Brasile: dove è andata a finire la speranza?

Alvaro Bianchi

Ruy Braga

La presenza del presidente Luiz Inacio Lula da Silva al vertice del Governo Progressista, che ha avuto luogo a Londra, è stata annunciata dai suoi organizzatori come la possibilità di rilanciare il convalescente progetto della Terza Via. “Il mondo sentirà ancora molto parlare della Terza Via”, ha affermato il suo ideologo, il sociologo Antohony Giddens, in un articolo pubblicato recentemente [1]. Per l’analista di politica interessato a comprendere, le bravate di Giddens non sono molto interessanti. È importante, quindi, comprendere il significato della Terza Via e del movimento di approssimazione di Lula alla suddetta.

Annunciata con clamore da Giddens, la Terza Via è stata presentata come un progetto e un programma economico, sociale e politico, suppostamente lontano sia dal liberalismo che dal socialismo. Appoggiato in quel momento dal presidente nordamericano Bill Clinton e dal Primo Ministro Britannico Tony Blair, il progetto ha preso corpo con la riunione del vertice del Governo progressista, realizzatasi a Firenze nel 1999, contando anche sulla presenza del Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder e i primi ministri Wim Kok, olandese, e Massimo D’Alema, italiano.

La partecipazione di Lula all’incontro del Governo Progressista segna, per la sinistra mondiale, ciò che i mercati già sapevano: la conversione del PT al programma del social-liberalismo. Per social-liberalismo, intendiamo un ampio movimento su scala internazionale di incorporazione delle premesse del neoliberalismo da parte di tradizionali partiti di orientamento laburista e social-democrata. Il rispetto di quest’ultimi, alle decisioni dei mercati - questa vera mistificazione concettuale che pretende di oscurare le strategie ed i meccanismi dello sfruttamento e dell’oppressione
 l’adesione alle politiche di sistemazione strutturale proposte dai fondi internazionali (FMI e dalla Banca Mondiale) e la difesa programmatica delle riforme sul lavoro e sulla sicurezza sociale, producono un curioso effetto politico: l’emergere tendenzialmente egemonico di una specie di “neoliberalismo mitigato”. È possibile identificare un numero abbastanza vario di esempi di questa conversione dei partiti riformisti all’ortodossia liberale: il “Nuovo Laburismo” inglese, il “Socialismo Amministrativo” francese ed il “Nuovo Centro” tedesco, nonostante la loro pluralità, segnano già da tempo, il cammino che sta percorrendo il “petismo” brasiliano. In Brasile, con la vittoria elettorale del 2002, questo processo è cresciuto quantitativamente e qualitativamente. Democrazia e mercati, Stato ed economia, destra e sinistra, crisi e ristrutturazione produttiva, individuo e classi sociali....Risorge un insieme eterogeneo ed articolato dei grandi temi delle scienze sociali, percepito in accordo con il prisma del “social-liberalismo” nella teoria della Terza Via. È indiscutibile l’importanza di questo dibattito nell’ambito delle alternative della crisi del neoliberalismo.

Fenomeno internazionale, questa crisi - Messico (1994), Francia (1995), Sudest asiatico (1997), Russia (1998), Brasile (1999), Argentina (2001 - 2002) e di nuovo Brasile (2002) - ha aperto una congiuntura relativamente nuova nello scenario economico e politico internazionale. La processualità complessa e dissonante, l’indebollimento delle strategie dei fondi internazionali, gli attacchi ai diritti sociali, l’impegno economico modesto, la disoccupazione, e l’indebolimento elettorale risultante da ciò, conferiscono un nuovo significato al progetto del moderno orientamento social-democratico in Europa ed in Brasile.

Se anche è vero che la crisi del neoliberalismo ha condizionato la rinascita del dibattito sulla Terza Via, è anche vero che i principali assi teorici e politici che lo sostengono hanno radici profonde nella congiuntura economica e politica degli anni 1970 e 1980.

Senza dubbio, gli anni ottanta sono stati anni di ristrutturazione egemonica del neoliberalismo. La scena della storia ha assunto una tonalità segnata dalla diffusione del processo della mondializzazione del capitale la cui dinamica ha fatto piegare la spina dorsale della maggioranza delle “società nazionali”. Una spinta alla crisi e al successivo fallimento delle “società dell’Est”, così come al frazionamento e alla lotta del movimento operaio mondiale, provocato dalla disoccupazione delle masse e dalla ristrutturazione produttiva in corso.

Il pensiero e la pratica riformista non potevano essere immuni ad un processo di tale grandezza. La Terza Via, collocandosi suppostamente “oltre la sinistra e la destra” presuppone tacitamente la social-democrazia rinnovata dall’egemonia neoliberale. Il risultato è chiaro: il socialismo si inscrive appena formalmente nell’orizzonte storico. Deve essere ricercato per mezzo di riforme progressiste negoziate con il capitalismo. In questo sistema non c’è spazio solo per la rivoluzione. Tra questa ed il capitalismo, si intercala un cammino alternativo: accumulare forze e viaggiare pacificamente verso un socialismo inraggiungibile. Lo Stato regolatore proposto dal riformismo permetterebbe di cambiare il mondo, rimanendo tutto così come sta.

Il governo petista cerca, accompagnando il cammino recente di una parte della sinistra europea social-democratica, di constituirsi come un’alternativa per eccellenza tra quelli che difendono la passività della classe lavoratrice di fronte allo sfruttamento, da un lato, e i partitari della lotta di classe, dall’altro. Simmetrici nel rifiuto alla negoziazione, neoliberali e membri di sinistra si troverebbero chiusi in una comprensione stretta delle possibilità aperte alla crescita con stabilità, a causa del compromesso sociale che si trova nel crepuscolo di un periodo storico segnato dalla crisi contemporanea.

