La crisi capitalista mondiale: una nuova situazione storica

LATIEF PARKER

1. Uno spettro si aggira per tutte le cittadelle del capitale mondiale, per tutte le banche centrali e tutte le istituzioni finanziarie del mondo, distribuendo “shock and awe” a tutte le classi dirigenti ed elite burocratiche ed ai loro governi. Dalla Casa Bianca a Downing Street al quartiere generale dell’Unione Europea, a Bruxelles, Berlino, Parigi, Roma, Madrid nell’Europa continentale e da Tokio, Singapore, Seul e Giakarta in Asia alle capitali dell’America Latina e più in là a Mosca e Pechino, un incubo comune domina: lo spettro di una crisi mondiale, simile o addirittura peggiore a quella del 1929 ed alla Grande Depressione degli anni ’30, sta tornando. Dall’esplosione della bolla del mercato dei mutui sub-prime americani e con l’eruzione di una crisi del credito senza precedenti dall’estate del 2007 fino ad oggi, non si tratta più di una prognosi fatta da ostinati rivoluzionari marxisti ma di un’asserzione, ripetuta in continuazione da ben noti rappresentanti del capitale finanziario globale, compresi George Soros e l’ex-chairman della US Federal Riserve Alan Greenspan, e da autorevoli istituzioni del capitalismo mondiale, come il Fondo Monetario Internazionale (IMF) o la Bank of International Settlements (BIS). Il collasso del mercato americano dei mutui sub-prime ha scatenato un rivolgimento finanziario ed una stretta creditizia che hanno portato ad aumenti dei prezzi del petrolio e delle merci, ma sopratutto a uno scivolare verso una recessione economica sincronizzata del mondo che non può essere fermata. Nel 2007-2008 il mondo ha visto, per fermare lo svolgimento della crisi ed i relativi pericoli sistemici, continui interventi senza precedenti in natura ed in termini di scala delle autorità statali e delle banche centrali delle economie capitaliste più potenti e dei paesi imperialisti del mondo, in nord America, Europa ed Asia, che alla fine si sono rivelati fallimentari. Centinaia di milioni di dollari, euro e yen sono stati iniettati nel sistema bancario, una politica monetaria espansionista di tagli ai tassi di interesse è stata seguita dalla FED americana e da altre banche centrali. Stimoli fiscali, cioè tagli delle tasse a favore dei ricchi in difficoltà, sono stati introdotti. Ma la spirale della crisi mondiale ha continuato a svolgersi minacciando il sistema intero. L’evidente fallimento del cosiddetto “neoliberalismo”, il dogma economico seguito da quasi tutti i governi capitalisti negli ultimi trenta anni, è ben rappresentato dalle drammatiche azioni intraprese urgentemente dai campioni della privatizzazione, della Reaganomics e del Thatcherismo in USA ed in UK: la nazionalizzazione della Northern Rock Bank in Gran Bretagna nel Settembre 2007, di Bear Stern, una delle quattro grandi banche di investimento degli Stati Uniti, nel Marzo 2008, e sopratutto dei due giganti Fanny Mae e Freddie Mac che controllavano i 4/5 del disastrato mercato americano dei mutui nel Settembre 2008.

