Onore, merito e sentimenti veri per Sylos Labini

VITTORANGELO ORATI

La morte di Paolo Sylos Labini mi ha suscitato un sentimento che travalica il dispiacere per la scomparsa di uno dei rari economisti italiani di statura e fama internazionali.1 E la nostra recente frequentazione ha poco a che fare con ciò che intendo rappresentare, se non acuendo la mestizia del luttuoso evento. La peculiare tristezza di cui intendo parlare attiene alla circostanza per la quale l’uscita di scena di Sylos Labini ha rinforzato in me la convinzione di un epocale allarme storico: l’ulteriore assottigliarsi di un patrimonio intellettuale e perciò etico di cui nel mondo attuale, e in particolare nell’italica “akkademia”, si va perdendo progressivamente lo stampo. Una sorta di “Jurassik Park” di personalità esemplari per non aver mai scisso l’impegno Civile dall’acribia del lavoro scientifico e di ricerca. Dopo avergli portato a lungo il “broncio” a causa della sua pur, infine, ammessa compromissione con il sempre più invalso “metodo” di selezione dei docenti universitari - alla luce di quanto ciò ha prodotto sulla assoluta mediocrità del “panorama” attuale, Sylos Labini era certamente pentito della “logica” dei falsi concorsi2 - avevo finito per perdonargli questo neo in ragione della sua adamantina e sostanzialmente isolata pubblica lotta nel fustigare e sollecitare al meglio la “meno” (?) inattendibile classe politica italiana di “sinistra” la cui insipienza e moralmente discutibilissima “filosofia strategica” si è resa colpevole di quel mostruoso aborto storico che è il “berlusconismo” di cui “Il Cavaliere” è solo quintessenza e tragicomico resumé ed emblema. Accanto a ciò, e come si è accennato, in stretta correlazione, a questo engagement (impegno politico-civile) che può dirsi sartriano, in quanto radicale per intensità anche se certamente non negli obiettivi di mutamento sociale, ha fatto riscontro un’ininterrotta contrapposizione alla deriva cui sul piano scientifico si è progressivamente e fatalmente lasciata andare la “scienza triste”, cioè l’Economia Politica annichilitasi nelle vesti di economics, in quanto alla continua ricerca, perché orfana, del “collega fittizio” una volta deprivatasi epistemologicamente (per “scelta di campo” disciplinare) dal compito scientifico di esprimere giudizi sui fini, perimetrandoli ai soli mezzi adeguati “razionalmente” per raggiungerli, da “altri” post e definiti. Con tutto ciò credendo di tirarsi fuori “neutralmente” da “giudizi di valore” (afilosoficamente, come la VERA scienza!), mostrando invero una crassa ignoranza filosofica, nel caso di specie quella riguardante il “Paradosso del mentitore” che ineluttabilmente segnala come “una scelta di campo”, ancorché epistemologica, resta appunto una scelta perciò logicamente implicante un “giudizio di valore”. Dunque dinanzi alla crescente irrilevanza dei temi e/o dei problemi e in ogni caso dei contenuti cui è condannata l’economics, Sylos Labini non ha mai cessato di interrogarsi e riccamente produrre sui grandi ed irrisolti problemi riguardanti lo “sviluppo capitalistico” ed il suo tragico portato il “sottosviluppo” con i connessi aspetti riguardanti le forze dinamiche della “crescita” e del “declino industriale” e del ruolo ivi giocato da “le classi sociali”3. In questa prolifica e tenace ricerca il Nostro ha creativamente fuso due eredità intellettuali apparentemente inconciliabili: quella di Adam Smith e quella di J.A., Schumpeter che del primo non può certo dirsi essere stato un grande ammiratore. Di entrambi Sylos Labini ha indubbiamente subito la fascinazione per i temi legati allo sviluppo del capitalismo e del ruolo ivi giocato dalle tecniche produttive e dalle relative innovazioni tecnologiche. Mutuando da Smith la tensione etica della Teoria dei sentimenti morali (1759) che si ritiene (“Adam Smith Problem”)4 assente e contraddetta nel testo che si reputa abbia marcato la nascita della scienza economica, la posteriore Ricchezza delle nazioni (1776). Respingendo nei fatti e nella vita pubblica l’opportunismo politico e accademico dell’economista di Triesch. Il quale, pur di non compromettere gli equilibri imposti dal ricoprire la sua prestigiosa cattedra nella Cambridge statunitense, non ha mai portato all’evidenza necessaria la sua più totale avversione alle tesi del Keynes della General Theory e quindi all’intiero impianto teorico-concettuale (il paradigma keynesiano) della macroeconomia. Facendo altrettanto a proposito della abissale differenza della sua