Anche se è possibile trovare profonde differenze tra il cammino della sinistra riformista europea (e le sue rappresentazioni teoriche) ed il cammino politico petista, è possibile anche smettere di notare parallelismi e convergenze significative; soprattutto, quando pensiamo al programma del governo del PT, alla riforma della Previdenza sociale alla gestione macroeconomica portata avanti dal Ministro delle Finanze Antonio Palocci. Non vogliamo dire con ciò che il governo Lula sarà una specie di “copia” delle esperienze politiche riformiste recenti. In verità, il programma petista si colloca a destra delle varie politiche riformiste europee. Ma, dal “Nuovo Laburismo” inglese al “Socialismo Amministrativo” francese, passando per il “Nuovo Centro” tedesco, non cessa la possibilità di intravedere nel passato recente europeo qualche indicazione interessante rispetto al futuro del governo Lula e delle alternative al neoliberalismo.

2. Fame zero e le contro riforme sociali

Dopo sei mesi di governo, già sono mature le condizioni economiche e politiche per un’analisi del significato della politica sociale del governo Lula, all’interno della quale possiamo ubicare il programma Fame Zero. Quest’analisi deve, necessariamente, partire dal dibattito in merito alle direzioni più generali della politica economica petista. Ed è già obiettivo affermare che, nel potere, il PT contribuisca decisivamente al rinnovo del progetto neoliberale nazionale. Cioè “ortodossia” economica più pubblicità per il “sociale”, che è uguale a social-liberalismo. Misura dell’inquadramento attivo del governo Lula ai dettami del “Consenso di Washington” rinnovato dalla crisi economica latinoamericana, è il documento del Ministero delle Finanze, intitolato “Politica economica e Riforme strutturali”. L’importanza di questo documento è evidente: sintetizza le direttrici che dirigeranno lo sviluppo di tutto il governo Lula, nel caso in cui questo progetto non sia distrutto dall’intervento delle masse lavoratrici. La difesa del neoliberalismo è dimostrata sia nell’analisi della crisi brasiliana, che nelle politiche che dovranno essere impiegate “oggettivando il loro scontro”. Efficienza economica, con una supposta giustizia distributiva: la politica economica è, conseguentemente, la politica sociale del governo parte dell’idea centrale in merito alla quale sarebbe necessaria una transizione tra la situazione presente e un “nuovo ciclo storico in cui il Brasile ritrovi e sviluppi tutte le sue potenzialità di crescita economica”. Il rilancio della crescita economica, si subordina al ristabilimento dell’equilibrio a lungo termine dei conti pubblici” in modo tale da garantire le condizioni per “il nuovo inizio dell’investimento privato e di una maggiore efficienza nell’uso delle risorse pubbliche” [2]. Dal punto di vista dell’analisi della crisi, il documento non lascia dubbi su ciò che rappresenta suddetto periodo di transizione: un fortissimo risanamento dei conti pubblici. Alla fine, parte dell’argomento per spiegare la crisi ricade nell’idea in merito alla quale il governo FHC (Fernando Henrique Cardoso) spendeva molto e si atteneva sufficientemente agli obiettivi fiscali [3].

Un’altra parte ricade nelle vecchia cantilena del secondo governo di Fernando Henrique: la congiuntura internazionale sfavorevole, evidenziandosi l’incertezza in merito alle prospettive economiche a breve termine. Il governo petista ubica la sua “nuova” politica economica e sociale, nella combinazione di un quadro di crisi esterna con la generosità fiscale del FHC. Prendendo in considerazione la natura dell’argomento, non può sbalordire il fatto che il nuovo governo appoggi come primo impegno della politica economica la “risoluzione dei gravi problemi fiscali che caratterizzano la nostra storia economica, ossia la promozione di un risanamento definitivo dei conti pubblici” [4].

E la fame zero? La convinzione che sta in questa forma di ragionare riserva qualche spazio per preoccupazioni di ordine “sociale”. Considerate le restrizioni di bilancio dello Stato, afferma il documento, quanto maggiore sarà lo spazio affinchè avanzino le azioni dirette a cercare la crescita, tanto maggiore saranno le condizioni affinchè si formi un “ciclo virtuoso”, con il miglioramento dei conti pubblici, dell’impiego e, successivamente, delle condizioni per combattere la fame. Tutto ciò, ovviamente, dal punto di vista di un risanamento fiscale del 4,25% del PIL. Gli aggiotatori internazionali ringraziano per la diminuzione del rischio-paese a livello pre-elettorale. Di fronte a tanta generosità del governo Lula, non c’è da meravigliarsi.

Parallelamente alla formazione della “virtuosità” del ciclo di accumulazione del capitale, le politiche sociali compensatorie, il caso della Fame Zero, dovranno essere progressivamente “razionalizzate” nel senso della configurazione di un disegno istituzionale capace di garantire “il raggiungimento efficiente delle risorse pubbliche” e la “viabilità all’accesso dei gruppi con minore retribuzione ai servizi per mezzo dei sussidi e delle politiche sociali focalizzate” [5].

