1. La Spagna nel continuo flusso migratorio La Spagna, così come l’Italia, ma in un lasso di tempo ancora più breve, è passata da essere un paese di emigranti a destinazione di un intenso flusso migratorio. La sua transizione migratoria, simile a quella osservata in altri stati dell’area mediterranea, come Grecia, Portogallo e Italia, è stata al centro della profonda trasformazione sociale, economica e politica che il paese iberico ha sperimentato negli utimi decenni. La Spagna si incorpora così nel sistema migratorio europeo come un paese destino d’immigrazione caratterizzato da un sottosistema migratorio nell’Europa mediterranea. (M. Baldwin-Edwards, 2007; A. Izquierdo, 1996). L’area mediterranea, como è noto in Italia, si è convertita ormai nel principale polo di ricezione di immigrazione, superando perfino il Nordamerica; in particolare Spagna e Italia ricevono più della metà dei nuovi immigrati (J. Arango, 2006). L’emigrazione spagnola si sviluppa in due tappe principali: la prima inizia nelle decadi finali del XIX° secolo e si conclude con la crisi del 1929; quasi 5,5 milioni di spagnoli attraversarono l’Atalntico in questo periodo per “costruire le Americhe”. La seconda marea migratoria si verifica tra gli anni 1961 e 1973, quando circa un milione e mezzo di persone abbandonarono la Spagna per i Paesi del nord e centro Europa, in seguito alla svolta autarchica del franchismo prevista nel piano di stabilizzazione del 1959. Lo shock petrolifero del 1973 segnò la fine dell’emigrazione di massa e l’inizio del ritorno di molti emigranti spagnoli, obbligati dall’aumento dei tassi di disoccupazione nei paesi d’accoglienza. In seguito, dopo la morte di Franco nel 1975 e la nuova Costituzione del 1978, il consolidamento della democrazia coincise con una fase di relativo equilibrio nel saldo migratorio netto; questa situazione di stabilità si mantenne fino alla fine degli anni ’90. I primi flussi migratori diretti verso la Spagna furono protagonizzati da ricchi europei, soprattutto inglesi, che si stabilivano in Spagna per approfittare del vantaggio di vivere in un Paese con un minor livello di vita, ma anche da cittadini di Paesi iberoamericani que fuggivano dalla repressione politica e dalle dittature militari. Questa iniziale presenza straniera iniziò a crescere all’inizio degli anni ’90 con i flussi procedenti da Polonia, Perú e Repubblica Dominicana, che si sommarono all’immigrazione marocchina, la più massicia durante tutti gli anni novanta (A. Izquierdo, 2003). La storia passata, le reti familiari e la vicinanza spaziale sono tra i fattori che determinarono la posizione del Marocco como origine naturale dell’immigrazione diretta in Spagna. Nella seconda metà degli anni novanta si registra invece un aumento dei flussi dall’America Latina, in particolare dall’Ecuador e dalla Colombia; un flusso così intenso che appena in un quinquiennio trasformò significativamente la distibuzione per nazionalità della popolazione immigrata residente. Si tratta della cosidetta “latinoamericanización” della popolazione straniera, a prescindere dal fatto che i cittadini marocchini e europei continuano a tenere un peso rilevante nelle comunità straniere residenti in Spagna. Negli ultimi anni, infine, si è verificata un’intensificazione dei flussi procedenti dall’est Europa, in particolar modo da Romania, Ucraina e Bulgaria, così come una certa diversificazione dell’immigrazione iberoamericana con l’apparizione di nuovi flussi dalla Bolivia e dal Venezuela, ma anche il ritorno di antiche correnti migratorie, come quelle provenienti da Argentina e Marocco. Il recente incremento del numero di minori di origine straniera era un processo previsibile, e simile a quanto osservato in Italia, vincolato in parte alla maturazione del fenomeno migratorio (ricongiungimento familiare, matrimoni tra stranieri), in parte all’aumento dell’immigrazione di unità familiari con minori nel caso dell’immigrazione procedente dall’Eurpa dell’est e dal Latinoamerica. Le intense trasformazioni economiche vissute dalla Spagna negli ultimi, favorite dal suo ingresso nell’Unione Europea, sono alla base del forte aumento dell’immigrazione extracomunitaria. L’integrazione della Spagna nella Comunità Europea, la costruzione di un welfare state, l’invecchiamento della popolazione, la bassa natalità e il deficit di popolazione attiva spiegano questo cambiamento. In poco tempo, dunque, la Spagna è passata dai 165.000 stranieri residenti nel 1975 ai più di 5 milioni del 2008. Si tratta, come abbiamo visto, di una immigrazione economica prevalentemente africana e iberoamericana con una crescente presenza dei cittadini dei Paesi dell’Europa dell’Est. Dal 2000 in poi, l’immigrazione ha sperimentato un incremento intenso e continuo, determinando una crescita sostenuta della percentuale di popolazione straniera, passata dall’1,9% del 1999 all’11,3% del 2008; una percentuale che colloca la Spagna allo stesso livello di Francia e Germania, ma con la particolarità che nel paese iberico il processo è stato molto più rapido ed intenso. Secondo l’istituto di statistica spagnono (INE) gli immigrati in spagna nel 2008 erano 5.268.762, dei cuali 2,1 milioni sono cittadini dell’Unione Europea; gli uomini sono il 53,2% e le donne il 46,8%. I cittadini stranieri empadronados in Spagna rappresentano, dunque, l’11,3% della popolazione. Le nazionalità maggiormente rappresentate sono quella Rumena (14%), Marocchina (12,3%), Equadoriana (8%), Inglese (6,7%), Colombiana (5,4%) e Boliviana (4,6%). I cittadini stranieri risedono soprattutto nelle Comunità Autonome di Catalogna (1.097.966) e di Madrid (991.259), anche se in termini relativi le comunità con la maggior propozione di stranieri sono le Isole Baleari (20,8%), la Comunità Valenziana (16,7%) y la Comunità di Madrid (15,9%).
