Stato delle Privatizzazioni e servizi pubblici locali: linee di indagine

ENZO DI BRANGO

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

Dal primo dopoguerra ai primi anni ‘90 il nostro Paese si è caratterizzato per la vasta presenza nell’economia del settore pubblico. La holding pubblica IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) ha avuto un ruolo molto importante nella ricostruzione del Paese dopo gli eventi bellici. Il cosiddetto boom economico dell’Italia negli anni ’50 e ’60 è stato molto facilitato proprio grazie al contributo delle imprese pubbliche. Nei primi anni ‘90 il valore aggiunto delle imprese pubbliche costituiva quasi il 18 percento del PIL. L’ IRI, l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) e l’Ente per le Partecipazioni e Finanziamenti dell’Industria Manifatturiera (EFIM) occupavano più di mezzo milione di lavoratori. In questi anni però il nostro Paese, insieme alla Francia e al Regno Unito, ha realizzato un enorme processo di privatizzazione delle imprese di Stato.

1. I primi processi di liberalizzazione e gli interventi normativi

Dall’anno 1985 al 2003, l’Italia avendo incassato dalle privatizzazioni più di 107 miliardi di US$ è diventato il primo paese europeo (con l’esclusione del Regno Unito) in termini di proventi ottenuti; e questo processo è proseguito fino ai giorni nostri (vedi grafico) In tale contesto generale va osservato che in questi ultimi anni anche i servizi pubblici locali (SPL) hanno subìto molti cambiamenti soprattutto a causa di diversi interventi normativi. Ad esempio a seguito della legge 142 del 1990 la privatizzazione e la riorganizzazione dei servizi pubblici locali ha avuto un forte sviluppo dovuto anche agli impulsi dettati dalle intense liberalizzazioni verificatesi in tutta Europa per l’applicazione della normativa comunitaria. L’art. 112 del Testo Unico degli Enti Locali (D.Lgs: 267/00) sancisce : «Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali». «Per ‘servizio pubblico’ si intende qualsiasi attività che si concretizzi nella produzione di beni o servizi in funzione di un’utilità per la comunità locale, non solo in termini economici ma anche in termini di promozione sociale, purché risponda ad esigenze di utilità generale o ad essa destinata in quanto preordinata a soddisfare interessi collettivi»1 «Per ‘servizio pubblico locale’ si intende qualsiasi attività che si concreta nella produzione di beni e servizi in funzione di un’utilità per la Comunità locale non solo in termini economici ma anche ai fini di promozione sociale.»2 Per poter essere definito locale un servizio pubblico deve essere attribuibile all’ente locale, destinato alla comunità locale al fine di un suo sviluppo. I SPL comprendono inoltre due categorie di servizi; i primi, cosiddetti a “rilevanza economica”, interessano per la maggior parte i servizi a rete (acqua, gas, energia elettrica, trasporti, ecc.); i secondi, ossia i servizi “privi di rilevanza economica”, sono una tipologia residuale che comprende attività diverse che vanno dall’assistenza sociale ai servizi culturali (cfr.Tabella seguente).3 2. Cosa è avvenuto nei SPL

Storicamente i servizi pubblici locali vengono erogati dagli Enti Locali e soprattutto dai Comuni; dalla fine degli anni ‘90 però questa situazione è cambiata ed è iniziato un processo di esternalizzazione che si è concretizzato in:
  privatizzazioni formali, ossia la creazione di società di capitali a piena partecipazione pubblica, derivata quasi sempre della trasformazione societaria di enti pubblici economici o aziende speciali;
  privatizzazioni sostanziali, avvenute attraverso la cessione a privati della società affidataria del servizio o del controllo di essa;
  affidamento al mercato, ossia ricorso a soggetti terzi (a capitale privato, pubblico o misto), stabiliti dopo una gara pubblica, che si occupano del servizio.