O sia, alla suddetta “inclusione” sociale tanto pubblicizzata dal governo petista, sarà aggiunta al costo di tutto ciò che rimane delle politiche universali, la previdenza sociale. Alla fine, in un quadro di crescita di risanamento articolato alle restrizioni fiscali e alla crescita: che può significare una “razionalizzazione” delle risorse pubbliche per politiche sociali che non implichi trasferimenti di quelle stesse risorse verso politiche più focalizzate?. Non ci sono dubbi: la Fame Zero fa parte di una strategia più ampia d’incorporazione della politica sociale del governo al campo egemonizzato dal “Nuovo Consenso di Washington”. Un neoliberalismo che procura la sua legittimità mediante politiche sociali regressive e compensatrici. Il periodo di transizione, tanto annunciato dal PT, al potere significa esattamente questo. Una transizione passiva all’interno dell’ordine neoliberale. Inoltre, il modesto progetto Fame Zero sembra si sia perso definitivamente nell’agenda governativa. Ricapitolando: il programma articolava politiche strutturali (politiche di generazione di impiego e retribuzione, intensificazione della riforma agraria, previdenza sociale universale, borse di studio e retribuzioni minime); specifiche (programma cupon di alimentazione, ampliamento e nuovo indirizzamento del Programma di Alimentazione del Lavoratore, donazioni di cestini base di emergenza, lotta alla denutrizione infantile e materna, stock di sicurezza, ampliamento della merenda scolastica, sicurezza e qualità degli alimenti, educazione per il consumo e l’educazione alimentare); e locali (ristoranti popolari, banco di alimenti, modernizzazione dei gruppi di rifornimento, nuovo rapporto con le reti dei supermercati, agricoltura urbana, agricoltura familiare, produzione per l’auto-consumo). Ma i rapporti dello stesso Ministero della Sicurezza Alimentare mostrano che questo programma è stato tagliato per le priorità fiscali del governo. I tagli al bilancio hanno raggiunto i programmi sociali riducendo i loro risultati a livelli insignificanti. Accettando le esigenze del FMI, il governo federale ha tagliato il 72% degli investimenti previsti per il 2003. Le restrizioni di bilancio danneggeranno direttamente il programma Fame Zero e termineranno bloccando completamente le cosiddette “politiche sociali specifiche” del governo Lula. Il Ministero della Sicurezza Alimentare, responsabile del programma, ha perso R$ 34,5 milioni. Conclusione del progetto iniziale, fino ad ora si è provveduto al ruolo del cupon alimentario e al paniere basico per le persone in insediamenti. Inoltre, a luglio, appena 298.589 famiglie hanno beneficiato del programma alimentazione, equivalente al 3,2% dei bisognosi secondo lo stesso programma Fame Zero. Il bilancio presentato dal governo Lula per essere preso in considerazione al Senato Federale - il suo primo bilancio, visto che quello del 2003 era stato proposto dal governo di Fernando Henrique Cardoso - ha sepolto definitivamente Fame Zero. La Segreteria della Sicurezza Alimentare, responsabile del progetto, ha visto le sue risorse ridotte di R$ 1,72 miliardi per R$ 400 milioni, una caduta del 77%! La restrizione di bilancio è stato accompagnata da uno snellimento della segreteria, indicazione chiara delle priorità del governo. Il progetto-alimentazione è partito dal Ministero ed è passato a far parte di un programma unificato di trasferimento di introito, coordinato dal Ministero della Salute., Educazione e Assistenza Sociale, ma il suddetto non è cresciuto proporzionalmente alle sue nuove competenze.

Lo snellimento del Ministero di Sicurezza Alimentare e la riduzione del suo progetto iniziale alle politiche sociali “specifiche” di compensazione, rivela che il tallone di Achille del nuovo governo si trova nelle politiche strutturali, non appena queste permettano il superamento sostenibile della fame epidemica. Nel frattempo, sotto il comando del Partito dei Lavoratori, le riforme strutturali vanno al contrario. Si trasformano in contro-riforme. I tagli al bilancio nel ministero dello sviluppo rurale, per esempio, hanno raggiunto il 36,5% delle risorse, totalizzando una riduzione di R$ 450 milioni, paralizzando i programmi di insediamento rurale.

Il governo Lula aveva promesso, nel suo programma di governo, sistemare 400 mila famiglie senza terra in quattro anni di mandato. Ma i tagli delle risorse provocati dalla politica fiscale del governo hanno trasformato questa meta in qualcosa di vano. Ad agosto la stampa informava che, in accordo con lo stesso Ministero dello Sviluppo Agrario, il “denaro disponibile di quell’anno (2003) - R$ 713,2 milioni - sarebbe stato sufficiente solo per la sistemazione 10 mila famiglie fino a fine anno, anche se la meta fissata per il 2003 era sistemare 60 mila famiglie” [6].

La lentezza della riforma agraria sta provocando critiche perfino dei più fedeli alleati. L’ex Presidente dell’Associazione Brasiliana della Riforma Agraria, Gerson Teixeira, coordinatore del programma Vita degna in Campagna, base della politica agraria del governo, ha protestato recentemente: “non cessa di provocare una certa perplessità il constatare la timidezza del nostro governo nella riforma agraria fino ad ora” [7]. Secondo Teixeira, questa timidezza è il risultato della “opzione politica del governo che lo ha portato a una base politica di ampio spettro e ad una condotta conservatrice nell’economia” [8]. È bene ricordare che la “base politica di ampio spettro” ha coinvolto, oltre che al ministro dell’agricoltura, pastorizia e rifornimento Roberto Rodriguez, leader dell’agrobusiness brasiliano, anche 31 deputati di base governativa che sono grandi proprietari terrieri [9].

Il Ministro Rosetto ha giustificato questa timidezza nella riforma agraria: “Noi abbiamo ereditato un bilancio estremamente ridotto per il complesso del governo e ciò ovviamente riduce molto la capacità operativa. Già abbiamo ottenuto segnali positivi di espansione delle risorse nel secondo semestre. Nel 2004 avremo il più grande bilancio della storia del Brasile per l’acquisizione di terre per la riforma agraria” [10]. Ma l’espansione attesa non è giunta. Il nuovo bilancio del 2004, prevede risorse di R$ 1 miliardo per la riforma agraria, meno la metà di ciò che il ministero aveva nel 1998, durante il governo di Fernando Henrique Cardoso.

Con queste risorse, il Ministero della Programmazione affermava che sarebbe possibile sistemare 25.000 famiglie nel 2004, inoltre anche con l’utilizzo delle terre pubbliche per ampliare il numero delle famiglie sistemate a 60.000, come è stato indicato dal Ministero della Programmazione, nonostante ciò non ci sarebbe denaro per aumentare gli investimenti per l’inserimento dei beneficiati [11].

Poco dopo l’annuncio del modesto bilancio, è stato destituito il presidente dell’Istituto di Colonizzazione e Riforma Agraria - INCRA- Marcelo Resende, accusato dai latifondisti di aver collocato in posti chiave dell’INCRA membri del Movimento dei Lavoratori Rurali senza Terra (MST) e di aver incentivato le occupazioni delle terre. La destituzione del presidente dell’INCRA è avvenuta esattamente nel momento in cui iniziava ad essere discusso il 2° Piano Nazionale di Riforma Agraria, con le nuove direttrici per lo sviluppo agrario in Brasile. Con forti vincoli con la Commissione Pastorale della Terra (CPT) e con il MST, Resende era uno dei principali oppositori della cosiddetta “riforma agraria di Mercato”.

