La religiosità latinoamericana e dei Caraibi:un elemento dell’identità culturale

JORGE RAMIREZ CALZADILLA

UNIONE NAZIONALE DEI LAVORATORI IN VENEZUELA

Vi è un fatto evidente nel percorso storico americano: le culture nazionali dei suoi popoli, nonostante le loro notevoli differenze, hanno in comune la loro conformazione in una fase relativamente recente, molto successiva al consolidamento culturale delle rispettive metropoli europee, che alla fine del XV secolo e precisamente durante il XVI secolo e per un lungo periodo storico successivo, hanno iniziato ed hanno sviluppato un’espansione che ha gettato le basi della cosiddetta modernità con le solite conseguenze in diversi settori, sia in quello politico che in quello economico, così come in quello culturale e chiaramente in quello religioso. Ognuna di esse è il risultato di un peculiare processo di sintesi, maggiore in alcuni casi rispetto ad altri, di culture dominanti - quelle dei colonizzatori - e di culture dominate - quelle dei popoli autoctoni e dei popoli importati con più o meno violenza in schiavitù o con contratti fraudolenti-. A queste culture si sono aggiunti altri contributi ogni volta che si creavano o si creano, influenze culturali interne americane, anche se non sempre nella stessa misura e nelle stesse condizioni. In America Latina i tratti comuni sono significativi. Si può parlare di un’approssimazione storica nel cui processo, soprattutto nel processo di emancipazione, si sono create le culture nazionali con la presenza iberica - ispanica o lusitana, vicine tra loro - che ha imposto la sua lingua, i suoi costumi, la sua religione, la sua ideologia, i suoi sistemi organizzativi, con quella dei popoli aborigeni in alcuni casi, e africani, o con entrambe in altri casi. Una struttura socioeconomica coloniale caratterizzata da un capitalismo dipendente, con tratti semi-feudali come il vassallaggio, il possesso delle terre e la sovrastruttura socio-politica ed ideologica, che sono stati condivisi come lo è stata anche l’evoluzione neocoloniale susseguente. Nonostante le note differenze, i popoli dei Caraibi possiedono tratti che li identificano tra loro e allo stesso tempo con l’area continentale latinoamericana. I territori che li formano attualmente sono stati sottomessi al colonialismo europeo durante la stessa epoca storica, mentre si stavano creando economie dipendenti. In queste condizioni sono sorte nazionalità con simili processi di sintesi di culture dominanti e dominate. Nonostante ciò i Carabi risultano essere, per varie ragioni, più complicati quando si cerca di definire le identità, anche se ciò non è impossibile né inutile. Considero che si può affermare, a rischio di rendere quest’affermazione polemica, che si può contare su argomenti sufficienti per confermare che esiste un’identità culturale latinoamericana e dei Caraibi, con la sua dialettica di somiglianze e differenze.1 Su questo tema, credo che resti molto da studiare, anche se esiste un estesa letteratura non ancora esaurita. Sono d’accordo con molti autori sul fatto che, all’interno della cultura di un popolo, la religione, essendo cultura essa stessa, forma parte dell’identità culturale.2 Riassumendo, insisto sul fatto che è possibile affermare che la religione occupa uno spazio nell’identità culturale latinoamericana e dei Carabi. Per questo lavoro parto proprio da questo presupposto. Pur rischiando di non essere esaustivo di fronte all’impossibilità evidente di trattare una così estesa e complessa problematica in poche pagine, cercherò di esaminare la religiosità latinoamericana in alcuni dei suoi tratti fondamentali. Mi soffermerò sulle particolarità religiose dei Caraibi in quanto sono quelle che vengono trattate frammentariamente e forse sono le meno conosciute. Cuba, che condivide tratti di identità con il resto dell’America Latina e con i Caraibi, è un paese latinoamericano e allo stesso tempo dei Caraibi. È per questo che ho optato per includere una particolare analisi della cultura e della religiosità cubana per far luce su un possibile impegno globale. Nello stesso modo, lo studio di qualsiasi paese dei Caraibi offre sempre uno spunto per la conoscenza dell’area così come hanno già ben dimostrato altri lavori.

