Sistemi a rete e liberizzazione.Il caso delle telecomunicazioni

GIUSEPPINA GALVANO

1. Intervento pubblico nel settore dei servizi

1. Il processo di riforma della regolamentazione dei servizi pubblici è iniziato nei decenni passati prima negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito. Negli altri Paesi europei la necessità di riforma è stata avvertita soprattutto con il processo di integrazione che, insieme alla globalizzazione dell’attività economica e alle conclusioni dell’Uruguay Round ha portato alla necessità di rivedere la regolamentazione di molti settori dell’economia, anche perché la normativa esistente poteva costituire una barriera al commercio internazionale e agli investimenti. In Italia, l’intervento pubblico nel settore produttivo, a lungo ritenuto necessario e capace di determinare una allocazione ottimale delle risorse disponibili1, nel corso degli anni ’80, viene messo in discussione. Il perseguimento di obiettivi di carattere generale o di ordine sociale, piuttosto che economici, che caratterizza la presenza pubblica nel settore produttivo, unitamente alla scarsa tensione efficientistica2 ne rendono evidenti i limiti. Specie l’intervento pubblico in materia di prezzi si rivela limitato quando: a) la dinamica dei prezzi e dei costi in generale risulta particolarmente accentuata e comunque non trova compensazione in recuperi di produttività; b) il sistema economico nel suo insieme si trova sottoposto a shock esterni. In effetti, il prezzo di un bene o di un servizio, se non è fissato su livelli equamente remunerativi, provoca distorsioni nel sistema economico ed una inefficiente allocazione delle risorse:
  nel settore privato entrano immediatamente in azione meccanismi di difesa che portano alla rarefazione dell’offerta, all’accaparramento, al mercato nero e a distorsioni produttive (es. “Blocco dei prezzi 1973-1974”);
  nel settore pubblico determina: a) dilatazione del disavanzo pubblico (la difficoltà a coprire i costi con tariffe ha imposto allo Stato di fornire alle aziende delle contropartite finanziarie); b) sprechi nei consumi e ritardi nel potenziamento dei settori strategici (contrazione investimenti; peggioramento della qualità); c) impulso consistente sul trend inflazionistico. L’aumento dei costi e la bassa produttività si riflettono negativamente sui conti dei gestori dei servizi pubblici, sui loro investimenti e sulle caratteristiche quantitative e qualitative dei servizi offerti. Per ottenere risultati concreti sul piano della dinamica dei costi occorre, quindi, un approccio più articolato. La consapevolezza della centralità dei servizi pubblici e dei riflessi negativi che la loro bassa produttività hanno sul sistema economico nel complesso, portano a modificazioni normative e di indirizzo. Nel Piano a Medio Termine (maggio 1990), si indica come l’intervento pubblico debba essere limito ai settori prioritari, mentre per le attività che possono essere espletate in modo più soddisfacente e con maggiore efficienza3 da parte dei privati, la Pubblica Amministrazione dovrebbe limitarsi: a) introdurre elementi di concorrenzialità (revisione, ad esempio, del sistema di concessione delle licenze); b) inserire fattori che portino a responsabilizzare la domanda da parte degli utenti (ad esempio, tariffe più elevate al variare dei consumi al fine di evitare gli sprechi) e ad accrescere la sensibilità delle strutture al costo dei servizi (raccordare, ad esempio, la dinamica retributiva del personale alla crescita della produttività). c) liberalizzazione nei settori in cui il progresso tecnologico ha eliminato le condizioni di “monopolio naturale” (maggiore possibilità di scelta per l’utente e stimolo a un servizio più efficiente).