2. Le due “imprese sponsorizzate dal governo” (GSE) erano state fondate dall’Amministrazione americana non semplicemente come istituzioni finanziarie ma come pilastri di un sistema difensivo contro gli effetti devastanti sulle famiglie americane di una crisi tipo quella del 1929. Ora questi due pilastri, per prevenire un nuovo 1929, sono al collasso, ed una operazione di salvataggio senza precedenti è stata messa su dalle autorità statali, con risultati dubbi. Fanny Mae era stata fondata, inizialmente come impresa pubblica, durante la depressione, nel 1938, proprio per quella ragione. La sua missione era di acquistare mutui dalle banche, impacchettarli e venderli agli investitori, assorbendo il rischio della presenza di chi non poteva pagare il mutuo, mentre gli investitori si prendevano il rischio dei tassi di interesse. Si trattava di “un ingegnoso meccanismo per rendere l’acquisto di case disponibile in tempi disperati” (Financial Times, Editoriale, 8 Settembre 2008). Freddie Mac fu fondata nel 1970 come concorrente di Fanny Mae, poco prima di un’altra grande crisi: il collasso di Bretton Woods, ratificato dalle misure di Nixon del 15 Agosto 1971 per terminare la convertibilità fissa del dollaro americano con l’oro. Entrambe le imprese, pur avendo ora azionisti privati, erano “sponsorizzate dal governo”, e distribuivano mutui accettabili con garanzie implicite del Tesoro. Durante gli anni della globalizzazione finanziaria e della speculazione selvaggia, particolarmente con l’orgia della costruzione di bolle edilizie e la “securitizazion” del 2002-2007, entrambe le imprese divennero sempre più aggressive, assumendosi sempre più rischi e disperdendoli globalmente con investitori stranieri. Insieme, accumularono perdite della grandezza di 5,4 trilioni di dollari, una “somma uguale all’intero deficit commerciale degli USA, insieme con beni correlati con i mutui più o meno dello stesso valore” (Financial Times, 9 Settembre, 2008). In altre parole le perdite di queste due imprese erano diventate grandi come il 40% del PIL americano! Il momento della verità è venuto con lo scoppio della bolla sub-prime. Nell’anno precedente i tassi di inadempienza sui mutui americani erano più che raddoppiati, e per Fanny Mae e Freddie Mac era sempre più difficile trovare il capitale per fare fronte alle perdite. Nel Luglio 2008 gli investitori stranieri hanno cominciato a ritirare i propri capitali da Fanny Mae e Freddie Mac, rendendo necessario ad Hank Paulson, il Ministro del Tesoro USA, di annunciare la necessità di una operazione di salvataggio, una quasi-nazionalizzazione che è stata realizzata nel fine settimana del 6-7 Settembre 2008.

3. Il Prof. Nouriel Rubini della New York University ha evidenziato: “Gli USA hanno operato la più grande nazionalizzazione nella storia dell’umanità. Nazionalizzando Fanny e Freddie, gli Stati Uniti hanno incrementato i propri beni pubblici di quasi 6 trilioni di dollari, ed hanno incrementato il proprio debito della stessa quantità. Gli USA sono diventati il più grande hedge fund di proprietà governativa del mondo: iniettando un probabile $200 milioni di capitale in Fanny e Freddie e prendendo i quasi $6 trilioni di perdite di tali imprese governative, gli USA hanno anche intrapreso il più grande LBO (“leveraged buy out”) della storia umana, che ha un rapporto debito/azioni ordinarie di 30 ($6000 di debito contro 200 milioni di azioni) (Printshare, 9 Settembre, 2008). Egli aggiunge: “Tale enorme bailout e nazionalizzazione della storia umana viene dalla più fanatica ed ideologicamente zelante amministrazione della storia americana”. Non vi è alcun dubbio che tale gigantesco bailout mette una pietra tombale non solo su quello che era chiamato, in maniera distorta, “neoliberalismo” ma su una intera epoca dominata dalla illusione capitalistica centrale di una economia di mercato auto-regolata dalla “mano