Economia socio-ecologica politica e alleanza di lotta di resistenza contro lo sviluppismo capitalista

Luciano Vasapollo

Tratto dalle conclusioni del libro ”Capitale, Natura e Lavoro” (a cura di L. Vasapollo, Jaca Book, 2008)

“Bisogna inquadrare l’economia attuale nel ciclo storico nel quale siamo immersi. Questo ciclo comincia negli anni Settanta con una grande e ancora non risolta crisi capitalista di accumulazione, oltre che di sovrapproduzione, e si caratterizza nel generare grandi trasformazioni strutturali, tra cui la riallocazione della povertà e della ricchezza. C’è oggigiorno un aumento della povertà nei paesi ricchi e un aumento della ricchezza tra certi settori di popolazione dei paesi poveri. Se la competizione globale è una legge del sistema, lo sono anche quelle della concentrazione e centralizzazione di capitale che generano l’evoluzione quotidiana propria del capitalismo. Anche l’attuale processo di accumulazione flessibile significa maggiore concentrazione e centralizzazione. La concentrazione comporta che, per il processo di accumulazione, i capitali individuali diventano più grandi, più potenti. Le piccole imprese che non hanno un grado sufficiente di concentrazione non sono efficienti, e presto o tardi finiscono sotto il dominio del grande capitale, rappresentato dalle multinazionali. Per il processo di centralizzazione, il pesce grande mangia il piccolo: i capitali crescono non solo per la propria dinamica interna, bensì perché si uniscono mediante fusioni ed acquisizioni.”1

1. Questo libro evidenzia che quando il discorso neoliberista si insedia nell’America indigena-africana, nella Nuestra America di Martì e Bolivar, si comprende immediatamente come i lavoratori salariati, i proletari e gli indios, vadano a ricoprire un ruolo diversificato nel processo di accumulazione del capitale e di divisione internazionale del lavoro rispetto a quello anche di quei paesi sviluppati non appartenenti all’area di capitalismo maturo. L’America Latina è ancora una terra coloniale, cioè quella terra a cui anche la stessa Europa guarda per le opportunità di mercato che offre e mai per i chiari messaggi politico-sociali che invia; la sua dipendenza imposta dal capitale internazionale continua a rappresentare quel contesto in cui si approfondisce il crescente controllo trasnazionale dei processi di accumulazione nazionale, non solo attraverso la compressione dei diritti del lavoro e dei diritti sociali, lo sfruttamento a fini mercantili e consumistici della natura, ma soprattutto negando l’accesso alla proprietà sociale dei beni comuni. Ecco il perché della nostra attenzione tutta politica e culturale e senza alcun approccio romantico o nostalgico alla realtà della Nuestra America, che a causa della ristrutturazione neoliberista vede sempre più allargarsi la forbice ricchezza-povertà. Il ruolo di semiperiferia economico-produttiva assegnato all’America Latina ne fa un’area in cui più alta e diretta è la centralità del conflitto capitale-lavoro e nel configurarsi concreto e selvaggio e senza mediazione delle contraddizioni capitale-natura, capitale-scienza, capitale-democrazia, capitale-diritti (meglio con la negazione dello Stato di diritto attraverso la brutale repressione dei movimenti di classe) all’interno dell’esplicitarsi delle dinamiche del conflitto capitale-lavoro. Per mantenere lo sviluppismo capitalista e quindi la situazione di dominio internazionale da parte dei paesi imperialisti, il ricorso alle guerre e agli interventi militari è sempre più diffuso e giustificato in nome di lotta al terrorismo, di lotta alla droga, o di controllo degli Stati “canaglia”, cioè di tutti quei paesi che come Cuba, Venezuela e tanti altri, a partire da paesi come Bolivia ed Ecuador, non si rendono disponibili e compatibili ai voleri imperialistici. La scommessa sulla possibilità di far partire il percorso del Socialismo del XXI secolo in tutta Nuestra America si gioca proprio sull’asse Cuba-Venezuela-Bolivia. E anche tale considerazione da parte nostra non è basata su un sentimentalismo nostalgico rivoluzionario, caro a tanta sinistra eurocentrica che dice di appoggiare le rivoluzioni lontane da casa propria e poi accetta e spesso promuove le sostenibilità del modernismo sviluppista, di un incompatibile e inesistente capitalismo temperato a carattere sociale.