2. Il processo di privatizzazione che si avvia in questi anni è finalizzato non solo al risanamento della finanza pubblica, ma anche a stimolare lo sviluppo e a diminuire le inefficienze che caratterizzano il modo di produrre di queste imprese. Tuttavia, analogamente a quanto avvenuto in altri Paesi, il programma di privatizzazione e di introduzione di nuove forme di mercato impone la revisione dell’intervento dell’Autorità Regolatrice e a una maggiore concorrenza sul mercato. In effetti, il passaggio al settore privato non è da solo in grado di eliminare le inefficienze gestionali, che in assenza di un mercato concorrenziale, potrebbero anzi amplificarsi. Per i beni e servizi per i quali le condizioni di mercato lo consentono si avvia la liberalizzazione (Vedi Allegato 1).

3. Nel corso degli anni ’90, l’esigenza di aumentare produttività ed efficienza nel settore dei servizi porta all’introduzione di elementi di maggiore concorrenzialità. Si accentua il processo di dismissione di partecipazioni pubbliche in settori chiave dell’economia, quali le telecomunicazioni e l’energia. Molte aziende pubbliche si trasformano in Società per Azioni. Dove persistono condizioni di monopolio, vengono introdotti sistemi incentivanti di prezzo (price cap4). Aumento dei livelli di produttività ed efficienza si traducono in miglioramento della qualità del servizio offerto e, dove opera una maggiore concorrenza, in riduzione dei prezzi pagati dagli utenti. A partire dal 1990, si riduce progressivamente il contributo delle tariffe dei servizi pubblici alla crescita dell’inflazione. Dinamiche superiori all’indice generale si registrano solo per i servizi di competenza degli enti locali (acqua, rifiuti, trasporti urbani ed extraurbani), per i quali persistono condizioni di squilibrio economico-finanziario (Vedi Allegato 2). Ma si riducono anche gli oneri a carico del bilancio dello Stato (Vedi Allegato 3).

4. I proventi da privatizzazioni che l’Italia realizza sono giudicati positivamente dall’OCSE5. Nel periodo 1990-2000, essi risultano pari all’8,2% del PIL. Nello stesso periodo la Francia e la Germania hanno registrato incassi da privatizzazioni pari rispettivamente al 4,2% e al 1,1,% del PIL, mentre la media UE è stata del 4,2%. Ciò si riflette, come evidenziato nel “Rapporto sulle riforme economiche”6, in una maggiore capitalizzazione di borsa che in percentuale del PIL cresce fortemente passando da 94 miliardi di euro, pari al 13,8% del PIL, del 1990 a 464 miliardi di euro, pari al 35,6% del PIL, nel 2003 (agosto) con punte molto elevate in corrispondenza degli anni 1999-2000 (rispettivamente 66,1% e 70,8% del PIL).

5. Dal punto di vista istituzionale, i processi di privatizzazione delle imprese di pubblica utilità hanno richiesto la creazione di organismi indipendenti con il compito di garantire che i vantaggi competitivi dell’ex-monopolista non impedissero un effettivo pluralismo dal lato dell’offerta. In questo contesto vengono create Autorità amministrative indipendenti:
 L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l.287/90)
 L’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (l.481/95)
 L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (l.249/97) A queste Autorità si affiancano i poteri di vigilanza e di indirizzo dei Ministeri:
 Il Ministero delle Attività Produttive nel settore energetico.
 Il Ministero delle Comunicazioni nel settore postale e delle comunicazioni.
 Il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti nel settore delle autostrade e dei trasporti (ferroviario, aereo e marittimo). L’esigenza di istituire Autorità indipendenti nasce dal fatto che non è sempre sufficiente eliminare un monopolio legale per porre fine ad una posizione dominante. È infatti necessario un certo periodo di tempo ed una stretta vigilanza sui comportamenti dell’operatore dominante (incumbent) perché si realizzi una effettiva capacità da parte dei nuovi entranti di competere nel mercato. Perché i benefici derivanti dall’operare delle Autorità possano realizzarsi a pieno, è importante che le risorse loro destinate siano indipendenti dal bilancio statale. A tal fine, il modello che è stato previsto in Italia si basa su un finanziamento derivante dal prelievo - in misura massima dell’1 per mille - sul totale delle entrate delle industrie regolate.

