La vittoria della sinistra nelle elezioni del 2002 in Brasile è stato un evento storico. Per la prima volta nella storia politica del paese, non soltanto è stato eletto come presidente un candidato, Luiz Inácio Lula da Silva, del Partido dos Trabalhadores (PT o Partito dei Lavoratori), il partito di sinistra più grande, ma il PT è anche risultato essere l’unico e il più grande partito politico nella Camera dei Deputati, quella bassa del Parlamento, spingendo il partito di destra, Partido da Frente Libera (PFL), al secondo posto e quello dall’ampio consenso di centro, Partido do Movimento Democrático Brasilero (PMDB), al terzo. Questo scritto intende esaminare la dimensione in cui il nuovo governo del PT, capeggiato da Lula, è impegnato e politicamente preparato, a perseguire con efficacia politiche a difesa dei poveri e a combattere la cronica ed endemica povertà e disparità sociale del Brasile. Le radici storiche e l’attuale dimensione ed intensità della povertà e dell’ineguaglianza in Brasile sono ampiamente conosciute e dibattute. Questo scritto non riproporrà e non ripercorrerà questo terreno (Camargo e Barros, 1993; Lima, 2002 e Saha, 2002). Qui l’intenzione è soltanto quella di valutare le probabilità di successo del nuovo governo di Lula di sconfiggere la povertà e l’emarginazione sociale, in considerazione dell’ambito politico in cui dovrà operare.
Lo scritto è suddiviso in sette sezioni. Nella Sezione 2, metto in risalto che l’ascesa del PT come partito politico, rappresenta un notevole distacco dalla tradizionale cultura politica d’elite del Brasile e un significativo passaggio ad una democrazia aperta alla partecipazione di tutta la società anche a livello locale. In questa sezione sottolineo anche l’esistenza di spaccature all’interno del partito che potrebbero ridurre la sua capacità di funzionare efficacemente come agenzia per i cambiamenti. Nella Sezione 3 presento una tipologia semplificata dell’attuale spazio politico del Brasile con una visione sul margine di manovra del PT in esso. Nella Sezione 4 analizzo i recenti mutamenti nelle rispettive forze della sinistra, del centro e della destra all’interno del Parlamento federale. Nella Sezione 5 osservo i contenuti del programma della campagna politica del 2000 del PT con riferimento alla loro applicazione nella lotta alla povertà. Nella Sezione 6 esamino la composizione del nuovo gabinetto di Lula, il background politico e sociale dei suoi membri e la natura del bilanciamento politico che si stende dietro alla formazione del gabinetto, per capire se questo gruppo di persone è veramente intenzionato ed in grado di effettuare cambiamenti strutturali in favore dei più poveri e mutamenti di direzione nelle scelte politiche. Nella Sezione conclusiva, la 7, presento alcuni dei sintomi iniziali del possibile scenario futuro.
L’ascesa del PT come partito politico ha segnato per molti versi uno spartiacque nelle politica brasiliana. La politica in Brasile è sempre stata tradizionalmente associata ad una cultura fatta di rapporti clientelari e patrimoniali, accordi informali e intermeshing network, di compromessi politici tra potenti elite locali con legami di patronato e di potenti mediazioni tra questi e la gente comune nelle loro aree d’influenza (Schmitter, 1971; Cintra, 1979). Il sistema è spesso riferito come coronelismo, ossia la concentrazione del potere a livello locale nelle mani di un network di proprietari terrieri locali, conosciuti come coroneis (con un reale o preteso legame con le gerarchie militari) o doutors (con una rivendicazione del proprio status per via di un diploma di laurea) (Leal, 1948). In questa cultura politica, i partiti politici sono sempre stati degli apparati guidati da elite per la raccolta di voti a favore di questi capi, ossia “poco più di meccanismi di clientelismo per le oligarchie regionali” (Hagopian, 1996, p. 46). Ma il PT è stato differente sin dall’inizio.
“Il PT nacque dall’unione tra una massiccia sollevazione della forza lavoro sul finire degli anni ’70 e un periodo di dibattiti all’interno della sinistra sul tipo di partito politico (o partiti politici) che si sarebbe dovuto formare nella transizione verso la democrazia. [...] Come partito socialista, propose cambiamenti radicali nella direzione di politiche sociali ed economiche a beneficio dei meno privilegiati. Come partito democratico e d’ampio consenso, propose un nuovo concetto di politica in cui i settori precedentemente esclusi della popolazione sarebbero stati messi in grado di esprimersi a proprio favore. [...] La stessa esistenza del PT sembrò implicare il crollo dei consolidati modelli di dominazione elitaria del sistema politico.” (Keck, 1992, p. 3)
Il PT è un partito di massa ed il suo livello di democrazia interna è senza dubbio più grande di ogni altro partito in Brasile. Ci sono, in ogni caso, serie contraddizioni al suo interno che forse dovrebbero essere scontate per un partito di massa che applica pratiche di democrazia interna. Attraverso tutti gli anni ’80, sono coesistite nel PT due tendenze parallele, quella di una moderata Articolazione per una Democrazia Socialista (Articulação à Democrazia Socialista o ADS) e quella di una più radicale Convergenza Socialista (Convergência Socialista o CS), fino a quando, nel 1996, José (Zé) Maria non portò il CS fuori dal PT per creare un nuovo partito chiamato Partito Socialista dei Lavoratori Uniti (Partido Socialista dos Trabalhadores Unificados o PSTU). Attualmente, alla destra del partito, c’è Campo Majoritário, che è ulteriormente suddiviso in una sottocomponente maggiore detta Articulação e in una seconda minore detta Democrazia Radical. A sinistra ci sono svariate correnti, la più ampia delle quali è chiamata Democrazia Socialista. Tra le altre correnti ci sono Articulação de Esquerda, Força Socialista, O Trabalho e un certo numero di singoli indipendenti sostenuti a livello locale. Nelle elezioni del 2002 su 91 membri del PT eletti come deputati federali, 30 si ritiene facciano parte delle correnti di sinistra. Tra questi nove appartengono all’Articulação de Esquerda e sette alla Democrazia Socialista. Due terzi dei deputati federali appartenenti al PT nel 2002, sono quindi favorevoli ad abbandonare l’idea del socialismo rivoluzionario degli anni ’60 e ’70.
