L’Europa stordita in cerca di un nemico

José Luis Fiori

“In termini geografici, l’Europa non ha alcun confine orientale e, di conseguenza, il continente esiste solamente come costruzione intellettuale.......solo, è un concetto mutevole, divisibile e flessibile” E. Hobsbawm, History, pp.233-234

1. Il Trattato Costituzionale, sottoposto a referendum dagli Europei, se anche fosse approvato in tutti i paesi, non sarà mai una vera Costituzione. Questo documento è solo un attento ed esaustivo assemblaggio di quasi tutti i trattati e gli accordi già sottoscritti dagli stati membri dell’Unione Europea negli ultimi decenni. La sezione sui diritti umani è talmente lunga e dettagliata da perdere la sua credibilità pratica, finendo per sembrare solo una dichiarazione di buone intenzioni. La seconda parte, riguardante i poteri e i processi decisionali, sembra più indirizzata verso la costruzione di “impegni condivisi” che con la definizione delle responsabilità, degli obiettivi e di tutti gli strumenti indispensabili alla costruzione politica dell’Europa. Infine, il capitolo più lungo è dedicato ovviamente agli aspetti economici che hanno sempre rappresentato il pilastro fondamentale del progetto di unificazione Europea. In quest’ambito, il trattato ribadisce il diritto alla dislocazione economica (articolo 314), moltiplica le deregolamentazioni (articolo 144), proibisce ogni sorta di politica industriale (articolo 167), annuncia la fine delle barriere doganali esterne alla comunità (articolo 314 e 315) e consacra la lotta per la stabilità dei prezzi e delle valute come il solo obiettivo strategico dell’Unione Europea. La complessità e l’estensione di questo documento, unite alla sua natura ripetitiva, possono spiegare la mancanza d’interesse nei confronti di questo argomento e l’apatia della maggior parte degli Europei, ad eccezione dei tre principali paesi dell’Unione: la Francia, dove i partiti politici, gli intellettuali e l’opinione pubblica sono spaccati in due; la Gran Bretagna, che mantiene il suo tradizionale atteggiamento di resistenza nei confronti del progetto politico di unificazione europea; e la Germania, dove il Trattato Costituzionale è stato supportato da tutti i partiti politici, con l’appoggio della maggior parte degli intellettuali e dell’opinione pubblica, ed è stato approvato a grande maggioranza dal Bundestag, per essere poi ratificato dal Bundesrat il 27 maggio, un giorno prima del plebiscito francese. Noi riteniamo che l’attuale posizione di questi tre paesi, così come le divisioni interne in Francia e Gran Bretagna, non siano casuali. Al contrario, le ragioni vanno ricercate nella loro storia passata e nel loro futuro geopolitico e geoeconomico nella nuova Europa. Per trovare un interessante punto di partenza si può analizzare in maniera più dettagliata i dibattiti che stanno avendo luogo attualmente tra gli intellettuali ed i politici francesi. Ad esempio, prendiamo Laurent Fabius - ex primo ministro francese socialista - che oggi è schierato dalla parte di coloro che sono per il rifiuto del Trattato Costituzionale, che reputano eccessivamente liberale e “dominato dalla finanza”. Le loro argomentazioni sono in genere ben fondate, ma ciò che molto spesso stupisce è che un gran numero di coloro i quali ora si oppongono all’approvazione del nuovo Trattato Costituzionale hanno avuto un ruolo attivo e decisivo nell’elaborazione e nell’approvazione delle sezioni giuridiche che ora sono parte del Trattato stesso. Quest’ultimo non contiene alcuna novità di rilievo dal punto di vista dei suoi concetti economici fondamentali perciò, se il nuovo Trattato Costituzionale europeo rappresenta una vittoria liberale per gli Anglo-sassoni, va detto che questa vittoria non è recente, così come non lo è la creazione di un “nuovo compendio giuridico”. La vittoria del pensiero economico liberale è cominciata tre decenni fa ed è da molto tempo che questo è diventato il pensiero dominante di tutti i partiti socialisti e socialdemocratici d’Europa, compresi il partito ed il gabinetto di Mr. Laurent Fabius. Per esempio, pochi di questi partiti hanno proclamato la loro opposizione ai due pilastri della nuova ordine liberal-finanziario europeo: il Trattato di Maastricht