Pochi giorni dopo della destituzione del presidente dell’INCRA il governo ha annunciato la nuova edizione della Banca della Terra, creata per il governo Fernando Henrique, ma non ha alterato i suoi propositi: offrire linee di credito affinché i lavoratori rurali comprino terre direttamente dai proprietari d’accordo con la logica - i prezzi - del mercato. Tale politica fondiaria viene presentata come una “Riforma Agraria di Mercato”, realizzata secondo gli schemi proposti dalla Banca Mondiale [12].

I principali beneficiari di questa politica di credito fondiario e della “Riforma di Mercato” sono i proprietari della terra che sono riusciti a trasformare le loro proprietà in attivi finanziamenti e che hanno visto valorizzate rapidamente le loro terre per la possibilità di essere acquistate mediante il pagamento in contanti da cooperative o associazioni di lavoratori rurali. Ma i programmi di credito fondiario non costituiscono una riforma agraria vera. Nella suddetta, non è la logica del mercato ciò che predomina bensì quella dei movimenti sociali; nella suddetta l’acquisto delle terre non è il risultato di un atto di compra - vendita, bensì di una espropriazione.

La CPT ha protestato contro questa “riforma agraria di mercato” e ha denunciato la politica agraria del governo, che “si sta bloccando, ultimamente, nel seguire le indicazioni del FMI, di mantenimento di una riforma agraria di mercato, attraverso gli strumenti della Banca della Terra, del credito fondiario, dell’affitto delle terre, della statalizzazione e “municipalizzazione” della riforma agraria. Inoltre, l’agro-affare, sta spingendo il governo affinché maggiori estensioni di terra pubblica siano privatizzate, e sia estesa la quota della deforestazione dell’Amazzonia Legale [13].

3. Fiscalismo e distribuzione regressiva dell’introito

Se la riforma agraria illustra la paralisi delle riforme strutturali e delle sue contraddizioni, è nella riforma della Previdenza, presentata dal governo al Congresso Nazionale ed approvata da quest’ultimo, che si rivela la internazionalità delle contro-riforme del governo Lula e del suo carattere regressivo. La riforma di Lula da continuità ai cambiamenti della Previdenza Sociale che sono stati iniziati con il governo di Fernando Henrique Cardoso, con la delimitazione di un tetto per i benefici del settore privato.la riforma del governo di Lula ha come obiettivo il settore pubblico.

La Proposta di Emendamento Costituzionale 40 del 2003 (PEC 40/03), presentata dal governo Lula al Congresso nazionale, limita il tetto del pensionamento a R$ 2.400.000, eleva l’età minima di pensionamento ai 55 anni (donne) e ai 60 anni (uomini), esige la contribuzione alla Previdenza dei pensionati e crea un sistema di pensionamento complementare (privato), tra altre alterazioni alla legislazione vigente. Le alterazioni colpiscono i lavoratori che già lavorano nel servizio pubblico, eliminando diritti già acquisiti e costituendo una anomalia giuridica. I lavoratori del servizio pubblico hanno organizzato uno sciopero che ha affrontato la politica del governo, anche se non è riuscito a modificarla.

Due sono stati gli argomenti presentati dai difensori della riforma. Il primo, basato sulla razionalità fiscale; il secondo, sulla razionalità sociale. L’argomento fiscale non ha fatto altro che riprodurre il discorso di Fernando Henrique Cardoso: la previdenza pubblica è in deficit [14]. Nel 1995, la Proposta di Emendamento Complementare n°33 (PEC 33/95), riformando il sistema previdenziale, si fondava sulla tesi del fallimento strutturale dei sistemi di previdenza sociale.

La PEC 33/95 terminava con il pensionamento per tempo di servizio, elevava l’età minima per il pensionamento e stabiliva il tetto di beneficio dei lavoratori del settore privato a R$ 1.200 [15]. Facendo riferimento al Rapporto della Banca Mondiale Averting the old age crisis [16], la proposta della riforma previdenziale del governo Fernando Henrique afferma che “il rapido invecchiamento della popolazione brasiliana imponeva un forte carico fiscale su una forza di lavoro relativamente piccola. È evidente che quest’orizzonte fiscale non è desiderabile nè accessibile” [17].

L’emendamento Costituzionale n. 20, approvato nel 1998, durante il governo Fernando Henrique Cardoso, ha dato inizio alla contro-riforma previdenziale. Sul tema fiscale, la riforma previdenziale dovrebbe puntare verso un sistema complementare di pensionamenti privati per mezzo della costituzione di fondi di pensione. Tale sistema permetterebbe di sgravare l’Unione, e allo stesso tempo, di realizzare un risparmio interno capace di finanziare la crescita economica. La cosa più importante da sottolineare, è che l’argomento fiscale era presente nel programma elettorale della candidatura Lula ed è stato mantenuto dal suo governo.

Nel suo discorso di insediamento, il ministro delle Finanze, Antonio Palocci, annunciava già il tema: “ gli attuali squilibri dei conti pubblici devono essere affrontati con vigore e determinazione. È essenziale un risanamento programmato del bilancio pubblico. Per tutto questo, ci siamo impegnati con una riforma della previdenza pubblica come priorità di questo governo. Oltre a ciò, abbiamo detto durante la campagna elettorale, lo diremo durante la transizione e lo diciamo ora: realizzeremo il surplus primario che sarà necessario in modo da garantire la sostenibilità del debito pubblico. È la forma più diretta per ridurre il rischio Brasile e i tassi d’interesse in modo da agevolare la ricrescita” [18].

Nella difesa delle esigenze fiscali della riforma, il governo Lula non ha cessato di manipolare apertamente i numeri della previdenza per presetarla come situazione in deficit. Il Sindacato Nazionale di Consulenti Fiscali della Prescrizione Federale (UNAFISCO) e l’Associazione dei Fiscalisti della Previdenza Sociale (ANFIP), attraverso le loro pubblicazione, spiegano ripetutamente che il deficit era creato scontando la riscossione delle tasse da ciò che era destinato al pagamento degli interessi del debito esterno: “il totale della riscossione delle contribuzioni di R$ 136.9 miliardi, era destianata alla spesa pubblica, la previdenza, e l’assistenza sociale di R$ 105,4 miliardi. Pertanto si osserva appena quest’anno l’esistenza di un surplus di R$ 31,5 bilioni per la sicurezza, che è stato passato al Bilancio Fiscale dell’Unione per generare un surplus primario” [19]. L’UNAFISCO e l’ANFIP spiegano anche che l’impatto delle riforma previdenziale sulle finanze pubbliche sarebbe, a medio termine, devastante per la riduzione della raccolta di fondi provocata dalla rinuncia fiscale e dal favoreggiamento fiscale, ciò rivela la fragilità dell’argomento fiscale.