1. La religiosità Latinoamericana

L’America Latina è considerata una regione prevalentemente cattolica. Ciò include soprattutto la parte continentale ed i Caraibi ispano-francofoni, ma bisogna anche considerare che, anche se in alcuni luoghi in minor misura, la Chiesa Cattolica è radicata anche nel resto delle Antille. Normalmente si accetta il fatto che, all’inizio del XXI secolo, in quest’area geografica risiederà la maggiore popolazione cattolica del mondo. La Chiesa Cattolica è l’istituzione ecclesiastica che si è stabilita più anticamente, egemonica da moltissimo tempo, con maggiori possibilità di influenza nell’ambito sociale e strettamente vincolata ai sistemi socio-politici ed ideologici nella maggior parte dei paesi. Ha disposto e dispone di strutture organizzative di diverso carattere, di risorse di divulgazione ed insegnamento, oltre che di centri assistenziali. In alcuni paesi si conservano concordati ed altri regolamenti per i rapporti Chiesa-Stato e perfino costituzionalmente viene riconosciuta religione ufficiale, come accade per esempio in Argentina. Il Vaticano presta a questa zone una particolare attenzione e ad esse dedica uno dei suoi dicasteri. Storicamente sono accaduti importanti fatti politici, sociali e nazionali di chiara incidenza cattolica. Nonostante ciò, negli ultimi anni si sono verificati fatti che pur mettendo in evidenza l’egemonia cattolica riflettono spaccature nell’unità della gerarchia ecclesiastica. Tali elementi, fanno almeno supporre che l’influenza di questa chiesa non giunge a tutti i livelli della vita sociale e spirituale, né a tutti i settori della popolazione, così come hanno voluto presentare, con affermazioni trionfaliste o superficiali, i gradi ecclesiastici più alti dalla prospettiva dei loro stessi interessi. Le cifre dei membri si basano su dati ufficiali dei battezzati; ma, studi sociologici concreti dimostrano che la popolazione che ha una vita socialmente attiva e sistematica, con una identificazione o conoscenza dei principi dottrinali, è abbastanza ridotta. Inoltre si afferma che per molti lo stesso battesimo ha più un significato magico, superstizioso, protettore o di tradizione che un significato di sacramento con il quale si inizia un impegno ed un’appartenenza ad una istituzione. Una vasta letteratura analizza il fenomeno del noto aumento delle cosiddette sette o nuovi movimenti religiosi che invadono il continente. Questo fenomeno si produce, soprattutto in certe zone della regione come il Centro America; ciò ha generato un’esplicita preoccupazione del Papa e del Vaticano di fronte allo spazio che guadagnano a dispetto del cattolicesimo che, suppostamente o realmente, è praticato dalla maggioranza con maggiore o minore ortodossia. Studiosi del pentecostalismo riportano un aumento delle attività e di proselitismo negli ultimi due decenni in diversi paesi.3 Questo fenomeno sfida la Chiesa e gli studiosi sociali non solamente nel decifrare la logica di questo aumento, ma anche la stessa identità culturale latinoamericana e dei Caraibi. È una problematica da risolvere facendo attenzione soprattutto al fatto che, nonostante provengano da centri di potere con un’altra cultura e con interessi di globalizzazione, ci sono casi in cui il popolo li ricrea secondo le sue aspirazioni e tradizioni. Il protestantesmo tradizionale, da parte sua, ha dovuto istaurarsi ed estendersi competendo non solo con le sue stesse denominazioni, ma anche e soprattutto con le religioni che già esistevano precedentemente, visto il suo arrivo tardivo nei paesi non colonizzati dall’Inghilterra. Per tale ragione e per il suo modo di espressione più razionale, carente di santi, immagini ed altri oggetti, differente da come il credente latinoamericano ed il credente dei Caraibi è abituato a concepire e ad esteriorizzare la sua religiosità, non ha raggiunto per molto tempo cifre significative di associazionismo.4 Dalla fine degli anni 60, in testi ecclesiastici come i documenti delle Conferenze dei Vescovi di Medellin e Puebla ed altri, si esamina criticamente l’attuazione che storicamente ha avuto la chiesa nell’evangelizzazione dei popoli latinoamericani. Nonostante il tono trionfalista predominante che risalta le “luci”, si fanno riferimenti alle “ombre” che denotano non solo errori nella conduzione dell’istituzione e dei suoi rapporti politici, ma anche deficienze nella cura spirituale e l’educazione religiosa di ampi settori della popolazione. Le posizioni politicamente avanzate dei cristiani latinoamericani progressisti e rivoluzionari, cosi come dei movimenti cattolici di base, sono d’accordo con queste critiche all’istituzione nel passato e nell’attualità. In alcuni paesi più che in altri, le guerre anticolonialiste si opposero a quelle indipendentiste e clerico spagnole. Come risultato, in alcuni pensatori latinoamericani si riflette un anticlericalismo di ripercussione che secondo me, ancora non è stato ben valutato, oltre al fatto che altre espressioni e pratiche religiose potrebbero costituire alternative al cattolicesimo ufficiale. L’America Latina, per la Chiesa Cattolica, è stata, ed in qualche modo continua ad esserlo in alcune zone, un territorio di missione. Ciò significa che verso questo continente accorrono continuamente sacerdoti e suore di altri paesi per coprire il deficit provocato dalle insufficienti vocazioni per l’esercizio di questi magisteri, in aperta contraddizione al carattere cattolico che viene attribuito alla popolazione. All’inizio questo dato permette di mettere in dubbio un’intesità religiosa di tipo cattolico nella maggior parte dei credenti. 