Le ragioni economiche del conflitto internazionale

Joaquín Arriola Palomares

1. Le crisi

Una nazione è un luogo di contraddizioni, di conflitti, di forze che non possiedono nessuna ragione per compensarsi mutuamente. Perciò una nazione non raggiunge mai l’equilibrio ottimale. Se consideriamo queste caratteristiche come la norma, non si potrà mai dire che esse costituiscano il punto verso il quale tendono i processi concreti o intorno al quale essi si realizzano.

Al contrario, quando le controtendenze al ribasso e la tendenza all’equiparazione del tasso di guadagno tra industria ed industria si impongono sulla tendenza e le controtendenze contrarie, vale a dire che quando i processi sociali di regolazione sono efficaci, il processo di accumulazione conosce una stabilità strutturale di lungo periodo ed il capitale si riproduce ampliandosi; l’ordine tecnologico è stabile, le evoluzioni delle tecniche non lo destabilizzano; le strutture dei prezzi sono relativamente stabili come se la moneta esercitasse, di norma, un’influenza positiva.

La storia del capitalismo ha conosciuto diversi periodi di questa natura. Dalla metà del secolo XIX, quando l’industria si impose come l’attività dominante, fino ai giorni nostri, possiamo distinguere tre di questi periodi: il periodo corrispondente al Secondo Impero francese (anni ’50 e ’60 del XIX sec.), quello che parte dalla fine del secolo XIX fino agli inizi della Prima Guerra Mondiale, e quello che va dal New Deal o dalla Seconda Guerra Mondiale fino alla fine degli anni ’60.

Questa stabilità strutturale del processo di accumulazione è stato accompagnato sempre di più da contraddizioni endogene importanti. La speranza di vita delle controtendenze all ribasso del tasso di guadagno è limitata e, all’interno di un ordine tecnologico dato, la possibilità di dare luogo a nuove controtendenze è ridotta.

Finché non è molto grande la distanza tra il grado effettivo, crescente e senza interruzioni, della centralizzazione e la concentrazione del capitale, ed il suo livello nel momento in cui si esce da una crisi, cioè finché i processi sociali che assicurano le funzioni della competenza sono adeguati, le crisi cicliche finanziarie servono per eliminare gli scompensi che non possono rovesciarsi sul mercato mondiale.

Ma con l’evoluzione dell’accumulazione, questi processi diventano sempre meno adeguati al loro obiettivo ed il mercato mondiale si ritrova saturo di tutti gli squilibri che le diverse nazioni pretendono di fargli sopportare. Il commercio estero potrebbe porre rimedio a queste situazioni di eccesso di offerta, assorbendo l’eccedenza di merci. Ma il commercio estero non fa altro che estendere le contraddizioni ad una sfera più ampia, ampliando il loro campo di azione: trasferendo all’esterno la contraddizione economica, questa si diffonde, abbraccia nuovi territori e ritorna amplificata al punto di partenza.

Il mercato mondiale rimette, in un certo modo, ad ognuna delle nazioni gli squilibri che queste pensavano di potere scaricare su quello. Pertanto la caduta effettiva del tasso di guadagno penetra la distorsione dei tassi di guadagno tra industria ed industria, le norme che regolano il sistema dei prezzi diventano inefficaci, le imprese più potenti cercano di mantenere il proprio tasso di guadagno per mezzo di innovazioni tecnologiche che contribuiscono, a loro volta, a destabilizzare il sistema. È l’inizio della crisi, e non è strano che si manifesti in primo luogo sotto forma di perturbazioni monetarie internazionali né che sia accompagnata, per un breve periodo, dal rialzo degli indicatori di produzione, stimolati dalle nuove innovazioni. Crisi di questo genere si sono avute approssimativamente tra il 1873 e il 1896 (la prima “grande depressione”), durante il periodo tra le due guerre mondiali, e dal 1967, data della rottura effettiva del sistema di Bretton-Woods.

Queste crisi sono nazionali, ma si sviluppano seguendo calendari molto simili nelle differenti nazioni perché la loro evoluzione, regolata dalla necessaria risposta alle stesse evoluzioni strutturali, conosce gli stessi tipi di contraddizioni interne. L’aspetto internazionale di queste crisi - che provoca un effetto di ritorno - si deve al fatto che tutte le nazioni hanno tentato di far riassorbire le proprie contraddizioni dal mercato mondiale e che questo ha finito col non riuscirci. Le due primi crisi indicate conobbero, all’inizio, un periodo di forte apertura nei confronti dell’economia mondiale, prima del 1882 e prima del 1929, ma la deflazione implicò, per le nazioni, un ripiego su loro stesse nella ricerca di una soluzione nazionale, anche se sono state adottate strategie simili tra una nazione e l’altra.

È durante la crisi che si progettano gradualmente le linee principali del nuovo sistema di regolazione, attraverso processi di prova ed errore, momenti di impasse, fino a che una di queste prove ha successo, una volta che il “lavoro della crisi” ha distrutto sufficientemente l’ordine antico, per permettere l’emergere di un ordine nuovo.

