Blues per Sylos Labini

ANDREA MICOCCI

I blues sono una sensazione di perdita e di malinconia derivante da fatti concreti che si propagano al tuo animo senza più mollarti. Se li hai, diceva “Son” House, sono uno stato peculiare e forte. Se non li hai vivi meglio in società. I piccolo-borghesi secondo Sylos Labini, quelli troppo presi dalle cure dei “soldini”, cioè i ricchi ma anche molti poveri, non hanno i blues. Io immagino, pensando a Sylos Labini, quanti saranno dispiaciuti per la sua morte per ragioni pratiche. A me, ed a chiunque ne ammirasse gli scritti, rimangono i blues. Ho conosciuto Paolo Sylos Labini a Cambridge, UK, per il convegno del Cambridge Journal of Economics del Settembre 2003. Il famoso economista, star del congresso, aiutato dalla gentilezza nei miei confronti di Mino Vianello, venne ad ascoltare la mia presentazione “filosofica”. Da allora, e dalle conversazioni che avemmo di fronte ai pasti inglesi, egli mi ricordava come il “filosofo barbuto che sa il greco antico”. Abbiamo parlato più volte vedendoci anche a casa sua, e scambiato scritti e commenti vari. Paolo Sylos Labini rappresentava quella stessa mia classe sociale tipicamente meridionale (Roma, la mia città, è stata una città del meridione fino al dopoguerra, per chi non lo sapesse) cresciuta sui Classici (non gli economisti Classici), distaccata, ironica e radicale. Hegel ne ha ritratto bene il carattere principale nella Logica dell’Enciclopedia: un inglese, da lui citato con approvazione, descriveva i romani moderni divisi tra la gente comune, bigotta, e quelli che sanno leggere e scrivere, “atei fino all’ultimo uomo” (1987, p. 106, nota 1, trad. mia). L’impegno politico di Sylos Labini dunque, io credo, derivava non già da meschine preferenze politiche ma da quel generale esempio di “virtù” che i Classici ci presentano. Pensando a lui mi vengono immediatamente in mente i due grandi nostalgici della virtù romana, Cicerone e Tacito. Il secondo mi sembra più appropriato del primo, visto che Sylos Labini ha studiato nel regno dei barbari, gli USA, istruito da un germano come Schumpeter, e visto che da buon liberale era un laico che non voleva enumerare né definire cosa siano le “virtù”, sociali ed individuali. In una società come la nostra ove “corrumpere et corrumpi saculum vocatur” (Tacito, Germania, 19), la battaglia civile di Sylos Labini contro Berlusconi ed i suoi emuli (D’Alema sopra tutti), è stata, credo, molto più di un tentativo di salvaguardare la Costituzione. Così almeno io credo e spero. È difficile sintetizzare il pensiero di Sylos Labini in poche righe, perché era un pensatore grande ma anche estremamente sottile, ed ogni tentativo lascia con la sensazione di non avergli reso giustizia, tanto più se si intende criticarlo. Per i marxisti, e quelli come me che vengono dalla tradizione marxista ma cercano una interpretazione più radicale dell’ortodossia, Sylos Labini era un amico ed un alleato. Darò tre ragioni, tra le tante possibili, per questa affermazione. In primo luogo, Sylos Labini era uno di quegli economisti che favorivano un ritorno agli economisti Classici (Smith, Mill, Marx per fare gli esempi più noti). Non a caso la sua ultima opera si intitola “Torniamo ai Classici” (2004). In secondo luogo, e conseguentemente, per lui come per gli economisti Classici il lavoro è un fatto centrale del modo di produzione capitalista, così come è centrale cercare nell’analisi economica “le condizioni di riproduzione del sistema” (2004, p. 26). Produzione e lavoro non possono essere disgiunti. L’economia va vista come la storia dello sviluppo economico. In terzo luogo, per Sylos Labini le condizioni dei lavoratori, e dei poveri in genere, erano ciò che determina il giudizio dell’economista. Entro certi limiti un aumento di salario favorisce lo sviluppo. Citava sempre Adam Smith per il quale (Sylos Labini, 2001) ciò che conta è lo sviluppo civile. Paolo Sylos Labini era un fiero oppositore della teoria marginalistica, quella che imprecisamente chiamiamo Neoclassica e che nel suo imbarbarimento neoliberista si è imposta al grande pubblico. L’idea marginalistica è resa elegantemente e semplicemente dall’idea matematica di derivata (vedi Micocci, 2005), appunto il prodotto o costo marginale che servono a definire l’efficienza: ma “una derivata parziale è una derivata parziale e basta” (Sylos Labini, 2004, p. 9). Fedele all’impostazione Classica ed agli insegnamenti di Schumpeter, Sylos Labini aveva un approccio storico all’economia mutuato da Adam Smith, ma in pratica di indole statistica. Le curve statiche Neoclassiche non dicono niente se non sono supportate dalle serie storiche e dai saggi temporali di variazione, attraverso le quali “quelle barriere che ora esistono tra le due discipline, analisi economica e statistica economica, vengono a cadere” (2004, p. 49). Infatti, “il nucleo essenziale [della teoria economica dominante] è costituito dalla teoria dell’equilibrio economico generale, che è refrattaria all’analisi dello sviluppo” (2004, p. 3). Sylos Labini aveva letto e studiato Marx, ma non lo amava se non come economista. La sua opposizione da liberale