2. Come evidenzia Ernesto Che Guevara (1964): Nel Capitale Marx si presenta come un economista scientifico che analizza minuziosamente il carattere transitorio delle epoche sociali e la loro identificazione con le relazioni di produzione. Il peso di questo momento di intelligenza umana è tale da averci fatto spesso dimenticare il carattere umanista (nel miglior senso della parola) delle sue inquietudini. Il meccanismo delle relazioni di produzione e la sua conseguenza: la lotta di classe, nasconde in un certo senso il dato obiettivo che sono gli uomini a muoversi nell’ambiente storico. È per questo che la critica marxista all’economia, a partire dalla critica di Marx all’economia politica, va sviluppata sempre più su basi scientifiche, producendo contenuti di critica reale e non prevenuta non solo all’economia borghese, ma anche all’economia politica marxista per come si è sviluppata ed è stata applicata in molti casi nei paesi del socialismo dell’area sovietica. Rimane chiaro che l’economia politica marxista è contemporaneamente scienza ed ideologia critica come tutte le altre. Essa paradossalmente limitò il suo sviluppo proprio nel definirsi come unica scienza, e così paralizzò e ignorò determinate realtà in nome di una verità preconcetta (Hinkelammert 2004: 100). La critica non può avere per obiettivo quello di trasformare la scienza in un potere assoluto; in Marx, la critica del pensiero che lo precedette condusse a un pensiero di sintesi. La razionalità di tipo economico deve collegarsi alla razionalità sociale del modello e non il contrario: in altre parole, la razionalità sociale ha bisogno della razionalità economica come premessa, ma quest’ultima non esprime automaticamente la razionalità sociale. Non si tratta né della quantità né della qualità dei beni o dei servizi, ma piuttosto del modo in questi cui si producono e delle relazioni sociali che a lungo termine derivano da tale modo di produzione2.

È necessario creare, quindi, da subito un’alleanza tra una teoria fortemente critica dell’economia del profitto una nuova economia solidale dei popoli a carattere ecologico politico a forte compatibilità socio-ambientale, cioè sviluppando la centralità dell’armonia con l’uomo e la natura. Un’economia, quindi, del “vivir bien del socialismo comunitario”, in armonia con la madre terra, come la definisce il movimento indios boliviano; un’economia socio-ecologica politica che si coniuga ai processi di lotta che uniscono le varie forze sociali in un’alleanza di “resistenza globalizzata”, in grado di organizzare i lavoratori e gli sfruttati di tutto il pianeta in modo tale da costruire una alternativa socialista allo sviluppo capitalista, un’alleanza di sinistra anticapitalista che garantisca equità, redistribuzione della ricchezza nella giustizia sociale, salari minimi dignitosi, sanità, alloggi e diritti sociali, economici e civili per tutti, vera protezione ambientale, diritto all’indipendenza economica, sociale e politica. Mettere in collegamento i lavoratori che si impoveriscono dei paesi a capitalismo maturo con la nuova classe dei lavoratori della periferia produttiva come l’America Latina, che non solo oggi viene supersfruttata e vive direttamente sulle proprie spalle la distruzione della natura con gli stessi apparati e metodi fordisti usati nel passato ma che trova come controparte gli stessi poteri finanziari, economici e addirittura politici, non è più solo una giusta necessità e convinzione di intellettuali e di settori politicamente avanzati, ma una necessità concreta materiale della lotta per la sopravvivenza stessa dell’umanità. È a partire dalle lotte di indipendenza dei popoli, dalle lotte internazionali dei lavoratori, da una resistenza globale con le lotte di massa diversificate ma autodeterminate, che si costruisce concretamente un progetto globale, sul piano dei nuovi modelli teorici e di conflitto di classe per l’attuazione pratica della trasformazione; si realizza concretamente così, a partire dalle lotte del movimento internazionale dei lavoratori, dove ovviamente vi sono tutti i soggetti sfruttati, il contenuto pratico dell’economia socio-ecologica politica basata sulla centralità dell’uomo e della natura, quindi per i percorsi della transizione socialista

