A l pari di quel che avviene nel sistema bancario indipendente europeo in cui - con l’eccezione della Germania - da una fase di consolidamento nazionale si è passati, con l’operazione Barclays-Abn Amro, ad operazio- ni cross-border, anche nel settore energetico e delle mul- tiutilities sta prendendo piede una fase di fusioni e con- centrazioni a livello continentale che cambierà l’assetto del settore. In Italia, vuoi per i campanilismi o per l’attaccamento alle poltrone del sistema partitico, il processo è in fieri, ma gli accordi internazionali transfrontalieri, l’entrata di colossi quali Gazprom e Sonatrach, l’interesse di operato- ri esteri - da RWE a Veolia alla francese Suez - hanno sor- tito l’effetto di smuovere completamente le acque sta- gnanti, evidenziando un assetto ancora caratterizzato dal- la presenza di circa 1700 municipalizzate; una parcelliz- zazione incapace di affrontare i colossi esteri. L’allarme sul mondo delle municipalizzate viene dal processo di fusioni e concentrazioni europee. Dal 1998 al 2005 la quota di mercato detenuta dagli otto maggiori operatori europei attivi nella vendita di elettricità passa dal 58 al 75%. In Italia qualcosa si è mosso: dall’entrata della mila- nese Aem nell’assetto di controllo di Edison, partecipata dal colosso francese Edf, alla fusione tra le emiliane Hera e Meta, fino al processo di aggregazione delle multiutili- ties del nord-ovest, la torinese Aem e la genovese Amga, che hanno dato vita alla società Iride. Alla fine del 2006, tolto il Mezzogiorno dominato da municipalizzate locali, il centro-nord del Paese presenta- va diversi poli aggreganti: alla bolognese Hera è da ag- giungere il polo romano dell’Acea, il polo emiliano Enia (Amps Parma, Agac Reggio Emilia, Tesa Piacenza), il gruppo lombardo Linea Group (Aem Cremona, Astem Lo- di, Asm Pavia, Tea Mantova, Scs Cremona). Accanto a que- sti gruppi vi è il polo del nord-est Acegas-Aps (Trieste Pa- dova), il colosso bresciano Asm (assieme alla bergamansca Bas), il polo milanese rappresentato dall’Aem e quello li- gure piemontese di Iride. Due fattori intervengono nel mutare lo scenario: il primo è l’assalto dell’Enel al mercato spagnolo, con il pro- getto di fusione con Endesa, proprietari di centrali in Ita- lia, che il colosso italiano, nel caso andasse in porto l’Opa, sarebbe costretto a dimettere; il secondo è l’accordo Eni- Gazprom del febbraio 2007 che - in un’ottica di recipro- cità, essendo garantiti all’Eni i contratti di fornitura fino al 2035 - consente al colosso russo del gas - a partire dal 1 maggio 2007- di vendere direttamente metano nel mer- cato italiano, per volumi complessivi pari a 3 miliardi di metri cubi all’anno, su di un totale di fabbisogno nazio- nale di 80 miliardi di metri cubi. A tal fine, Gazprom firma contratti di fornitura con l’emiliana Hera, con la milanese Aem e con la bresciana Asm. Ma è ovvio che il potere di contrattazione con il grup- po energetico russo è minimo, stante le dimensioni d’im- presa delle municipalizzate. Oltretutto la stessa Gazprom fa intendere di voler entrare nel mercato delle utilities di- rettamente, al pari di colossi esteri come Veolia, Rwe, E.On, ecc. In questo senso si parla di un forte interesse del colosso russo per Hera e per Iride.
Ecco che nel mondo politico, da destra a sinistra, si impone l’agenda del processo di fusioni e concentrazioni delle municipalizzate: Prodi, sin dall’estate del 2006, par- la espressamente della necessità di creare un gruppo energetico nel centro-nord che abbia il profilo, se non la stazza, del colosso tedesco Rwe, un gruppo da 46 miliar- di di euro di fatturato nato dalla fusioni di un centinaio di municipalizzate, interessato esso stesso ad entrare nel ricco mercato italiano visto che i margini superano il 14% del fatturato, livelli tra i più alti nel mercato euro- peo.
