Poste Italiane: la privatizzazione sconosciuta

MAURO LUONGO

1. Centralità dei servizi a rete

Negli scenari delle trasformazioni economiche e sociali intervenute negli ultimi quindici anni un posto di assoluto rilievo è occupato dai processi di privatizzazione/liberalizzazione dell’apparato infrastrutturale nazionale. In realtà ogni possibile indagine o semplice valutazione delle modificazioni avvenute, dal ruolo dello stato nell’economia all’irrompere della centralità della dimensione finanziaria, svolta senza riferimenti alla “messa a profitto” di questa branca strategica degli assetti produttivi ed economici andrebbe incontro a serie difficoltà. In altri termini l’allargamento della sfera della valorizzazione capitalistica alle cosiddette public utlilities, lungi dal costituire un dato puramente quantitativo, è parte integrante e per taluni aspetti decisivo delle caratteristiche assunte dal capitalismo nazionale negli scenari della competizione globale. Il riferimento alle vicende in corso nei settori delle telecomunicazioni, energia, trasporti, autostrade, ecc. potrebbe da solo chiarire il senso di quanto detto; ponendo altresì in evidenza, pur nella diversità della loro strutturazione, un aspetto comune: la loro organizzazione di servizi a rete. Grandi aziende di servizio che, dopo il cambiamento della loro ragione sociale, assurgono stabilmente ai vertici delle classifiche per redditività con un livello ineguagliabile di pervasività sociale e al cui interno, vedi il settore delle telecomunicazioni, si concentrano alti livelli di innovazione tecnologica. In questo contesto, oggetto sotto molteplici profili di indagini ed analisi, tuttavia sembra scorgersi una scarsa attenzione al processo di privatizzazione della maggiore azienda, dal punto di vista dimensionale, di servizi a rete nazionale: Poste Italiane. Le ragioni di questo scarso interesse possono trovare diverse spiegazioni - la dimensione ancora nazionale del processo privatistico, il retaggio interpretativo delle vicende postali in un ottica puramente politico-amministrativa - eppure una meno superficiale considerazione potrebbe rivelarsi utile ai fini della comprensione di aspetti non secondari dei più generali processi in atto.

2. Le poste ante-privatizzazione

Alcune brevi informazioni dovrebbero aiutare a focalizzare meglio “l’oggetto postale”. In primo luogo, la funzione primaria svolta dall’organizzazione del servizio postale già all’indomani dell’avvenuta unità d’Italia, sia in ragione del ruolo di circolazione delle comunicazioni, ruolo rimasto pressoché inalterato fino alla vigilia della rivoluzione informatica, sia in ragione della funzione, connessa alla sua propria attività, di strumento di coesione sociale e di formazione della stessa identità nazionale. L’importanza nella raccolta e gestione del risparmio del Bancoposta, riferimento privilegiato e spesso esclusivo per operazioni di natura para-bancarie per larghissimi strati di popolazione. Il ruolo centrale, ed anch’esso per lunghi decenni pressoché esclusivo, nel finanziamento delle opere di pubblica utilità assolto attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Il concentrarsi nelle sfere di attività e competenza ministeriale dei servizi di telecomunicazioni. Insomma, alla vigilia degli anni ’90 l’apparato pubblico del settore postale e delle telecomunicazioni si configura come concentrazione di attività ed interessi formidabili, un centro di potere ambitissimo nella ripartizione ministeriale dei governi e luogo in cui la cosiddetta consociazione della prima repubblica ha trovato una delle maggiori espressioni. Il superamento in chiave privatistica di questo concentrato di poteri e funzioni ha il suo punto d’avvio nel ’93 con la cessione da parte dell’Azienda di Stato per i servizi Telefonici, parte del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, alla costituenda Telecom, della rete di telefonia interprovinciale, da essa direttamente gestita e il cui valore, mai esattamente stimato, assommava a non meno di 300mila miliardi di lire. Ciò che a ragione è stata definita “la madre di tutte le privatizzazioni” si origina dall’esproprio di patrimonio pubblico dell’allora amministrazione postale.