Oltre a questo lavoro di crisi, ciò che caratterizza la rottura è l’incertezza profonda che questa genera. Questa incertezza non proviene solamente dalla difficoltà di trovare una via d’uscita, ma dal fatto che mentre la crisi si svolge, non possiamo essere sicuri né della sua esistenza (la guerra, il marciume della situazione sono sempre possibilità presenti), né della sua natura. Il fatto che la storia delle crisi precedenti sia stata scritta solo dopo che queste si sono chiuse, tende ad occultare il carattere dell’incertezza che troviamo nella letteratura dell’epoca. L’incertezza è ancora più importante in relazione alle tecniche che si impongono, ai tassi di scambio (ed oggi ai tassi di interesse) e da qui, in relazione ai costi e ai prezzi: appaiono forti tendenze a ritirare la liquidità dalla sfera produttiva ed a trasferirla alla sfera finanziaria, gonfiando gli attivi finanziari in un momento in cui si sviluppano forti tendenze deflazioniste.

Pertanto, bisogna mostrare una gran prudenza prima di costruire schemi delle relazioni internazionali che si pretendono a-storici: i fenomeni economici non si articolano nello stesso modo durante i periodi di stabilità strutturale del processo di accumulazione e durante i periodi di crisi del sistema di regolazione; inoltre ogni sistema di regolazione ha la sua specificità, come ognuna della sua crisi.

2. Dominazione e sistemi produttivi

F. Perroux definì con precisione i concetti di dominazione e di effetto di dominazione: “l’effetto di dominazione, desiderato o no, è un’influenza asimmetrica o irreversibile. La sua misura si determina nel vantaggio esterno al contratto o nel margine di indeterminazione dovuto alla comparazione con il livello (teorico) di equilibrio dell’interscambio puro. I suoi componenti sono la forza contrattuale dell’unità, la sua dimensione e la sua appartenenza ad una zona attiva dell’economia. La sua azione si esercita direttamente o per intermediazione” (F. Perroux: “L’economie du XXe siècle”, PUF 1969). Gli effetti di dominazione sono in se stessi “effetti dinamici” o “effetti di blocco”. La cosa certa è che “l’effetto di dominazione rompe gli schemi dell’interdipendenza generale e reciproca” (F. P ibidem).

Il concetto di dominazione è una delle chiavi della comprensione delle relazioni economiche internazionali. In particolare, permette di prendere in considerazione due tipi di situazioni. Per comprendere cosa significhino la destrutturazione e la ristrutturazione dei sistemi produttivi e delle sue articolazioni durante le crisi del sistema di regolazione, si possono considerare quindi due economie dominanti a livello internazionale, l’Inghilterra del secolo XIX e gli Stati Uniti del XX, e la “lotta”, nel periodo tra le due guerre mondiali, tra l’economia che si sente e si vede come dominante e quella che, dopo un’esperienza secolare, non può disabituarsi ad esserlo,

Una nazione che costruisce il suo apparato produttivo in una situazione di forza relativa nel proprio ambiente, può utilizzare questo per superare, in parte, i propri limiti (approvvigionamento di materie prime, spese per le merci ed i capitali). Questa ha pertanto la tendenza ad integrare altri spazi oltre al proprio territorio nel suo sistema produttivo.

Così possiamo dare un contenuto preciso ad una formazione sociale o a una nazione dominata: le sue attività produttive fanno parte di un sistema produttivo esterno e la cui moneta viene imposta; non possiede i mezzi per assicurare in forma autonoma la propria riproduzione; non ha in sé stessa il proprio principio di regolazione. Queste “affiliazioni” o questa definizione spaziale dei sistemi produttivi sono profondamente modificate a causa delle crisi del sistema di regolazione. A titolo di esempio, possiamo evocare la Conferenza di Berlino (“Distribuzione dell’Africa”) organizzata nel 1884-85, il trasferimento del dominio sull’America Latina dall’Inghilterra agli Stati Uniti durante la crisi tra le due guerre, la volontà degli Stati Uniti di entrare in Africa ed in Medio oriente, o la sostituzione degli Stati Uniti da parte del Giappone come economia dominante nel Sud-est Asiatico e la lotta tra queste due economie con vocazione mondiale in molti posti del mondo, perfino in America Latina durante la crisi attuale.

Questo impianto di analisi porta a non considerare più la Divisione Internazionale del Lavoro in forma arciglobale, su scala mondiale. La DIL può essere meglio compresa quando la consideriamo frammentata in diversi sistemi produttivi centrati sui paesi sviluppati. Il fenomeno della dominazione si trasferisce all’interno dello stesso processo di accumulazione. Ciò permette di spiegare come gli spazi dei sistemi produttivi siano decostruiti e ricomposti durante ognuna delle crisi del sistema di regolazione.

Un progetto lineare può indicare che la concentrazione farà sì che questo processo si prolunghi fino a completarsi.