Il secondo argomento è quello sociale. L’ex sindacalista Ricardo Berzoni, ministro della Previdenza, ha spiegato che questa riforma era necessaria per riequilibrare il bilancio dell’Unione, trattenendo l’emorragia fiscale provocata dalle spese crescenti e dalla raccolta di fondi insufficiente del sistema previdenziale. L’alibi era fornito dagli “esclusi”. La riforma è si un’esigenza, ma della popolazione più povera del paese, che non ha accesso alle politiche pubbliche dello Stato perchè il bilancio pubblico è compromesso con altri tipi di spese, ha affermato il ministro Benzoni. [20].

L’argomento sociale è vano. Nell’ottica governativa, le risorse necessarie alle politiche sociali dovranno sorgere, pertanto, dal taglio delle spese dei diritti sociali dei lavoratori salariati. Le politiche distributive si avvierebbero così in maniera orizzontale con il trasferimento delle entrate all’interno della stessa classe lavoratrice. Ma la riforma della Previdenza, presentata attraverso la PEC 40/03 non contiene nessuna proposta di ampliamento del numero dei benificiari della previdenza sociale. Ci sono solo proposte della riduzione del valore dei benefici. Di fronte alla contraddizione, il governo ha aggiunto la redazione finale di una clausula innocua trasferendo alla legislazione futura la creazione di un sistema speciale di inclusione previdenziale per lavoratori con basso stipendio” [21]. L’universalizzazione dei benefici previdenziali, punto di distacco delle politiche strutturali annunciate dal programma Fame Zero, si è trasformata così in lettera morta. È evidente che queste politiche sociali compensatorie non estendono i diritti. Allora, qual’è la loro funzione?

Nella stessa logica fiscalista del social-liberalimo tropicale, le suddette hanno solo la funzione di legittimare il governo. Si riducono quindi alla creazione delle reti clienteliste con l’obiettivo di ridurre le pressioni ed i conflitti sociali. Come ingenieria politica è un meccanismo che conserva modelli arcaici di dominio politico in Brasile e allo stesso tempo innova le sue forme. La rivoluzione passiva alla brasiliana, nel governo di Lula, invece di ricercare la sua legittimazione nella stabilità dei mercati come le forme del neoliberalismo latinoamericano nel decennio del 1990, cerca di ricostruirla a partire dall’articolazione tra gli imperativi del mercato e le domande sociali canalizzate attraverso le politiche di compensazione. Ma in questo “matrimonio” tra il mercato e la società promosso dal governo, molta gente è rimasta fuori dalla festa. Invece del banchetto di nozze, dovranno accontentarsi di pochi ticket di alimentazione distribuiti.

4. Fondi di pensione e capitalismo patrimoniale tropicalizzato

L’analisi della riforma della Previdenza, è fondamentale per la comprensione non solo delle direttrici della politica governativa, ma anche della sua base sociale. Abbiamo dimostrato che l’argomento fiscale è fragile, ed il sociale è vano. Se tali argomenti non smettono di essere retorica, quali sono le ragioni della riforma? Tali ragioni possono essere trovate nella costante difesa, da parte del governo, di un sistema di fondi di pensione capaci di dinamizzare il mercato azionario e dell’economia nazionale. La proposta ha ottenuto forza con la riforma della Previdenza e con la costituzione, prevista nella PEC 40/03, di una nuova Previdenza Complementare privata. Rappresentanti della Centrale Unica dei Lavoratori (CUT) e della Forza Sindacale (FS) hanno insistito nella contrattazione che i sindacati dovrebbero avere per il diritto di construire piani di previdenza con sindacati o entità professionali. Prima della conclusione della riforma della Previdenza, il Consiglio di Gestione della Previdenza Complementare ha dato via libera alla creazione di questi “fondi sindacali”. Rapidamente, il Sindacato degli Ingenieri di Sao Pablo, e l’Associazione degli ex alunni della Fondazione Getulio Vargas, hanno iniziato a presentare richieste di riconoscimento. La Forza Sindacale, centrale di tipo neoliberale, ha anche iniziato a negoziare il suo proprio fondo”. [22]. Secondo il ministro Ricardo Berzon ed il segretario della Previdenza Complementare del Ministero della Previdenza Sociale, Adacir Reis, “il presidente Luis Inacio Lula Da Silva ha confermato il suo impegno a promuovere la crescita del risparmio previdenziale brasialiano, democratizzando l’accesso dei lavoratori ai fondi pensione”.  [23] Nelle valutazioni di Berzoni, “l’aspettativa è che possiamo includere tra i 4 ed i 5 milioni di lavoratori. Se ognuno dei 4 milioni di lavoratori potessero risparmiare i proporzione R$ 2 mila all’anno per il loro pensionamento, avremmo R$ 8 miliardi di risparmio”. “È un denaro utile per gli investimenti nel paese, anzi, è denaro interno”. [24]