5 Nel giungere alle terre di conquista e colonizzazione, il cattolicesimo ha dovuto competere con sistemi religiosi con diverso livello di strutturazione, molti dei quali, nelle culture più sviluppate (Mesoamericana ed Incas), possedevano un alto grado di organizzazione e sistematizzazione. Nei popoli africani, portati in condizioni di schiavitù, esisteva anche una cultura religiosa che in alcuni di essi, come il yoruba, aveva una certa complessità ed influenza. Nelle condizioni in cui si verificò il dominio coloniale della Spagna, della Francia e del Portogallo, le culture precolombiane, eccetto quelle caraibiche, e quelle di origine africana non furono totalmente annichilite, e non fu completo nemmeno il processo di assimilazione mediante l’evangelizzazione. Per il significato religioso, nell’opinione generalizzata e comprovata da molti ricercatori, ciò si traduce nella sopravvivenza dei miti, dei riti, delle devozioni, dei simboli, delle concezioni, dei valori, delle sacralizzazioni, dei popoli autoctoni ed africani che, in alcuni luoghi più che in altri, si manifestano con una certa autenticità in rapporto alle loro origini o si sono sincretizzati con il cattolicesimo. Hanno assimilato anche elementi di altre espressioni, come lo spiritismo e in minor misura il protestantesimo, specialmente quello tardivo. Riassumendo, nella maggior parte della regione, la cultura latinoamericana e caraibica attuale, con influenze culturali anche europee e statunitensi, presenta nel campo religioso, insieme al cattolicesimo ufficiale, appoggiato istituzionalmente dalla Chiesa Cattolica, dalle sue gerarchie ed elite, altre forme religiose ed una religiosità che, pur avendo elementi cattolici popolarizzati, si allontana in differenti gradi dall’ortodossia. Ciò include componenti di religioni autoctone aborigene in alcuni luoghi ed africane in altri, entrambe con un’esistenza attuale in gruppi, settori e in alcuni casi in comunità etniche, con diversi livelli di preservazione delle forme originali. In una vasta letteratura si esamina questa peculiare sintesi culturale che in diverse maniere esiste caratterizzando il campo religioso, e che è stata chiamata religiosità popolare, pietà popolare, religione del popolo o cattolicesimo popolare. Non sempre si può definire un fenomeno e a volte si descrivono forme locali senza dare una denominazione generica. La religiosità popolare è interesse degli accademici, in quanto rappresenta l’interrelazione delle culture, per la maniera di esprimersi, per il suo rapporto con fattori relativi a gruppi, etnie, settori, classi o aspetti economici. La cosa che accomuna gli studiosi e gli analisti di questa religiosità, sta nel fatto di indicare come fattore causale della stessa la conservazione di elementi religiosi autoctoni ed africani durante e successivamente alla colonizzazione. Per questa ragione a volte non è errato assicurare che nella religiosità è questo il prodotto più significativo dei cinque secoli di evangelizzazione. Carlos M. Rama, per esempio, afferma che “le grandi religioni latinoamericane non sono altro che il sottoprodotto delle conquiste che istituirono ma non distrussero totalmente le antiche credenze indigene o africane” (Rama, 1974). Gilberto Gimenez afferma che è “la risultante dell’intersezione delle grandi religioni precolombiane (soprattutto del mondo incaico e azteca - maya) con il cattolicesimo spagnolo della contro riforma” (Gimenez, 1978; 12). Cristian Parker considera che “il discorso religioso popolare conserva temi dottrinali del cristianesimo con credenze mitico magiche” (Parker, 1986), Manuel Maria mira alla “sopravvivenza dei miti cosmogonici e ai riti agrari intorno alla Pachamama agli opus” (Marzal, 1975). Guillermo Bilbao Cabala parla delle “sostituzioni delle deità e di rituali maya alle figure cristiane e del ricorso al Dio cattolico così come a deità o a spiriti dei trapassati” (Bilbao, 1975). A Cuba, nelle devozioni popolari, si confondono simboli cattolici ed africani con influenze spiritiste; qualcosa di simile si avverte nel resto dei Caraibi insulari e nel Brasile. Nelle pratiche simboliche popolari è usuale l’impiego di servizi che si offrono in templi cattolici, soprattutto in alcuni specifici. Gli stessi sono depositari di immagini determinate, generalmente non sostituibili da altre simili, intorno alle quali si sono create leggende mitiche con diverse versioni, con elementi della creatività dell’immaginario popolare; anche se i devoti non sanno, non possono o semplicemente non hanno interesse nel cercare o dare una spiegazione coerente, e nemmeno situano il loro oggetto di culto all’interno di un sistema religioso. Ciò è evidenziato, per esempio, da Agnellina Pollal-Eltz (1968) e lo abbiamo anche constatato noi nelle diverse ricerche cubane. Nei templi, inoltre, si realizzano battesimi e riti mortuari (molto richiesti sicuramente per il loro rapporto con l’inizio e la fine della vita), si benedicono immagini, l’acqua, il guano. Sono, in definitiva, il serbatoio di una sacralità non discussa. I missionari e i conquistatori ispano-lusitani cattolici, non solo ammisero che figure del loro santorale presiedevano le loro confraternite e i consigli comunali caraibici, sotto il cui controllo si nascondevano elementi simbolici autoctoni, ma anche che costruivano cattedrali e monumentali chiese sulle rovine di templi delle grandi religioni dei territori conquistati. È perciò difficile precisare se coloro che si recano nei luoghi cattolici e utilizzano o richiedono i loro servizi lo facciano richiamati semplicemente dai simboli di questa religione o da quelli dell’altra. Nonostante l’eterogeneità, si possono individuare caratteristiche frequenti che fondamentalmente consistono in devozioni ai santi, vergini, cristi, peregrinazioni, processioni, attività culturali non sistematiche, orazioni, canti, promesse, appropriazioni di immagini, uso di alimenti e piante, assenza di strutture organizzative formali e di complesse teologie, presenza del gesto, dialogo con l’oggetto della devozione e delle pratiche di guarigione. Nella sua diversità si tratta in definitiva di uno stesso fenomeno con tratti differenti per ragioni congiunturali in zone e culture locali. La modalità che caratterizza probabilmente di più questa religiosità è la devozione, sotto forme diverse, di figure in cui viene personificato il miracolo ed in generale il soprannaturale. Tra le molte figure, ci sono: la Vergine di Guadalupe in Messico, Santo Domingo in Managua, Maria Leonza in Venezuela, San Lazzaro a Cuba, per citare solo le più significative (Montagne e Ramirez 1984). Nelle rispettive leggende sono presenti in maniera diversa la sofferenza, il rapporto prevalente con gli umili, la povertà e l’incrocio tra razze. Per tale ragione si può affermare che in una maniera o in un’altra si riflettono le condizioni di vita del popolo, la sua emarginazione, i dolori e le difficoltà. Senza dubbio, si ritrova la condizione popolare di queste figure. Per la provenienza popolare della maggioranza dei suoi praticanti, si possono prendere in considerazione in questa religiosità le manifestazioni di origine africana e le derivazioni dello spiritismo a sua volta sincretizzato.6 Un esame minuzioso ci dimostra che si tratta di un’altra realtà, differente dalla religiosità popolare.