L’ampia base del PT, inoltre, non sembra estendersi all’interno di tutta la società civile brasiliana e neanche tra i gruppi più poveri. Ebbe origine tra i militanti dei movimenti sindacali dei lavoratori organizzati dell’industria automobilistica e metallurgica di San Paolo verso la fine degli anni ’70 ed ottenne la maggior parte del suo supporto intellettuale e strategico, attraverso tutto il paese, da accademici di sinistra e da importanti porzioni delle diverse classi di professionisti. Da allora ha rappresentato principalmente una coalizione per il reciproco sostegno, tra operai organizzati dei settori manifatturieri (classe operaia) e la parte medio-bassa della classe media salariata.
Mentre la sua alleanza con la Federazione Nazionale dei Sindacati (Central Unica dos Trabalhadores o CUT), che rappresenta principalmente questa coalizione, è sempre stata organica e forte, il sostegno che ha dato e ricevuto da segmenti attivi di lavoratori rurali, rappresentati dai relativamente moderati Sindacati dei Lavoratori Rurali (Sindicatos dos Trabalhadores Rurais o STRs) e dal più radicale Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra (Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra o MST), è stato piuttosto selettivo e distante. Il suo aiuto ai segmenti non organizzati della forza lavoro del paese, ad esempio ai lavoratori delle piccole e medie industrie non ufficiali, ai lavoratori non sindacalizzati del commercio all’ingrosso e al dettaglio, all’agricoltura di piccola scala, ai settori del trasporto e dei servizi, sia nelle aree urbane che in quelle rurali, è stato fino ad ora caratterizzato da una evidente assenza. In una intervista al Folha de São Paulo prima delle elezioni del 2002, uno dei massimi ideologi del MST, João Pedro Stedile, spiega l’ambivalente attitudine del movimento verso il PT. Questo ammette che il PT è l’unico partito politico nazionale che prende posizione decisa verso un reale cambiamento sociale in Brasile e che è a causa di ciò che l’MST lo appoggerà sempre durante le elezioni. Inoltre dice:
“Questo [del PT] non è un discorso a difesa del programma della sinistra o della necessità di cambiamenti radicali che la nostra società richiede. Nell’ambito ideologico questo è un programma del centro. Ma la cosa più importante non è il discorso bensì la natura delle forze sociali che si sono mobilitate intorno ai candidati. La candidatura di Lula simbolizza il cambiamento. [...] Tutta la nostra militanza sociale - quella del MST e quindi di tutti i movimenti rurali - è impegnata nella campagna di Lula” (Stedile, quoted in Fraga, 2002).
Anche prima che Lula diventasse presidente, il 1 gennaio 2002, l’MST aveva avvisato che i propri interessi non dovevano essere svenduti nel mercanteggiare politico che spesso ha accompagnato la formazione di governi, nel frazionato sistema politico del paese. L’MST domandava che ampi tratti di terra appartenenti a grandi proprietari terrieri, inclusi quelli che sono attualmente sotto l’illegale occupazione degli abusivi (accampamentos), fossero tolti ai primi, trasformati in pianificati insediamenti per coloni, con abitazioni ed ogni tipo d’infrastrutture necessarie costruite a spese del governo federale e legalmente concessi agli ultimi. L’MST considera Lula come un alleato dei senza terra e che: “Se il governo accelerasse il processo d’acquisizione delle terre (per la sistemazione dei senza terra) non ci dovrebbe essere più bisogno di nessuna nostra azione d’occupazione forzata. Nessuno lo fa perché sembra una cosa simpatica da fare o lo prende come fosse un picnic” (Balthazar, 2002, A8). In altre parole, il nuovo governo del PT è stato avvisato.
Il PT naturalmente non è il solo partito della sinistra in Brasile. Infatti, una cultura politica guidata non dall’ideologia e/o dalla dottrina ma dalla personalità e dal riconosciuto prestigio dei leader - i più moderni e non locali coroneis e doutors - ha prodotto, una volta che con al Legge 6767 del 20 dicembre 1979 è stato tolto il divieto dei militari all’esistenza di partiti politici, una mappa di partiti estremamente frammentata. Nel 2002, 19 partiti ottennero la rappresentanza alla Camera dei Deputati, la camera bassa del Parlamento. Nel 1998 altri due avevano vinto seggi al Parlamento e sono ancora attivi politicamente. Esiste un certo grado di fluidità nell’appartenenza ad un partito o ad un altro - sia i membri appena eletti che i vecchi leader, inclusi senatori, deputati federali e statali, sindaci e candidati ai governatorati e alla presidenza spesso cambiano partito. Alcuni lo hanno fatto diverse volte durante la loro carriera politica. Molti di questi partiti poi sono difficilmente distinguibili per dottrina, orientamento politico e slogan elettorali. Collocarli all’interno della sequenza sinistra-centro-destra attraverso un rigoroso criterio ideologico o di orientamento politico risulta spesso problematico.