nel 1992 e, nel 1998, la Banca Centrale Europea che ha preparato il terreno all’Euro - un fenomeno del tutto originale nella storia degli stati e delle moderne valute. Keynes disse una volta che con la nascita degli stati nazionali tutte le valute diventavano di responsabilità dello Stato o di ogni altro potere centrale equivalente. Esattamente il contrario di ciò che è accaduto con la creazione della Banca Centrale Europea e dell’Euro, entrambi nati prima dell’unico Stato in grado di garantire loro una legittimità istituzionale ed un vero potere. È strano, per dirne una, che alcuni di quelli che hanno supportato Maastricht, la BCE e l’Euro come valuta di mercato - in opposizione alle valute statali - vanno ora promuovendo una strategia economica “social-keynesiana” per l’Unione Europea, che non tenga conto del fatto che una banca centrale attiva, come la Fed statunitense, presuppone a priori l’esistenza di un potere statale con obiettivi e priorità ben chiari. Questo è l’enigma centrale e la vera impasse che da tempo sta immobilizzando l’Europa: la sua incapacità o impossibilità di avere solo un “Principe” o un potere in grado di definire le priorità ed imporle a tutti i membri dell’Unione Europea. Ovviamente non è un problema di semplice soluzione, perché ha radici secolari e perché comporterebbe una vera rivoluzione nella storia del continente che ha inventato o creato gli stati nazionali, il capitalismo ed il sistema mondiale, attraverso le sue nazioni e le sue guerre; e che ora si vuole trasformare, attraverso questo nuovo Trattato Costituzionale, in una pacifica comunità senza nazioni. Ricapitolando brevemente un po’ di storia, il progetto dell’unificazione europea, nonostante fosse piuttosto vecchio, ha potuto essere intrapreso solamente in seguito alle conseguenze della seconda guerra mondiale ed è riuscito a mantenere la sua identità ed unità per quattro decenni grazie alla guerra fredda. In un primo momento, subito dopo la guerra, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Lussemburgo ed Olanda si unirono per creare, nel 1948, l’Unione Europea Occidentale (Western European Union, WEU) di difesa collettiva, contro la Germania. Subito dopo il 1950 queste nazioni abbandonarono il loro atteggiamento vendicativo e trasferirono agli Stati Uniti ed alla NATO il compito di “domare” la Germania. Per tale ragione, nel 1955 i Tedeschi furono ammessi nella NATO ed immediatamente convertiti in un “protettorato militare” degli Stati Uniti. Grazie a questa “divisione delle funzioni”, la Germania Federale poté firmare il Trattato di Roma nel 1957 ed essere integrata nel progetto di costruzione della Comunità Economica Europea. Tuttavia, nonostante queste numerose concessioni incrociate e a dispetto delle speranze create dai primi importanti accordi firmati dalle potenze ex belligeranti, già nel 1954 il Generale De Gaulle delineava un dubbio cruciale riguardo la possibilità di successo di questo progetto sopra-nazionale, dichiarando in una conferenza stampa che “per come la vedeva lui, l’Europa era formata da nazioni indistruttibili” (Le Monde, 11 maggio 2005) e di conseguenza ciò che lui proponeva era la creazione di un’ “Europa degli Stati”, un’ “Europa Europea”, come era solito dire, che fosse differente dall’ “Europa Americana” della NATO e dalla semplice “Europa dei Mercanti” di cui avrebbe parlato in seguito François Mitterand. Questa posizione gaullista rimase nascosta per molti anni grazie alla guerra fredda, che riuscì a tenere l’Unione Europea unita sotto l’egida militare della NATO e degli Stati Uniti. Ma tutto questo cambiò radicalmente il 3 ottobre 1990. Il presidente Vladimir Putin ha dichiarato recentemente che “il più grande disastro geopolitico del 20° secolo è stato lo smantellamento dell’Unione Sovietica” e verosimilmente ha ragione. Tuttavia, da questo punto di vista si può anche dire che il più grande successo geopolitico della seconda metà del ventesimo secolo è stata la riunificazione tedesca. Probabilmente per questo motivo, Margaret Thatcher disse schiettamente al presidente François Mitterand, durante una cena all’Eliseo poco dopo la riunificazione, che “ora la Germania è anche più pericolosa. È già pronta a ricostruire il suo