teoria dinamica con l’approccio implicito nella funzione aggregata di produzione Cobb_Douglas che si andava imponendo negli ambienti scientifici nord-americani che lo circondavano. Così come ha sempre sorvolato sulla sua più totale distanza dalla “scuola austriaca”. Che pur attraverso l’emigrazione forzata in USA andava delineando quella “linea Maginot” dell’approccio Neoclassico che avrebbe poi dato i sui frutti con la perniciosa rivincita contro il keynesismo della “scuola di Chicago”. Per non parlare poi della soffocata, quanto bastava, simpatia per Hitler e il nazismo da più testimoni riferita e in meno conosciuti scritti inequivocabilmente riscontrabile.5 Di Smith e Schumpeter poi Sylos Labini non ha accettato, rispettivamente, la mistica sottesa alle “meraviglie” della “mano invisibile” e il conservatore e passatista romanticismo antimodernista che caratterizza nel sottofondo l’opera del “papalino” economista moravo. In questo può dirsi che l’appena scomparso studioso italiano è stato “keynesiano”: almeno nel senso del “volontarismo” (“interventismo”) in economia sotteso al paradigma della “domanda effettiva”, in quanto opposto al “naturalismo” (non interventismo, laissez-faire) propugnato, seppur per motivi non coincidenti, dai due giganti sui mentori.6 Mai infatti Sylos Labini ha ripudiato la stagione della “Programmazione” in Italia e meno che mai il suo impegno meridionalista (sia detto per inciso, discendeva da Giustino Fortunato). Neanche dinanzi al demenziale dilagare nel mondo e in Italia, colpevolmente persino nella sedicente “sinistra”, del ritorno anacronistico, in senso scientificamente forte, della misticheggiante metafisica fede nelle armonie economiche di un mai visto mercato che si autoregola (per chi?). Sinistra senza idee ed anima che pende dalla labbra di insipienti modaioli veri laudatores temporis acti assordanti nel loro monotono coro e intercambiabili con le loro prescrizioni non più ricche teoricamente dei contenuti di liturgiche litanie (“più mercato”, “più concorrenza”, “più flessibilità” per avere “più sviluppo” ed altri “abracadabra” esorcistici similari). Con cui ripagano scranni parlamentari, “consulenze”, quando non presidenze di enti di importanza strategica di cui non (non solo di quelli) capiscono poco o nulla, spodestando quei (invero pochi) competenti con inoppugnabili riconoscimenti internazionali però poco inclini a operazioni di “sottogoverno” (alias truffe legalizzate).7 Dunque un autentico cervello libero quello di Paolo Sylos Labini, senza padroni e flirt con il potere politico senza il quale invano ha meritato la nomina a Senatore a vita, in quanto chi di dovere si è dimostrato poco attento e sensibile a premiare la difesa coerente della Costituzione Italiana sui punti essenziali che la volevano vaccinata da ogni ritorno alla dittatura comunque mascherata dalla violenza “dolce”(?) della tecnologia mediatica8, e più incline a premiare esemplari del personale politico, tra cui veri campioni della malattia italiana di sempre: il trasformismo. È appena il caso di dire che chi scrive non ha mai condiviso le posizioni scientifiche dell’economista cui qui pur s’intende rendere onore: l’onore e il merito che spettano a chi come il Nostro ha praticato più che la tolleranza, la fede nella diversità anche profonda sulle risposte e quindi sulle domande da porre allo “zoccolo duro” dell’Economia Politica: la tradizione classico-marxiana. Sylos Labini era un sincero riformista radicale, credeva insomma che vi potesse essere o si potesse realizzare un “capitalismo accettabile”. Noi non lo crediamo, non per vocazione eversiva che in realtà coinciderebbe, visti i magri raccolti personali, con una vocazione al masochismo, ma per un profondo convincimento, frutto della quotidiana fatica di interpretare quello “zoccolo duro” dell’eredità scientifica condivisa con Sylos Labini per sperare di poterne trarre indicazioni per un futuro profondamente altro dall’attuale, innanzi tutto per i lavoratori e quelli che lavoro non hanno o che lo hanno in forme neoschiavistiche. Nonostante le differenze di merito, Sylos Labini è l’esempio con cui si può e si deve misurare l’impegno, la coerenza, il rigore, la tenacia, l’onestà intellettuale, il convincimento che in linea di principio il mondo può e deve cambiare in meglio. Onesto riformista, certamente migliore interlocutore dei “rentiers” della nostalgia veterocomunista, incapaci di “rifondare” alcunché, al di là del quotidiano maquillage cui si sottopongono per farsi