In ogni caso, è possibile identificare una sinistra allargata mettendo insieme tutti quei partiti che sono emersi nei vari tentativi di mobilitazione delle masse più povere, durante le diverse fasi della recente storia politica del Brasile, ed in particolare di quelle sezioni organizzate della forza lavoro e degli uomini e delle donne semplici, contro gli interessi delle elite tradizionali e dei grandi industriali. Il PT, il partito che è scaturito dal Partido Trabalhista Brasileiro sostenuto da Vargas (l’odierno PTB e il partito di Leonel Brizola: il Partido Democrático Trabalhista), quelli scaturiti dai movimenti comunisti degli anni ’30 (il Partido Comunista do Brasil e il Partido Popular Socialista), il partito creato nel 1988 dai dissidenti di sinistra dei partiti di centro e dai dissidenti del PT (Partido Socialista Brasilero) e il Partito dei Verdi creato nel 1993, sono ovvi candidati da includere nell’allargamento della sinistra. Il centro è chiaramente rappresentato dai due grandi partiti (il Partido do Movimento Democrático Brasileiro e il Partido da Social Democrazia Brasileira) che costituivano “l’opposizione ufficiale”, il Movimento Democrático Brasileiro, creata dai militari nel 1966. Questi sono partiti populisti con una forte organizzazione partitica in tutti gli Stati e quindi in grado di ottenere voti durante i periodi elettorali. Il PSDB costituì la base elettorale di Cardoso nella vittoria alle elezioni presidenziali del 1994 e del 1998, mentre i PMDB è stato un cruciale mediatore di potere a livello nazionale sin dalla fine del regime militare nel 1984. A destra della politica brasiliana ci sono i partiti che sono succeduti all’ARENA di un tempo, la base politica di supporto ai regimi militari tra il 1964 e il 1984 (il Partido de Frente Libera, il Partido Progressista Brasileiro e il Partido Liberal). Questi partiti hanno principalmente rappresentato gli interessi dei grandi proprietari terrieri e delle grandi imprese agricole. In più c’è un’insieme di piccoli partiti guidati ed orchestrati da leader carismatici e/o ultranazionalisti o da interessi elitari particolari. Alcuni di questi sono soltanto di natura transitoria, spesso chiamati “partiti a nolo” o partidos de aluguel. L’attuale mappa politica dei partiti del Brasile è mostrata nella tavola 1.
-----
L’ascesa della sinistra allargata in Brasile negli anni ’90 è stata impressionante. Nel 1994, i sette partiti della sinistra avevano ottenuto 122 seggi alla Camera dei Deputati, 14 al Senato e 6 governatorati. La loro presenza alla Camera aumentò fino a 136 nel 1998 e a 194 nel 2002, mentre al Senato ottennero negli stessi anni rispettivamente 21 e 27 seggi. Tra il 1994 e il 2002 la rappresentanza della sinistra al Senato era quasi raddoppiata ed era aumentata del 59% alla Camera dei Deputati. Il successo del PT è stato ancora più straordinario. Tra il 1984 e il 2002, i suoi posti al Senato crebbero da 4 a 14, un aumento del 180%, e quelli alla Camera da 51 a 93, con un aumento del 82%. Nel 1994 i candidati della sinistra ottennero la carica governatore in sei Stati; quel numero crebbe a 10 nel 2002. Anche il PPS e il PSB ottennero risultati impressionanti sebbene partendo nel 1994 da una base più piccola. Il PTB ha mantenuto le sue posizione sin dal 1994, mentre le rappresentanze del PC do B e del PV scesero tra il 1994 e il 1998 e salirono di nuovo in maniera significativa tra il 1998 e il 2002.
Il mantenimento del potere da parte della destra e del centro, d’altro canto, è andato riducendosi sin dal 1994. La destra ottenne 30 poltrone al Senato nel 1994, riducendole a 21 nel 1998, e ottenendo un leggero aumento a 24 nel 2002. La sua rappresentanza alla Camera scese da 207 nel 1994 a 182 nel 1998 e quindi a 171 nel 2002. I maggiori perdenti furono i due partiti più grandi, il PFL e il PPB. Il più piccolo PL, attualmente alleato di Lula, ha infatti migliorato la sua posizione tanto al Senato quanto alla Camera. La rappresentanza del PSDB, uno dei due partiti di centro, si rafforzò marginalmente in entrambe le camere del Parlamento tra il 1994 e il 1998 ma poi ebbe un vertiginoso declino nel 2002. Il PMDB, l’altro partito di centro, mantenne le sue posizioni tra il 1994 e il 1998 ma poi soffrì di un’imponente inversione nel 2002. I due partiti di centro ancora mantengono nel Parlamento Federale il 37% delle poltrone del Senato e il 29% di quelle della Camera. Lula non può effettivamente governare a meno che uno di questi partiti di centro non sostenga le sue misure legislative. La destra e il centro insieme possedevano 21 governatorati nel 1994. Quel numero cadde a 17 nel 2002 (Cfr. Tavola 2).
È significativo che nel suo programma elettorale per le elezioni del 2002 intitolato Un Altro Brasile è Possibile (Um Outro Brasil è Possível), il PT non menzioni neanche una volta la parola “socialismo” ad eccezione di un solo caso, nel contesto negativo del collasso del “socialismo” nell’Europa Centrale ed Orientale. Si tratta di un documento suddiviso in cinque parti. La prima parte descrive a grandi linee il concetto di un nuovo contratto sociale per il superamento dei limiti del mercato.