3. Alcuni passaggi del processo di privatizzazione delle poste

La premessa formale del processo di privatizzazione delle poste risiede nelle indicazioni comunitarie contenute nel “libro verde dei servizi postali” del ’92, dove si fissava il principio della separazione tra proprietà e gestione dei servizi. La trasformazione dell’amministrazione delle poste e telecomunicazioni in ente pubblico economico nel ’94, con la conseguente privatizzazione del rapporto di lavoro, ne rappresenta la prima fase di concreta attuazione. L’aspetto rilevante di questa fase di transizione, che approderà nel ’98 alla trasformazione in S.p.A., è legato alle politiche di risanamento aziendale totalmente imperniate sull’abbattimento del costo del lavoro e sull’avvio di un piano di dismissioni di centri di lavorazione ed esternalizzazioni di servizi tale da minare la funzionalità dei servizi, determinando una contrazione degli stessi fatturati aziendali. Le fuoriuscite dall’azienda attraverso lo strumento dei pensionamenti anticipati riguardò oltre 30mila unità su un totale di 189mila occupati , al contempo gli indici sulla crescita della produttività del lavoro registravano aumenti a due cifre fino a segnare un incremento del 35% nel periodo 94-98. Naturalmente un piano di ristrutturazione aziendale di simili dimensioni, di cui abbiamo fornito solo alcuni dati, non poteva prescindere dagli strumenti gestionali fondati sulla concertazione, ovvero sulla condivisione sindacale delle finalità oltre che sulle modalità attuative dei piani aziendali. Il risultato più originale della relazioni industriali concertate, come all’epoca sottolineato dal plauso entusiastico di Confindustria e riproposto per contratti di altre categorie, fu il passaggio dalla classificazione e organizzazione del personale in livelli a quello in aree: personale con lo stesso livello di appartenenza diveniva per ciò stesso “fungibile” per applicazioni in altre mansioni dello stesso livello e in taluni casi superiori senza che questo determinasse aspettative di ordine inquadramentale e salariale. Un simile strumento di gestione flessibile del personale, oltre a concorrere nel consentire a costi azzerati una fase di ristrutturazione di forte impatto, definisce una figura lavorativa assolutamente de-professionalizzata o, per meglio dire, un tipo di lavoratore in cui le competenze e le conoscenze vengono annullate dalle esigenze aziendali: una condizione questa che si rivelerà preziosa base di partenza nei successivi processi aziendali. Con la trasformazione in S.p.A. si realizza il definito approdo al mercato. Il modello aziendale costruito intorno a finalità di pubblico servizio è definitivamente superato. La definizione del ruolo aziendale, la cosiddetta mission, dopo varie approssimazioni giunge alla sua versione ultima: azienda al servizio delle imprese nel territorio e della pubblica amministrazione per le attività da queste esternalizzate. La strutturazione organizzativa si modifica radicalmente nel volgere di pochi anni fino ad assumere le caratteristiche di gruppo con circa 30 società controllate. Naturalmente mantenendo saldo il forte radicamento sociale: oltre 14mila sportelli capillarmente diffusi e 46mila operatori di recapito, veicoli contemporaneamente di commercializzazione, raccolta e distribuzione. Dai canali aziendali comincia a fluire di tutto, non più solo i tipici prodotti legati alle Cassa depositi e Prestiti, ma anche collocazione di prodotti finanziari per conto del sistema bancario fino alla trasformazione degli uffici in empori. Il tutto in una logica di commercializzazione esasperata in cui la struttura postale assume un ruolo “ancillare”, priva apparentemente di un proprio orizzonte strategico. Nonostante questa condizione di subalternità, o forse proprio grazie ad essa, Poste Italiane consegue il pareggio del bilancio e dal 2001 comincia a macinare utili. Il modello di flessibilità gestionale del personale, unito ad una condizione salariale “concertata”, concorrono in modo importante alla crescita dei ricavi per addetto e all’abbattimento drastico del costo del lavoro in relazione ai ricavi. Un altro aspetto importante emerge a seguito del “posizionamento” aziendale nel mercato: la necessità di cogliere al meglio le opportunità di business provoca una sempre più netta separazione tra la sfera dei servizi propriamente postali e quella legate alle attività finanziarie del bancoposta. L’imporsi di questa necessità oggettiva produce sul piano organizzativo la distinzione a partire proprio dal territorio delle strutture aziendali per aree di affari, con il risultato di strutture parallele con dinamiche diverse che vedono solo nella fase di presidio del mercato attraverso gli sportelli un punto di contatto puramente tecnico-logistico. In tal modo l’offerta aziendale di servizi integrati per le imprese e la pubblica amministrazione si configura reale solo per quanto attiene gli assetti proprietari ma i mercati di riferimento, il grado di specializzazione crescente, i processi lavorativi, le dinamiche di valorizzazione, i diversi contesti normativi ci presentano una realtà totalmente bipolare.