invisibile”. Ciò dimostra che la legge del valore come principio regolatore dell’economia si è esaurita, e che il capitalismo mondiale, nella sua fase imperialista avanzata, è entrato da molto tempo in una epoca storica di declino. L’Amministrazione USA, naturalmente, non aveva alternative al trasgredire i propri principi fondativi, quelli del del fondamentalismo capitalista. Essa non poteva permettere che due imprese sponsorizzate dal governo con un debito uguale al 40% del PIL americano collassassero sotto i colpi della “mano invisibile”. Tale collasso avrebbe significato caos nel sistema finanziario internazionale, un problema per il dollaro, ed una dichiarazione di insolvenza da parte degli Stati Uniti. Il bailout di Fanny e Freddie era inteso a rassicurare i detentori stranieri del debito dell’agenzia, inclusi quelli delle due imprese, per i quali il governo americano stava offrendo un cuscino. John Garper del Financial Times scrive: “Secondo recenti cifre del Tesoro, la detenzione straniera del debito dell’agenzia americana è cresciuta da 107 miliardi di dollari nel 1994 a 1.304 miliardi nel Giugno dell’anno scorso. Si è superato il tasso di crescita della detenzione da parte di stranieri sia dei buoni del Tesoro sia del debito “corporate”. Recentemente, tuttavia, gli investitori stranieri hanno cominciato a sentire i piedi freddi su questo tema. Il Financial Times ha riportato il mese scorso, per esempio, che la Bank of China ha tagliato la propria esposizione durante l’estate. Mr.Paulson si è trovato davanti ad un fatto compiuto. Il governo federale ha dovuto dare rassicurazioni agli investitori stranieri sui debiti dell’agenzia se voleva evitare caos nei mercati finanziari e problemi per il dollaro. Tutto odora delle passate crisi del debito dei paesi latinoamericani, ove le pressioni finali per un salvataggio sono venuti dagli investitori stranieri” (Business Blog, FT, 8 Settembre, 2008). In altre e più semplici parole, un anno dopo l’inizio della crisi gli Stati Uniti d’America, il paese capitalista più potente del mondo, si confronta con un pericolo simile a quello che ha condotto al fallimento di un paese latinoamericano come l’Argentina nel 2001! Sebbene il governo americano non avesse alternative alla nazionalizzazione di Fanny e Freddie, l’operazione di salvataggio produce nuovi problemi. Le banche regionali americane che detenevano i $36 milioni di preferred stock combinati di Fanny Mae e Freddie Mac sono state forzate a ridurre le quantità in loro possesso. I fondi spesi per l’operazione di salvataggio (circa 2-300 milioni di dollari) prevengono la ripetizione di una tale operazione per altre istituzioni finanziarie in pericolo, come per esempio la grande banca di investimento Lehman Brothers, che è stata costretta alla fine a fallire. La bancarotta di Lehman Brothers è coincisa con la vendita forzata di Merryll Lynch nel fine settimana del 13-14 Settembre 2008, seguita dal salvataggio dell’ultimo minuto della gigantesca compagnia di assicurazioni AIG da parte della Fed, che ha mostrato chiaramente come il disastro finanziario globale guidato dagli americani non si sia fermato. Il più grande bailout della storia del capitalismo mondiale non ha risolto l’intero tremendo problema della sovra-accumulazione di capitale fittizio, che è molto più grande di quello delle due imprese. “Le sfide che il sistema finanziario USA e l’economia mondiale devono affrontare proibiscono soluzioni facili o veloci” ha detto Larry Hatheway, economista dell’UBS. “Il piano GSE è una condizione necessaria e non sufficiente per ripristinare la fiducia degli investitori [...] dopo un rimbalzo iniziale, sospettiamo che la ripresa dei mercati si appannerà mentre gli investitori si abituano alle conseguenze del rallentamento della crescita globale” (Financial Times, 8 Settembre, 2008). Questo è esattamente ciò che è accaduto nei giorni dopo il bailout.