“Il nuovo contratto sociale che proponiamo rappresenta un impegno strategico per i diritti umani e un completo cambiamento di direzione. Questo porterà a sfidare l’egemonia della cultura dell’eccessiva dipendenza dal mercato favorita dalla globalizzazione capitalista. [...] Il nostro progetto per la nazione possiede la chiara visione di una società che sia basata sulla solidarietà e non sullo sfruttamento e sulla esclusività di elite” (Partido dos Trabalhadores, 2002a)
I limiti del mercato sono così descritti:
“Il mercato non produce giustizia e non garantisce alcun impegno etico o per il futuro. Il mercato non può sostituire il dibattito pubblico democratico e le decisioni che ne scaturiscono. Queste soltanto possono garantire la protezione dell’ambiente e la giustizia sociale” (Partido dos Trabalhadores, 2002a)
La seconda parte enfatizza la necessità di evadere dalla camicia di forza internazionale imposta dal “neoliberalismo globalizzato”. Questa assume una posizione di contrapposizione ai propositi dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), che è vista come una delle cause di “uno scenario che prevede un aumento della perdita di potere decisionale degli Stati locali (America Latina) e un progressivo incremento del controllo sull’economia della regione da parte degli Stati Uniti”.
La terza parte espone l’ossatura del nuovo modello di sviluppo. “La ridistribuzione dei redditi e delle ricchezze per la creazione di un vasto mercato per il consumo di massa e (l’introduzione di) politiche sociali universali e di base, sono gli elementi propulsori di questo nuovo modello”. Per dare fondamento a questo nuovo modello vengono presi 15 impegni politici specifici. La quarta parte promette un nuovo contratto sociale che effettuerà cambiamenti strutturali a garanzia di una equa distribuzione del reddito, della ricchezza, del potere e della cultura - ingredienti necessari per una nuova agenda di integrazione sociale. Questo nuovo contratto sociale penalizzerà i rent-seekers e gli speculatori ma beneficerà tutti i piccoli e i grandi imprenditori che si occupano di attività produttive per l’ampliamento dei mercati per il consumo di massa.
La quinta parte promette di respingere il memorandum d’intesa firmato dal governo Cardoso con il FMI e di muoversi in direzione di un sistema contemplato nel Memorandum sulla Responsabilità Economica e Sociale, che dovrà essere negoziato annualmente sulla base di una discussione più ampia possibile con la società brasiliana.
A giugno il PT ha anche emesso un altro documento, che è circolato di meno, chiamato Concetti e Direttive del Programma di Governo del PT per il Brasile 2002. In questo documento, assume una posizione più dottrinale sul suo futuro approccio alle politiche chiave di governo. Promette “una rottura con l’attuale modello economico basato sulla liberalizzazione del mercato, sulla radicale deregulation dell’economia nazionale e sulla conseguente subordinazione delle sue dinamiche agli interessi e ai capricci del capitale finanziario globalizzato” e una determinata ricerca di “un nuovo modello di sviluppo che sia economicamente percorribile, ecologicamente sostenibile e socialmente giusto”. Promette di “accelerare la crescita e di mantenere il sociale come asse portante dello sviluppo”. Il marchio distintivo della sinistra radicale è chiaro in questo documento:
“Noi ci dovremmo opporre alla globalizzazione del capitale e dei mercati mettendo al loro posto la solidarietà e l’internazionalismo della gente. È in questo contesto che la difesa del socialismo democratico può essere meglio ottenuta e che il sostegno ad un programma della sinistra su scala internazionale può diventare assai più diffuso” (Partido dos Trabalhadores, 2002a).
Questo documento critica il programma di privatizzazioni portato avanti dai governi Collor de Melo, Itamar Franco e Cardoso come responsabile dello stato precario delle infrastrutture che minano la sistematica competitività e la potenziale crescita dell’economia nazionale. Afferma che la privatizzazione aumenta i prezzi relativi d’importanti beni pubblici come l’energia, le comunicazioni e i trasporti, il cui onere ricade sproporzionatamente sui poveri. Questo significa, in effetti, che il governo federale ha appena trasferito le risorse pubbliche esistenti, create dal Brasile durante svariati decenni, ad interessi privati nazionali e stranieri, invece di crearne di nuovi. Lo Stato ha quindi perso il controllo sui dati di base richiesti per lo sviluppo e l’economia ne ha perso in competitività. La continua dipendenza del paese dai capitali stranieri e il continuo mantenimento di alti tassi d’interesse hanno creato enormi problemi al debito. L’aver accettato le condizionali del FMI ha significato dover dare la priorità alle spese per il mantenimento del debito rispetto a quelle necessarie, nella gestione dei servizi pubblici, alle infrastrutture, alla scienza, alla tecnologia e al settore sociale. L’economia nazionale fu perciò spinta in uno stato di cronica dipendenza dai capitali stranieri. Il PT promette di sospendere ulteriori avanzamenti dell’attuale programma di privatizzazione e di rivalutare e di ricontrollare le sue implicazioni ab inizio.
Il solido impegno antipovertà del documento include: (I) uno salario minimo nazionale collegato al programma di retribuzione scolastico (bolsa-escola), (II) la distribuzione dei terreni ai senza terra, (III) un migliore accesso alle risorse finanziarie per i poveri e (iv) un programma di garanzia contro la fame e sulla sicurezza del cibo.