La valutazione del presidente dell’Associazione Brasiliana delle Entità Chiuse della Previdenza Complementare, Fernando Pimentel è molto più intrepida: “se sommiamo la crescita dei Fondi degli organi di classe e dei sindacati, che stanno per essere autorizzati, ai piani che saranno offerti ai nuovi funzionari pubblici, duplicheremo il potenziale di R$ 200 miliardi per 420 R$ miliardi nel 2007”, ha affermato alla stampa. [25] Il calcolo di Pimentel è più intrepido in quanto include i servizi pubblici che ricevono di più rispetto al nuovo tetto previdenziale e che sono obbligati per legge ad aderire ai fondi pensione creati nel sistema di contribuzione definitiva. Il sistema di contribuzione definitiva prevede pagamenti fissi da parte dei lavoratori, ma non si impegna nei benefici definiti al momento del pensionamento, ciò vuol dire che il lavoratore riceverà la quota del fondo di mercato. Si dilenea così, per mezzo di questi fondi, un brutale trasferimento regressivo e verticale degli introiti dei lavoratori salariati dai centri finanziari. Si rivelano così le determinazioni della riforma della Previdenza. I guadagni fiscali ridotti, che tutto ciò provocherà a breve tempo, saranno compensate con l’apertura delle nuove fonti di espansione per il capitale finanziario. Per i lavoratori avanzerebbe solo la frode dell’azionariato salariale, la possibilità di usufruire indirettamente della crescita del mercato finanziario attraverso i fondi pensione controllati dai sindacati. A ottobre del 2002, in attesa del secondo turno delle elezioni, i rappresnetanti della candidatura di Lula, tra i quali il futuro ministro Ricardo Berzoni, avevano firmato un documento insieme ai rappresentanti della Borsa dei valori di San Pablo (BOVESPA), garantendo che “per complementare un sistema previdenziale pubblico ed universale, avrebbero dovuto essere prese misure di incentivazione alla costituzione e allo sviluppo dei fondi di previdenza complementare. La crescita del risparmio accumulato in questi fondi dovrà avere un ruolo importante per il finanziamento dell’attività produttiva, per mezzo della partecipazione rilevante nel mercato dei capitali, come accade nei principali paesi sviluppati” [26].

Nei principali paesi sviluppati, è vero che la proposta che consiste nel creare nei rapporti tra il sistema finanziario e la struttura industriale una specie di pre-condizione per un nuovo patto salariale, sta guadagnando molti sostenitori [27].

In Francia in particolare gente di sinistra come gli economisti della Scuola di Regolamento e gente di destra con Alain Minc [28] in testa, sono tra i principali difensori della proposta del “capitalismo patrimoniale” come modello capace di adattarsi meglio alla realtà contemporanea. Alla fine degli anni ‘90, importanti economisti, come Michael Aglietta e Robert Boyer, hanno difeso la proposta della creazione dell’azionariato salariale sotto il controllo delle imprese e dei sindacati, come chiaramente, rappresentazione di un progresso nella direzione dei “nuovi diritti sociali”: non si garantisce il lavoro, ma i lavoratori - così come i dirigenti - ricevono una parte dei guadagni sotto forma di partecipazione azionaria” [29]. La responsabilità sarebbe accompagnata da una ripartizione dei guadagni. Suddetto sistema alternativo costruito durante la transizione degli anni ‘70, verrebbe incamminato per mezzo dell’utilizzazione di un nuovo regime di crescita, costituito originalmente negli Stati Uniti, e che si starebbe strutturando progressivamente in Europa per la internazionalizzazione dei cambi e della crescente individuazione del salario. Aglietta qualifica questo “nuovo” capitalismo come patrimoniale, per il ruolo svolto dall’ampliamento dell’azionariato salariale e dall’importanza degli investitori istituzionali nell’amministrazione dell’impresa. Il capitalismo patrimoniale, basato sui mercati degli attivi e sull’estensione dell’azionariato salariale, sarebbe indisociabile dalla mondializzazione economica caratterizzata da questi tre fattori: i cambiamenti tecnologici, l’individualizzazione e l’estensione dell’azionariato salariale, e la globalizzazione finaziaria. “Dopo un quarto di secolo di crisi e trasformazioni strutturali, un nuovo regime di crescita dirige lo sviluppo delle società salariali”, ha affermato Aglietta [30]. Se il capitalismo potesse presentare la “capacità di mobilitare le energie umane per la trafsormazioni in crescita”, non accadrebbe lo stesso con la produzione di una “coerenza dell’insieme dello scontro degli interessi individuali”. Solamente il modo di regolazione potrebbe orientare il regime di crescita in maniera tale da migliorare, anche le condizioni di vita dei salariati”  [31]. L’opzione per i fondi pubblici per il capitale, argomento focalizzato sulla razionalità fiscale, deve essere articolata a memoria secondo cui il mercato umano è distinto rispetto al mercato non umano, tutto ciò vuol dire che l’argomento è basato sulla razionalità sociale. Da un’evoluzione, da una rinnovazione del patto salariale, sorgerebbe una specie di terza via liberata sia dal insicurezze del capitalismo neoliberale che dai vincoli imposti dalle imprese per l’ultra superato statalismo burocratico: “è un capitalismo con fondi propri collettivi, una proprietà socializzata delle imprese, che può affiorare dal progetto politico, può condurre a un tipo di società salariale marcatamente differente dal capitalismo di mercato di tipo anglosassone, distinto, anche dai capitalismi cooperativi europei dell’epoca del fordismo [32]. Mediata dall’azionariato salariale, la vecchia tesi riformista, secondo la quale la collaborazione delle classi garantisce la prosperità comune, si presenta più attiva che mai. Se i sindacati dei salariati ritrovano un potere di influenza sulla ripartizione delle pensioni, dovranno rendersi conto anche che il controllo azionario delle imprese è una battaglia che è necessario ostacolare e vincerla. In questo senso, lo sviluppo dei fondi salariali si trasforma nella principale mediazione istituzionale capace di produrre una dinamica “virtuosa”, sviluppando il settore finanziario e le attività produttive. D’accordo con la formalizzazione economica riformista, l’organizzazione di un azionariato salariale, assumendo il controllo dei fondi di pensione, potrebbe modificare l’arbitraggio tra gli interessi dei rispariatori e quelli dei lavoratori. I sindacati troverebbero nei fondi salariali una mediazione decisiva capace di influire sulle norme di redditività. A fianco di un rendimento massimo a breve tempo, i suddetti potrebbero esigere una tassa di redditività garantita a lungo termine, in contropartita a una stabilità di controllo della proprietà: “Grazie ad una elevatissima visibilità dell’orizzonte economico, le imprese potrebbero ritrovare un margine di manovra per negoziare con gli impiegati contratti di produttività, all’interno dei quali troverebbero posto la modulazione dei salari e la durata del lavoro. Dopo la fase negativa della distruzione delle contrattazioni collettive nazionali, una fase positiva di riorganizzazione del rapporto salariale nell’ambito europeo potrebbe interessare in funzione delle stesse necessità delle imprese”  [33]. Non è difficile notare il vero significato della razionalità progressiva inerente all’alternativa della soluzione della crisi del capitalismo. Lo sdoppiamento ideologico dell’argomento economico implica un’evidente richiamo nella direzione dei lavoratori nel senso della difesa della posizione competitiva della loro impresa, ancora di più, della partecipazione attiva di quest in un sistema di intensa competizione, sviluppando gruppi corporativi nazionali e blocchi geografici. La razionalità progressiva implica che il rinnovo del progetto social-democratico deve realizzarsi nell’ambito della sottomissione delle società nazionali alla materialità del capitale. È qui che risiede il grande obiettivo della realizzazione di un nuovo impegno sociale negoziato tra le imprese ed i sindacati intorno alla proposta dell’azionariato salariale.