2. La religiosità caraibica in particolare

I fenomeni culturali verificatisi nel continente americano sono sicuramente ancora più complicati nell’area dei Caraibi, dove, come evidenzia Enrique Dussel, si avverte “una storia universale in una zona ridotta” in cui “tutti gli imperi vollero mantenere la loro presenza” ed in cui “si parlavano tutte le lingue coloniali europee” (Lampe e Silva Gotay, 1995: Prologo). Si potrebbe aggiungere che oltre a conquistatori europei e a popoli autoctoni sottomessi, giunsero portatori di culture dominate di origine molto diversa tra loro: africani, ebrei, indù, cinesi, javanesi, arabi, le cui lingue erano parlate insieme a quelle predominanti: inglese, spagnolo, francese e flamenco, o persistevano vocaboli o termini rituali delle lingue di molti popoli. Nel campo religioso, in questa zona relativamente piccola del continente americano, si avverte una maggiore pluralità di concentrazioni di espressioni con i loro rispettivi raggruppamenti o influenze culturali. Insieme alle religioni universali, non solo quella cristiana dei dominatori, si praticavano le religioni nazionali o delle più piccole e diverse comunità tra loro sincretizzate. Non tutte realmente sono associate a fattori etnologici e culturali anche se lo sono state in origine. È significativa anche l’esistenza di forme religiose emerse nelle condizioni sociali della regione, cioè, propriamente caraibiche, risultanti di una singolare transculturazione.7 Lo studio di queste formazioni è abbastanza complesso, ma anche molto appassionate. Questa diversità viene esaminata a partire da diversi criteri classificatori. Lampe ne ammette due: la decolonizzazione tardiva rispetto ai paesi del continente e la schiavitù degli africani. Sono d’accordo con questa analisi, anche se credo che sia necessario spiegare il tipo di schiavitù imposta per le piantagioni con le sue conseguenze di sfruttamento intenso e prolungato e di maggior rigore rispetto alla schiavitù domestica: oltre a considerare lo sterminio della popolazione aborigena (tainos-arowacos, caribes, come afferma Lampe). Un tratto comune è anche la povertà, di diversi livelli, determinata dal sottosviluppo nei limiti di un’economia dipendente orientata soprattutto verso l’esportazione. Tutto ciò va considerato come un insieme. Si sono così definite le diversità con la parte continentale latinoamericana, sia nella cultura, in generale, che nella religione, in particolare, con una molteplicità di forme.8 Riassumendo, la caratteristica principale che definisce i Caraibi è la loro peculiare diversità. In questa porzione geografica, in cui è possibile disattendere le peculiarità culturali del modo di essere isolano, sono confluite le principali potenze con passaggi di dominazione per scambio o per rivalità coloniali, alcune volte a ritmi bellici, al tempo stesso le economie hanno determinato una schiavitù di grandi proporzioni. Ciò, ovviamente, ha inciso sul quadro religioso della regione.9 La Spagna ha introdotto il cattolicesimo, nella maniera descritta, nelle sue colonie caraibiche, soprattutto nelle isole maggiori, in una parte delle quali ha mantenuto il suo dominio per più tempo e ha centrato inizialmente il suo possesso coloniale ed è stato qui che la Chiesa ha istaurato la sede delle sue prime strutture gerarchiche. In altri paesi, anche sotto colonizzazione non cattolica, il cattolicesimo ha resistito e non sempre in minoranza nonostante fosse un’altra la religione ufficialmente riconosciuta o favorita. È curioso che pur non essendo ancora maggioritaria, la Chiesa Cattolica partecipa all’organizzazione regionale esistente, la Conferenza delle Chiese dei Caraibi (CCC), in prevalenza protestante. Non è usuale nel continente, dove questa chiesa si riconosce prevalente e dove funziona parallelamente una struttura cattolica, il Consiglio episcopale Latinoamericano (CELAM) e un’altra protestante ecumenica, il Consiglio Latinoamericano delle Chiese (CLAI). Haiti si è convertita gradualmente in una piantagione di canna da zucchero e di cafè, con una grande richiesta di mano d’opera schiava. In queste condizioni, è nato il sincretismo tra il cattolicesimo francese e le religioni africane di discendenza bantù, che ha originato il cosiddetto vodù che in realtà è un insieme di forme diverse. Vodù è un vocabolo dahomeyano con il quale si indica il soprannaturale in cui si trovano differenti “loas”, più di un centinaio di deità africane, e figure del santorale cattolico ed ancestrale. Dopo la rivoluzione degli schiavi, iniziata nel 1781 e che si concluse con l’istituzione del primo paese indipendente dell’area nel 1804, il vodù è rimasto per molto tempo l’unica religione, in conseguenza del compromesso ecclesiastico con il colonialismo e la schiavitù. Ha