Si esprimono a chiare lettere sei misure specifiche che il nuovo governo del PT intende affrontare per ridurre la vulnerabilità e la dipendenza esterna dell’economia nazionale:
(i) Migliorerà ulteriormente la già positiva bilancia commerciale riducendo l’attuale livello di deficit nello scambio di sevizi e nella bilancia dei pagamenti. Ciò includerà misure per aumentare i contenuti tecnologici e di valore aggiunto delle esportazioni, per ottimizzare e razionalizzare la struttura dei trasporti, per immagazzinare, realizzare, specialmente beni di consumo, prodotti elettrici ed elettronici, beni capitali, petrolio, prodotti chimici, turismo e sottosettori dei cantieri navali.
(ii) Porrà rimedio allo squilibrio creato dall’incontrollata apertura del mercato domestico alla competizione straniera. Ciò sarà ottenuto con una revisione della struttura tariffaria e con l’istituzione di misure prive di tariffe permesse dai meccanismi di salvaguardia del WTO al fine di proteggere i settori strategici dell’industria. Saranno inoltre messe in atto delle politiche attive, a difesa degli interessi commerciali del paese e contro le misure anticompetizione e le pratiche commerciali aggressive degli altri paesi.
(iii) Adotterà severe normative per l’entrata d’investimenti stranieri diretti, con particolare attenzione nel regolare il loro flusso in attività speculative e nei settori prioritari inclusi quelli che supportano le esportazioni, l’espansione di industrie di beni capitali e il rafforzamento di capacità endogene allo sviluppo tecnologico.
(iv) Regolerà il processo d’apertura dei settori finanziari agli investitori esteri. Più specificatamente, regolerà l’apertura di nuove banche straniere nel sistema finanziario del paese e chiuderà le scappatoie legali che permettono operazioni finanziarie non trasparenti ad istituzioni esterne.
(v) Per quanto riguarda il debito estero, respingerà l’accordo esistente con il FMI, allo scopo di liberare la politica economica nazionale dalle restrizioni imposte da quest’ultimo sulla crescita e sull’abilità del paese di difendere i suoi interessi commerciali. Manterrà contatti con paesi come l’Argentina e il Messico per rinegoziare la propensione al debito pubblico esterno con le istituzioni creditrici.
(vi) Promuoverà una politica multilaterale nel commercio estero. Ciò significherà una diversificazione geografica maggiore del commercio con l’estero, il rafforzamento e l’espansione del Mercosud, una maggiore cooperazione economica e tecnica con economie emergenti, come la Cina e l’India, e l’istituzione di alleanze specifiche con aziende straniere al fine di supportare una politica di cooperazione commerciale.
Sull’Area di Libero Commercio delle Americhe, il PT sembra prendere inequivocabilmente una posizione contro gli Stati Uniti. E così afferma:
“L’Area di Libero Commercio delle Americhe, nella maniera in cui è attualmente proposta, è un progetto di annessione politica ed economica dell’America Latina da parte degli Stati Uniti - l’obiettivo principale, a causa delle sue potenziali risorse e della dimensione del suo mercato interno, è il Brasile. Ciò che è in gioco, quindi, sono i nostri interessi economici strategici, e la conservazione della nostra capacità e autonomia di costruire il nostro proprio futuro come nazione” (Partido dos Trabalhadores, 2002a).
La formazione del gabinetto si è dimostrata essere un affare estremamente lungo ed arduo. Il PT aveva solo 93 seggi su 513 alla Camera dei Deputati e non avrebbe potuto formare un governo da solo. Con una serie di abili negoziazioni ed espedienti, che durarono circa due mesi, José Dirceu, il principale negoziatore del PT, fu in grado di mettere assieme una coalizione includendo tutti gli altri sei partiti più il PL della destra. Le forze combinate di questi otto partiti raggiunsero 219 voti alla Camera, ben lontano dall’obiettivo di una maggioranza. Il PMDB fu invitato ad unirsi al gabinetto e gli vennero offerte varie cariche, ma questo rinunciò perché i suoi obiettivi erano più elevati di quanto Lula fosse disposto ad offrirgli. Questo però fu d’accordo a sostenere il governo nel Parlamento, senza il quid pro quo delle cariche di gabinetto per tutta la sua durata. Senza questo supporto, il governo guidato dal PT non sarebbe stato in grado di ottenere il passaggio di alcuna legge o decreto presidenziale in Parlamento. Per assicurarsi la continuità del supporto del PMDB, il PT ha ripetutamente negato di essere un partito socialista. João Paulo Cunha, il deputato federale di San Paolo del PT e suo leader alla Camera dei Deputati su questa questione in 22 dicembre ebbe a dire:
“Credo che il PT affronti una fase difficile nella questione della definizione della sua identità ideologica. [...] Dal punto di vista del governo e dell’amministrazione, non è un partito socialista, ma nella sua struttura e nei suoi dibattiti cerca di proteggere valori che possono essere riconosciuti come socialisti. [...] Noi siamo un governo democratico con una sincera partecipazione popolare. Se siete in cerca di termini classici, noi non siamo né socialisti né socialdemocratici. Lo stesso vale per il governo Lula, che sarà democratico, popolare, riformista, ma non può essere definito come socialista” (Rodrigues, 2002).
La lista finale dei ministri non fu disponibile per la stampa fino alla notte del 23 dicembre. Questa conteneva i 28 nomi della lista dei ministri del gabinetto; 16 appartenevano al PT, 7 agli altri partiti della coalizione e 5 non erano affiliati ad alcun partito politico. Di questi ultimi cinque, due erano grandi proprietari terrieri e uomini d’affari; due diplomatici di carriera e uno giurista di professione.