Non si può affermarre che non sarà così. L’esperienza storica - quella dell’apertura al mondo delle economie nazionali nelle prime fasi delle crisi del sistema di regolazione, prima della crisi di deflazione e della chiusura delle frontiere - non può dimostrare niente rispetto al futuro. La resistenza delle nazioni e degli Stati a sparire, che si manifesta in numerosi fenomeni, per esempio quello che chiamiamo “crescita del protezionismo”, può essere eventualmente piegata. Ma non è questo il problema. Il fatto è che attualmente non si può parlare di un sistema produttivo mondiale, neanche di un sistema produttivo europeo (CEE). Il fatto che il dollaro sia riuscito a imporsi come mezzo di pagamento internazionale, non lo trasforma in una moneta mondiale. Che in numerosi mercati il sistema dei prezzi relativi dei paesi più sviluppati abbia potuto imporsi parzialmente nei paesi sottosviluppati, non significa in assoluto che esista un sistema mondiale di prezzi relativi. Il fatto che i sistemi produttivi che hanno funzionato durante le due decadi successive all’IIGM si trovino profondamente destrutturati dalla crisi, non ci dice niente rispetto alla ricomposizione di un sistema produttivo mondiale. Se è esistito un “modello” della Trilaterale e delle Cime Mondiali che potesse far presagire un sistema di potere di tipo statale emergente al livello dalla sfera capitalista dell’economia mondiale, questo sembra essere stato distrutto dalle contraddizioni proprie del capitalismo nordamericano: le riunioni dei primi ministri dei 5 grandi non garantiscono né la pace economica, né la stabilità macroeonomica e monetaria, né il ritorno ad un sistema monetario internazionale stabile.

3. Cambiamenti nella Divisione Internazionale del Lavoro: Industrializzazione e Commercio Mondiale

La struttura tradizionale del commercio mondiale si basava sugli scambi di materie prime, prodotti agricoli e prodotti industriali, in una divisione internazionale del lavoro che stabiliva un modello di specializzazione tra paesi poveri e paesi ricchi, come se fossero divisi tra produttori di beni primari (paesi poveri) e produttori industriali ed agricoli sovvenzionati (paesi ricchi: questi sovvenzionano con 150.000 milioni di dollari i propri produttori agricoli, con 19.000 milioni di dollari i paesi sottosviluppati e 4.000 milioni i paesi in transizione; in media, tra il 1986 e il 1990 i paesi sviluppati hanno sovvenzionato annualmente esportazioni per 48,2 milioni di tonnellate di grano; 19,5 milioni di tonnellate di cereali; 1 milione di tonnellate di zucchero; 1,2 milioni di tonnellate di carne bovina e 1,2 milioni di tonnellate di formaggio e burro. Sutherland: “Los resultados de la Ronda Uruguay: valorar lo invalorable” in ICE, ottobre 1994 N. 734 p.51)

Dagli anni 70, la realtà dei flussi internazionali si modifica in modo sostanziale: se il Round Uruguay del GATT si incentrò nelle sovvenzioni agricole della UE ed il suo conflitto con gli USA, la realizzazione di una cornice di libero commercio per altri servizi ha obbligato a creare un nuovo organismo che si occupasse del commercio mondiale, l’OMC, con maggiori poteri di rappresaglia contro i paesi che pongono ostacoli alla circolazione dei prodotti del settore dei servizi, facilitando la pirateria commerciale e frenando le operazioni delle multinazionali del settore.

Ci stiamo riferendo, tra le altre attività, a tutti i servizi commerciali; architettura e design; telecomunicazioni ed elaborazione dati; contabilità e consulenza di gestione;banche e assicurazioni; trasporti di ogni tipo; e soprattutto l’ampia varietà di servizi del settore dei viaggi ed il turismo: i “servizi centrali” offerti da hotel e ristoranti; le agenzie di viaggio e l’organizzazione di viaggi di gruppo; le guide turistiche;gli organizzatori di congressi; gli operatori di porti sportivi; le imprese di formazione turistica; le compagnie di trasporti turistici (autobus per gite turistiche, affitti di imbarcazioni ecc.).

4. Massachusetts-Birmania: Passando al di sopra dei Diritti umani

Negli Stati Uniti, diversi stati e località hanno manifestato da tempo le proprie inclinazioni politiche per mezzo della promulgazione di leggi di “acquisti selettivi”,per fare pressione sulle imprese transnazionali affinché cessino di fare commerci con regimi repressivi. Per esempio, dal 1996 il Massachusetts ha imposto una sanzione del 10% sui beni e servizi forniti da imprese che hanno interessi finanziari in Myanmar. Prima conosciuta come Birmania, il Myanmar è celebre per i brutali abusi del suo governo militare. Fino ad ora Siemens, Unilever e varie compagnie giapponesi sono tra quelle penalizzate dalla legislazione del Massachusetts.


Il Consiglio Nazionale del Commercio Estero (NFTC), una coalizione di circa 600 industrie ed istituzioni finanziarie con sede negli USA, ha citato in giudizio lo Stato del Massachusetts per questa legge. In un tentativo di distanziarsi dalle accuse di mettere gli interessi economici al di sopra dei diritti umani, il NFTC ha creato un gruppo di facciata chiamato Usa Engage che si è presentato ufficialmente in una conferenza stampa nell’aprile del 1997, nella quale si è definita come una “coalizione di base ampia che rappresenta americani di tutte le regioni, settori e segmenti della nostra società”. Immediatamente è iniziata a Washington D.C. una campagna intensiva delle lobbies contro le leggi di acquisto selettivo.

In Europa, le imprese Ericsson, Unilever e Siemens, hanno visto nella legge del Massachusetts un precedente pericoloso da annichilire. L’industria ha mobilitato le sue forze affinché la Commissione Europea portasse la questione davanti all’OMC. Varie importanti aziende giapponesi,come Mitsubishi, Sony e Nissan, tra le maggiori colpite dalla legge del Massachusetts, hanno applicato la stessa pressione sul governo giapponese.