4. Le vere conseguenze del salvataggio stanno emergendo, e si è rivelato che la minaccia sulle finanze USA si è aggravata. Il 9 Settembre, il Congressional Budget Office (CBO), bipartisan, l’autorità indipendente principale sulle finanze USA, ha dichiarato che le due imprese di mutui “sotto protezione” vanno incluse nel bilancio federale. L’annuncio è arrivato come una bomba nel momento nel quale il CBO alzava le proprie stime di base per il deficit di bilancio americano a 407 miliardi di dollari per il 2008 ed un record di 438 miliardi nel 2009. Così, con la crescita dei deficit USA, la necessità di investitori stranieri per finanziarla cresce, e la affidabilità in termini di credito degli USA si sta rapidamente deteriorando. Il rapporto del debito USA totale rispetto al PIL è andato dal 240% del 1990 al 340% del 2006. Si è aggravato con i drammatici sviluppi del 2007-2008, compresa l’addizione al debito pubblico delle perdite di 6 trilioni di Fanny e Freddie. Il problema del super-indebitamento americano, compreso il costo del bailout delle due imprese in questione, sarà trasferito alla prossima amministrazione. Sia che sia guidata da Obama sia che venga guidata da McCain, la prossima amministrazione si troverà minata fin dall’inizio dall’eredità ricevuta dall’Amministrazione Bush: un debito che cresce come un pallone, deficit giganteschi, ed una minacciosa catastrofe finanziaria - insieme ad una egualmente catastrofica impasse nella “guerra al terrore” internazionale in Medio Oriente ed in Asia. L’America, il punto storicamente più alto di sviluppo del capitalismo mondiale, è stata trasformata in un super-potere militare che si è esteso troppo e che è basato sull’economia più indebitata, parassitica e contraddittoria del mondo. Il centro del capitalismo mondiale è diventato il centro della sua crisi e della sua disintegrazione. Malgrado si parlasse all’inizio di una crisi localizzata al mercato edilizio americano, che non si sarebbe estesa internazionalmente alle altre economie, il vero carattere globale della crisi si era già mostrato il 9 Agosto 2007, il cosiddetto “Giorno della Debitonazione”, quando tutte le transazioni internazionali tra banche furono bloccate. Nessuno può dire che questa sia una crisi americana piuttosto che mondiale, o che la crisi sia limitata alla sfera finanziaria lasciando intatta l’economia “reale”. La crisi ha iniziato il rallentamento della sfera produttiva. Tutte le previsioni dei tassi di crescita per il 2008 e 2009 si sono dovute rivedere al ribasso, in America, nell’euro-zona ed in Giappone. L’Unione Europea è stata particolarmente colpita ed il motore della sua economia, la Germania, è già in recessione. Lo spettro di un ritorno della Grande Depressione (o peggio) volteggia sull’economia mondiale.

5. La bolla dei prezzi delle case americane, la cui esplosione ha iniziato la crisi mondiale corrente, si era espansa mostruosamente negli anni 2002-2007. Fu quello un periodo di super-espansione di capitale fittizio a seguito dell’uragano finanziario internazionale del 1997-2001, che cominciando dall’Asia nel 1997 aveva condotto alla caduta della Russia ed alla debacle USA dei fondi hedge (Long Term Capital Management) del 1998, al collasso della economia dot.com negli USA del marzo 2001 seguita da una seria recessione e a ulteriori collassi, come i casi Enron e dell’Argentina alla fine dello stesso anno. Per fermare la destabilizzazione economica e politica prodotta da queste instabilità internazionali i tassi di interesse furono portati a livelli estremamente bassi in America ed in Europa. Una super-attività speculativa con il denaro a basso prezzo, l’espansione dei debiti garantiti da altri debiti, la costruzione di gigantesche piramidi di derivati e la cosiddetta “rivoluzione della securitization” in finanza provocò e disseminò a livello internazionale un enorme numero di bolle, che inizialmente apparivano come un enorme campo di super-profitti che sembrava essere una vasta area mineraria che copriva il pianeta intero. Una delle miniere era il mercato dei mutui sub-prime, che esplose lasciandone moltissimi altri, con poteri devastanti molto maggiori, in luoghi sconosciuti internazionalmente.