accettare nei salotti televisivi per strappare la benevolenza dei benpensanti da parrocchia”. Circa poi i “comunisti pentiti” è meglio non aggiungere altro al principio che consiglia di preferire i nemici ai traditori! Val la pena dimostrare quanto appena affermato per sfuggire ogni sospetto di sciacallaggio retorico. Nel 1992 Sylos Labini inaugurò su “Il Ponte” un lungo dibattito che intendeva fare il punto con l’eredità scientifica di Marx alla luce della “caduta del comunismo” seguita alla caduta del “muro di Berlino”. Durante un colloqui telefonico con un altro grande economista italiano, il prof. Becattini, fui invitato con gentile insistenza a partecipare alla discussione sulla prestigiosa rivista fiorentina. Fui molto duro con gli argomenti avanzati da Sylos Labini, che ritenni inaspettatamente superficiali e persino codini, per buona parte, nella sua sostanziale presa di distanza dall’autore de Il Capitale lì persino accusato di aver fornicato con la governante. Riferendomi al suo (per me) deludente contributo lo apostrofai chiamandolo “gazzettiere travestito con toga e tocco” prima di sintetizzare i risultati della mia lunga ricerca sull’eredità scientifica del Treviggiano e della sua prolificità una volta depurata questa da cadute “positiviste” e completatala seguendone l’originale impostazione Metodologica. Tenuto debitamente conto del monco lascito marxiano, specie in materia del centrale nodo della tenuta scientifica della “teoria del valore-lavoro”. Ebbene non solo la Direzione de “Il Ponte” di cui Sylos Labini (e Becattini), insieme ad altri, faceva autorevolmente parte pubblicò il mio “pezzo” senza toccare una virgola, ma lo stesso Sylos Labini lasciò intoccato il saggio allorché curò la pubblicazione dell’intiero dibattito in forma di libro per i “tipi” di Laterza.9. E la cosa non finì lì, in quanto da lì a poco fui chiamato a far parte del comitato scientifico della prestigiosa rivista fondata da Piero Calamandrei, Padre Costituente. E anche questo è stato l’uomo Sylos Labini, oltre che lo studioso, anzi! È questa la cifra umana degli studiosi di rango, che stentava a credermi nel sentire che la mia “università” in Italia (minuscolo voluto) mi ha praticamente “ibernato (eufemismo)” nella totale compiacenza dei sui “legali”(?) rappresentanti non da ultimo perché nelle mie lezioni “volo troppo alto” spaventando gli studenti - clienti ormai da corteggiare, per non incentivarne il trasferimento presso la “concorrenza”, e per lo stesso motivo da incentivare con la rinuncia ad ogni fiscalità di autentico merito. Insomma il trionfo della “legge di Gresham: la moneta cattiva scaccia dalla circolazione la moneta buona”! Di qui anche l’adesione convinta di Sylos Labini a condividere, come autorevole membro del relativo International Scientific Board, la missione dello IIAESS volta a ripristinare il vecchio e perciò oggi “rivoluzionario” spirito nonché la prassi della autentica Università, nella quale è proprio la varietà dei più diversi punti di vista (concordia discors) che vi confluiscono elettivamente a sancirne la caratura e il prestigio scientifici. Non meno significativo e indelebile resterà, per me e quanti condividono la mia posizione il vivido ricordo della generosità umana di Sylos Labini pari alla sua generosità intellettuale. L’ultimo toccante episodio si riferisce a quando, dopo appena essere rientrato dall’ultimo ricovero in clinica, aveva accettato di partecipare il 31 marzo e 1 aprile del 2006 al Convegno promosso dallo IIAESS, “Il Ponte”, l’Associazione Industriali di Viterbo e Terni, Cassa di Risparmio di Terni e Narni e dalla Johns Hopkins University. Convegno internazionale dal titolo “Italia, Europa, globalizzazione: libero scambio senza alternative?” pensato come occasione (invero speranza) di suggerire ai prossimi annunciati vincitori delle vicine elezioni politiche qualche misura per arrestare la corsa alla deindustrializzazione ed al declino economico del “Bel Paese” (?) e della vecchia Europa, unica a bersi la favola neoliberista imposta agli altri dagli Stati Uniti che non sono mai stati tanto “keynesiani” come sotto “King George”. Anche il tema dell’intervento era individuato: il rilancio dei “Distretti Industriali” opportunamente rivisti alla luce delle nuove sfide della concorrenza internazionale, materia a cui da qualche anno Sylos Labini non lesinava sforzi intellettuali e le sue sempre più ridotte forze fisiche. Si è deciso di tenere egualmente il Convegno e di dedicarlo alla sua compianta figura.