3. Le sorti delle lotte dei lavoratori e delle classi subalterne nei nostri paesi europei dipendono sempre più dall’evoluzione delle resistenze popolari dei popoli direttamente aggrediti dall’imperialismo a Cuba, Venezuela, Bolivia, Ecuador e in tutta Nuestra America, in Medio Oriente e in Asia. Nella Nuestra America del XXI secolo la battaglia culturale, economica e politica di massa si fonda sul superamento del conflitto capitale-lavoro e della contraddizione capitale-natura nelle diverse e attuali modalità della transizione al socialismo. Il Venezuela costruisce la propria identità del socialismo bolivariano e con le Missioni dichiara guerra all’analfabetismo, porta medici nei quartieri poveri, nazionalizza il petrolio e ha un forte e coraggioso sostegno popolare con la ormai forte caratterizzazione socialista della rivoluzione bolivariana di Chavez. “È finita l’era del saccheggio” ha dichiarato qualche tempo fa Evo Morales e sotto la spinta dei movimenti proletari, e dei movimenti indios del “vivir bien” e di classe vengono promulgati decreti per la nazionalizzazione degli idrocarburi e delle risorse naturali, dei beni comuni, realizzando nelle forme e i contenuti l’armonia solidale con la natura, ne socialismo comunitario che difende l’umanità. E poi c’è Cuba, presenza storicamente forte, tanto da diventare ingombrante per chi la guarda, dal cosiddetto “Primo Mondo”; è lì e da quasi cinquanta anni resiste a tutte le aggressioni imperialiste. Cuba non è sola e il blocco economico, le sanzioni, le informazioni taciute, gli attentati, i morti, il tanto danaro speso per farla sparire sono stati inutili; perché è li e continua a dire al resto della Nuestra America che un altro mondo è possibile, esiste già, è nei percorsi di costruzione e consolidamento del socialismo. Cuba, il Venezuela e la Bolivia forniscono chiari esempi di come prendere e tentare con determinazione di difendere nel tempo il potere politico, con una netta configurazione di classe, con la contaminazione fra cultura marxista e cultura indios e rivoluzione bolivariana, nella costruzione di una globalizzazione dell’armonia solidale, contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, contro la distruzione della natura. Ecco perché è strategico il nostro appoggio al rafforzamento dell’asse portante rivoluzionario Cuba-Venezuela-Bolivia, poiché esprimono quella soggettività politica che avanza nella costruzione reale del progetto del Socialismo del XXI secolo.

4. Non è casuale che l’attenzione dei governi europei e statunitensi per l’America Latina ha lo scopo di imporre la volontà delle multinazionali sui modelli di consumo (la conquista delle risorse naturali - oggi ad esempio gli agrocombustibili per le industrie del Nord - portando ancor di più la miseria per i popoli affamati dei paesi poveri) e di cercare di svincolare l’impero del consumo dell’Occidente dalla dipendenza petrolifera ed energetica dal Sud America e molti altri Sud del mondo. È così che si va configurando la nuova dimensione e prospettiva neo-liberista utilizzando la guerra guerreggiata e il terrorismo di Stato, ma mostrando anche, e oggi soprattutto, il volto del potere economico-sociale e dei centri di comando finanziari e commerciali. Ecco perché, ad esempio, l’imperialismo USA punta fortemente sul progetto del trattato dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), visto negativamente da tutti i movimenti sociali, i popoli indigeni, i sindacati, i partiti politici progressisti; e ormai molti governi della Nuestra America si oppongono con la grande svolta dell’ALBA, l’alternativa bolivariana. Il principio che guida l’ALBA è quello di una maggiore solidarietà tra i popoli, che si rifà al pensiero di Bolívar, Martí e tanti altri grandi rivoluzionari di Nuestra America. Lo scopo è la trasformazione delle società, a partire da processi che si oppongono alla crescita quantitativa imposta dal modo di produzione capitalista e a uno sviluppismo contro natura e contro l’umanità, costruendo invece uno sviluppo equilibrato e della solidarietà, a partire dalla valorizzazione delle economie locali che garantiscano l’abolizione delle disuguaglianze sociali, dello sfruttamento dell’uomo e della natura, attraverso un miglioramento della qualità di vita e un intervento attivo dei popoli nella determinazione del loro proprio destino.