Ed è proprio con la L. 142/90 che si è proceduto ad una prima esternalizzazione dei servizi; si è poi avuta una ancora più definitiva apertura al processo di esternalizzazione dei servizi attraverso l’art. 35 L. 448/01 (Legge Finanziaria 2002) e le successive innovazioni contenute nell’art. 14 d.l. 269/03 (convertito in L. 326/03 con ulteriori integrazioni poi apportate dalla L. 350/03 - Legge finanziaria 2004). Le nuove leggi hanno compiuto una separazione tra i servizi pubblici a rilevanza industriale e quelli esenti da tale rilevanza, introducendo per i primi una differenziazione tra le reti (beni e dotazioni patrimoniali finalizzati all’erogazione del servizio), che rimangono pubbliche, e la gestione del servizio che invece è aperta al mercato, attraverso le gare. Questo ha fatto sì che si siano create due diverse posizioni e due diverse funzioni; da un parte l’Ente Locale che ha il compito di controllare e indirizzare e, dall’altro, il soggetto esterno che eroga di fatto il servizio. Il rapporto tra l’Ente Locale e il soggetto affidatario del servizio è disciplinato da un contratto di servizio che viene definito da norme di diritto pubblico. “Si può definire contratto di servizio il contratto mediante il quale un Ente pubblico affida ad un erogatore (il gestore) lo svolgimento di determinati servizi pubblici, con contestuale [eventuale] trasferimento di pubbliche funzioni, nonché di beni pubblici strumentali allo svolgimento del servizio affidato. Le parti contraenti vanno individuate da un lato nell’Amministrazione pubblica (affidante) e, dall’altro, nel soggetto gestore del servizio affidato (affidatario). Nell’ambito del processo di erogazione dei servizi pubblici, l’ente locale può svolgere:
  la funzione ‘municipale’ servendosi di una modalità privatistica (società totalmente pubbliche affidamenti in house);
  la funzione di azionista di riferimento (società mista a maggioranza pubblica);
  la funzione di azionista qualificato (società miste capitale pubblico minoritario).

L’Amministrazione pubblica deve sempre perseguire un interesse pubblico ed ogni sua singola azione deve quindi essere giustificata dal perseguimento di tale interesse.”4 Il contratto di servizio deve garantire i maggiori livelli delle prestazioni di servizio in quantità e qualità; il programma degli investimenti, le questioni occupazionali, i diritti e i doveri degli utenti e le condizioni di revoca del servizio. Il Disegno di Legge n. 772 (decreto “Lanzillotta”), in materia di liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ruota intorno al fatto che la proprietà delle reti e degli altri beni strumentali all’esercizio deve restare pubblica; gli Enti Locali devono assegnare il servizio ricorrendo ad aste pubbliche (si fa eccezione per il servizio idrico che resta totalmente pubblico) e si introducono vari mezzi come ad esempio la cosiddetta “carta dei servizi”, oltre a delle forme di vigilanza e controllo e delle valutazioni periodiche dell’affidamento, al fine di tutelare gli utenti.

Il processo di privatizzazioni ha fatto sì che le imprese pubbliche trasformate in società per azioni siano passate da 30 nell’anno 1996, a 790 nell’anno 2004, anche se molto spesso il capitale privato resta al di sotto della soglia del 51%. Uno studio effettuato nel 2004 da Confservizi su 400 SpA operanti nei settori dell’energia elettrica, del gas naturale, del trasporto pubblico locale, idrico e dell’igiene ambientale evidenzia che
  nel 73% dei casi il Comune risulta proprietario unico;
  solo il 3,4% del campione è costituito da società a prevalente capitale privato;
  il 44,4% del campione fa ancora ricorso ad affidamenti diretti nella modalità di selezione del partner;
  nel 47% dei casi il partner selezionato è un operatore/ente pubblico.5

Analizziamo ora uno specifico comparto di servizio pubblico locale per entrare maggiormente nel vivo della situazione attuale.