2. Le liberalizzazioni nel settore dei servizi a rete 1. Sotto l’impulso delle direttive comunitarie, l’Italia ha attuato riforme strutturali volte a liberalizzare o, quanto meno, orientare al mercato alcuni settori delle public utilities. Le trasformazioni intervenute nel sistema di governance hanno creato lo spazio per una maggiore concorrenza nel mercato (per i servizi a rete, la telefonia vocale e la generazione dell’elettricità) e per il mercato (telefonia mobile e autostrade). I fattori che sostengono tale dinamica sono principalmente:
  esigenza di risanare il bilancio dello Stato e degli Enti locali;
  necessità di migliorare i bassi livelli di efficacia e di qualità del servizio che risultano inaccettabili per cittadini ed imprese;
  l’apertura dei mercati alla concorrenza e la pressione competitiva di nuovi operatori anche internazionali.

2. Il settore dei “servizi a rete” italiano è caratterizzato da un livello differenziato di concorrenza, coerentemente con il diverso grado di apertura del mercato di ogni settore. La struttura organizzativa del settore energetico in Italia è stata profondamente modificata alla fine degli anni ’90 grazie all’avvio del processo di liberalizzazione al quale si è affiancata la privatizzazione di ENEL e la definizione di un nuovo quadro regolatorio. Con il decreto di liberalizzazione (d.lgs. 79/99) sono state aperte alla concorrenza le attività di generazione, importazione ed esportazione, acquisto e vendita. L’iniziale suddivisione della domanda in clienti vincolati ed idonei si va gradualmente modificando a favore dei clienti idonei, grazie alla progressiva apertura del mercato libero. Da luglio 2004 tutti i clienti industriali possono scegliere il proprio fornitore. A partire dal 2007, tutti i clienti potranno approvvigionarsi liberamente sul mercato. Per quanto riguarda la struttura del mercato, nel 2003 ENEL ha confermato il suo ruolo dominante (46,4%) nel segmento della generazione; (72%) nelle vendite al mercato vincolato. Il mercato del gas è stato liberalizzato nel 2000. Il decreto di liberalizzazione (d.lgs 164/2000) ha introdotto limiti antimonopolistici nella vendita e fornitura del gas ed ha stabilito la separazione societaria tra le diverse attività. Dal gennaio 2003, la domanda è stata totalmente liberalizzata. Per quanto riguarda la struttura del mercato, nel 2003 ENI detiene ancora una quota del 38,5%. L’Allegato 4, tratto dal Rapporto della Commissione europea sullo stato della liberalizzazione del settore elettrico e del gas nell’Unione Europea, mostra il significativo progresso compiuto dal nostro Paese nella definizione di un quadro regolatorio coerente con i principi comunitari. Il settore autostradale ha registrato, nel corso dell’ultimo decennio, un notevole cambiamento tanto sul piano degli assetti proprietari quanto su quello della struttura della regolazione. È stata effettuata la privatizzazione della Società Autostrade che, direttamente e tramite le sue controllate, ha in concessione circa la metà della rete autostradale italiana. Tuttavia, per consentire l’ammortamento degli investimenti sostenuti, il rinnovo della concessione è stato effettuato fino al 2038. Nella consapevolezza del sempre più stretto rapporto tra crescita della domanda di trasporto e rilancio dei livelli di competitività del Pese, numerosi interventi hanno riguardato il settore dei trasporti con l’obiettivo di rimediare alle crescenti carenze strutturali attraverso una strategia di decentramento, privatizzazione e liberalizzazione. Tali interventi sono andati nella direzione di una maggiore efficienza del settore e di riequilibrio modale. Nel trasporto ferroviario di particolare rilevanza è stato il processo di ristrutturazione di Ferrovie S.p.A., avviatosi già da luglio 1998 e improntato ai principi di separazione tra rete e servizi, apertura al mercato e trasparenza contabile e gestionale. Il mercato si sta aprendo di fatto alla concorrenza in seguito al recepimento delle direttive UE (n. 12, 13 e 14 del 2001) riguardanti lo sviluppo delle ferrovie comunitarie, le licenze ferroviarie, i pedaggi, e la certificazioni di sicurezza. L’apertura del mercato dei servizi postali, avviata nel 1999 (decreto legislativo n. 261/1999, che ha recepito la direttiva 97/67/CE), è stata preceduta dalla trasformazione di Poste in Società per azioni, nel febbraio 1998. La disciplina dei rapporti tra Ministero delle Comunicazioni, in qualità di Autorità di regolazione, e Poste S.p.a. è affidata al Contratto di programma, che, a sua volta, si collega al Piano d’impresa, approvato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Le nuove Linee Guida del CIPE (2003) hanno l’obiettivo di individuare un percorso regolatorio in grado di favorire la liberalizzazione senza provocare contraccolpi negativi sull’universalità del servizio. Nel 2003, tutti gli obiettivi di qualità sono stati raggiunti e Poste spa, per il secondo anno consecutivo, ha chiuso il bilancio con un utile (90,3 milioni di euro). Nel settore dei servizi pubblici locali il processo di modernizzazione si avvia con la trasformazione dell’Azienda municipalizzata in Azienda speciale (legge 142/1990). Nel quinquennio 1998-2003, diverse Aziende diventano Società per azioni. Inoltre le imprese locali di pubblica utilità si caratterizzano sempre più per una effettiva gestione imprenditoriale e per un maggiore dinamismo produttivo rispetto alle imprese nazionali di pubblica utilità. Il miglioramento della produttività si riflette sulla qualità dei servizi e, talvolta, anche sulle tariffe. Dal 2002, sono state adottate importanti modifiche normative7 dirette a liberalizzare il settore secondo i principi di concorrenza dettati a livello comunitario. L’Ente locale può affidare la gestione del servizio alternativamente a: 1) società di capitali selezionate tramite gara ad evidenza pubblica; 2) società miste pubblico - private nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare; 3) società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano (affidamento in house).

