Génération précaire.

LUIGI FLAGIELLO

La transnazionalità del proletariato precarizzato

1. Precarietà e questione francese

Commentando i ‘moti francesi’ delle ultime settimane, Sergio Bologna (2006), in un articolo su ‘Il manifesto’, sostiene che oggi il problema sociale centrale sia quello della precarietà. Condizione esistenziale-lavorativa che comincia ad interessare fasce sempre più estese di lavoratori anche in quei paesi dove erano maggiormente presenti sistemi di protezione sociale e di garanzia a favore della classe lavoratrice. La ristrutturazione capitalistica agisce su scala mondiale e spesso assume le stesse identiche forme all’interno dei vari stati nazionali, soprattutto quando questi sono ‘integrati’ in un ordinamento giuridico-formale quale quello dell’attuale UE1. Si pensi ai ‘modelli sociali’ europei, alle direttive in materia di orario di lavoro e, da ultima, alla ‘traballante’ Bolkestein riguardante il settore dei servizi2. Il capitale europeo, necessitando di forza-lavoro disponibile flessibile a costi competitivi, per poter affrontare la competizione su scala globale, attacca oramai anche frontalmente e senza tentennamenti, il proletariato3, salvo poi arretrare quando costretto dal conflitto sociale (v. gli ultimi ‘consigli’ dispensati da Chirac a Villepin su eventuali ed auspicate modifiche al CPE).

2. Pratiche conflittuali di classe

Con le grandi mobilitazioni degli anni passati, come la poderosa ondata di scioperi del 1995, o la lotta dei sans papiers, le battaglie no-global capeggiate da Bové, fino al recente incendio delle periferie parigine4, la Francia ci ha abituati ad esplosioni conflittuali che pongono al centro del dibattito politico e non solo, questioni cruciali per le pratiche conflittuali di classe. Oggi è la volta del CPE: il contratto di primo impiego che riconosce il potere al datore di lavoro di licenziare anche senza giusta causa, per i primi due anni di lavoro, i giovani fino a 26 anni assunti in imprese che abbiano più di 20 dipendenti. Non solo: sono consentite assunzioni con contratti di formazione di ragazzini di appena 14 anni e la possibilità di impiegare ragazzi di 15 anni anche in turni lavorativi notturni. Il legislatore francese sostiene che questa sia una risposta politica alle esigenze delle banlieue, in verità è un feroce attacco frontale a tutta la giovane e futura classe lavoratrice, non solo per i settori più qualificati ma soprattutto per quelli privi di qualsiasi qualifica. Oggi quasi il 50% dei nuovi assunti in Francia lo è con contratto flessibile. Stesse percentuali sono riscontrabili in Italia, dove il tasso di conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato è del 10% (v. Boeri, Garibaldi, 2006). La protesta dei ‘giovani’ francesi quindi non si fonda su pretese utopistiche o su critiche infondate, ma sui numeri forniti dalle stesse statistiche padronali! 3. Il precarismo

Il precarismo è la categoria centrale della questione umana oggi per un semplice motivo: è su questo fronte che si combatte il conflitto fondamentale tra capitale e lavoro: tra chi pretende di esercitare il proprio comando assoluto sul lavoro vivo e chi deve resistere per la propria sopravvivenza, tra chi vuole comprare al prezzo peggiore la forza-lavoro altrui e chi invece vuole vendere cara la propria ‘pelle’. Ed è un conflitto che interessa sempre più l’intera classe lavoratrice mondiale, pur nelle sue diverse e frammentarie forme. Per noi l’impulso a riprendere un percorso di trasformazione radicale significa proprio ridare senso e sostanza politica al conflitto sociale. Quanto succede in queste settimane in Francia, la lotta contro l’introduzione del famigerato C.P.E., è un esempio lampante di come si possa ancora reagire contro le politiche del capitale, di come possano essere sperimentati nella pratica conflittuale nuovi modi di ri-composizione politica delle classi subalterne, con iniziative classiste dal basso; sottolineando i primi tentativi di unire in lotta le varie frazioni del proletariato francese: dagli studenti agli operai ai ‘periferici’ ragazzi delle banlieue. Questa esperienza dovrebbe servirci da esempio in Italia, dove una legge come la 30/2003 è passata senza alcun tipo di protesta seria e di massa, pur essendo molto più incisiva e destrutturante rispetto al CPE. In un report inviato su Indymedia il 2 aprile, un compagno riporta alcune testimonianze di una studentessa francese che riferisce sull’articolata composizione dell’attuale “movimento anti-CPE”: ne fanno parte i cd. casseur, i banlieuer, gli studenti e i vari sindacati. Le varie realtà militanti si “sono trovate anche in conflitto tra loro perchè i casseur sono una figura che cerca nel simbolismo anche ‘distruttivo’ un modo per affermare posizioni contrastanti; i banlieuer sono più legati alla rivendicazione di diritti... negati nei ghetti dove vivono e che trovano nel momento distruttivo e nel furto la propria rivendicazione del diritto negato. Gli studenti, invece, cercano una sicurezza sociale per il futuro che li vede divenire figure precarie e quindi chiedono certezze. I sindacati invece sono più legati al sistema e quindi rappresentano maggiormente la volontà di trovare, oltre alla propria autoaffermazione e potere, una chiave di riconducibilità del movimento nei normali meccanismi sistemici dello stato quindi di ridiscussione e contrattazione. Ovviamente ciò che li lega è il CPE”.