La suddivisione per aree geografiche della provenienza dei ministri del gabinetto di Lula è estremamente iniqua. Dei 28 ministri, 10 sono nati o vissuti sin da piccoli in San Paolo, 4 in Minas Gerais, 3 nel Rio Grande do Sul, 2 in Rio de Janeiro e uno a Brasilia. Le regioni relativamente più sviluppate del sudest, del sud e di Brasilia contavano quindi 20 ministeri su 28. Il nordest contava sette ministri (tre da Bahia, due dal Pernambuco e due dal Ceará) e l’Amazonia solo uno da Acré - 18 stati su 27 non ottennero alcuna rappresentanza nel gabinetto federale.
Otto dei ministri cominciarono la loro carriera politica nei sindacati; tre di questi nei sindacati degli impiegati di banca, due nei sindacati dei dottori, due nei sindacati dei colletti blu dell’industria metallurgica e chimica e solo uno nei sindacati rurali dei raccoglitori di gomma. Solo quattro dei ministri (Dirceu, Marina Silva, Gilberto Gil e Benedita) venivano da background chiaramente poveri e senza privilegi; due (Wagner e Rosseto) provenivano dal background operaio dei colletti blu; gli altri erano o benestanti o professionisti della classe media. Tutti i ministri del PT eccetto due appartengono alle correnti di partito moderate dell’Articulação o della Democracia Radical. Due dei ministri, Palocci e Gushiken, che appartengono attualmente all’Articulação, hanno connessioni intermittenti con la fazione radicale di sinistra conosciuta come O Trabalho. Per la prima volta nella storia Brasiliana tre dei ministri di gabinetto sono neri.
La destra è stata prodiga di consigli a Lula affinché non stravolgesse l’attuale condizione di stabilità macroeconomica, nel suo sforzo di risolvere il problema della povertà. In previsione di un aumento dell’inflazione, del peggioramento degli indicatori del rischio e di una rapida svalutazione della valuta nazionale durante il 2002, la carica di presidente della Banca Centrale Brasiliana risultò essere materia di litigio. Pedro Malan, Ministro delle Finanze durante il governo Cardoso, aveva dichiarato all’inizio di giugno 2002 che il prossimo presidente del Brasile non avrebbe dovuto cambiare il presidente della Banca Centrale, Armínio Fraga, nell’interesse di mantenere la credibilità internazionale e la stabilità macroeconomica. Il Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Paul O’Neill, contava sul fatto che si seguisse il consiglio di mantenere una certa continuità (Souza e Sofia, 2002). Dopo che si conobbero i risultati delle elezioni, Côrtes Neri, del Centro di Politiche Sociali della Fundação Getúlio Vargas, raccomandò Lula di lasciare Fraga al suo posto al fine di mantenere la fiducia internazionale sull’economia brasiliana, senza la quale, disse, non si sarebbe potuto raggiungere alcun obiettivo d’importanza sociale (2002). La destra era preoccupata sulla possibilità che Lula potesse deviare dal sentiero neoliberale che il Brasile stava tenacemente percorrendo ad opera di Malan e Fraga. Fu anche diffusamente creduto che Antônio Palocci, il futuro ministro delle finanze di Lula, volesse dare continuità all’operato di Fraga (Patury e Lima, 2002). Quando Lula finalmente annunciò che non avrebbe mantenuto Fraga, cominciò la ricerca di un nome che avesse avuto la fiducia delle istituzioni finanziarie e delle banche internazionali. Fábio Barbosa, il presidente della sussidiaria brasiliana della banca statunitense ABN Amro che fu inizialmente invitato ad assumere la carica, la rifiutò. Tra gli altri nomi che vennero presi in considerazione ci fu quello di Pedro Bodin, uno dei direttori del gruppo di società Icatu con sede a Rio de Janeiro che ha interessi in holding, capital lending ed assicurazioni.
Alla fine la persona scelta per l’incarico fu Henrique de Campos Meirelles, un multimilionario dello Stato del Goiás. Questo cominciò la sua carriera come Director of Leasing della sussidiaria brasiliana della BankBoston, diventando nel 1996 Head of the Global Marketing Division della stessa banca. Nelle elezioni del 2002 fu inoltre eletto Senatore per lo Stato del Goiás per conto del PSDB. Cardoso stesso era intervenuto per assicurarsi che Meirelles ottenesse dal partito la carica al Senato.
Mentre il candidato di Lula al posto di presidente della Banca Centrale era un multimilionario neoliberista, quello candidato alla presidenza dell’altro importante istituto bancario dello Stato, la Banca Nazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale (Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social o BNDES), Carlos Lessa, era un dichiarato anti-neoliberista e neonazionalista e un ben conosciuto economista della sinistra del PT. Subito dopo la sua nomina, Lessa dichiarò che avrebbe voluto integrare il programma d’investimenti del BNDES con quello del PT Fame Zero. Questo affermò:
“Secondo la mia preparazione e inclinazione, non sono un neoliberista. Sono un neonazionalista e le mie principali priorità sono l’integrazione sociale e la riduzione delle disuguaglianze sociali” (citato In Santos e Gois, 2002).