Note

* IIAESS e New Brunswick University.

1 È solo di poco tempo addietro il fatto che, appena comunicato all’ International Scientific Board dello IIAESS la notizia dell’accettazione a far parte di questo organismo da parte di Paolo Sylos Labini con il suo contemporaneo entusiasistico assenso a tenere la prossima (ottava) Schumpeter Lecture, dopo i rigori dell’inverno alla Johns Hopkins University di Bologna (lo aveva egli stesso annunciato su “Il Sole 24 ore” del 1 settembre 2005 nell’articolo Primo, bloccare il declino) che dal Giappone il prof. Shosuke Takemura mi chiedesse di inviargli il prima possibile il contributo dell’illustre studioso italiano di cui si dichiarava, come molti altri colleghi del Sol Levante, un estimatore tutt’ora attento alla sua prolifica produzione scientifica.

2 Nell’incontro-intervista videoregistrata (che documenta i giudizi del “Professore” riportati, e non, nel presente scritto) concessami da Sylos Labini sul finire di quest’ultima estate presso la sua abitazione romana, egli, con tono di autocritica, ha confessato di aver condiviso il “metodo” della lottizzazione nei concorsi universitari rivelando di averne egli stesso beneficiato grazie alla raccomandazione di Schumpeter “che si era detto a conoscenza dell’andazzo italiano in materia.”

3 La vastissima produzione scientifica di Paolo Sylos Labini è consultabile - tra l’altro - sul sito web dello International Institute of Advanced Economic and Social Studies (www.iiaess.net) cliccando su i membri del relativo International Scientific Board.

4 Quello dell’ “Adam Smith Problem” è un insistente topos che serpeggia nella letteratura relativa al pensiero dell’economista di Kirkaldy. Può così sintetizzarsi: una rottura tra la Teoria dei sentimenti Morali e la Ricchezza delle nazioni, dove nella prima emergerebbe un afflato etico-altruistico sostituito nell’opera successiva (1776) da una sorta di apologia dell’egoismo quale base e fonte di sviluppo economico. Senza entrare nel merito del “problema” è indubbio come nella lettura del magnum opus dell’economista Smith, Sylos Labini abbia trasfuso il pathos etico del professore di morale a Glagow e rappresentante di punta dell’Illuminismo scozzese.

5 Vedi R.Swedeberg, Schumpeter a Biography, Princeton University Press, Princeton New Jersey, 1991, pp. 147-150. Uno scritto rivelatore in tale direzione, di non facile consultazione - peraltro fornitomi dallo stesso Sylos Labini, che lo conservava sin dalla sua giovanile presenza ad Harvard come allievo dei corsi di Schumpeter - è: J.A.Schumpeter, Comment Sauvegarder l’Entreprise Privée, Association Professionnelle des Industiels (Canada), 1946.

6 Sylos Labini nel nostro recente incontro mi ha dato atto della fondatezza di una delle mie tesi più volte esposta e sviluppata, quella per cui la macroeconomia, che depurata dai “veleni” keynesiani resta un patrimonio acquisito della scienza economica “ufficiale”, nasce per l’impossibilità della economics di poter rappresentare con rigore un mondo in equilibrio con almeno due merci. Poiché tale impossibilità analitica (quella di andare oltre la rappresentabilità di un ridicolo mondo monomerce) può dirsi ormai definitoria, resta spiegato il fatto che opportunamente svelenita dalla (inutile) eterodossia keynesiana, l’economia dei “Grandi Aggregati” o macroeconomia sia essenziale allo “statuto scientifico” della contemporanea” scienza (?) economica”.

7 È davvero freudianamente interessante come i più intraprendenti e corifei propugnatori neoliberisti italioti si siano “organizzati come lobby sotto l’egida,invero poco individualista così declinata al singolare: “La Voce.info”;ascoltatone uno è come averli sentiti tutti!

8 Vorremmo sapere da chi nega il “regime” berlusconiano se è pronto a sostenere che è meno violento” e pericoloso. “Storicamente”manganellare un uomo da parte di un fascista e antidemocratico dichiarato o chi fa genocidi mentali di intere generazioni in nome della democrazia imponendo la menzogna più spudorata per decreti di” maggioranze parlamentari” subliminalmente suggerendo che il mondo è dei furbi corrotti e corruttori. E poi non è stato Hitler ad essere eletto da una maggioranza popolare? Quanto si deve aspettare per ripulirci dopo il”socialismo reale” del “capitasmo e della democrazia reali”?

9 P. Sylos Labini, Carlo Marx: è tempo di un bilancio (introduzione di G.Becattini), Laterza Roma-Bari, 1994.