Così non è una sorpresa che nell’ottobre del 1998 l’Unione Europea e il Giappone abbiano reclamato la creazione di un tribunale dell’OMC, con l’argomento che la legge del Massachusetts è discriminatoria e suppone una violazione delle norme dell’OMC sulla contrattazione pubblica. Benché l’Unione Europea abbia paralizzato il procedimento nel febbraio del 1999 (forse in un movimento di conciliazione nell’amara guerra delle banane con gli Stati Uniti) ha minacciato di resuscitare il caso se il governo federale statunitense non prende azioni contro lo stato del Massachusetts.

Il caso Massachusetts-Birmania richiama molti interrogativi sulla sovranità locale e nazionale ed il primato del commercio sugli obiettivi sociali, allo stesso modo sottolinea l’irregolare equilibrio di forze nella UE. Nel settembre del 1998, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione nella quale si richiama la Commissione a mettere fine ad ogni commercio, turismo ed investimenti di imprese con base nella UE in Myanmar, e critica la decisione della Commissione di invocare un tribunale dell’OMC. Ma, secondo un portavoce della Commissione, “violare le norme dell’OMC non aiuta nessuno. La chiave in questo caso è il fallimento degli Stati Uniti nel fare onore ai suoi compromessi internazionali”.

Fonte: Corporate Europe Observatory (CEO), “The WTO Millennium Bug: TNC Control over Globale Trade Politics”, edito nel n.4 del Corporate Europe Observer, Luglio 1999. Pagina web: http://www.xs4all.nl/ ceo.


5. Le Nuove Regole delle Relazioni Internazionali

Dall’AMI...

Durante l’anno 1998 si è avuta in vari paesi una forte campagna popolare contro l’iniziativa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) per fare approvare un cosiddetto Accordo Multilaterale di Investimenti (AMI). Finalmente, dopo molti tira e molla, la proposta è stata accantonata quando il governo della Francia ha annunciato che non era disposta a ratificare detto accordo.

Sui contenuti dell’AMI si è scritto abbastanza. Ciò che non è stato sufficientemente analizzato è il contesto e le implicazioni politiche di lunga portata di questa iniziativa.

Basti segnalare che, se fosse stato approvato, si sarebbe situato sullo stesso piano giuridico degli stati e delle multinazionali, con gli stessi diritti, doveri e responsabilità, davanti ad una corte internazionale di contenziosi mercantili. Una retrocessione democratica di incalcolabili conseguenze che esimerebbe le multinazionali dal rispondere davanti ai cittadini di un paese qualunque, o, in altre parole, che porterebbe i cittadini in un stato di inferiorità giuridica davanti alle multinazionali.

Come dicevamo, l’AMI rimase definitivamente accantonato quando un governo importante dichiarò pubblicamente il suo parere negativo a ratificare detto accordo. Due conclusioni possiamo trarre da questo fatto: in primo luogo che l’ambito delle decisioni politiche fondamentali nel mondo attuale, più o meno globalizzato, continua ad essere quello degli Stati nazionali, ed in particolare, quello degli stati con un certo peso economico e con forza militare. In secondo luogo, l’AMI non è morto, ma solo svernato: la strategia del capitale transnazionale non finisce a causa di questa sconfitta occasionale. Tutti gli organismi internazionali sono sottoposti ad una forte pressione da parte delle multinazionali, affinché adattino le proprie agende politiche alle necessità del capitale transnazionale. Alcune sono concepite specificamente per questo: il FMI, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, o OCSE, sono le principali agenzie internazionali dominate dal capitale. Altre stanno per essere sottoposte a diversi processi di inseguimento e conquista, (PNUD, OMS, Unesco, FAO) o di inseguimento e demolizione (UNCTAD, OIL) da parte del capitale, sempre che a questo sia più o meno difficile riuscire nel suo dominio.

... all’OMC

Il commercio è la prima dimensione o aspetto delle relazioni economiche internazionali.

Il commercio internazionale svolge un ruolo molto importante nella comparsa e nello sviluppo del sistema capitalista. Il commercio è importante perché è per suo tramite che si sviluppa la divisione internazionale del lavoro.

La divisione del lavoro è il principale fattore dell’aumento della produttività dai tempi di Adam Smith.

L’evoluzione del commercio internazionale è in relazione con l’evoluzione della produzione industriale e della popolazione. Per studiare questa relazione è necessario fare un’analisi di fattori come la produzione industriale, lo scambio di materie prime e di prodotti alimentari, lo scambio di prodotti elaborati, ecc.

Durante il XIX sec., le potenze dominanti (Gran Bretagna, Francia, Olanda) continuarono a prendere le misure necessarie per non perdere il monopolio della produzione industriale e per non vedersi esclusi dalle colonie in America latina.

Il terzo mondo si specializzò nella produzione di materie prime e di prodotti non lavorati. La specializzazione, in questi luoghi, ha avuto inizio con la divisione capitalista del lavoro. Durante questo secolo le esportazioni di prodotti manufatturieri non hanno aumentato il proprio peso in Asia, America Latina, Africa, i quali, dagli inizi della divisione capitalista del lavoro, si sono specializzati nella produzione di zucchero e caffè. Se c’è stata una riduzione di queste produzioni nell’arco di un secolo è stata per l’aumento del peso del petrolio. I prodotti energetici non avevano un gran peso nel 1820 ma lo avevano negli anni 1927-1930.