conservato più a lungo il suo predominio - secondo alcuni in competizione con il cattolicesimo - che per altri è la religione delle maggioranze - fino ai giorni d’oggi in cui, secondo le statistiche, il protestantesimo è cresciuto considerevolmente nelle sue forme neocarismatiche. Nelle colonie inglesi si è instaurato il protestantesimo, soprattutto l’anglicanesimo, oltre al metodismo e al presbiterianesimo il che ha portato a una notevole diminuzione della cultura e delle religioni africane con un processo di conversione della popolazione schiava più efficiente. Inoltre ci sono stati missionari negri che hanno predicato il protestantesimo tra gli schiavi delle colonie prevalentemente cattoliche, come è successo a Cuba (Berges 1990). Mentre con il dominio coloniale la Chiesa ufficiale era quella Anglicana, con l’indipendenza si instaurò una pratica liberale non esente da conflitti. Dall’Olanda e anche dall’Inghilterra si esportò nei Caraibi la Chiesa Morava, che si instaurò anche in Centroamerica ed in altri paesi latinoamericani. Il giudaismo, proveniente da varie parti d’Europa, prima dalla Spagna in cui durante l’epoca della conquista e della colonizzazione era proibito, e poi dall’Olanda, dove si rifugiarono i seguaci per l’intolleranza spagnola, giunse nei Caraibi molto presto. La prima sinagoga in America fu fondata a Curacao (Lampe, 1995: 15). Già nella seconda metà del XVII secolo la comunità d’origine ebrea era relativamente numerosa in Giamaica, e anche se discriminata era una religione tollerata. Negli anni vicini alle due guerre mondiali aumentarono le immigrazioni ebraiche in diversi paesi della zona. L’abolizione della schiavitù, iniziata dall’Inghilterra nel 1838, produsse una diminuzione della mano d’opera nelle piantagioni di canna da zucchero nelle colonie inglesi e poco dopo in quelle francesi, essendo stata abolita la schiavitù ed essendo difficoltosa, in altre colonie, la tratta schiavista. Si cercò allora la soluzione con l’importazione di braccianti dall’India. Una parte di questi era seguace dell’induismo, e un’altra parte, in minor misura, dell’islamismo. Le migrazioni indù furono maggiori a Trinidad, a Surinam, in Giamaica, in Martinica e nella parte continentale in Guyana (Bisnauth, 1996: 140 - 141). Per ragioni simili ci furono altre immigrazioni asiatiche di javanesi e cinesi. In condizioni di transculturazione si formarono, oltre al vodù, altre religioni autoctone, una parte di queste con la forte influenza delle religioni africane sincretizzate tra loro e con una mescolanza di elementi del cattolicesimo e a volte dello spiritismo. È tipico di questo fenomeno ciò che è accaduto a Cuba, paese di cui parleremo più avanti, ed in Brasile, di cui non parlerò in quest’occasione, così come in altri paesi. Un caso singolare di una certa connotazione è il movimento Rastafari. Il Rastafarismo nasce in Giamaica durante gli anni ’30 del XX secolo. C’è una evidente ricerca di identità negra con un ritorno all’Africa che poggia su basi cristiane. Ha tratti di movimento politico liberatorio, realmente contraddittorio, che si unisce ad un messianesimo e a un millenarismo. Un’idea centrale si fonda su un certo trionfalismo africanista che assicura un dominio finale dell’Africa sul mondo. Curiosamente ammette come centro di culto l’ultimo imperatore etiope, Haile Selassie. Questa coincidenza in una stessa area geografica non poteva far altro che generare un ampio mosaico arricchito con la produzione religiosa autoctona, estesa a tutto il settore popolare. Tutto ciò nonostante le condizioni complesse di vita, della diversità delle religioni, provenienti dall’Europa cattolica e protestante, dall’Africa multi religiosa e dall’Asia, sia cinese che indù, del giudaismo che persiste in tante religioni dai limiti etnici e dell’islam arabico ma esteso ad altre religioni. In questa maniera lo scenario culturale caraibico, e con esso il quadro religioso, si è fatto sempre più complesso fino ad oggi, quando parallelamente alla globalizzazione con una dimensione di culturalizzazione omogeneizzante si introducono i nuovi movimenti religiosi provenienti soprattutto dagli Stati Uniti, sia il neopentecostalismo che abbiamo precedentemente citato, sia forme all’interno della cosiddetta “nuova era” (new age). Contemporaneamente, forme autoctone, all’inizio locali, come la santeria cubana, il candomble brasiliano e il rastafari giamaicano, si diffondono dentro e fuori dei Caraibi. In ciò che è propriamente religioso, la diversità delle forme è maggiore che in altre parti del continente e a volte del mondo. La sua classificazione si fa difficile per questa ragione e per il fatto che risultano culturalmente distanti alcune forme rispetto ad altre, ma anche per le affinità che vengono riscontrate.10