3. Il trasporto pubblico locale (TPL)

Le contraddizioni esistenti nei servizio pubblico locale hanno riguardato anche il settore dei trasporti, che dagli anni ’70 in poi ha dovuto affrontare il sempre maggiore deficit di bilancio delle imprese somministratici del servizio, soprattutto per gli alti costi di gestione, conseguenza anche del sempre maggiore aumento del trasporto privato. Le norme riguardanti il trasporto pubblico locale hanno avuto una prima sistemazione legislativa con la legge del 10 aprile 1981, n.1516, che introduceva dei sussidi dello Stato ex-ante per cercare di contenere i disavanzi del settore; questa legge però non ha mai trovato completa attuazione e si è arrivati alla legge dell’8 giugno 1990, n. 142, che ha introdotto, tra le varie novità, la gestione in economia (che interessa i servizi di piccola dimensione), la gestione in concessione, l’azienda speciale, la società per azioni a maggioranza di capitale pubblico locale. In sostanza si è trattato dell’introduzione delle “privatizzazioni formali” . La legislazione europea ha dato una nuova spinta alle privatizzazioni e liberalizzazioni del settore dei trasporti e si è avuto così il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (decreto Burlando), che definisce le funzioni statali e trasferisce le altre funzioni alle regioni e agli Enti Locali. Il decreto legislativo introduce, tra le altre cose, il principio della concorrenzialità attraverso il contratto di servizio, la procedura concorsuale e la partecipazione alle gare entro il 31 dicembre del 2000. Tutto ciò non è però avvenuto, o meglio, molte delle gare, pur previste nei tempi debiti, sono andate deserte. In seguito a questi episodi ed alle varie critiche presentate dall’Unione Europea, il legislatore ha decretato un rinvio della data di 4 anni (31-12-2004) e con l’articolo 14 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 e l’articolo 4, comma 234, della legge finanziaria 2004 ha stabilito la sostituzione del carattere economico dei servizi pubblici locali al posto di quello industriale, effettuando così una distinzione tra servizi di interesse economico generale e servizi di interesse generale. Vi sono stati ulteriori aggiustamenti legislativi fino ad arrivare all’articolo 13 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, cosiddetto decreto Bersani, che ha imposto, “ai fini di non alterare o distorcere le regole della concorrenza, alle società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, di operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, di non svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e di non partecipare ad altre società o enti”. Tale disposizione, tuttavia, non risulta applicabile, come espressamente indicato in sede di conversione del citato decreto legge, ai servizi pubblici locali e, quindi, al trasporto pubblico locale. Parallelamente alla discussione sulla conversione del decreto Bersani, è stato presentato su iniziativa governativa un disegno di legge che conferisce delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali con l’obiettivo di rafforzare i principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale rilevanti in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti all’universalità ed all’accessibilità dei servizi7. L’intero iter legislativo, avvenuto in perfetta sintonia tra centro-destra e centro-sinistra, ha quindi stabilito la liberalizzazione totale del TPL senza neanche prevedere una specifica Autority di garanzia. La tabella seguente mostra la spesa delle regioni per il trasporto pubblico locale. La tabella riprodotta ci introduce ad un veloce sguardo d’insieme alle particolarità che cominciano a registrarsi a livello territoriale. In molte regioni a vincere le gare sono stati, né più né meno, gli stessi gestori, che da una veste societaria municipalizzata si sono trasformati in società private ciò a dimostrazione del fatto che la sola parvenza di concorrenza tra più soggetti è stata spazzata via dal concetto di monopolio privato che l’intera legislazione, piaccia o no ai politici che più si sono dati da fare in tal senso, ha favorito con il risultato che è sotto gli occhi di tutti. I casi limite di questa situazione sono rappresentati dal Lazio e dalla Sicilia. Nel Lazio, se si escludono le due province del sud (Frosinone e Latina), il servizio di TPL è affidato a società interamente pubbliche con la stipula di contratti di servizio che ne regolano l’erogazione; il che dimostra che interventi di privatizzazione e/o liberalizzazione non sono assolutamente una via obbligata e che la funzione di Agenzia per la mobilità svolta dall’Atac a Roma, per esempio, continua ad essere garante della pubblicità del servizio a costi sociali contenuti. Diverso il caso, invece, della Sicilia dove tutto o quasi sembra funzionare attraverso il criterio delle concessioni. Nel solo trasporto extraurbano regionale se ne contano quasi 600, mentre il TPL è la “rappresentazione storica” delle politiche italiane in questo settore, con tipologie di espletamento che vanno dalla gestione in economia alla gestione in affidamento a terzi. Convertite al privato vi sono le città di Agrigento, Caltanissetta, Enna e Siracusa; negli per quanto riguarda gli altri capoluoghi troviamo aziende municipalizzate a Catania e Messina, un’azienda speciale a capitale pubblico a Trapani, il servizio affidato ad una società a capitale pubblico a Palermo, mentre Ragusa se li gestisce in economia. Questo quadro fa per lo meno presumere che i politici siciliani procedano con criteri diversificati che però non sono supportati dai fatti reali; la Sicilia, infatti, è priva di un quadro normativo organico e del piano regionale dei trasporti...