impero. I nazisti sono ora all’interno della Comunità e tu sei tra i responsabili di questa riunificazione” (citato da Le Monde, 13 maggio 2005, pg.12). Anche se questo non è vero, il fatto è che la riunificazione della Germania ha rappresentato una trasformazione qualitativa all’interno del processo di unificazione europea. Non solo perché improvvisamente la Germania è diventata la maggiore forza demografica ed economica dell’Unione, ma anche perché ha cominciato a condurre una politica estera più autonoma, una politica incentrata maggiormente sui suoi nuovi interessi nazionali. Infatti, dopo la sua espansione economico-finanziaria verso i paesi dell’Europa Centrale e la Russia durante gli anni novanta, la Germania è riapparsa ancora più forte, come un centro di potere con possibilità reali di dominare l’economia del continente europeo. Scröder, Fischer e gli intellettuali tedeschi conoscono la storia e sanno che l’unificazione definitiva degli Stati Uniti è avvenuta solamente dopo la Guerra Civile, negli anni ’60 del 1800. Allo stesso modo, la Prussia dovette intraprendere tre guerre, contro la Danimarca nel 1864, contro l’Austria nel 1866 e contro la Francia nel 1871, per far sì che l’unione economica “Zollverein” divenisse una nuova entità politica sovrana, la Germania del 1871. Tuttavia, questa strada è poibita ai tedeschi, dopo le due guerre mondiali del ventesimo secolo. Per questa ragione, la loro strategia attuale è differente: fare affidamento sulle forze del loro capitale e sulla loro capacità di dominare economicamente l’UE e forse persino la Russia. Questo spiega il cambio di atteggiamento di Joschka Fischer, sostenitore nel 2000 e 2004, ora più federalista e sociale, ed il totale supporto dei tedeschi alle idee economiche liberali ed “Anglo-sassoni” del nuovo Trattato Costituzionale. In questo modo, ciò che sta avvenendo è esattamente quello che Friedrich List, il padre del nazionalismo economico tedesco, aveva predetto nel 1841: che quando l’economia tedesca fosse arrivata ad un livello uguale a quella britannica, avrebbe anche abbracciato le idee e le politiche predicate da Adam Smith per poi disseminare liberalismo economico nelle periferie mondiali. E questo è esattamente ciò che sta accadendo alla più grande forza esportatrice mondiale, ma è evidente che questo progetto è inaccettabile per i Francesi e gli Inglesi. E a tale proposito è bene ricordare ciò che François Mitterand disse a Mrs. Thatcher in un incontro del Consigli Europeo a Strasburgo, l’8 ottobre 1989, quando fu stabilito il supporto della Comunità Europea alla riunificazione tedesca: “in tempi di grave pericolo, Mrs. Thatcher, la Francia e la Gran Bretagna arrivano sempre ad un riavvicinamento” (idem). Forse questo è ancora una volta il caso, ma c’è ancora il dubbio sul fatto che si debba dare la colpa del presente stato di confusione in Europa a questa vecchia disputa. Una disputa che richiederà molti anni per essere superata, se mai lo sarà, a meno di un imprevisto accidente storico al di fuori del controllo dei governi europei.

2. È stato prima il turno della Francia e successivamente dell’Olanda di dire no alla nuova Costituzione Europea. Ora, l’Inghilterra dice no al nuovo Bilancio Europeo, proposto da Bruxelles il 17 giugno per creare risorse in aiuto dei 10 nuovi stati membri che nel 2004 sono entrati a far parte dell’Unione Europea (UE). Il risultato di tutto questo è che, al momento attuale, l’Europa non ha né una Costituzione né un bilancio. Nel giro di poche settimane, il progetto di espansione dell’UE è andato in pezzi e, per dirla con le parole del suo presidente Jean-Claude Juncker, “l’Europa è entrata in una crisi profonda”, forse la più grave crisi della sua storia. Solo un cieco può non accorgersi del fatto che l’origine di questa crisi risiede in una radicale divergenza di idee tra i governi degli stati membri e gli attori sociali. Comunque, in un modo tortuoso e quasi con grande imbarazzo, l’idea che la Turchia pagherà il prezzo di questa crisi si sta diffondendo a poco a poco attraverso il Vecchio Continente. Il problema più generale è cominciato con l’espansione della comunità verso l’Europa Centrale ed ora si concentra sulla prossima annessione dei paesi