3. La liberalizzazione nel settore delle TLC 1. Dalla metà degli anni novanta l’economia mondiale sta attraversando una fase di radicale trasformazione tecnologica. Il motore di questa “rivoluzione” sono le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Nel settore delle telecomunicazioni, i mutamenti tecnologici e l’apertura dei mercati hanno poi determinato un aumento delle pressioni concorrenziali nei confronti dei gestori monopolisti. Gli Stati Uniti sono il primo paese in cui la trasformazione ha preso piede, con effetti rilevanti. Dal 1995 a oggi gli investimenti in ICT - che rappresentano ormai il 30% del totale - hanno determinato una maggior crescita del Prodotto interno lordo di quasi un punto percentuale all’anno. Dalla seconda metà degli anni novanta la produttività americana ha registrato una accelerazione senza precedenti nel dopoguerra: l’aumento della produttività è rimasto elevato anche nelle fasi di crescita più lenta, a denotare un vero e proprio cambiamento nella struttura produttiva. I settori che più hanno beneficiato dell’introduzione delle nuove tecnologie sono quelli dei servizi, come la finanza e la distribuzione, dove la produttività ha accelerato dal 2 a oltre il 5% annuo. In Europa il processo di liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni prende avvio con le Direttive UE (n. 387 e 388 del 1990), che portano in breve tempo, in tutti i paesi europei, all’abbattimento dei monopoli pubblici, all’eliminazione dei diritti riservati e alla progressiva apertura dei mercati a nuovi operatori. Tuttavia rispetto agli Stati Uniti l’Europa appare in ritardo: si investe meno in tecnologie dell’informazione e della comunicazione (il 17% del totale) e queste non hanno ancora pienamente dispiegato i loro effetti positivi sulla produttività, soprattutto dei servizi. Non vi è dubbio, però, che anche l’Europa si stia muovendo. A fine 2003, in Europa, sono stati superati i 22 milioni di utenti dotati di accesso a larga banda, di cui più di 2,5 milioni in Italia. Le aspettative di crescita indicano che il numero degli accessi in banda larga da rete fissa in Europa supererà i 60 milioni nel 2007, riducendo il divario che ancora ci divide dagli Stati Uniti.