4. Verso una nuova alternativa

Quando nella città-merce la crisi sociale diventa sintomatica di malattia e deriva disumanizzante (senza più nessun tipo di approdo riformizzante possibile) non si può continuare a ridere dell’assurdo più che grottesco spettacolino di Berlusconia, di questa politica che oggi qualcuno definirebbe dell’avan-spettacolo, ma diventa necessario ri-prospettare dei punti di fuga politicamente forti ed alternativi. È una rottura esistenziale e militante dell’orizzonte capitalistico. Ma tale prospettiva ci chiede di muovere passi da gigante per andare oltre un modo comune di vivere il disorientamento individuale che cresce ogni giorno piangendosi costantemente addosso. Le formidabili giornate di lotta della ‘generazione kleenex’ contro l’introduzione governativa di norme regolative del mercato del lavoro che vorrebbero distruggere una volta per tutte l’antica favola socialdemocratica dello stato assistenziale europeo, se da un lato rompono col modello solidaristico di compromesso sociale di una fase storica precedente, dall’altro danno certamente più forza alle nostre ragioni. Queste mobilitazioni ci fanno aprire gli occhi su uno dei probabili scenari della transizione italiana post-Caimano. Avremo da mettere in campo tutta la capacità propositiva e di determinazione necessaria per un cambiamento di fase. E siamo convinti che non sarà sufficiente l’intervento fin qui praticato quasi esclusivamente dal sindacalismo di base e dall’area dell’associazionismo radicale per ridare slancio alla precedente campagna di ricomposizione sociale sulla parola d’ordine del Reddito Sociale Minimo. La battaglia diventerà finalmente politica e di massa se riuscirà a mettere insieme, su una posizione anticapitalistica e di classe, tutti i soggetti che il comando metropolitano oggi divide per governare meglio. Creare nessi organizzativi tra i diversi ambiti di lotta, ambiente lavoro internazionalismo, per la ricomposizione del Proletariato Metropolitano e la precarizzazione della borghesia. Nella fenomenologia che andiamo raccogliendo e discutendo vediamo delle analogie con i fatti di Parigi ma anche una futurologia differente proprio per la lunga esperienza di rottura e autonomia coi sindacati paleo- e neo-consociativi, tipica dello scenario italiano. Lo zibaldone di alcune lotte ambientalistiche popolari ci insegna molto come anche quella del coordinamento nazionale contro la guerra e per la fine dell’occupazione in Palestina e Iraq. Spingiamo per rafforzare il radicamento e la nostra capacità di direzione nell’area metropolitana attraverso la costituzione dei luoghi e dei nessi organizzativi appropriati: “lotte per il reddito, lavoro o non lavoro, contro precarietà e carovita”. Dobbiamo per così dire diventare altro, superare ciò che siamo stati fin qui per restare veramente noi stessi. Speriamo con grande fiducia che il forum di Roma di metà maggio, organizzato dalla Rete dei comunisti, sia in grado di incominciare a dare le prime risposte all’altezza dei problemi che ci stanno davanti e dei compiti che ci siamo posti. La sinistra di vera alternativa, il sindacalismo di classe non possono rassegnarsi a un ruolo residuale di testimonianza, assolutamente incapace di agire un ruolo significativo sullo stato di cose presenti. Ben venga Maggio e il gonfalon selvaggio!

Bibliografia Boeri, T., Garibaldi, P. (2006), Un percorso verso la stabilità, in www.lavoce.info del 26/03 Bologna, S. (2006), La precarietà è il problema centrale, se l’Italia non lo capisce è finita, in Il manifesto 24 marzo Boutang, Y. M. (2005), La révolte des banlieues ou les habits nus de la République, Paris: Amsterdam Collettivo Internazionalista di Napoli (2005), La proposta di direttiva europea sui “servizi nel mercato interno” (cd. “direttiva Bolkestein”), Napoli [ www.inventati.org/kollintern ] Le Goaziou, V., Mucchielli L. (2006), Quand les banlieues brûlent. Retour sur les émeutes de novembre 2005, Paris: La Découverte

Note

* Ricercatore socio-politico indipendente, collaboratore dell’Osservatorio Meridionale di CESTES-PROTEO.

1 Ma rappresentano esempi calzanti anche le politiche imperialistiche, shock-liberistiche, dettate da FMI, BM...

2 In merito si legga l’interessante lavoro dei compagni del Collettivo Internazionalista di Napoli (2005).

3 Si pensi alla brutalità formale e sostanziale con la quale è stato affrontato l’affaire banlieue. Il ministro Sarkozy, che somiglia non poco ad uno dei tanti ministri leghisti che si sono alternati ai dicasteri della andante legislatura, non ha voluto/saputo fare altro che ridurre il grosso problema dei cittadini di serie B francesi, ad una questione di ordine pubblico. ‘Carogne... vandali... barbari... li schiacceremo’. Questi sono stati i toni di chi, scambiando i ‘propri’ cittadini per colonizzati d’antan, ha tutto l’interesse a stroncare ogni ragionamento serio e profondo che vada oltre l’apparenza. ‘La questione non è sociale ma di ordine pubblico’. Ergo: non c’è un problema di salario, di occupazione, di formazione, di ammortizzatori sociale, bensì soltanto di delinquenza, per di più islamizzante. Il teorema, non dimostrato, è chiuso... la polizia vada a ‘liberare’ i quartieri dai teppistelli-incendia-auto.

4 Sulla quale sono utilissimi i testi di Boutang (2005) e Le Goaziou, Mucchielli (2006).