Pertanto, una delle caratteristiche del sottosviluppo è la mancanza di dinamismo strutturale nella produzione per le esportazioni.

A partire dagli anni ’60, pochi paesi scappano da questa divisione dal lavoro e c’è sempre una forte correlazione tra aumento della popolazione e le esportazioni.

Le cifre del commercio internazionale normalmente sono date in denaro ($) ma l’evoluzione dei prezzi internazionali è molto differente, a seconda che si tratti di prodotti elaborati o materie prime, vale a dire che i prezzi internazionali dei fattori aumentano, mentre i prezzi internazionali delle materie prime tendono a discendere.

Agli inizi degli anni ’70, l’aumento spettacolare dei prezzi del petrolio ha rappresentato un’anomalia della storia economica, dato che questi sono sempre stati piuttosto bassi.

Questa evoluzione relativa dei prezzi si tradusse, alla fine degli anni ’50, in quello che Raúl Probitch denominò ‘la relazione reale di scambio’, che risultò negativa per i paesi sottosviluppati: vale a dire che, se nel 1960 si poteva comprare un trattore con due tonnellate di cacao, nel 1970 questo si doveva scambiare con tre tonnellate. Pertanto, considerando la stessa quantità di prodotto, la relazione di scambio tra prezzi all’esportazione e all’importazione si dà anche per le manifatture del terzo mondo, cioè tra i prezzi all’esportazione di paesi sottosviluppati e prezzi all’importazione di paesi sviluppati.

A parte il problema dei paesi che nella dimensione internazionale del lavoro esportano materie prime, dato che le statistiche del commercio vengono date in prezzi, queste occultano l’evoluzione reale del commercio. Se il prezzo diminuisce più di quanto aumenta la quantità esportata, il risultato sarà un calo delle esportazioni.

L’evoluzione recente del commercio è tale che questo risulta sempre più un commercio tra paesi sviluppati. C’è una crescente emarginazione del terzo mondo nel commercio internazionale.

Questo argomento riflette un’evoluzione dei prezzi negativi, superiore all’evoluzione delle quantità esportate. I paesi sviluppati hanno aumentato il proprio peso, dal 1980, rispetto ai paesi sottosviluppati. Questo se consideriamo l’evoluzione dei prezzi. Ma se consideriamo la quantità di produzione il risultato è differente. L’aumento delle esportazioni dei paesi sottosviluppati è maggiore di quella dei paesi sviluppati.

Siccome il capitalismo si basa sul denaro, dal punto di vista dell’accumulazione nelle ultime decadi, benché la quantità di merci esportate dai paesi sviluppati sia minore, la quantità di denaro che si ottiene per quelle esportazioni è maggiore. Nel commercio internazionale i paesi sviluppati accumulano più rapidamente e con meno sforzo dei paesi sottosviluppati.

Tradotti in prezzi i valori del commercio internazionale, questi favoriscono i paesi sviluppati. Ma in questa concentrazione del prezzo nei paesi sviluppati si dà una crescente regionalizzazione.

Le percentuali del commercio interregionale più importanti sono quelle che si danno tra gli USA e il Messico, tra la Comunità Europea ed i paesi europei che non ne fanno parte, tra il Sud-America e l’America Centrale, e tra i paesi del sud-est asiatico.

La regione che vince il confronto è la UE (Unione Europea) unita a Norvegia e Svezia. I 2/3 delle sue esportazioni vanno in paesi al di fuori della propria regione, e solo 1/3 di queste vanno al di fuori dall’Europa Occidentale, e una percentuale minore proviene dalle importazioni al di fuori della regione.

Anche gli USA hanno un alto livello di commercio interregionale. I 2/5 delle esportazioni nordamericane sono dirette verso altri paesi della regione e quasi la metà proviene dalla propria regione. Se il Nordamerica ha una percentuale di commercio extraregionale maggiore dell’Europa è perché le percentuali di commercio intraregionale nelle regioni più sviluppate sono molto piccole. Queste esportano tutto il proprio prodotto nei paesi immediatamente prossimi.

Questa mancanza di coerenza internazionale è emersa dalla divisione del lavoro, per la quale i paesi del terzo mondo producono una gamma di beni poco elaborati e poco complementari tra loro.

Per quel che riguarda il commercio extraregionale, possiamo vedere che la percentuale maggiore del commercio USA è destinato ad altre regioni sviluppate. Possiamo vedere come nel caso degli USA il commercio col Giappone sia più importante del commercio con l’Europa Occidentale. Anche per il Giappone gli USA sono un socio commerciale migliore della UE. Per la UE sono più importanti gli USA che il Giappone.

Queste relazioni tra i tre grandi blocchi, spiegano, per esempio, il maggiore impatto della crisi asiatica negli USA rispetto all’Europa. Così come i responsabili della UE si preoccupano più dei problemi interni che di una caduta delle esportazioni verso i paesi asiatici.

Le regioni sottosviluppate sono vincolate all’una o all’altra regione dominante.


Il commercio dell’America latina con il Nordamerica è tre volte superiore a quello con l’Europa. L’Asia ha uno speciale vincolo nel suo commercio estero col Giappone, benché gli USA incrementino la propria presenza nella regione. Infine l’Europa dell’Est commercia 4 volte più con l’Europa che con gli USA.