balcanici tuttavia, durante tutto questo percorso, la Turchia ha sempre finito per far la parte del capro espiatorio. In Germania ed in Francia, Angela Merkel e Nicholas Sarkozy - probabili successori rispettivamente di Gerhard Schröder e Jacques Chirac - hanno già proposto la creazione di uno statuto speciale per la Turchia, che diverrebbe un “partner speciale” dell’UE, senza gli stessi diritti e poteri degli altri stati membri della comunità. Nell’ultimo incontro del Consiglio dei Ministri dell’Economia e delle Finanze dell’UE, i 25 ministri hanno preso la decisione simbolica di escludere la Turchia dalla mappa d’Europa alla base della nuova valuta (l’Euro dei 25), che comincerà a circolare all’inizio del 2006. Sembrano tutti temere l’ingresso di un nuovo paese, un paese con 80 milioni di abitanti, che potrebbe, agendo da solo, incidere su tutte le decisioni democratiche dell’UE. I lavoratori hanno soprattutto paura del fatto che l’immigrazione dalla Turchia possa influenzare i loro impieghi, i loro salari e la loro protezione sociale. Tuttavia, dietro queste preoccupazioni politiche ed economiche, si nasconde una domanda più complessa e senza risposta: che ne sarà dell’Europa? Chi sono gli europei e qual è la loro vera identità? E, in aggiunta, dove sono i reali confini fisici, culturali e strategici dell’Europa? Ad ovest, sono tutti d’accordo nell’affermare che il territorio europeo inizia a Cabo de Roca, il punto più occidentale della penisola iberica, dove “termina la terra e comincia il mare”, come ebbe a dire una volta il poeta portoghese Camões. Tuttavia, nessuno sa fin dove si estenda l’Europa ad oriente e non è mai stato possibile stabilirne con precisione il confine, che è sempre stato instabile ed è cambiato attraverso i secoli, seguendo gli esiti altalenanti delle guerre e le invasioni “barbariche”. Lo storico francese Fernand Braudel disse una volta che “a conti fatti, i Musulmani hanno convertito gli Europei alla Cristianità” e che le guerre tra Cristiani e Musulmani hanno definito de facto i confini mediterranei dell’Europa. Probabilmente il cardinale Joseph Ratzinger stava pensando a quel lungo conflitto ed alla necessità di ricostruire l’identità cristiana dell’Europa, quando ha proposto, prima di essere scelto come nuovo papa, che la Turchia fosse esclusa dall’UE. Tuttavia, sia Braudel che Ratzinger non raccontano tutta la storia. Essi infatti non dicono chiaramente chi intraprese l’iniziativa in quelle guerre ne’ si preoccupano più di tanto di analizzare le conseguenze all’interno del mondo musulmano. La storia ha origini molto tempo addietro ed è iniziata quando Costantino, l’imperatore romano, si convertì al cristianesimo e, per la prima volta, fece uso di simboli e motti cristiani per mobilitare i suoi soldati nella battaglia di Ponte Milvio contro i “pagani” dell’Asia Minore, nel 312 DC, ovvero molto tempo prima della nascita di Maometto e dell’inizio dell’espansione territoriale dell’Islam, avvenuta nell’ottavo secolo. È stato in questo preciso momento che ha avuto inizio in Europa la grande confusione tra potere, impero e religione: quando Costantino scoprì l’importanza del potere e delle armi per conquistare nuove terre e nuovi schiavi mentre i cristiani scoprirono l’importanza del potere e delle armi per conquistare nuove anime ed i pagani. In seguito, durante le Crociate, furono i cristiani “europei” a prendere l’iniziativa in guerra. La prima Crociata fu organizzata nel 1095 da un’alleanza tra il papa Urbano II e l’imperatore bizantino Alessio II. I suoi obiettivi erano conquistare Gerusalemme e sottrarre all’imperatore turco Seljuk l’Asia Minore. Gli storici sono ora concordi nell’affermare che furono quest’alleanza e l’attacco “cristiano-bizantino” a risvegliare il fanatismo e a spingere la fede dei musulmani a far causa comune con l’imperatore turco. Molti secoli più tardi, dopo che i Turchi conquistarono Costantinopoli nel 1453, la stessa “guerra santa” ricomparve nei Balcani, in Europa Centrale ed attraverso tutto il Mediterraneo, questa volta tra i cristiani dell’impero asburgico ed i musulmani dell’impero turco ottomano. Tuttavia, questo secondo capitolo della storia venne oscurato dall’espansione europea in Asia ed