5. È così che si può comprendere perché le trasformazioni che hanno avuto maggior successo finora, nella Nuestra America, hanno avuto luogo a Cuba, in Bolivia e in Venezuela, dove movimenti politici di base diretti da leaders rivoluzionari hanno una strategia chiara per esercitare il potere politico, governando ad esempio per la difesa dello Stato sociale, non con il semplice “no” alle privatizzazioni ma con le nazionalizzazioni e forme di superamento della proprietà privata dei mezzi di produzione. È per questo che anche se oggi la situazione viene definita di “controllata normalità” si sente ancora da parte dell’imperialismo la necessità di bloccare l’offensiva operaia e la lotta di liberazione anticapitalista, in tutto il Continente Rebelde, in tutta la Nuestra America dell’alternativa al capitalismo. È questa la sfida di Cuba, Venezuela, Bolivia e dei sindacati di classe e dei movimenti indios, degli antagonisti sociali e politici, in Brasile, in Ecuador, in Uruguay, in Argentina, in Nicaragua, in Italia, in Europa e in tante altre parti del mondo, come unica alternativa per sconfiggere la barbarie del dominio del capitale che oggi opprime e desocializza l’umanità che lavora. L’eurocentrismo egemone all’interno della sinistra in Europa è per fortuna ampiamente minoritario tra i movimenti e la sinistra nel resto del mondo, soprattutto in America Latina, Asia e Africa. Per questo la difesa dei paesi e dei popoli aggrediti dall’imperialismo e il sostegno ai governi rivoluzionari che si richiamano al Socialismo del XXI secolo e a tutti i movimenti di resistenza anticapitalista, deve cominciare a interagire politicamente e concretamente con i movimenti di classe in Europa. L’avvicinamento e il rafforzamento delle relazioni tra lotte sociali, economiche e politiche al centro, come ad esempio in Italia, e quelle nella Nuestra America, come quelle in Palestina, in molti paesi dell’Asia e dell’Africa, sono, pertanto, fondamentali per l’avanzamento di una globalizzazione della solidarietà dei popoli e nella prospettiva della costruzione del Socialismo del XXI secolo. Il tutto in un unico processo che sappia coniugare la forza del sindacalismo di base in Italia e in Europa, ai movimenti di classe e indios nella Nuestra America e a tutti i movimenti internazionali dei lavoratori che con culture diverse, quelle storiche del movimento operaio marxista, quelle del “vivir bien” dei movimenti indios, dei processi rivoluzionari martiani e bolivariani, si muovono nell’orizzonte del superamento del modo di produzione capitalista.