3. La religiosità cubana: a paragone con quella latinoamericana e caraibica Anche il quadro religioso cubano si presenta con una peculiare eterogeneità per il fatto che si sono istaurate forme religiose diverse per la loro origine. Da ciò ne è derivato l’insediamento di successivi modelli socio - culturali, ognuno dei quali ha introdotto espressioni religiose che lo hanno accompagnato (Ramirez, 2000). Del modello originale, quello aborigeno, restano solo delle tracce poco percettibili nella religiosità cubana come risultato della rapida scomparsa delle comunità etniche precolombiane (Fariñas 1994 e Stevens 1994), che ha determinato una differenziazione soprattutto nelle regioni dove hanno prevalso le grandi culture mesoamericana ed incarica. Il modello ispanico, come nella maggior parte del sub continente, ha introdotto il cattolicesimo come religione dominante e, durante la tappa coloniale, esclusiva. Si sono avuti tratti simili marcati dall’ispanicità, che si protrasse per un periodo prolungato di tempo tanto da influire in maggior misura. Per diverse ragioni, e soprattutto per la concentrazione urbana del clero e per una mancanza di attività pastorale nei settori popolari, il cattolicesimo nelle sue manifestazioni ortodosse non ha ottenuto una significativa tradizione. Il modello africano, importato con lo schiavismo, più prolungato che nel resto dell’America, con eccezione del Brasile, e di grandi proporzioni vista la condizione dell’economia delle piantagioni a Cuba, permise l’introduzione delle religioni in quel contesto culturale. In questo modo, nacquero forme religiose sorte in condizioni sociali ostili che, in ogni caso, sopravvissero all’evangelizzazione per ostacoli oggettivi e soprattutto per l’inconveniente della concessione di uguaglianza agli schiavi, che poterono conservare le tradizioni e trasmetterle ai loro discendenti e successivamente al resto della popolazione umile. Per queste ragioni si estesero la Regla Ocha o santeria, di discendenza yoruba; la Regla Conga o Palo Monte, di discendenza bantù e le società Abakuà o ñañiguismo, di origine carabalì, oltre ad altre meno diffuse come la Regla Ararà e la Iyesà. Del modello nordamericano, influente solo poco dopo l’occupazione militare statunitense (1898 - 1902) e durante la repubblica neocoloniale fino al 1959, si diffusero due aspetti religiosi, lo spiritismo e il protestantesimo. Il primo si pratica a Cuba in due modalità, una vicina alla teoria kardeciana, lo spiritismo chiamato scientifico e l’altra che Ileana Hodge (Hodge e Rodríguez, 1997) chiama cubanizzata, di portata popolare, più associata alla quotidianità e che ha assimilato elementi delle religioni di origine africana e cattolica. L’introduzione del protestantesimo a Cuba ha una storia simile a quella latinoamericana, con la differenza che nel continente ci fu un insediamento stabile più precoce favorito dai governi liberali delle nuove repubbliche della seconda metà del XIX secolo. A Cuba, questo processo fu sostenuto dall’intervento nordamericano e dalle chiese statunitensi durante il XX secolo. In entrambe i casi i primi contatti e insediamenti degli inglesi fuori dalle loro colonie e di altri europei protestanti furono sporadici non potendo superare le restrizioni che la Spagna imponeva nelle sue colonie per preservare l’egemonia cattolica. Un caso molto simile a quello cubano è stato quello di Porto Rico, secondo quanto dimostrato da Samuel Silva Gotay (1974). A Cuba si produssero anche altre influenze culturali e religiose dovute ai braccianti haitiani, portatori del vodù, agli immigrati cinesi - con religioni di comunità agrarie - e agli ebrei. Si formarono anche organizzazioni del bahaismo e del teosofismo. Una rivitalizzazione religiosa negli anni ’90, che ha accompagnato una situazione di crisi soprattutto economica, ha incrementato notevolmente non solo le forme religiose già presenti nei gruppi carismatici, ma ha favorito anche la creazione di nuovi gruppi come gli islamici, quelli che praticano yoga e buddismo e quelli della new age. Nonostante ciò, a Cuba non si poteva permettere che, come in altri paesi dell’area, avvenimenti nazionali assumessero forme religiose e è stato adottato il carattere laico ma non antireligioso, anche se anticlericale. La tradizione costituzionale cubana ha adottato molto presto, prima che in altri paesi indipendenti già da tempo, la separazione dello Stato dalla Chiesa. Sul popolo cubano, per molteplici ragioni, non ha prevalso un’espressione religiosa rispetto ad un’altra, così che si può giungere alla caratterizzazione della religiosità nel suo complesso. Riassumendo, il cubano non è eminentemente cattolico, non è protestante, non è santero, non è palero, né spiritista. Predomina una religiosità che potrebbe essere concettualizzata come popolare, creatasi nel percorso socio-storico cubano dalla conquista e colonizzazione fino al giorno d’oggi, costituendo una religiosità di sintesi così come è meticcia la cultura cubana. Entrambe si sono create in un processo definito da Fernando Ortiz di “Transculturazione” (Ortiz, 1986). Qualcosa di simile potrebbe dirsi, con alcune differenze, anche del resto dei Caraibi e dell’America Latina.