Un’altra scossa alla “foresta pietrificata” delle munici- palizzate viene, poi, dal processo di liberalizzazione del mercato elettrico: a partire dal 1° luglio 2007 si potrà ac- quistare l’energia elettrica dal migliore offerente. La rivo- luzione liberista interessa 30 milioni di italiani e prevede la possibilità che tutti gli operatori offrano energia in tutt’Italia, stranieri compresi (da qui l’apertura dei mer- cati) con una maggiore concorrenza tra fornitori.
Come ogni processo di liberalizzazione dei mercati e di maggiore concorrenza tra gli operatori, anche nel set- tore delle multiutilities si impone la questione delle eco- nomia di scala, della massa critica e del salto dimensiona- le, per meglio operare in tutto il territorio nazionale e per fronteggiare la concorrenza estera.
Va da sé che tale processo, al contrario di quanto af- fermano politici, economisti e autorità indipendenti, non si traduce affatto in una riduzione delle tariffe, coinvol- gendo tutt’al più il mondo delle imprese, giammai le fa- miglie consumatrici.
Come ogni assetto oligopolistico, anche il processo di concentrazione delle municipalizzate offre lo spunto per creare pochi grandi attori capaci di fronteggiare l’Enel, forte della predominanza nel 50% del mercato italiano, l’Edison, la stessa Eni - fortemente interessata ad entrare nel mercato elettrico - ed eventuali operatori esteri che riuscissero a posizionarsi nel mercato italiano.
Assieme a ciò, c’è da considerare che l’Italia diverrà, nei prossimi decenni, un vero e proprio hub continentale del settore del gas: come avevamo precedentemente spe- cificato (Proteo n. 2/2007), gli assetti europei nel mercato del gas vedono il Paese come terminal del gas caspico e del gas algerino, che nel futuro sostituiranno i giacimen- ti di gas del Mar del Nord, prossimi all’esaurimento.
Tale processo obbliga gli operatori italiani ad attrez- zarsi in vista di enormi investimenti, possibili solo laddo- ve si configurino economie di scala e grandi dimensioni di imprese.
Detti fattori (liberalizzazione del mercato elettrico, presenza di colossi esteri, processo di fusione cross border continentale, hub europeo del gas-metano, ecc.) spingono verso un celere processo di fusione e concentrazione del- le municipalizzate, al fine di creare perlomeno un colosso che si avvicini, per dimensione e fatturato, al modello te- desco della Rwe.
Dietro tale processo operano i maggiori istituti finan- ziari italiani che, forti dell’abbondanza di liquidità pre- sente sui mercati monetari e borsisitici e prediligendo gli impieghi nei settori protetti, sono pronti a riversare nel settore tutta la loro potenza di fuoco. Non da meno sono i fondi per il private equity, in primis il famoso fondo FI2 di Vito Gamberale, fortemente interessati ad entrare nelle infrastrutture energetiche. Si realizza in tal modo la riedizione del processo di industrializzazione giolittiano, che vedeva le banche miste finanziatrici delle imprese elettriche e, al pari di allora, finalizzato a creare un grande player europeo, prima che i colossi esteri sbranino le municipalizzate italiane.
Ecco perché il processo sarà inarrestabile: si tratta di vedere chi sarà preda e chi sarà predatore.
La prima mossa è stata fatta in Lombardia: a giugno di quest’anno la milanese Aem, forte nel settore elettrico e con una partecipazione strategica nella Edison di fatto controllata dal colosso transalpino Edf, e la bresciana Asm hanno sottoscritto, con la presenza dei sindaci di Milano e Brescia, principali azionisti delle due società, un accordo di fusione con una corporate governance che vede i rap- presentanti delle due città partecipare alla pari nel consiglio di sorveglianza (15 membri, sei nominati da Milano, 6 da Brescia) e nel consiglio di gestione (otto componenti, 4 milanesi e 4 bresciani), adottando il modello duale previ sto dalla riforma del diritto societario nota come “riforma Vietti”, un assetto societario che soddisfa il bisogno delle poltrone del mondo partitico. L’assoluto equilibrio tra BrE scia e Milano è ulteriormente rappresentato dalle quote detenute nella nuova società, giacché entrambi avranno il 27,5% dell’azionariato, rappresentando il resto flottante o quota da destinare a fondi istituzionali.
La fusione crea, così, un colosso con 4800 addetti, un fatturato di 9,5 miliardi di euro e un margine operativo lordo di ben 1,8 miliardi di euro; nel gas è il terzo operatore, dietro Italgas e Enel, mentre come potenza elettrica il nuovo gruppo vende circa 15 mila gigawatt.