4. Il saccheggio dei servizi pubblici

È evidente che è in atto una vera e propria operazione di trasformazione in merce da mercato dei nostri servizi pubblici, sui quali agirà, senza sconti per nessuno, la logica del profitto con effetti facilmente individuabili e che hanno caratterizzato le privatizzazioni già dagli inizi degli anni ’90: salari da fame, diminuzione del numero degli occupati, manutenzioni ridotte con un impatto disastroso sulla sicurezza sia degli addetti che dell’utenza. Al termine di tali, scellerati, processi, la ciliegina dell’aumento indiscriminato dei prezzi con un costo aggiuntivo per la collettività dei “consumatori”. Alitalia, Fs, Telecom, tanto per citare qualche caso, dimostrano in maniera evidente che a rimetterci sono stati i lavoratori che hanno visto peggiorare (e di molto) la qualità dei servizi, contemporaneamente all’aumento delle tariffe, alla mobilità, ai licenziamenti ed alla precarietà per un numero considerevole di occupati con l’imbarbarimento delle regole del mercato del lavoro e l’impoverimento del potere decisionale pubblico, il che non significa altro che lo scadimento della democrazia per tutti. Oltretutto (e l’aspetto non è assolutamente secondario) il d.d.l. della ministra Lanzillotta rende impraticabili le forme di proprietà non private dei servizi che in precedenza erano per lo più municipalizzate e che per lunghi anni hanno garantito la corretta gestione di strade, parcheggi, gas, autobus ed energia.8 Appare davvero penoso che tutto il centrosinistra sia appiattito su un tale modello di gestione dei servizi pubblici che prevede, di fatto, la perdita definitiva del potere decisionale da parte del pubblico, per consegnare al privato (e, quindi, agli interessi delle solite tre, quattro famiglie del capitalismo nostrano... sempre che saranno in grado di competere a livello di gare) gli ultimi gioielli di famiglia. In difesa dei vari Bassanini, Burlando e Bersani ieri e della Lanzillotta oggi il solito pull mediatico capeggiato dal quotidiano La Repubblica, ormai in servizio permanente effettivo contro la sovranità dello Stato, attraverso l’ambiguo teorema che debba essere la politica al servizio dell’economia e non viceversa come dovrebbe invece essere. Passa, per ammissione della stessa Linda Lanzillotta, “la linea di Blair: massima attenzione alla qualità dei servizi al pubblico”;9 evidentemente il ministro, preferisce il paragone al Tony guerrafondaio che ha traghettato a destra il glorioso Labour Party inglese. E già... perché la Linda nazionale ha le idee molto chiare in fatto di virate a destra se è vero, come è vero, che alla domanda “alcuni esponenti dell’Udc hanno annunciato un voto favorevole [...] Lei è disponibile a far approvare il disegno di legge con l’aiuto dei voti centristi?” ha candidamente risposto: “se poi si aggiungono voti, non indispensabili, di altri parlamentari è solo un fatto positivo.”10 5. Considerazioni per un’indagine di approfondimento