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Note

* Dipartimento degli Studi Socio Religiosi. Centro delle Ricerche Psicologiche e Sociologiche.

1 L’identità è un concetto in cui si include la somiglianza e la differenza nell’unità dialettica. Nessun fenomeno o nessun processo sociale è assolutamente identico ad un altro - come nemmeno lo è rispetto a se stesso - , ma nemmeno è assolutamente differente. L’identità culturale all’interno della stessa società, o comparativamente ad altre, crea un’insieme di tratti in cui prevalgono le somiglianze sulle differenze.

2 La religione è una forma di produzione umana, è parte della cultura ed è cultura essa stessa, con indipendenza dal fatto che possa essere concepita con un origine e come risultato di una realtà extra naturale e fuori dall’azione dell’uomo, come è intesa dai sistemi teorici religiosi. Per esempio, e solo citando due classici delle scienze sociali, per Max Weber la religione è una categoria culturale e per Marx è un riflesso della realtà esterna alla coscienza e un fenomeno sociale. Su ciò sono d’accordo molti altri teorici dalle prospettive laiche e religiose; queste ultime, sicuramente non spiegano sempre questo riflesso vincolandolo alla realtà, che viene posta come seconda.

3 La crescita del protestantismo in America Latina tra il 1980 ed il 1990, è di circa 12 milioni di persone e si può stimare che maggiormente si tratta di forme pentecostali (Houtart, 1997: 8). Tale crescita si duplica tra gli anni ‘70 e gli anni 80. All’inizio del secolo, si calcola che i protestanti nel continente fossero circa 6400, mentre nel 1990 erano circa 30 milioni. In vari paesi di tradizione cattolica, i protestanti hanno raggiunto il 25% della popolazione, anche se la maggioranza si muove tra il 5 ed il 15%.

4 Sono d’accordo con José Miguez Bonino sul fatto che sia necessario prendere in considerazione le “provenienze del protestantesimo” o dei protestantesimi latinoamericani - come è solito dire Jean Pierre Bastian - e cioè “le radici nord atlantiche delle chiese protestanti latinoamericane come dato interpretativo” (Miguez 1995; 29).