concerneva essenzialmente quelli che lui chiamava gli aspetti “luciferini” del filosofo di Treviri, cioè la teoria della lotta di classe e della rivoluzione. Su questo punto io di solito capivo, da vecchio anti-leninista, ed in parte approvavo (la lotta di classe può portare solo a rivolgimenti politici violenti, che nulla hanno a che fare con la rivoluzione). Egli però non aveva afferrato in pieno la forza di Marx, per una sua insuperabile sfiducia nella filosofia (che tanto più me lo fa apprezzare come uomo, visto che mi ascoltava al meglio delle sue possibilità). Amava dire per esempio, erroneamente, che Smith aveva una teoria dell’alienazione che Marx aveva rubato. Ciò non è vero: Smith semplicemente diceva che “[...] the common ploughman [...] is less accustomed, indeed, to social intercorse than the mechanic who lives in town [...] His understanding, however, being accustomed to consider a wider variety of objects, is generally superior to that of the other, whose whole attention from morning till night is commonly occupied in performing one or two very simple operations” (Smith, 1999, vol.I, p.231). Mentre Smith descriveva quello che Charlie Chaplin magistralmente declinava in Tempi Moderni, Marx intendeva una vera e propria malattia della società capitalista che nell’unire fisicamente gli uomini li aliena uno dall’altro e li rende vittime ed assieme complici della mercificazione dovuta alla legge del valore. La concentrazione sui problemi dello sviluppo capitalista e sul ruolo del lavoro e delle classi svantaggiate faceva di Sylos Labini un compagno di viaggio di questa rivista. Le analisi del suo ultimo libro (2004) infatti sono simili in molti aspetti a quelle prodotte da Luciano Vasapollo e collaboratori nei loro lavori ed a quelle pubblicate da PROTEO. Vediamone i punti salienti. Conviene partire dal fatto che Sylos Labini non ritiene il mercato un fenomeno economico, come i Neoclassici volgari, ma da bravo liberale, lettore di Marx e dei Classici, ne attribuisce la natura ad una evoluzione di secoli, e la presenza ad una regolazione giuridica (2004, p. 80). Il monopolio/oligopolio, vale a dire la forma di non-mercato oggi dominante, per Sylos Labini può prendere varie forme, e va definita come barriera all’entrata di nuove imprese, e non come fanno i Neoclassici come numero di imprese o dimensione delle imprese (2004, p. 81). Inoltre, Schumpeter aveva in parte ragione: in certe circostanze gli oligopoli possono essere positivi. Ma la privatizzazione non è risultata essere positiva se non in rari casi (2004, vari luoghi). Ai nostri giorni stiamo affrontando, egli ammette, alcune peculiari difficoltà (Sylos Labini, 2004): la flessibilizzazione del lavoro con la conseguente insicurezza e povertà di intere fasce di lavoratori e la connessa diminuzione di domanda a livello macroeconomico, che innesca un circolo vizioso di ulteriore flessibilizzazione e precarizzazione. La globalizzazione sta liberando solo i movimenti di capitali ed omogeneizzando (nella direzione sopra detta di flessibilizzazione e precarizzazione dei lavoratori) i processi di produzione. Gli oligopoli stanno realizzando enormi superprofitti. La produzione dipende dai costi e non dai prezzi (vedi quanto detto sopra per parte della spiegazione), determinando la diffusione del “just in time”, cioè della detta flessibilizzazione dei lavoratori. Vi è poi il problema, trattato esplicitamente e con sdegno da Sylos Labini, della produzione del sottosviluppo a causa delle abitudini predatorie dei ricchi. Infine, egli non manca di rilevare e condannare l’“espansione imperialistica” americana, l’incompatibilità della logica del profitto con i problemi ambientali ed il dramma dei piccoli contadini. So che i lettori di questa rivista riconosceranno i temi sviluppati da Luciano Vasapollo nei suoi tanti libri e cari a PROTEO ed alle ricerche del CESTES, e mi auguro che mediteranno sulla similarità ed amicizia che lega i veri liberali ai veri comunisti, mediata e rappresentata dalla comune venerazione degli economisti Classici e dalla ricerca della libertà. Vorrei chiudere citando una commovente conclusione di Sylos Labini (2004), che è perfetta per l’epitaffio di questo vero liberale, cioè di questo ideale compagno di viaggio di chiunque creda nella libertà e nell’uguaglianza: “gli economisti e altri studiosi di scienze sociali generalmente si astengono dal proporre le loro utopie, anche quando le hanno, perché temono di essere considerati ingenui sognatori: è bene vincere questo timore, naturalmente presentando le idee dopo una riflessione ancora maggiore di quella consueta” (p. 110). Infatti “l’utopista ha il dovere di essere ambizioso”(p. 111). I blues sono tristezza, ma anche speranza.

Bibliografia

Hegel, G.W.F. (1987), Hegel’s Logic, Oxford University Press, Oxford. Micocci, A. (2005), “La presunta varietà delle idee economiche”, Proteo, no.2, 176-184. Smith, a. (1999), The Wealth of Nations, Penguin Books, London. Sylos Labini, P. (2004), Torniamo ai classici, Laterza, Torino. Sylos Labini, P. (2001), “Adamo Smith”, Rivista di Storia Economica, 17.

Note

* Prof. Univ. di Malta-Link Camps.