Oltre alla nomina di Lessa al BNDES, Lula aveva pubblicamente raccomandato Paul Singer, noto economista brasiliano della sinistra e principale autore del diffuso manifesto economico della sinistra, “economia della solidarietà (economia solidária)” (Singer e Souza, 2000). Questo fu probabilmente un altro pezzo di quell’intricato esercizio di “checks and balances” che Lula dovette mettere in atto per essere effettivamente in grado di governare. Se la nomina per la Banca Centrale fu una concessione di Lula alla destra al fine di acquisire credibilità internazionale la nomina al BNDES fu la sua abile mossa per placare l’ala sinistra del suo partito. La BNDES è dopotutto una stragrande istituzione nazionale che ha prestato, nel 2002, 30 miliardi di reais, una somma più grande dell’intero budget del Ministero della Salute. Se usato come strumento per la politica sociale, potrebbe avere un forte impatto nella lotta alla povertà.
Ci fu un ampio scontento nei ranghi e nelle file del PT, circa le nomine di Furlan e Rodrigues nel collegio dei ministri e di Meirelles alla Banca Centrale. Furlan il presidente della Sadia, il più grande esportatore di prodotti per l’agricoltura in Brasile, e Rodrigues, presidente dell’associazione brasiliana dell’agribusiness, poiché grandi proprietari terrieri e Meirellaes poiché funzionario senior di una banca straniera. I grandi proprietari terrieri, i banchieri stranieri e i loro alleati brasiliani sono esattamente le persone che il PT si è impegnato a combattere nella sua campagna per creare una società più omogenea e giusta. La senatrice senior del PT dal Alagoas, Heloisia Melena, criticò pubblicamente la nomina di Meirelles, facendo breccia nella disciplina del partito (Zanini, 2002). Il suo deputato dal Pará, Babá, definì la nomina di Rodrigues “la negoziazione delle idee del PT” (Cantanhêde, 2002b).
Anche l’MST che ha supportato con consistenza il PT in tutte le elezioni, criticò apertamente il partito per aver stretto alleanze con il PL ed esponenti del PMDB. Infatti proclamò: “Questo tipo d’alleanze feriscono la tradizione della sinistra e la coerenza del partito” (Stedile, citato in Fraga, 2002)
Ci sono dubbi persistenti sul fatto che il PT al governo sia in grado di crescere al di fuori delle tendenze politiche impresse su questo dalle circostanze delle sue origini. Due vecchi professori di scienze politiche della prestigiosa Università di San Paolo, scrivendo dopo la vittoria elettorale di Lula, rammentano esplicitamente che i modelli di stato assistenziale che le democrazie sociali dell’Europa avevano cercato di costruire erano tutti fondati sulla dottrina del neocorporativismo: “gruppi sociali organizzati (associazioni commerciali e sindacati) che lavorano insieme allo Stato e che realizzano accordi rilevanti per affrontare le questioni economiche e sociali più importanti” (Gonçalves and Azevedo, 2002). Questi affermano che il nuovo governo Lula dovrebbe provare a creare un contratto sociale in Brasile di questo genere. Ma questi stessi esprimono dubbi sulla loro capacità di farlo.
“[...] la realtà è che il PT non ha ancora spiegato come risolverà il suo storico dilemma. Durante i suoi 20 anni di vita, non ha ancora definito la forma esatta della sua democrazia sociale. Ha ripudiato lo stalinismo, ma sta ancora flirtando, qua e là, con idee che sono romanticamente rivoluzionarie e socialiste, oltre ad essere autoritarie. Disdegna la democrazia sociale a causa del suo “servile” impegno al capitalismo e alle mere riforme. Ma allo stesso tempo è finito con lo sposarla” (Gonçalves and Azevedo, 2002).
Un ben noto commentatore politico, Clóvis Rossi, ammonisce Lula dallo stringere troppo la mano alle attuali e dominanti dottrine del neoliberalismo ortodosso, “certi principi devono essere visti come più sacri della vergine Maria: un surplus fiscale sufficientemente elevato a mantenere un buon rapporto Debito/PIL, un’opportuno rimborso del debito e dell’elevato tasso d’interesse”. I paesi dovrebbero quindi provare ad evitare situazioni debitorie ma nel caso accadesse non farne un’apocalisse. Questo punto è reso vivace con una logica realistica:
“È quindi meglio se ogni famiglia fosse risarcita del suo debito in maniera religiosa, in maniera da non dovere spendere non un centesimo in più di ciò che guadagna. Non ci sono raccomandazioni ideologiche ma senso comune. Ma è ugualmente ovvio che in una situazione in cui non si abbia denaro per comperare del cibo a volte non si è neanche in grado di ripagare i debiti. Se un figlio avesse bisogno di un’operazione si spenderebbe più di quanto si possiede e non lo si lascerebbe morire o soffrire. Questi sono atti di senso comune. Ciò che non ha senso è terrorizzare con la minaccia di un’apocalisse nel caso una certa politica economica non venga seguita” (Rossi, 2002).