6. La rivoluzione della securitization ha come base delle proprie piramidi fittizie i derivati. I derivati sono l’ultimo e più estremo feticcio, per usare l’espressione che Marx usa per il capitale fittizio nel Capitale. Non hanno valore intrinseco. Essi derivano il proprio valore o da altri beni reali o dalla distorta riflessione del valore di altri prodotti finanziari. “Il loro prezzo di mercato è il risultato di domanda speculativa, e in quantità minore di quanto rapidamente le istituzioni finanziarie possono creare i beni finanziari originali (per es. i prestiti per mutui) sui quali i derivati sono poi sviluppati. In più, i derivati possono essere creati su altri derivati in una piramide infinita di offerte speculative finanziarie. Come un castello di carte le offerte si possono accumulare una sull’altra, fino al momento che una delle carte scivola fuori posto portando giù con sé il resto” (Jack Rasmus, From Global Financial Crisi to Global Recessione, Z Magazine Marzo 2008, URL.: www.scommunications.org/zmag/viewArticle/16736). Il mercato dei derivati si è espanso da 100 trilioni di dollari nel 2002 a 516 trilioni nella stima della BIS nel 2007, o 585 trilioni secondo altre stime! Come paragone, tutti i veri beni e servizi prodotti da tutte le economie del mondo annualmente, il PIL annuale, è meno di 50 trilioni di dollari, ed il PIL annuale degli USA è di circa 13 trilioni. Ne segue chiaramente che nessun intervento di banche centrali e nemmeno di tutte le banche centrali del mondo insieme possa neanche controllare la tempesta di questo oceano di derivati. La securitization ha apparentemente operato la separazione del debito e del rischio disperdendo il debito come una frazione in una piramide (o in una serie di piramidi) di derivati. Nel 1998 il volume totale internazionale di offerte “securitized” ammontava a meno di 100 miliardi di dollari. Per il 2003 era raddoppiata a 200 miliardi, aveva raggiunto i 500 miliardi nel 2005, ed aveva superato un trilione di dollari nel 2006. La dispersione del rischio per mezzo della “securitization”, inizialmente salutata come una protezione sicura attraverso l’aumento del numero di chi prestava nella piramide del debito, si è rivelata essere una moltiplicazione e globalizzazione del rischio, che è diventato sempre più occulto. L’opacità dei mercati finanziari trasforma un rischio calcolato in una incalcolabile incertezza. La dispersione del rischio in un mondo già opaco come la finanza globalizzata crea un vasto spazio di incertezza, o, in maniera figurata, la leggendaria area mineraria globale nella quale nessuno sa quando, dove, come, una miniera esploderà distruttivamente. Questo è quanto accade al momento. Relativamente presto, nel 2002, Warren Buffet, il più ricco investitore mondiale, aveva chiamato i derivati “armi finanziarie di distruzione di massa”, e che il mercato dei sub-prime era “scivolato fuori posto” portando con sé il resto del castello di carte. Il momento economico relativamente positivo dopo il 2002 era sostenuto da questo castello di carte speculativo costruito sul fragile asse tra gli USA con il loro deficit che cresceva enormemente mentre le attività speculative diventavano più frenetiche e la Cina, i cui surplus provenienti dalla potente crescita industriale della sua economia basata sull’esportazione hanno aiutato a finanziare i deficit americani. Questo asse era chiamato il “Ponte Goldman Sachs” per Pechino. Non è per caso che difficoltà alla Borsa di Shanghai nel Febbraio e Maggio 2007 abbiano coinciso con i primi segnali che la bolla sub-prime stava scoppiando: il 9 Marzo 2007, con la decisione di New Century di non fare più credito, ed il 12-20 Giugno 2007 quando Bear Stern chiuse due fondi hedge (vedasi John Silvia, Impact of the Credit Crisis on Banks and Business, Wachovia Economics Group, Novembre 29, 2007). Dopo lo scoppio della bolla, la confusione finanziaria internazionale e la riduzione del credito, il nuovo shock dei prezzi del petrolio e delle merci e la discesa nella recessione mondiale, il fragile asse della temporanea stabilizzazione 2002-2006 era stato, per metterla in maniera ottimistica, seriamente danneggiato.

