura della politica mondiale, ossia l’esperienza di una singola superpotenza economica e militare che è diventata sempre più aggressiva. Gli Stati Uniti sono stati aiutati in America Latina non dai suoi tradizionali alleati, la Gran Bretagna, ma dalla Spagna. Nell’ottobre 2002 fu fondato un nuovo ente, La Fundación Nacional para la Libertad, guidata da Mario Vargas Llosa. La fondazione è costituita da circa 400 istituti guidati da ogni sorta di intellettuali ed imprenditori spagnoli, statunitensi e latinoamericani. L’inaugurazione della fondazione si proclamò di voler combattere il “neopopulismo” di Chavez e Lula e contro Fidel Castro. All’inaugurazione erano presenti l’esule cubano Carlos Alberto Montaner, Ana Palacio, il ministro degli esteri spagnolo, e Ana Rotella, moglie di José María Aznar. Nessun’altra parola è possibile!

NOTE


[1] Mentre Chavez era trattenuto prigioniero, tre navi da guerra statunitensi entrarono illegalmente nelle acque territoriali venezuelane e vi stazionarono (Jeremy Alderman, New Left Review, Nov/Dec 2002, p. 64).

[2] Ci sono stati molti eventi nazionali organizzati da questi movimenti sociali che avevano fatto ritenere necessaria la creazione di un Partido dos Trabalhadores in Argentina. Molti affermavano che se Lula si fosse candidato alle presidenziali in Argentina le avrebbe vinte.

[3] Nel gennaio 2001 Evo Morales definì il tipo di organizzazione politiche al quale il loro movimento aveva dato vita come “uno strumento politico per la sovranità dei popoli, meglio conosciuto come Movimento al Socialismo (MAS). Morales e il suo movimento sono altamente critici nei confronti delle multinazionali, delle società locali che riciclano i denari provenienti dalla droga, del Plan Colombia statunitense e del suo corrispettivo boliviano, il Plan Dignidad. Evo Morales propone la creazione di molte Cuba in America Latina per accogliere la sovranità dei popoli del continente” (Bolivia: Entrvista ad Evo Morales,dirigente campesino, Rebelión, 2i gennaio 2002, www.rebelion.org). Evo ha ragione ad enfatizzare questo aspetto della politica boliviana poiché negli ultimi 15 anni le multinazionali sono piombate sui paesi e li hanno depredati delle loro risorse naturali come l’acqua, le miniere e i loro immensi depositi di gas e petrolio. In più Evo e il suo movimento si sono opposti all’ALCA. Uno degli MP di MAS è Chato Peredo, uno dei combattenti della guerriglia boliviana del foco di Che Guevara nel 1967. MAS ha 27 MP e 8 senatori nella legislatura boliviana essendo quindi la seconda forza politica nel paese.

[4] Felipe Quispe Huanca “Mallku”, Indiano Aymara, autore del libro su Tupai Kapar, cofondatore del Ejército Guerillero Tupak Katari, leader del Movimento Indigeno Pachakuti (MIP) è attualmente Executive Secretary of Confederación Sindical Unica de Trabajadaores Campesinos de Bolivia (CSUTCB). Il MIP si è imbarcato su un progetto di autodeterminazione della nazione indigena della Bolivia. Qui sta la base della riformulazione della Bolivia come paese multirazziale.

[5] Ci sono altri due partiti politici (di cui sono a conoscenza) che hanno mutato direzione in questo senso: The Chilean Socialist Workers Party e il British Labour Party.

[6] Luis Fernandes (New Left Review, 215, Gen/Feb 1996, p. 141) si è dichiarato in maniera convincente contro ogni generalizzazione che riguardi l’irresistibile crescere del pragmatismo realista tra le Sinistre in America Latina guardando all’esempio delle organizzazioni della guerrilla del Centro America che “fecero in modo di legare la loro lotta ad ampie forme di lotte politiche e sociali pacifiche, giocando un ruolo positivo e quindi cruciale nella democratizzazione dei loro rispettivi paesi”. Fernandes si chiede “se i sistemi democratici vigenti - con tutti i loro limiti esisterebbero senza la lotta armata intrapresa dal FSLN e dal FMLN”.