2. Nel 10° Rapporto sulla liberalizzazione delle TLC della Commissione europea, dal confronto con gli altri paesi della UE emerge con nettezza che l’Italia ha raggiunto posizioni di primato nella liberalizzazione del settore. Ma vediamo quali sono le tappe principali di questo percorso. In Italia, la liberalizzazione nel campo della telefonia fissa ha avuto formalmente inizio il 1°gennaio 1998, ma il percorso regolamentare che ha portato all’apertura del mercato si colloca all’inizio degli anni ’90. Inizialmente, ha riguardato i servizi a valore aggiunto (comunicazioni a lunga distanza, telefonia mobile) e i prodotti di mercato (i terminali telefonici e i modem per la trasmissione dei dati, per i quali il monopolio legale non era essenziale per garantire una efficiente erogazione del servizio). Successivamente, l’ambito del monopolio naturale si riduce progressivamente alla sola rete locale di accesso (local loop). L’Italia, in questo processo, si è mossa con un certo ritardo, ma ha recuperato dopo il 1996 con il recepimento di tutte le direttive comunitarie del settore. Anche se il quadro di riferimento della liberalizzazione delle telecomunicazioni può ritenersi completato, resta l’esigenza di tradurre le norme in una effettiva realtà di mercato. La piena apertura del mercato alla concorrenza è stata caratterizzata da alcuni passaggi fondamentali: la privatizzazione di Telecom Italia nel 1997, il rilascio delle licenze per il servizio di telefonia mobile, l’apertura completa del segmento della telefonia fissa, l’istituzione di una Autorità indipendente per il settore (telecomunicazioni, televisione e stampa), prevista inizialmente dalla legge 481 del 1995 e resa operativa dalla legge 249 del 1997. In Italia - come è stato evidenziato dall’OCSE8 e dalla Commissione europea9 - il processo di liberalizzazione delle telecomunicazioni ha portato alla nascita di uno dei sistemi più pro-competitivi dell’Unione Europea con un costante avvicinamento alle performance dei Paesi europei più avanzati. Attualmente non vi sono limiti all’accesso al mercato, fatta eccezione per quanto attiene allo spettro di frequenze, che si caratterizzano per essere una risorsa scarsa; la parità di accesso è garantita dalle politiche di interconnessione e numerazione. L’accesso al mercato è basato su l’assegnazione di licenze individuali sia per la telefonia fissa che per quella mobile (per quest’ultimo segmento l’introduzione delle licenze e l’abolizione delle concessioni è avvenuta nel 1997). Tutti gli altri servizi sono soggetti ad autorizzazione. In questo contesto, Telecom Italia ha visto ridurre le proprie quote di mercato a favore di altri operatori ed è stata costretta a sviluppare un’aggressiva strategia di penetrazione sui mercati internazionali (Argentina, Cile, Brasile, Austria, Francia e Spagna). Nel 2003 si è conclusa la prima fase del processo di liberalizzazione, iniziata negli anni ottanta e si è aperta una nuova fase. Il pacchetto delle sei nuove direttive comunitarie è ormai in vigore da alcuni mesi. Mentre gli stati membri stanno provvedendo a completare il recepimento nei loro ordinamenti, in Italia il nuovo quadro regolamentare è divenuto pienamente operante con l’emanazione del “Codice delle comunicazioni elettroniche” (D.Lgs n.259 del settembre 2003)10. Nel 2003, l’approvazione del Codice delle Comunicazioni Elettroniche costituisce l’ultimo passo nel processo di recepimento nell’ordinamento italiano delle direttive europee sulle comunicazioni elettroniche.