Questa newco, che si chiamerà Asem, nasce con la prospettiva di essere polo aggregante nei prossimi anni con un respiro sovraregionale: le possibili prede sono l’emiliana Enia e il gruppo rimanente delle municipalizzate lombarde (Linea Group, Agam Monza e Acsm Como).
Lo stesso Romano Prodi, che assieme a tutto il mondo politico ha salutato con entusiasmo la fusione, il giorno dopo l’annuncio ha dichiarato che Asem sarà “il nucleo di nuove aggregazioni”, augurandosi che sia il primo passo per la nascita di un colosso del centro-nord sul modello RWE.
Qui, però, entrano in gioco gli equilibri politici del nuovo Partito Democratico: Asem è fortemente interessata ad una fusione con la bolognese Hera. Su questa è entrata prepotentemente la figura del futuro segretario del Pd, il romano Veltroni, che corteggia Cofferati e il mondo politico che va da Modena a Forlì, per un’integrazione con la romana Acea, quotata in borsa e unico polo delle municipalizzate del centro-sud. Sulla scia dell’insuccesso del modello Unipol-Monte dei Paschi-Bnl, fallito per contraddizione in seno al futuro Partito Democratico, l’ipotesi di Veltroni vede all’orizzonte un progetto di aggregazione delle municipalizzate, che dalla via Emilia arriva a Roma passando per la Toscana, creando un soggetto leader nel settore delle acque e dei rifiuti.
All’uscita di “Uolter l’amerikano” ha fatto seguito la mossa del sindaco di Torino Chiamparino, che ha in pro- getto la fusione della ligure piemontese Iride - che possiede un rigassificatore in Toscana e partecipa alla costru- zione del rigassificatore di Gioia Tauro- con Hera, que- st’ultima forte di un accordo di fornitura di gas metano con il colosso russo Gazprom.
Al momento gli attori sono questi: la nuova Asem (9,5 miliardi di fatturato), la romana Acea (3,3), l’emiliana Hera (2,4 miliardi di fatturato) e la ligure-piemontese Iride, con un fatturato di 2,5 miliardi di euro. Società tutte quo- tate, per la gioia degli operatori borsistici che, dopo il processo di consolidamento nel settore bancario, fanno gran- di affari con le ex municipalizzate, schizzate più del 50% in borsa negli ultimi due anni.
Sul fronte del nord-est, il Presidente della regione Veneto coltiva un progetto strategico che vede Acegas-Aps e AscoPiave come poli aggreganti con le municipalizzate di Vicenza (Aim), Verona (Agsm) e la veneziana Veritas.
Del tutto assente dal processo di fusione e concentrazione è il Mezzogiorno, caratterizzato da polverizzazioni localistiche e da drammi ambientali, quali il caso rifiuti in Campania dà modo di credere.
Al pari del settore bancario, non è del tutto infondato ritenere che nei prossimi decenni quest’area del Paese sarà terreno di caccia dei poli delle ex municipalizzate che si costruiranno nel centro-nord.
A questo dovrebbe servire la riforma Lanzillotta dei servizi pubblici, che abroga il ricorso in house e dà un’im- pronta liberista al settore, con l’obbligo del ricorso alla gara qualora non si faccia ricorso ad aziende pubbliche speciali, soggette al ferreo rispetto del Patto di Stabilità Interno, del tutto impossibile per gli enti locali del sud.
Se a quest’ultimo aggiungiamo il federalismo fiscale, fortemente penalizzante per gli enti locali del Mezzogiorno, ecco che la gran parte dei comuni del sud nei prossimi anni sarà costretta a ricorrere alla gara per l’espleta- mento delle funzioni dei servizi pubblici, dando vita ad un processo di colonizzazione interna simile a quello verificatosi nel settore bancario, propedeutico a creare una massa critica ed economia di scala spendibili successiva- mente nel processo di fusione e concentrazione continentale.
Ciò porta alla considerazione che, nell’instaurare il modello RWE, in Italia si assiste alla riedizione, nel pro- cesso di consolidamento interno delle municipalizzate, dello schema realizzato, prima su scala regionale poi su scala nazionale, nel settore bancario, in maniera quasi pedissequa.