6. Su questi temi la sinistra di classe europea deve chiamare a una riflessione attenta tutti i movimenti e la stessa sinistra cosiddetta radicale che continua, nella migliore delle ipotesi, a esprimere politiche eurocentriche ma sempre più spesso senza un vero piano di riforme strutturali, procedendo a scegliere la strada del consociativismo nelle compatibilità di un illusorio capitalismo “temperato”. In altre parole, si tratta di cercare l’imprescindibile articolazione tra gli interessi immediati dei lavoratori, degli sfruttati, e un’azione strategica di chiara impronta anticapitalista, che abbia come orizzonte un’organizzazione politica fondata su valori socialisti e di reale emancipazione. Il che riconferma una volta di più l’importanza decisiva della creazione di nuove forme di organizzazione internazionale e solidale tra mondo del lavoro e del lavoro negato, delle minoranze emarginate in una globalizzazione altra, perché socialista, nell’interesse dei processi di autodeterminazione dei popoli che scelgono di vivere in armonia con la natura, difendendo l’umanità, con la solidarietà, con i nuovi percorsi del Socialismo del XXI secolo, spesso ancora da ricercare in una interrelazione fra teorie della trasformazione e lotte sociali. È ora che le associazioni di base, le organizzazioni e i movimenti di classe e indios, gli emarginati, gli sfruttati del sistema del capitale analizzino perché senza un forte connotato anticapitalista le proteste di massa, anche sul terreno del drammatico problema modelli di sviluppo e impatto socio-ambientale, non sono state efficaci nell’invertire la marcia verso la società del profitto, dello sfruttamento mercantile dell’uomo e della natura; questo purtroppo è stato l’approdo sempre più moderato della sinistra europea e a questo si oppongono i grandi movimenti dell’alternativa al capitalismo in Nuestra America. Ed è proprio da Nuestra America che si evidenzia l’urgenza e lo spazio politico per una adeguata battaglia culturale e politica di massa sul terreno del superamento del modo di produzione capitalista per diffondere la convinzione che le sorti di chi si oppone alla mondializzazione neoliberista tanto nelle metropoli quanto nelle periferie sono inscindibilmente legate, in una unica grande battaglia del Socialismo del XXI secolo e per la difesa e i diritti di tutta l’umanità. E anche in Europa va affrontata la battaglia dell’unità di percorso della sinistra anticapitalista con la capacità di esprimere quella soggettività tutta politica di rappresentanza di classe, capace di indirizzare i movimenti di massa, sociali e sindacali, sul terreno anticapitalista, della costruzione dei percorso reali di trasformazione teorici e di lotta, capaci di diffondere la convinzione che le sorti di chi si oppone alla mondializzazione capitalista tanto nelle metropoli quanto nelle periferie sono inscindibilmente legate alle dinamiche del conflitto capitale-lavoro con le connesse contraddizioni capitale-natura, capitale-scienza, ecc..

7. L’internazionalismo dei popoli non può continuare a essere una moda, una ricerca sentimentale e ideologica di alcuni settori ristretti della sinistra eurocentrica cosiddetta di alternativa, ma deve diventare un patrimonio condiviso da tutti quei movimenti sociali e politici che mettono in discussione, anche dentro i confini delle potenze dei paesi a capitalismo maturo, gli assetti di potere politici ed economici. Il processo di unificazione europea e il conseguente acuirsi delle contraddizioni della competizione globale costringono oggi qualunque soggetto a confrontarsi con l’interdipendenza dei conflitti all’interno del quadro internazionale e globale e per chi si muove sull’orizzonte del superamento del capitalismo a confrontarsi con rispetto con chi in Nuestra America sta attuando i processi di transizione per il Socialismo del XXI secolo. Ecco perché sosteniamo, sul piano teorico e della realtà pratica dei movimenti internazionali di classe, che la contraddizione capitale-natura può essere interpretata e affrontata solo dentro il conflitto capitale-lavoro, dentro le dinamiche del conflitto di classe. Ecco la centralità del dibattito e del percorso di analisi e di lotta, di rappresentanza e di organizzazione nel processo di coniugazione di pensiero e azione delle economie alternative a carattere socio-ecologico politico nei percorsi di costruzione e consolidamento del socialismo. Una coniugazione tra conflitto sociale e teorie d’alternativa complessiva dal modo di produzione capitalista, in quello che a noi piace chiamare economia socio-economica politica derivante da una fondamentale interrelazione fra analisi marxista e cultura indios; contaminazione che trova la sua concretezza nei processi in corso che legano il socialismo più propriamente marxista, il socialismo bolivariano, il socialismo comunitario indios nel Socialismo del XXI secolo, che parte da Nuestra America per contaminare il mondo intero in difesa dell’umanità.

Univ. “La Sapienza”; Direttore Scientifico CESTES e delle riviste PROTEO e Nuestra America

Si veda L. Vasapollo, Trattato di Economia Applicata. Analisi Critica della Mondializzazione Capitalista, Jaca Book, Milano 2007, p. 3

Ivi, p. 7