La struttura del commercio internazionale non è molto simile a quella che il libero commercio proclama. La struttura del commercio internazionale è organizzata in tre grandi blocchi centrali con una periferia così vincolata:

- Usa con l’America Latina.

- UE con Paesi dell’Est

- Giappone con l’Asia.

Non è molto chiara la relazione tra il commercio estero e la struttura degli investimenti all’estero. Senza dubbio l’investimento straniero modifica o riorienta, in parte, il commercio estero verso un dato paese. Ma la cosa che sembra più ovvia non è affatto la più semplice da verificare.

L’Europa concentra un 34 percento degli investimenti stranieri nordamericani, ma rappresenta solo il 9 percento del commercio con gli USA. Tuttavia, una percentuale di 10 punti superiore sul commercio con l’Europa non rappresenta più dei 2/3 rivolti al commercio interno.

La stessa cosa possiamo dire nel caso degli investimenti all’estero, il 44 percento degli investimenti Europei si realizzano negli USA ma il commercio dell’Europa con gli USA rappresenta il 48 percento.

Non c’è una relazione evidente tra provenienza dell’investimento straniero e flusso del commercio. Solamente nel caso dei paesi specializzati nella produzione di materie prime e di zucchero e caffè, si da un importante vincolo tra paese di origine dell’investimento straniero e paese di provenienza delle esportazioni.

La forma che adotta il sistema di accumulazione basato sull’incremento della produttività si rafforza con la divisione del lavoro.

Dopo la 2ª Guerra. Mondiale iniziò una nuova fase del capitalismo nella quale le istituzioni furono debitamente regolate.

Nella conferenza di Bretton Woods si elaborò l’organizzazione di tre aspetti:

a, per la regolazione della produzione e degli investimenti, soprattutto nel 1944, si creò un’istituzione nominata BIRF (Banca Internazionale di Restituzione e Stimolo) / BM (Banca Mondiale).

b, per regolare le finanze internazionali si creò il FMI (Fondo Monetario Internazionale).

c, per regolare il commercio internazionale si creò l’Organizzazione Internazionale del Commercio, l’OIC.

Tuttavia, per quel che riguarda l’OIC, nel 1947 si celebrò la conferenza de L’Avana, per fissare i criteri di funzionamento di questa istituzione come per la BM e il FMI. Si voleva organizzare un’istituzione che evitasse una situazione economica internazionale nella quale si impennassero i pagamenti monetari internazionali e calasse il commercio internazionale, come era accadutoe negli anni ’20 e ’30.

Nel contesto della ricostruzione erano stati enfatizzati gli aspetti dello sviluppo da parte di Europa e Giappone, che si sentivano devastati dalle guerre.

Per questo motivo, a L’Avana, si progettò un’organizzazione internazionale del commercio che includeva, tra i suoi obiettivi, quello di perseguire lo sviluppo economico e stimolare il pieno impiego. La politica commerciale si sottometteva al risultato di questi obiettivi che si consideravano più trascendenti ed importanti.

Inoltre l’OIC progettò di agire sul terreno dalle relazioni intergovernamentali. Si proponeva di giungere ad accordi con i paesi sottosviluppati, evitare le pratiche restrittive delle multinazionali e stimolare la cooperazione internazionale per la competenza e lo sviluppo. L’agenda dell’OIC era molto ampia.

L’OIC si proponeva di occuparsi dello studio della forma che doveva assumere per lo sviluppo, per l’impiego, il trasferimento della tecnologia, etc. L’OIC doveva essere un’istituzione attiva nella gestione dell’economia internazionale.

Nel Marzo del 1948, i paesi elaborarono la Carta dell’Avana, ma il congresso degli USA si rifiutò di ratificarla, perché considerava che questo organismo avrebbe potuto avere molto potere e diminuire la sovranità politica degli USA. Per questo motivo ratificò solo una parte della Carta dell’Avana: la sezione nella quale si faceva riferimento alle regole delle tariffe doganali. L’USA forzò altri governi a firmare solo questa parte, e di conseguenza, l’OIC non arrivò mai a costituirsi.

Al suo posto, si istituì un accordo generale su tariffe e commercio che costituì il GATT, questo, fino al 1995, è stato l’accordo che ha regolato le relazioni internazionali, ma non è un organismo, è solo un contratto o accordo tra parti.

L’aspetto più importante nel nuovo ordine internazionale, il commercio, non è soggetto ad un organismo di regolamentazione.

Questo accordo doveva essere rinegoziato periodicamente, e non avrebbe più avuto validità nel momento in cui fosse stata ratificata la Carta dell’Avana. Sicome questa non fu mai ratificata, la validità durò 50 anni. Durante questii 50 anni, l’accordo internazionale su tariffe e commercio fu ratificato periodicamente. Queste rinegoziazioni si tenevano in conferenze, conosciute come Rounds di Negoziazione, tra i paesi firmatari.

Ci sono stati 8 Rounds nella storia del GATT:

1ª 1945, Round dell’Avana.

2ª 1947, Round di Ginevra.

3ª 1949, Round di Annency (Francia).

4ª 1950-1951, Round Torquay (Inghilterra).

5ª 1960-1962, Round Dillón (Ginevra).

6ª 1964, Round Kenedy (Ginevra).

7ª 1974 -1979, Round Tokyo.

8ª 1986-1995, Round Uruguay.