America e dal graduale declino dell’impero turco, fino a quando quest’ultimo venne definitivamente espulso dall’Europa e dai Balcani, nella seconda metà del XIX° secolo. In breve, al contrario di quanto ha affermato Braudel, i cristiani ed i musulmani si sono convertiti l’un l’altro al fanatismo ed alla guerra e, nel corso di molti secoli, ciascuno ha trasformato l’altro in una sorta di “nemico necessario”, affinché lo aiutasse a propagare la propria identità “imperiale” e ad espandere i propri territori e commercio. Tuttavia, il cardinale Ratzinger si sbaglia completamente se crede che questo possa accadere di nuovo all’inizio del 21° secolo, dal momento che non c’è alcuna possibilità che il mondo islamico o la Turchia possano aiutare a ricostruire l’unità e l’identità degli europei. La religione musulmana sta crescendo molto più velocemente delle chiese cristiane ed al momento il “terrorismo islamico” è ciò che preoccupa di più l’”occidente”, ma nessuno dei due ha lo sviluppo territoriale o il potere militare ed economico che sono indispensabili per minacciare l’Europa e restituirle il “senso di potere” che essa ha perso dopo la fine dei suoi imperi nella seconda metà del ventesimo secolo. Per questo motivo, molti conservatori europei si stanno rivolgendo ancora una volta alla Russia, dal momento che, in vari momenti del 19° secolo e per tutto il 20° secolo, è stata proprio la Russia, ed in seguito l’Unione Sovietica, a svolgere il ruolo di “nemico necessario” dell’Europa. Tuttavia, la Russia è al momento un “nano economico”, incapace di usare in maniera efficiente l’enorme capacità militare installata al suo interno, senza l’aiuto degli europei stessi. Infine, i tecnocrati di Bruxelles stanno sempre più insistendo che i veri concorrenti dell’Europa sono in Asia e che la Cina sarà il “nemico necessario” del futuro. Su quest’ultimo argomento, molti leaders europei mantengono una posizione più cauta. Essi sanno che le “Indie” hanno già svolto questo ruolo nei 500 anni di saccheggio economico e dominio coloniale della regione da parte degli europei. In tutta questa discussione, nessuno ha ancora riconosciuto che il confine orientale dell’Europa è stato già definito, e non dagli europei stessi. Inizialmente, esso era stato stabilito alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando gli Stati Uniti intervennero in Grecia e Turchia, per poi finire con l’includere questi due paesi nella struttura strategica della NATO. Sono stati di nuovo gli Stati Uniti, dopo la fine della guerra fredda, a decidere di includere i paesi dell’”Europa Centrale” nella NATO, anche contro il parere dei leaders politici dell’UE. Sono i nordamericani che continuano a spingere sempre più ad est il confine, come nel caso dell’Ucraina e della Bielorussia. In questo contesto, i gaullisti francesi hanno ragione quando dicono che il vero “nemico necessario” dell’Europa sono gli Stati Uniti. Il problema è che l’Europa è stata sotto la “protezione” nucleare dei nordamericani per più di un secolo. Inoltre, sono stati gli europei stessi a porre gli Stati Uniti in questa posizione egemonica nel proprio continente. Tutto ciò sembra indicare che all’Europa non resta che seguire il percorso di tutte le potenze vittoriose, che hanno finito col perdere la propria “energia” politica per poi stabilirsi su un comodo plateau di autocompiacimento e lenta crescita. Come è stato nel caso, ad esempio, dell’Olanda, dopo la sua “gloriosa invasione” dell’Inghilterra nel 1688 ed il governo di Guglielmo d’Orange, che si fece promotore della “fusione” economica e politica dei due paesi. Per l’Europa, l’ovvia alternativa sarebbe una “fusione” con gli Stati Uniti, ovvero con gli eredi del suo precedente potere imperiale. Questo è il percorso che è già stato intrapreso dall’Inghilterra e che quest’ultima sta a sua volta proponendo agli altri stati membri dell’Unione Europea. Se questo dovesse accadere, probabilmente non sarebbe impossibile organizzare una qualche compensazione per gli “idiosincratici” francesi. Tuttavia, sarà difficile affrontare la perdita di potere ed il desiderio di espansione della Germania, un vecchio problema che rimane insolubile.

Note

* Professore all’Università di S. Paulo (Brasile).