3. Un bilancio degli effetti della liberalizzazione è possibile sulla base di parametri oggettivi:
  Il numero degli operatori efficienti presenti attivamente nel mercato;
  Il grado di riduzione della quota di mercato spettante all’operatore dominante e la velocità del processo che conduce questa riduzione;
  L’aumento dell’offerta dei servizi, specie di quelli tecnologicamente più avanzati;
  La riduzione dei prezzi al dettaglio. Se consideriamo questi parametri, emerge che la liberalizzazione delle telecomunicazioni in Europa - pur nella notevole diversità dei contesti e delle esperienze nazionali - ha prodotto effetti positivi. Per quanto concerne in particolare la realtà italiana i risultati positivi del percorso compiuto si possono misurare con riferimento a vari indici significativi: al numero delle imprese attive presenti sul mercato sia della telefonia fissa che mobile, che è ormai tale da sviluppare una concorrenza effettiva; alla molteplicità delle piattaforme di rete per il trasporto di voce e dati che si vanno sviluppando; alla velocità della diffusione dei servizi a banda larga (nel 2003, 2,7 milioni di accessi, con un ritmo di crescita superiore alla media europea); alla diffusione crescente della carrier preselection (3,5 milioni di abbonati, il traguardo più alto in Europa); dell’unbundling del local loop (che ha toccato la soglia di 580 mila clienti); della mobile number portability (che ha interessato 1,6 milioni di abbonati). In questo contesto abbiamo assistito ad una costante discesa dei prezzi che dall’avvio della liberalizzazione ha superato nella telefonia fissa la soglia del 30%, tuttavia se si considera l’aumento del canone mensile le riduzioni del capitolo “comunicazioni” si ridimensionano al 10% (rilevazioni ISTAT dei prezzi al consumo). Per quanto riguarda l’andamento dei prezzi nella telefonia fissa, una valutazione è resa più difficile dalla sempre maggiore diversificazione delle tariffe, che spesso includono il servizio voce nelle offerte integrate con l’accesso ad Internet veloce e/o a servizi a valore aggiunto.