Esistono ancor più oggi, davanti al fallimento sostanziale delle politiche di liberalizzazione e privatizzazione sperimentati negli ultimi due decenni, giuste motivazioni per opporsi ai processi in atto che il d.d.l. Lanzillotta vuole accelerare. È evidente, infatti, il fallimento della teoria che siano i mercati i regolatori dei rapporti economici; questo innanzitutto perché ciò comporta che i mercati fungano da regolatori di se stessi, teoria bizzarra ed, alla luce dei fatti, fallimentare. Il mercato liberalizzato, nel momento in cui deve favorire la concorrenza diventa soggetto attivo della competizione e non potrà che favorire i soggetti più forti a scapito di quelli più deboli, finendo per elevare a “obbligo di legge” la disuguaglianza che tale teoria si porta dietro. Disuguaglianza che poi, nei fatti, ricade non solo sui soggetti competitori, ma anche ed inevitabilmente sugli individui quando andiamo a parlare di privatizzazione dei servizi pubblici. La creazione dei contesti competitivi richiede una crescita della capacità imprenditoriale dei soggetti che dovrà essere, per forza di cose, diversificata da soggetto a soggetto e ciò determina, nel primo caso (soggetti competitori), una disuguaglianza nelle possibilità di sviluppo di ciascuno; nel secondo caso (gli individui) una fruibilità del bene comune legata al reddito individuale e non al diritto per la sua natura di servizio pubblico, fino all’estremo, nei casi di liberalizzazione selvaggia, di ritrovarsi, ogni individuo, a competere con l’altro per la semplice fruizione del diritto. Uno strano concetto del servizio pubblico come regolatore dei rapporti sociali che pure spesso sentiamo ripetere dai fanatici ideologici delle liberalizzazioni! Non dobbiamo dimenticare, infatti, che per favorire la competitività si utilizza anche un’altra leva che con i corretti rapporti sociali ha poco a che vedere: considerare il lavoro solo come variabile di costo. Sappiamo cosa questa teoria ha prodotto in minore occupazione (qualitativa e quantitativa), soprattutto nelle grandi aziende privatizzate (es. Ferrovie, Telecom e Poste) a cavallo degli ultimi anni del secolo scorso e dei primi anni di questo XXI secolo. Ma c’è anche la grande questione ambientale che non va sottovalutata, e la recente apertura al mercato della vendita di energia elettrica la ripropone in tutta la sua imponenza. Un dirigente di una importante azienda pubblica erogatrice di energia ha recentemente dichiarato: “per noi sarebbe molto positivo avere inverni molto freddi, così vendiamo molto gas, ed estati calde in modo tale da distribuire parecchia energia elettrica per far andare i condizionatori.”11 Sparisce, di fatto, il diritto all’equilibrio ambientale, già in forte pericolo da qualche anno a questa parte, unitamente al fatto che i servizi pubblici perdono quella connotazione “genetica” di monopoli naturali con l’obbligo all’erogazione di servizi universali. Per quanto concerne questo aspetto, infatti, non si può non considerare la giungla tariffaria che deriverebbe dai processi di liberalizzazione e privatizzazione. La figura dell’organismo regolamentatore, sia esso il comune, la provincia o qualsiasi altro ente locale o nazionale, perderebbe, di fronte alla priorità del mercato, la sua funzione più importante relativa alla fissazione delle tariffe. Da tempo infatti i soliti fanatici del neoliberismo, sia nella veste di destra sia in quella di sinistra, sostengono che il meccanismo di fissazione delle tariffe non favorisca a sufficienza il contenimento dei costi (ma in realtà ritengono che tale meccanismo sia “lesivo” della concorrenza). Salterebbe, di fatto, la possibilità anche di veder assegnati ai vari servizi tariffe socialmente sostenibili, a beneficio esclusivo dell’offerta più vantaggiosa. Gare pubbliche di appalto con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (il che significa ovviamente non tenere in nessun conto la qualità e la capillarità dell’offerta) sono la regola e superano abbondantemente il 65% del totale complessivo delle gare fino ad ora espletate in materia, per esempio, di trasporto pubblico locale. La lettura del d.d.l. “Lanzillotta”, riprodotto in appendice, non fa che rendere evidenti le considerazioni sopra proposte.

Ricercatrice socio-economica, Comit. Scient. di CESTES e Dir. redaz. di PROTEO

Univ. “La Sapienza”; Direttore Scientifico CESTES e della rivista PROTEO

Comit. di Redazione e Programm. di PROTEO

Cons. di Stato 2605/2001 in http://www.dirittoeschemi.it/gestserv.htm.

Cons. di Stato 2024/2003 in http://www.dirittoeschemi.it/gestserv.htm.

Tratta da http://www.dirittoeschemi.it/gestserv.htm

http://db.for-mez.it/GuideUtili.nsf/3b7a7f022877e857c1256ddc0052d5d8/a78f2af3f1bda773c1256e6000453566/Testo/M2/Il%2520contratto%2520di%2520servizio.pdf?OpenElement.

http://www.confin¬dustria.it/aree/cscscheco.nsf/7ec7313929482975c1257243004041e9/b5ffeb4d7ae4ab84c125726400500dcf?OpenDocument.

Legge 10 aprile 1981, n. 151 (Legge quadro per l’ordinamento, la ristrutturazione ed il potenziamento dei trasporti pubblici locali. Istituzione del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio e per gli investimenti nel settore).

http://www.consi¬glioregionale.piemonte.it/labgiuridico/dossier_info/dossier_info_19.pdf

Cfr. Gavazzi, M. Un programma di saccheggio privato dei servizi pubblici locali, in internet http://www.marxismo.net/content/view/2053/146.

Lanzillotta: macchè privatizzazione, è una riforma per i cittadini, intervista di Giovanni Visone su L’Unità del 2/11/2006.

ibidem.

Arruzza, C.- Oddi C. (a cura di), “15 anni dopo: pubblico è meglio”, Ediesse, 2007, pag. 23 (n).