L’ultima riunione è stata la più importante non per la sua durata, ma perché ha dato luogo alla scomparsa del meccanismo di organizzazione permanente, il GATT, ed alla creazione di un’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’OMC, creata nel Gennaio del 1995,.

L’OMC ha poco a che vedere con l’idea dell’OIC. La filosofia di creazione dell’OMC, a metà degli anni 90, è molto distinta da quella proposta dai governi dopo la 2ª guerra Mondiale. Nell’OMC si accumula tutta l’esperienza dei rounds del GATT.

6. I principi basilari di funzionamento del GATT

Ma quali furono i principi di funzionamento sui quali si basarono i rounds del GATT? I principi basilari del GATT furono due, la non discriminazione e la reciprocità nelle negoziazioni, cioè la compensazione dei costi coi benefici.

In quanto alla non discriminazione, questa si basava sull’assunto che un compromesso raggiunto con un paese doveva essere destinato anche agli altri soci commerciali.

In quanto alla Reciprocità, questa si basava sul principio che il costo legato a una concessione dovesse venire compensato dal beneficio di una concessione per l’altro paese.

Questi principi possono avere senso se i partecipanti si trovano in condizioni di uguaglianza. Se il mondo è composto da paesi a livelli disuguali e hanno differenti gradi di partecipazione nel commercio internazionale, pretendere che tutti i paesi agiscano in accordo con questi principi coporta seri problemi.

Le negoziazioni, nella cornice di attuazione del GATT, incominciavano, inoltre bilateralmente, considerando la domanda e non l’offerta. Questo suppone che un paese porga richieste ad un altro paese. Pertanto, gli unici paesi che avevano capacità di fare una richiesta erano i grandi esportatori. Solo se un paese controlla una parte sostanziale del commercio di un prodotto, può mettere in moto le negoziazioni commerciali.

Inoltre, in accordo col principio di reciprocità, le riduzioni delle tasse doganali dovevano essere scambiate con una concessione equivalente. Solo le grandi esportatrici possono reclamare importanti riduzioni delle tasse doganali, perché solo loro possono concedere grandi riduzioni delle stesse.

Tutto questo fa sì che i paesi poveri non possano svolgere un ruolo importante nella negoziazione.

Negli anni ’60, con l’indipendenza di molti paesi di Africa ed Asia, i paesi del Terzo Mondo reclamarono all’ONU la creazione di un’organizzazione che si incaricasse del commercio internazionale e per lo sviluppo. In questo modo si creò, nel 1978, l’UNCTAD. Questa si fonda sulla filosofia dell’OIC, ma non ha il potere di obbligare i paesi a seguire una determinata linea di comportamento in materia commerciale.

Sotto la pressione del Terzo Mondo, i paesi sviluppati inclusero nell’accordo una sezione dedicata al commercio e allo sviluppo. Nell’articolo 36 si stabilisce che i paesi sviluppati non devono pretendere la reciprocità quando si stabiliscono accordi per riduzioni delle tasse doganali per le esportazioni del Sud.

L’importanza di questo articolo è relativa, perché i paesi sviluppati hanno ridotto i propri dazi per prodotti che i paesi poveri esportano poco, ma per i prodotti per i quali la capacità esportatrice è maggiore, vengono stabiliti dazi molto alti. -----

7. Struttura dell’OMC

Per capire le ragioni che portano a compiere questo passo bisogna partire dall’analisi dell’evoluzione del commercio estero negli USA.

La bilancia in conto corrente degli USA presentò un deterioramento importante nella bilancia dei beni, a partire dagli anni ’60. Tuttavia la bilancia dei servizi era positiva e nell’ambito dei servizi le entrate per la vendita di tecnologia erano notevoli. Pertanto ci furono alcune vendite positive ed alcuni bonifichi negativi, (guerra del Vietnam e Corea).

Gli USA lasciarono che altri paesi industrializzati diventassero competitivi nel commercio dei beni, ma il settore dei servizi non conosceva concorrenza e la bilancia tecnologica non era paragonabile con nessun altra.

Alla fine degli anni ’80, cominciò un periodo di rivoluzione tecnologica che attualmente ha un peso economico crescente, nei servizi ad alto valore aggiunto e in quello delle merci non materiali.

I cambiamenti tecnologici e strutturali nella bilancia di pagamenti determinarono il contenuto delle negoziazioni del 1986, nel round Uruguay. In questo Round i distinti blocchi economici presentarono distinte agende di negoziazione

Bisogna anche tenere in conto che il GATT contemplava negoziazioni solo riguardo i prodotti agricoli, i servizi ne erano esclusi.

Obiettivi dei principali gruppi o blocchi economici nella 2ª metà degli anni 80:

a, Gli USA erano interessati a essere i primi esportatori nel commercio internazionale dei cereali, erano anche interessati ad aprire un processo di negoziazione che includesse i servizi e la loro liberalizzazione, avendo un vantaggio notevole in questo settore.

b, La UE, aveva interesse a liberalizzare i servizi ma non il mercato agricolo.

c, Il Giappone era interessato a sviluppare una cornice di negoziazioni che liberalizzasse i servizi, inoltre voleva evitare che gli altri blocchi entrassero in una spirale protezionistica.

d, I paesi sottosviluppati erano interessati a liberalizzare il commercio di prodotti, a riuscire ad eliminare il sistema protezionistico per il settore tessile e avevano anche un interesse particolare nel miglioramento delle misure eccezionali stabilite dal GATT, che permettevano ai paesi sviluppati di non firmare alcuni accordi di riduzione doganale.