In Brasile, l’argomento è stato ripreso dallo stesso presidente Lula, durante il Seminario Internazionale dei Fondi Pensione, a maggio del 2003: “ovviamente, sono cosciente che i fondi pensione hanno come premessa basica la sostenibilità della pensione, del pensionamento, per i suoi membri. Pertanto, i fondi pensione non possono investire per perdere. Si sottolinea investire per guadagnare bene, in quanto più forte è il fondo pensione, più benefici può offrire ai suoi affiliati e più influenza potrebbe avere su alcune decisioni nel nostro paese”. [34]

Da ciò a giustificare la partecipazione dei fondi pensione alle privatizzazioni brasiliane è stato un passo: “ovviamente, avendomelo chiesto all’epoca, non avrei avuto dubbi nel dire che ero contrario che i fondi partecipassero all’acquisto di attivi pubblici brasiliani, attivi pubblici che molte volte, al momento degli interventi dei fondi e delle imprese hanno dato risultati. Noi osserviamo oggi alcune imprese ben sviluppate con la partecipazione dei fondi pensione importanti in Brasile”. [35]

5. Considerazioni finali

Ancora durante la campagna elettorale, il candidato Lula presenta nella “sua lettera al popolo brasiliano” - che i critici chiamavano “lettera ai banchieri” - e in occasione della sua visita alla Borsa dei Valori di San Pablo, una forte disponibilità ad agire in direzione del rafforzamento del mercato brasialiano delle azioni”. Non era pura retorica contro-allarmista, come hanno immaginato alcuni critici all’interno dello stesso PT. Si trattava di qualcosa di più ampio e allo stesso tempo di più complesso. Ampio, nel sviluppare un cambiamento inedito e coinvolgente nella direzione programmatica petista: l’appoggio al vecchio e così duramente criticato settore economico finanziario. Complesso, in quanto coinvolgeva nuovi interessi basati all’interno della struttura burocratica petista: la casta dei sindacalisti e funzionari dei fondi pensione delle imprese statali.

Se da un lato, è difficle intravedere in questi interessi la manifestazione pronta e conclusa della nascita di una nuova classe sociale, composta dai gestori, oriundi delle classi lavoratrici e della base storica della CUT brasiliana, dei fondi pensione statali, come difende l’economista e sociologo marxista Francisco de Oliveira [36], dall’altro ci sembra abbastanza chiaro che il peso relativo e la conseguente capacità egemonica delle fazioni amministratrici della stessa classe lavoratrice corresponsabile della valorizzazione di questi fondi si è sviluppato enormemente. I fondi pensione, sono così, il ponte che agevola l’alleanza organizza dei settori della burocrazia sindacale con il capitalismo finanziario. Comprendere il significato del movimento di approssimazione di Lula con il rapporto alla Terza Via non è compito facile. In primo luogo, implica considerare la conversione del PT al programma del social - liberalismo. Il bilancio di questa direzione è al quanto incomodo, quando pensiamo alle migliaia di sinceri militanti socialisti, dentro e fuori dal Brasile, che ancora hanno nel governo di Lula qualche speranza. Con tutto ciò, gli argomenti trattati precedentemente non lasciano spazio a dubbi: il consolidamento egemonico di questa specie di “neoliberalismo mitigato” contraddistingue ora e continuerà a contraddistinguere in maniera incancellabile il complesso del governo. E non si tratta di un’analisi soggettiva, focalizzata su impressioni di questo tipo “il PT ci ha traditi” o “manacanza di volontà politica del governo di Lula”. Si tratta in realtà, di un processo sociale obiettivo che sta accompagnando il movimento sindacale brasiliano e il PT già da un decennio e che non sarà facilmente cancellato dal punto di vista meramente politico-istituzionale. L’alleanza organica di settori della burocrazia sindacale con il capitale finanziario è reale e si approfondisce ogni giorno di più. Innumerevoli sono gli esempi. Pensiamo al programma del governo del PT, nella gestione macroeconomica portata avanti dal ministro delle Finanze, Antonio Palocci e alla distruzione del programma Fame Zero. Questi sono i più evidenti. Ma pensiamo anche ai proprietari di terre beneficiati dalla “riforma agraria del mercato” del governo Lula, che potranno trasformare le loro proprietà in attivi finanziari valorizzati. Pensiamo alla riforma della Previdenza approvata dal governo che attacca i diritti sociali per favorire un sistema di fondi pensione capace di “dinamizzare” il mercato azionario. Pensiamo al gruppo dei sindacalisti e funzionari dei fondi pensione delle imprese statali i cui interessi sociali obiettivi si fondono con gli interessi del mercato azionario. Utilizziamo l’espressione “organica” per qualificare tale alleanza per due motivi: in primo luogo perchè sono stati creati stretti rapporti di dipendenza funzionale tra la burocrazia sindacale che si distacca dal corpo della classe operaia brasiliana e gli operatori del mercato azionario. In secondo luogo, perchè quest’alleanza “organizza” l’azione governativa, e conferisce alle iniziative del governo di Lula una intellegibilità chiara. Serve per attribuirle unità. Ma se consideriamo che la rivoluzione passiva alla brasiliana, è diretta da un partito che fino a poco tempo fà patrocinava gli incontri di Porto Alegre degli scontenti della mondializzazione finanziaria, allora già è un primo passo.