4. Come si evidenzia nel Rapporto sulle Riforme Economiche 2004, la struttura del mercato delle telecomunicazioni non è cambiata significativamente nell’ultimo anno, benché si sia verificata una lieve riduzione del numero delle fusioni e delle acquisizioni. Il mercato è ora caratterizzato da un piccolo numero di “operatori full-line” che forniscono tutti i tipi di servizi: servizi voce, telefonia mobile, accesso ad Internet a banda larga. Nel 2003 il mercato delle telecomunicazioni ha registrato una crescita del 5 per cento ed è stato caratterizzato dal superamento del segmento mobile rispetto al fisso. Il maggior contributo alla crescita del mercato delle telecomunicazioni (+5,2 per cento nel 2003) è venuto infatti dai segmenti della telefonia mobile (+9,4 per cento) ed Internet (+28 per cento). Di contro, i servizi voce da rete fissa hanno registrato una contrazione dell’1,9 per cento11, causata per la maggior parte dalla diffusione di offerte telefoniche flat-rate oltre che dalla sostituzione con linee mobili e a banda larga. L’effetto della liberalizzazione nel settore dei servizi di rete fissa è evidenziato dal crescente uso dei servizi in preselezione (circa 3,7 milioni di abbonamenti) e dalla diffusione di linee disaggregate (697.000 linee attivate a giugno 2004 rispetto alle 309.000 nello stesso mese del 2003). Rispetto all’anno precedente, nel 2003 la quota di mercato di Telecom nel segmento del traffico voce è leggermente diminuita, dal 68,5 al 68 per cento. Ciò è stato determinato dalla perdita di quote nella direttrice locale (-4 per cento)12 compensata in parte da aumenti negli altri segmenti (lunga distanza, internazionale e fisso-mobile; cfr. Allegato 5). Nel 2003 il mercato dei servizi di rete mobile ha raggiunto il valore di 16,7 miliardi di euro, confermando il suo ruolo centrale per la crescita del settore. L’incremento dei ricavi ha riguardato sia le chiamate vocali, sia la trasmissione dati. Mentre per le chiamate vocali la tendenza è confermata dal numero di SIM attivate - cresciute del 7,3 per cento rispetto al 2002 fino a raggiungere il valore di circa 57 milioni alla fine del 2003 - per la trasmissione dati si fa riferimento all’incremento dei servizi offerti via SMS (i cui utilizzatori hanno raggiunto i 33,5 milioni nel 2003) e dalla diffusione degli MMS. Gli utilizzatori della tecnologia UMTS, che a giugno 2004 erano più di 900.000, dovrebbero raggiungere i 2 milioni entro la fine dell’anno. La struttura competitiva del mercato, dal lato dell’offerta, sembra essersi stabilizzata su quattro operatori. La diffusione della portabilità del numero mobile, richiesta a giugno 2004 da 2,5 milioni di utenti, ha introdotto un certo dinamismo nel mercato dal lato della domanda. Nel 2003 la quota di mercato di TIM per la prima volta è scesa al di sotto del 50 per cento in termini di ricavi ed è passata dal 47,4 al 46 per cento in termini di linee attive. A giugno 2004 il numero totale di connessioni a banda larga (compresa la banda larga mobile con tecnologia 3G) erano circa 4,4 milioni. La DSL rimane comunque la tecnologia di accesso più comune ad Internet, con 3,2 milioni di linee. Il mercato dei servizi delle telecomunicazioni ha continuato a crescere beneficiando della diffusione di servizi innovativi, come l’UMTS - la cui diffusione colloca l’Italia in una posizione leader in Europa - ed i servizi Wireless (wi-fi). L’offerta di “hot spot” è cresciuta rapidamente con 800 punti di connessione attivi in Italia nell’ultimo anno. In Italia, la diffusione della comunicazione a banda larga è stata favorita da alcune misure governative che hanno contribuito ad aumentarne l’accesso. A luglio 2004 il numero di linee a banda larga ammontava a 4,4 milioni (cfr. Tab.21). Nel 2003 la crescita del mercato italiano è risultata la più forte nell’ambito dell’UE, rappresentando attualmente il 12,7 per cento dell’intero mercato europeo, in termini di linee.

5. Il 10° Rapporto sulla liberalizzazione delle TLC della Commissione UE contiene un giudizio positivo sulla situazione italiana. Risulta crescente la quota di mercato dei nuovi operatori, in particolare nel radiomobile e nei servizi a banda larga. In effetti, le attività di vendita all’ingrosso di servizi di telecomunicazione ai nuovi operatori da parte di Telecom Italia hanno raggiunto livelli di tutto rispetto e crescono a tassi molto elevati: nella telefonia locale, su 100 minuti che raggiungono la rete Telecom, 25 vengono da clienti dei nuovi operatori; nella banda larga, tra il 2003 e il 2004, il numero di linee Dsl fornite ai concorrenti è raddoppiato, raggiungendo quota 1,3 milioni. Nel complesso i dati della Commissione disegnano un mercato italiano delle TLC fortemente competitivo. All’operatore storico si affiancano player significativi: un grande operatore integrato fisso-mobile-internet (Wind), che fattura ormai circa 5 miliardi di euro; il maggiore operatore radiomobile europeo (Vodafone); il più aggressivo nuovo entrante dell’UMTS (Tre); due aziende fortemente focalizzate sull’utenza business (Albacom, Colt); una azienda leader nel campo della banda larga (Fastweb); due operatori particolarmente orientati al low cost, come Tiscali e Tele2. Nel complesso, i concorrenti di Telecom che comprano dalla stessa Telecom servizi di vario tipo sono ormai più di 250. Questa vivace competizione - certamente da attribuire in primo luogo all’operato dell’Autorità per le comunicazioni, che ha saputo promuovere un quadro regolamentare assai favorevole ai nuovi operatori - nei prossimi anni s’intensificherà ulteriormente. A ciò contribuirà anche l’innovazione tecnologica. Lo sviluppo della voice over IP (che consente di telefonare via internet senza necessariamente passare per un personal computer) ridurrà rapidamente i prezzi della telefonia vocale e consentirà lo sviluppo di molte nuove applicazioni. Lo sviluppo del WiFi consentirà di sviluppare terminali che si collegheranno alla rete fissa se si trovano a portata di antenna WiFi, e altrimenti alla rete mobile. In questo quadro di crescente concorrenza, Telecom rimarrà un concorrente temibile per le sue capacità tecnologiche e commerciali. Integrata con Tim essa potrà poi più facilmente offrire servizi integrati fisso-mobile.