4. Ancora il Dio Mercato

Il punto di svolta nell’evoluzione mercantile di Poste Italiane avviene nel ’04 con la cessione da parte del Ministero dell’Economia del 35% del capitale di Poste Italiane alla Cassa Depositi e Prestiti, a sua trasformata in S.p.A., e il contestuale ingresso nella Cassa delle fondazioni di derivazione bancaria con il 30% del capitale. Acquisizione di capitali da parte della Cassa che in realtà non ha riguardato solo Poste ma tra gli altri il 10,35 di Enel, il 10% di Eni. Situazione questa che pone il problema di capire la funzione e il ruolo di questa istituzione che sta assumendo un ruolo crescente negli scenari finanziari nazionali su cui sarebbe opportuno concentrare l’attenzione con prossime indagini specifiche. Qui ci limitiamo agli effetti sulla realtà postale, sottolineando che statutariamente alle fondazioni bancarie vengono attribuite azioni del tipo privilegiato con la maggioranza nel comitato di indirizzo strategico della Cassa: di fatto la sua gestione. Il risultato che si propone è quello di un’azienda a maggioranza del suo capitale pubblico con una gestione dei suoi prodotti finanziari affidata alle fondazioni bancarie. La diversità di Poste dal sistema bancario che ha rappresentato una delle ragioni della sua rappresentazione assume un rilievo totalmente strumentale: Poste Italiane garantiscono alle fondazioni, che a loro volta detengono importanti partecipazioni nelle banche, un utile annuo del 3% al netto dell’inflazione. La competizione di Poste con il sistema bancario sembrerebbe allora assolutamente improbabile, un semplice gioco delle parti. La presenza sul mercato di Poste è tuttavia insidiosa, nonostante che progressivamente Poste abbia adeguato rendimenti e costi di gestione dei suoi conti correnti ai livelli delle banche, i 5 milioni di conti attivi e la vendita in esclusiva dei prodotti della Cassa Depositi e Prestiti sono comunque in un mercato fortemente concorrenziale appetibili. L’Associazione Bancaria Italiana (ABI) preme per l’estensione agli sportelli bancari della vendita dei prodotti della Cassa Depositi e Prestiti e si dichiara favorevole al rilascio della licenza bancaria a Poste Italiane. Su altro versante, la recente finanziaria ha stabilito che la raccolta dei conti correnti del bancoposta venga gestita direttamente della società e non più depositata sul conto di tesoreria dello stato, condizione che consentiva a Poste Italiane di incamerare un interesse del 4,2% su un totale di circa 25miliardi di euro di raccolta. Gestire e valorizzare in proprio una simile massa di denaro rende inevitabile una ulteriore adeguamento di Poste Italiane sotto il profilo della specializzazione finanziaria e il rafforzamento dei connotati bancari della sua presenza sul mercato. Il giudizio che si ricava dall’intera vicenda della privatizzazione di Poste Italiane muove dall’evidenza della fragilità degli indirizzi politici e gli equilibri di volta in volta definiti siano travolti dall’aggressività della competizione nel m