Le contropartite a questi obiettivi furono le seguenti:

a, La UE doveva fare un maggiore sforzo nella liberalizzazione del settore agricolo.

b, I paesi sottosviluppati erano quelli che dovevano fare il maggiore sforzo nella liberalizzazione dei servizi, perché i servizi tra paesi sviluppati erano già molto avanzati.

c, Gli USA erano il paese che aveva minori difficoltà nell’offrire contropartite. La sua agricoltura era meno protetta di quella europea e solo il settore tessile doveva offrire una maggiore contropartita.

Il Round Uruguay fu una complessa negoziazione di tre fattori:

- Riduzione del protezionismo agricolo.

- Riduzione del protezionismo tessile nei paesi sviluppati.

- Base per la liberalizzazione dei servizi, cosa che non si poteva fare in ambito GATT e che rese necessaria la creazione di un nuovo organismo, l’OMC, oltre al fatto che il GATT non aveva la capacità di imporre ai paesi il compimento di quello che veniva pattuito.

Siccome il settore dei servizi era il più protetto nei paesi sottosviluppati, i quali opposero una maggiore resistenza alla loro liberalizzazione, era necessario un organismo con una certa autonomia che potesse imporsi di fronte a questi.

La negoziazione all’interno del Round Uruguay, dopo vari anni, diede luogo ad un’evoluzione relativamente importante. I paesi sviluppati che prima del Round Uruguay avevano una tariffa media all’importazione del 3’6, dopo il round passarono al 3’9, dal 20% al 40 %. Nei paesi sottosviluppati ci fu anche una piccola riduzione del contrabbando di prodotti provenienti dall’estero.

Questa evoluzione, dal punto di vista del resto dei paesi sviluppati non ha una grande importanza. In Spagna, queste negoziazioni non ebbero molta importanza rispetto all’ingresso nella UE. Nel 1986 l’apertura spagnolaall’Europa presuppose un importante calo dei dazi. Con il round Uruguay, calò di un punto, ma è molto meno di quanto comportò l’incorporazione nella UE.

La Spagna aveva aumentato le barriere protezionistiche agricole. L’adesione alla UE comportò una riduzione di tali protezioni, ma queste si attesarono all’8 percento, che è una percentuale molto maggiore di altri paesi. Nella pratica si ebbe un’importante riduzione ma si mantenne un elevato protezionismo agricolo.

In quanto al protezionismo tessile il dazio medio presentava grandi differenze. Da una parte, la produzione tessile era sottoposta all’Accordo Multifibre, che era illegale e che stabiliva un meccanismo di contingentamento (limitazione alle quantità da importare), non protezionista, che, in realtà,costituiva un elevato protezionismo industriale da parte dei paesi sviluppati.

L’accordo al quale si arrivò nel Round Uruguay, prevedeva che i termini di questo si estinguessero, in forma progressiva, tra il 1995 e il 2005, liberalizzando in primo luogo quelle partite di prodotti meno importanti dal punto di vista della produzione interna dei paesi sottosviluppati. In cambio della liberalizzazione del tessile, i paesi sottosviluppati si videro obbligati ad accettare la costituzione dell’OMC, cioè a negoziare la liberalizzazione del settore dei servizi. E alcune attività del settore dei servizi sono quelle in cui i paesi sottosviluppati hanno possibilità di sfruttamento, per esempio il turismo.

Un’altra questione che riguarda il settore dei servizi è la possibilità di non pagare i diritti d’autore nella riproduzione di dischi, videocassette, fotografie, etc.

Uno dei compromessi dell’OMC è stato quello di obbligare i paesi sottosviluppati a pagare questi diritti d’autore e proibire la falsificazione illegale del Software. Il costo che avrebbe per le imprese di quei paesi sarebbe molto elevato.

Nella negoziazione finale sull’OMC tra il 1993 e il 1994, sotto la pressione dei gruppi ecologisti si aggiunse un’area di lavoro dedicata ad analizzare l’impatto della liberalizzazione del commercio nell’ecosistema.

Un altro dei punti che si volle introdotto fu quello della Clausola Sociale. Il fatto che in alcuni paesi non si proibisse il lavoro minorile o lo schiavismo, o lavoro non remunerato, facilitava la vendita dei prodotti di quei paesi, sul mercato mondiale, a prezzi molto bassi, si tratta di ciò che è conosciuto come DUMPING sociale, che consiste nel vendere un prodotto ad un prezzo minore del costo di produzione. Quest’argomento non fu introdotto nell’OMC a causa dell’opposizione di alcuni paesi sottosviluppati, soprattutto asiatici, e soprattutto a causa dell’opposizione delle multinazionali che utilizzano questo tipo di lavoro per ottenere bassi prezzi di produzione. Per esempio: l’80% delle scarpe sportive si fabbricano in Cina sfruttando il lavoro infantile.

Per il futuro si prospetta l’affermazione di questa nuova organizzazione che, come è stato dimostrato nell’ultima riunione a Cancun, non ha la necessaria trasparenza e perfino legittimità davanti agli occhi di molti governi e paesi del Terzo Mondo.