7. La presente crisi mondiale, per la sua origine, natura, dimensione e dinamica, non può essere considerata come un crisi congetturale o ciclica; si tratta di una manifestazione esplosiva delle contraddizioni globali insolubili del capitalismo all’epoca del suo declino storico avanzato. Viene fuori dalla intera storia e logica del capitale e deve essere situata in quella storia ed in quella logica per essere efficacemente compresa. Alan Greenspan parla della “crisi peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale”, George Soros va più in là nel passato chiamandola “la crisi peggiore dal 1929”. Entrambi i rappresentanti del capitale finanziario misurano la crisi con il metro di due eventi fondamentali della nostra epoca. La crisi del 1929 fu un brutale memento del cambiamento epocale dalla prima guerra mondiale e dalla rivoluzione socialista di Ottobre in Russia. Il mondo dopo la prima guerra mondiale e la stabilizzazione politica diretta contro una estensione internazionale della rivoluzione verso l’Europa occidentale era basato sulla espansione del capitale fittizio e sul super-indebitamento dell’Europa nei confronti della nuova potenza mondiale, l’America; ma il ritorno allo standard aureo pre-guerra, il sistema monetario internazionale del capitalismo ascendente, in un’altra fase storica dello sviluppo capitalista, ebbe risultati catastrofici conducendo alla caduta di Wall Street, alla Grande Depressione degli anni ’30, ed infine alla seconda guerra mondiale. L’imperialismo, come correttamente rilevato da Lenin e Trotzky, non è una politica ma un’epoca, non è semplicemente l’espansionismo militare di una potenza capitalista ma la più alta ed ultima fase del capitalismo, il momento del declino. Keynes ed il Keynesismo hanno preso nota di questo cambio epocale ed hanno insistito, durante il summmit di Versailles, che il capitalismo mondiale aveva bisogno di una nuova strategia economica per affrontare la sfida rappresentata dall’epoca aperta dalla rivoluzione Sovietica. Politiche proposte da Keynes furono introdotte prima durante il New Deal di Franklyn Roosevelt per affrontare la devastazione degli anni della Depressione negli Stati Uniti. Poi, dopo la seconda guerra mondiale - il punto di riferimento menzionato da Greenspan - il Keynesismo fu attuato internazionalmente nel quadro degli accordi di Bretton Woods. Tali accordi riflettevano il fatto che l’America era venuta fuori come la potenza imperialista egemonica del mondo post-bellico, con due terzi delle riserve auree mondiali accumulate, cosa che gli permetteva di creare un nuovo sistema monetario internazionale, il Gold Exchange Standard, basato sulla convertibilità fissa del dollaro americano con l’oro. Ma sopra tutto, si era in presenza anche di una ritirata storica di fronte alla rinnovata forza della classe operaia internazionale ed europea e ai movimenti di liberazione nazionale nelle colonie. Essa rifletteva le mutate relazioni di forza di classe, con l’emersione della classe operaia europea dopo il superamento degli effetti devastanti della sconfitta subita dal fascismo e dal nazismo nel periodo pre-bellico. Tale classe era potente e perfino armata con i movimenti anti-fascisti di massa, e chiedeva un cambiamento sociale radicale e non un ritorno alla miseria che aveva prevalso nel decennio precedente. La collaborazione di classe stalinista e del Cremino con gli alleati imperialisti per imporre l’ordine internazionale di Yalta e Potsdam della divisione dell’Europa disarmò i partigiani in Italia e Francia e, nel caso della Grecia, condusse ad una cocente sconfitta i combattenti traditi dell’EAM-ELAS e dell’Esercito Democratico. Il ruolo dello stalinismo fu cruciale per creare le condizioni politiche entro il quadro di Bretton Woods. Dall’altro lato, senza concessioni Keynesiane e senza la costruzione di un Welfare State, il tentativo di tornare alle politiche capitaliste pre-belliche o allo standard aureo era impossibile e non sostenibile. Avrebbe potuto condurre a nuove esplosioni rivoluzionarie e non ad una stabilizzazione politica, sociale ed economica nel Vecchio Continente ove il capitalismo era nato, una conditio sine qua non per il futuro dell’America stessa. Una espansione capitalista senza