5 Per questa ragione, oltre ad una alta composizione straniera all’interno del clero, esistono molte zone non seguite o con una presenza sacerdotale ridotta. Si calcola una proporzione di un sacerdote per 5000 o 7000 abitanti, ed in alcuni paesi la situazione è più grave per la disposizione della composizione del clero che in alcune zone non è paritaria in quanto sono favorite di più quelle urbane che le rurali.

6 Tra queste forme, vi sono: il vudù haitiano, il Candomblè di Bahia, la santeria cubana, il Shangò di Granata e di Trinidad e Tobago, i culti africani della Colombia, del Venezuela e di Guayanas, il Batuque di Porto Alegre (Rio Grande del Sud), la Umbanda brasiliana (un misto di elementi africani, cattolici, orientali e spiritisti), la Macumbè di Rio de Janeiro (una via di mezzo tra il Candomblè e la Umbanda), lo spiritismo “di condon” e “cruzao” di Cuba. “Nei Caraibi inglesi e soprattutto in Giamaica”, si può prendere in considerazione il movimento Rastafari “che offre una combinazione di movimento religioso con il rinascimento culturale ed il messianismo politico” (Oaxtepec 1986: 17). Considero un errore il fatto che alcuni autori abbiano posto le espressioni religiose di origine africana e le modalità dello spiritismo all’interno della religiosità popolare per il fatto di aver ottenuto una certa diffusione nella popolazione. Ovviamente sono forme popolari, ma mi sembra evidente la necessità di riservare il concetto di religiosità popolare a quest’altra forma religiosa spontanea, non organizzata, sorta o assimilata dal popolo, la stessa che, nonostante la sua eterogeneità, ha una tipicità propria che si distingue per i suoi tratti rispetto alle altre.

7 Sulla delimitazione geografica della zona caraibica esistono differenti interpretazioni, e ciò è più complesso se si fa attenzione ai tratti culturali. Armando Lampe cita tre definizioni dei Caraibi: “la prima definisce i Caraibi come l’arcipelago includendo tutte le isole nel mar dei Caraibi. Altri parlano del “bacino dei Caraibi”, da un approccio geopolitico che include inoltre le coste atlantiche della Guyana. Un concetto più ampio è quello di Charles Wagley “Plantation America” che include il nordest del Brasile ed il basso sud degli Stati Uniti, riferendosi specialmente all’economia delle piantagioni basata sulla schiavitù africana che univa tutta questa regione. Per questo autore i Caraibi abbracciano la parte insulare e nel continente la Guyana inglese e quella francese, il Belice ed il Surinam (Lampe e Silva 1995: 13). Credo che, geograficamente e culturalmente, i Caraibi oltrepassano la parte insulare, e comprendono le coste continentali dal Golfo del Messico al Centroamerica fino alla parte più settentrionale dell’America del Sud, ed è necessario includere anche il Brasile, che in buona misura è culturalmente caraibico. Per ragioni che impone la brevità, prenderò in considerazione solo i Caraibi insulari e la parte continentale che segnala Lampe.

8 Secondo le lingue predominanti, possiamo considerare quattro gruppi: Cuba, Santo Domingo e Porto Rico (di lingua spagnola); Giamaica, Tobago, Barbados, Granada, Isole Bahamas (di lingua inglese); Martinica, Guadalupe, San Martìn (di lingua francese), Antille Neerlandesi e Aruba (di lingua flamenca). Per ciò che riguarda la religione non si può fare una classificazione così chiara.

9 Fu nei Caraibi che giunsero e si insediarono prima i colonizzatori spagnoli, e da lì iniziarono le prime spedizioni per la conquista del continente. La legittimazione di tali imprese ottenne un contenuto teologico con le argomentazioni di Martin Fernandez de Encino, nell’anno 1513, che sostenevano il fatto che le Indie erano per gli spagnoli la Terra Promessa come Canaan lo era per il popolo ebreo. Già nel 1550 il Mar dei Caraibi era per la Spagna una mare clausum (Bisnauth 1996: 13). Ma il corso successivo degli avvenimenti è stato decisivo per la fine della schiavitù spagnola con il possesso condiviso delle isole. Nel 1624 gli inglesi si stabilirono a San Cristobal e si estesero in altre isole fino a quando nel 1655 la Giamaica entra nei loro possedimenti. Gli olandesi si appropriarono di Curacao, Aruba e Bonarie nel 1634, mentre un anno dopo i francesi si impossessarono di Guadalupe e della Martinica. Il XX secolo è stato segnato, per i Caraibi, dalla forte dipendenza e perfino dall’egemonia in condizioni neocoloniali e coloniali degli Stati Uniti.

10 Adolfo Ham, le classifica in: storiche, nuove religioni, afro caraibiche, autoctone, messianiche e millenariste. Tra le afro-caraibiche, lo stesso autore include: il vodù, la santeria, il culto a Shangò a Trinidad, winti a Suriname, kutnina, convince e la danza kromanti in Giamaica, kelè a Santa Lucia, e altri (Ham, 1998).