Un’intervista che Antonio Palocci, il nuovo ministro delle finanze, rilasciò al Folha de São Paulo il 21 dicembre non fornì alcuna indicazione di un chiaro impegno del nuovo governo Lula a rompere definitivamente con l’impostazione data negli otto anni di governo Cardoso. Questo elogiò il ministro delle finanze del centro-destra di Cardoso, Pedro Malan, l’architetto delle politiche monetarie durante i due mandati dell’amministrazione Cardoso, per “l’aver lavorato correttamente, con dedizione, e come una delle persone più serie che abbia conosciuto nel governo (Cardoso)”. Questo affermò (i) che avrebbe continuato con la politica Cardoso-Malan sul surplus nella bilancia dei pagamenti allo scopo di gestire il debito, (ii) che avrebbe mantenuto il tasso d’interesse entro l’iniziale obiettivo del 6,5% e (iii) che non avrebbe ridotto il tasso d’interesse fino quando una serie di condizioni non si fossero verificate, tra cui l’inizio di una riduzione del rapporto debito/PIL e del tasso d’inflazione, un livello positivo della bilancia commerciale, una prevalente fluidità nella concessione del credito e una ragionevole condizione di crescita. Inoltre, aggiunse, che il nuovo governo avrebbe messo in atto una nuova politica dei redditi ma non specificò come questa si sarebbe differenziata da quella di Malan. Affermò che “avrebbe iniziato a combattere la fame in maniera sistematica” ma non disse come. Ammise apertamente che avrebbe potuto continuare la politica macroeconomica di Malan per circa due anni. Questo è come ha cercato di distinguere tra l’approccio allo sviluppo del PT e quello seguito nelle due amministrazioni di Cardoso negli otto anni precedenti:
“Il Brasile ha bisogno di una seria politica fiscale e di monitoraggio ma ciò non può esercitare un controllo sul paese. Deve essere beninteso che il discorso che il presidente della repubblica deve fare, può non essere lo stesso di quello fatto dal presidente della banca centrale. Il sistema di traguardi dell’inflazione è un sistema macroeconomico utile a raggiungere un equilibrio economico ma non ad esercitare un controllo sui progetti della nazione. [...] Noi dobbiamo invertire la direzione di questo processo e capire che è la crescita sostenibile a generare più stabilità degli strumenti macroeconomici” (Salomon e Alencar, 2002).
Palocci sembra essere impegnato in questa sede in una difficile azione di riequilibrio. Da un lato, cerca di rimanere all’interno dell’intelaiatura di promesse elettorali del PT “di mantenere il sociale come asse portante dello sviluppo”, dall’altro afferma che le politiche monetarie e fiscali di Cardoso-Malan continueranno qualunque siano le conseguenze sociali. Questo non sembra aver avuto pienamente successo nel rassicurare la classe media e quella dei professionisti del Brasile. Un commentatore del largamente diffuso Folha de São Paulo mise presto in guardia, dopo l’intervista di Palocci, che le politiche finanziarie del PT avrebbero potuto creare un “paese limitato” e che:
“[...] avrebbero provocato una convulsione economica con risultati incerti, escludendo il paese dal mercato mondiale. Una più delicata transizione sarebbe più prudente ed efficace. Se questa transizione può essere assicurata, ci sarà stabilità. Sarà poi possibile iniziare tali cambiamenti politici ed economici di cui il paese ha bisogno e alcune idee radicali non sembreranno più attraenti” (Freire, 2002).
Nell’affermare l’idoneità del team di Lula a combattere la povertà, ciò che dobbiamo capire è che questa battaglia è essenzialmente un processo politico - questo coinvolge mutamenti di posizione fondamentali nell’equilibrio dei poteri della società civile, e comporta vincitori e vinti. In una democrazia pluralista, il contesto in cui Lula deve operare, i cambiamenti fondamentali possono essere apportati soltanto attraverso il consenso e non con la forza. Assicurarsi il consenso dei ricchi, trincerati dietro le loro posizioni privilegiate, lasciando che altri condividano alcune delle loro ricchezze e convincendoli ad abbandonare alcuni loro privilegi potrebbe non essere un compito facile in nessuna circostanza. Una condizione iniziale necessaria, se non sufficiente, per assicurarsi il consenso sarebbe incrementare la pressione al cambiamento dal basso mobilitando i poveri. Il PT è nella migliore posizione per fare ciò d’ogni altro partito politico in Brasile.
Il PT ha già dimostrato un considerevole grado di successo nell’assicurarsi il sostegno di parti significative del centro e della destra. Nella realpolitik contemporanea del sistema di governo del Brasile, non si può governare senza il sostegno del Parlamento. Ciò che deve essere considerato, in ogni caso, è il conto che sarà chiamato a pagare in cambio del suo sostegno. Si deve inoltre mantenere la sinistra, inclusi i membri del proprio partito, unita su un minimo di programma accordato. Ciò ha spesso dato prova di essere ancor più difficile dell’assicurarsi il supporto del centro e della destra. Inoltre ci saranno crescenti pressioni dal FMI e dagli Stati Uniti contro l’adozione di politiche che possano minare gli interessi globali del capitalismo. L’abilità di resistere a queste pressioni dipenderà da quanto sarà forte l’equazione domestica del potere. In questo momento, la sua posizione in questa equazione non è molto forte. Ci sono quindi, ovvi limiti su ciò che può ottenere politicamente durante il mandato di Lula del 2003-06. Ma ciò può certamente indirizzare il paese verso un definitivo corso di fondamentali mutamenti nelle politiche a favore dei più poveri. Può sfruttare questo periodo per estendere la sua base di sostegno a quei segmenti della società che sono ampiamente rimasti al di fuori delle sue pieghe, come ad esempio i poveri delle campagne, i piccoli agricoltori, i poveri delle aree urbane nei settori privi di organizzazioni e i lavoratori al di fuori delle attività manifatturiere. Con una base di sostenitori più ampia e più forte e con una migliore organizzazione, potrebbe ottenere ancor di più in un secondo mandato, nel caso fosse in grado di replicare. La cronicità della povertà è, dopotutto, un qualcosa che si trasmette di generazione in generazione. Pensare di dover avere a che fare con una gestione di otto anni, potrebbe non essere, quindi, del tutto non realistico.