precedenti nei “trenta anni gloriosi” seguì su questa base di Keynesismo internazionalizzato, conducendo infine inesorabilmente ed una crisi di sovrapproduzione di capitale ugualmente senza precedenti che distrusse Bretton Woods alla fine degli anni ’60 inizio anni ’70. Il collasso dell’accordo post-bellico fu accompagnato da una impennata rivoluzionaria di più di un decennio: i movimenti per i diritti civili e contro la guerra negli USA, il movimento degli studenti in Germania, il Maggio 1968 in Francia, la Primavera di Praga, l’Autunno Caldo in Italia, Messico, il Cordobazo in Argentina ed altre lotte rivoluzionarie in tutta l’America Latina, la rivoluzione Portoghese, la caduta delle dittature nel sud d’Europa, il trionfo dalla rivoluzione vietnamita, più tardi il rovesciamento rivoluzionario di Somoza e del regime dello Shah. Si trattava di un tremendo ritorno della rivoluzione socialista mondiale. Le ancora potenti burocrazie staliniste e la socialdemocrazia fecero tutto il possibile per far deragliare il movimento rivoluzionario, che era ancora immaturo, senza propri partiti rivoluzionari indipendenti, forti ed esperti. L’onda rivoluzionaria si ritirò e si crearono le condizioni perché il capitalismo provasse a cercare un’altra strategia di sopravvivenza. Tale strategia era legata alla svolta verso la de-regolazione finanziaria, il movimento libero dei capitali, la globalizzazione dei mercati finanziari, combinata con una sistematica campagna di privatizzazioni, la distruzione del welfare state e di tutte le conquiste sociali della popolazione lavoratrice, iniziata dalla fine degli anni ’70 inizio anni ’80 dai regimi di Thatcher e Reagan.

8. La globalizzazione finanziaria era una soluzione per il surplus di capitale che stagnava, ma anche una strategia politica per ridurre le minacce rivoluzionarie che venivano fuori dalla stabilizzazione post-bellica. Essa diffuse devastazioni sociali nei paesi del Terzo Mondo; creò condizioni da Terzo Mondo, milioni di disoccupati di lungo periodo, nuovi ghetti di esclusione sociale nei paesi metropolitani e nelle grandi città; aumentò mostruosamente le ineguaglianze alzando i tassi di sfruttamento a livelli senza precedenti ed usando il trasferimento di surplus nelle mani di una piccola minoranza parassitica, una oligarchia finanziaria dedita alle attività speculative. Ma non vi è stata una risoluzione delle contraddizioni sistemiche accumulate; la globalizzazione finanziaria ha globalizzato tali contraddizioni. La crisi di sovrapproduzione del capitale produttivo fu accorpata con una crisi di sovrapproduzione di capitale fittizio. Ebbe luogo una riproduzione espansa di tutti gli aspetti di una crisi potenziale: sovrapproduzione, sproporzione, sottoconsumo, tendenza del tasso di profitto a cadere. Se una piramide di più di 500 trilioni di derivati fittizi ha come base materiale i 50 trilioni dei PIL mondiali, tale abisso divisorio produce una enorme instabilità dell’economia mondiale. La instabilità strutturale esacerbata dalla espansione del capitale fittizio portò ai ricorrenti infarti finanziari del sistema mondiale: la “crisi tequila” del debito messicano e latinoamericano negli anni ’80, il crash del 1987, la crisi asiatico-pacifica del 1997 seguita dalle perturbazioni internazionali del 1997-2001. Questa ultima esplosione di crisi asserì nuovamente i limiti intrinseci della globalizzazione finanziaria. Produsse tutti i tipi di perturbazioni, una intensificazione dei conflitti tra classi e stati, una nuova radicalizzazione manifestata in una serie di ribellioni a Seattle e Genova, nella seconda Intifada e nell’Argentinazo. La rinnovata tendenza militarista imperiale dopo il 9/11 da un lato, e la costruzione di enormi bolle con l’espansione del credito e la speculazione nel mercato dei derivati che acquisisce dimensioni colossali, dall’altra, erano entrambe parte di una controffensiva del capitalismo mondiale per trovare una via di uscita. Il fallimento dell’imperialismo sia sui fronti di guerra dell’Iraq e dell’Afghanistan occupati sia sul fronte economico con la debacle del 2007-2008 esprime l’esaurimento dell’intero periodo della globalizzazione finanziaria e l’apertura di un nuovo capitolo della storia mondiale.

Prof. Univ. Londra