[1] Anthony Giddens. O mundo ainda vai ouvir muito sobre a Terceira Via. Folha de S. Paulo, São Paulo, 12 jul. 2003.

[2] Cf. Ministério da Fazenda. Política econômica e reformas estruturais. Brasília: Ministério da Fazenda, 2002.

[3] Idem, p. 6.

[4] Idem, p. 7.

[5] Idem, p. 11.

[6] Lula agora planeja assentar só 25 mil famílias em 2004. Folha de S. Paulo, 30 ago. 2003, p. A-4

[7] Gerson Teixeira. “O governo precisa mostrar serviço”. Entrevista a Marina Amaral. Caros Amigos Especial, São Paulo, n. 18, set. 2003, p. 10.

[8] Idem.

[9] Son seis diputados del Partido Liberal (PL), cinco del Partido Trabalhista Brasilero (PTB), y veinte del Partido del Movimiento Democrático Brasilero (PMDB). De los 73 diputados de la llamada “bancada ruralista”, los representantes del latifundio en el Congreso Nacional, la mitad pertenece a los partidos que integran la “coalición” de gobierno. Ver Roberto Pompeu. Bancada ruralista, o “elo frágil” do governo Lula. Caros Amigos Especial, São Paulo, n. 18, set. 2003, p. 12.

[10] Miguel Rosseto. “Teremos o maior orçamento da história para a reforma agrária”. Entrevista. O Estado de S. Paulo, 18 ago. 2003.

[11] Lula agora planeja assentar só 25 mil famílias em 2004. Folha de S. Paulo, 30 ago. 2003, p. A-4.

[12] Ver al respecto el estudio de dos economistas del Banco Mundial: Klaus Deininger e Hans Binswanger. The Evolution of the World Bank’s Land Policy: Principles, Experience, and Future Challenges. The World Bank Research Observer, Washington D.C, v. 14, n. 2, p. 247-76, Aug. 1999.

[13] Coordenação da Comissão Pastoral da Terra. Golpe na reforma agrária. Nota à imprensa. Goiânia, 3 set. 2003.

[14] Para la crítica del argumento fiscalista del gobierno Lula,, ver Eli Iôla Gurgel Andrade. Governo Lula e o Estado de bem estar. Teoria e Debate, São Paulo, n. 53, mar. 2003, p. 21-25 e Sara Granemann. A reforma da previdência do governo Lula: argumentos e perspectiva de classe? Outubro, São Paulo, n. 9 (a sair).

[15] En la época, este valor equivalía a diez salarios mínimos, pero su corrección anual no preservaría esta proporción y sería realizada por la inflación. En setiembre del 2003, diez salarios mínimos equivalen a R$ 2.400, pero el techo de los beneficiarios del sector privado es de aproximadamente de R$ 1.500.

[16] World Bank. Averting the old age crisis: policies to protect the old and promote growth. Washington D.C.: World Bank, Sept. 1994.

[17] Presidência da República. Por que reformar a previdência. Livro branco da Previdência Social. Brasília: 1997. Disponível em: https://www.planalto.gov.br/publi_04/COLECAO/PREBC.HTM. Acessado em: 22 set. 2003.

[18] Palocci, Antonio. Pronunciamento do ministro da Fazenda, Antonio Palocci na cerimônia de transmissão docargo. Disponível em: http://www.fazenda.gov.br/portugues/documentos/pronunci2.asp. Acessado em: 27 abr. 2003.

[19] Anfip. Seguridade e desenvolvimento: um projeto para o Brasil. Brasília: Anfip, 2003, p. 22.

[20] Ricardo Berzoini. Os desafios da reforma. Teoria e Debate, São Paulo, n. 53, mar. 2003, p. 14.

[21] PEC 40/03, art. 201, §12.

[22] Lula quer fundos para induzir crescimento. Folha de S. Paulo, São Paulo, 11 mai. 2003, p. A-7

[23] Ricardo Berzoini e Adacir Reis. A nova Previdência Complementar. Folha de S. Paulo, São Paulo, 10 jun. 2003, p. A-3.

[24] Lula quer fundos para induzir crescimento. Op. cit.

[25] Setor estima que nova lei deva elevar montante da carteira de R$ 200 bi para R$ 400 bi até 2007. Folha de S. Paulo, São Paulo, 9 set. 2003, p. B-6.

[26] O mercado de capitais como instrumento do desenvolvimento econômico. Folha On-Line, 17 out. 2002. Disponível em: http://www1.folha.uol.com.br/folha/dinheiro/ult91u57382.shtml. Acessado em 22 out. 2003.

[27] Para mas detalles, ver Michel Aglietta. Régulation et crises du capitalisme. 3ª ed. Paris: Odile Jacob, 1997 y Le capitalisme de demain: note de la Fondation Saint-Simon. Paris: Fondation Saint-Simon, 1998.

[28] Alain Minc. Www.capitalisme.fr. Paris: Grasset & Fasquelle, 2000.

[29] Para una crítica de la teoría del capitalismo patrimonial, ver Michel Husson. Le grand bluff capitaliste. Paris: La Dispute, 2001, p. 81 e seguintes.

[30] Michel Aglietta. Régulation et crises du capitalisme. 3ª ed. Paris: Odile Jacob, 1997.

[31] Michel Aglietta. Le capitalisme de demain: note de la Fondation Saint-Simon. Paris: Fondation Saint-Simon, 1998.

[32] Michel Aglietta. Régulation et crises du capitalisme. 3ª ed. Paris: Odile Jacob, 1997, p. 462.

[33] Michel Aglietta, idem., p. 463.

[34] Luiz Inácio Lula da Silva. Discurso do Presidente da República, Luiz Inácio Lula da Silva, na cerimônia de encerramento do 1º Seminário Internacional de Fundos de Pensão. Brasília (D.F.): Radiobrás, 28 mai. 2003. Disponível em: http://www.radiobras.gov.br/integras/03/ integra_280503_02.htm. Acessado em: 19 set. 2003.

[35] Idem.

[36] Francisco de Oliveira. O ornitorrinco (posfácio). Crítica à razão dualista. São Paulo: Boitempo, 2003.