Note

* Ministero dell’Economia e delle Finanze. Dipartimento del Tesoro. Direzione I. Ufficio V - Prezzi e Regolamentazione.

1 Secondo la teoria economica (Hotelling), l’intervento dello Stato assicura una più elevata efficienza al sistema economico nel suo insieme quando: a) la produzione è caratterizzata da costi marginali decrescenti; b) trattasi di settori in cui per le dimensioni dell’impresa e per le caratteristiche a “rete” dei servizi forniti si avrebbe la formazione di monopoli; c) si si ha la necessità di supplire le carenze dell’iniziativa privata in settori di attività economica, socialmente rilevanti ma scarsamente remunerativi.

2 Scarsa managerialità e livelli di efficienza interni inferiori a quelli dell’impresa privata.

3 In effetti, anche se l’aumento delle tariffe pubbliche è risultato essere, dal 1984 in poi, in linea con l’inflazione, il prezzo pagato dai consumatori italiani rispetto a quelli dei principali paesi europei è risultato essere, in termini reali, sostanzialmente crescente a causa dell’incremento contenuto della produttività.

4 In materia di controllo dei prezzi, si introducono meccanismi semiautomatici di adeguamento delle tariffe (“price-cap”), in grado di garantire per ciascun servizio una dinamica tariffaria inferiore all’inflazione ma vincolata all’andamento predeterminato della produttività e della qualità.

5 OECD Review of Regulatory Reform in Italy (2001).

6 Il Rapporto sulle Riforme Economiche viene presentato dall’Italia, ogni anno, alla Commissione Europea secondo quanto indicato dal Consiglio europeo di Cardiff del 1998.

7 La riforma è contenuta nella legge 24 Novembre 2003 n. 326, che ha modificato il precedente art.35 della legge 448/01.

8 Review on regulatory reform of Italy (2001).

9 10° Rapporto sulla liberalizzazione delle TLC della Commissione UE (dicembre 2004).

10 Il nuovo quadro normativo poggia su tre perni fondamentali: a) estensione della disciplina comunitaria dal settore delle telecomunicazioni al comparto allargato della comunicazione elettronica, comprensivo delle reti radiotelevisive ed informatiche; b)il progressivo spostamento dei poteri di intervento a sostegno della concorrenza dalla regolazione ex ante al potere di controllo ex post sulle posizioni dominanti;c) attivazione di procedure di raccordo tra le varie Autorità di regolazione nazionali , le Autorità antitrust e la Commissione europea ai fini della determinazione di criteri comuni di intervento nei mercati della comunicazione elettronica.

11 Dovuto all’effetto combinato dell’aumento dei ricavi da canoni di attivazione e abbonamento (+1,2 per cento) e della diminuzione del 3,4 per cento dei ricavi da traffico.

12 Comprese le chiamate per l’accesso ad Internet.