2. La politica spagnola in materia d’immigrazione La nuova Ley de Extranjería, approvata nel 2000 e riformata nello stesso anno, ha rappresentato il primo tentativo recente di risolvere i problemi sociali che un immigrazione tanto rapida e massiccia stava comportando. La legge, per la prima volta, estendeva i diritti degli immigrati e dava loro accesso al sistema di welfare, alla protezione giuridica e alla riunificazione familiare, con l’obiettivo dichiarato di facilitarne l’integrazione sociale. Tuttavia, la riforma della nuova legge complicó la situazione degli stranieri irregolari e limitò alcuni dei loro diritti, come, ad esempio, l’accesso all’educazione superiore e l’assistenza giuridica gratuita. Tre anni dopo, nel 2003, furono approvate misure ancora più rigide di controllo dell’immigrazione. Una delle conseguenze fu che a partire da questo momento gli stranieri senza permesso di soggiorno erano tenuti a rinnovare l’iscrizione al registro comunale ogni due anni per non perdere l’acesso alle prestazioni sanitarie. Il resto delle misure rafforzavano il controllo delle frontiere, limitavano i ricongiungimenti familari e permettevano agli imprenditori di denunciare per competenza sleale le imprese che contrattano illegalmete lavoratori stranieri. Nel 2004, se aprobó un nuovo regolamento de Extranjería che stabiliva come principali novità, una santoria dei lavoratori stranieri irregolari e una modifica del procedimento di determinazione delle quote annuali dell’immigrazione regolare nei settori dell’occupazione di difficile copertura. Il dibattito politico sull’immigrazione in Spagna, seppur non raggiunge l’importanza eccessiva e parossistica che riveste in Italia, è significitavo e complesso. La prova sono le tre diverse normative sull’immigrazione approvate in soli tre anni, dal 2000 al 2003. In linea generale, la legislazione spagnola si è trovata impreparata rispetto ad un intenso flusso migratorio e ha finito per adottare una serie di misure emergenziali per aduguare il flusso immigratorio alle necessità del mercato del lavoro, cioè alle esigenze degli imprenditori. Ciò nonostante, dal 1985 al 2005, si sono susseguite cinque sanatorie straordianrie (1985, 1991, 1996, 2000, 2005). Negli ultimi mesi due vicende italiane hanno occupato spazio sui giornali e sui siti internet spagnoli: una è stata senza dubbio la morte di Eluana Englaro, con la conseguente polemica politica sul testamento biologico, compresa la repellente appendice delle grottesche dichiarazioni pseudoscientifiche di Berlusconi a proposito del flusso mestruale della donna; l’altra è l’introduzione dell’obbligo di denucia dei cittadini stranieri irregolari da parte dei medici. Quest’ultima notizia ha assunto particolare rilievo e ha colpito negativamente l’opinione pubblica spagnola, dove la politica migratoria, così come in tutti paesi destino d’immigrazione, è sì è un tema di dibattito politico, ma non riveste un importanza così esagerata e strumentale, come invece avviene in Italia. Con l’approvazione dell’emendamento della Lega Nord, da sempre la componente più marcatamente xenofoba della compagine di centro-destra, viene cancellata la norma per cui il medico non è tenuto a denunciare lo straniero irregolare che si rivolga a strutture sanitarie italiane. Quello che viene minato alle fondamenta è dunque un diritto elementare como quello all’assistenza medica di base, visto che si può immaginare che molti irregolari eviteranno di ricorrere al medico di fronte alla possibilità di essere dunuciati all’autorità giudiziaria, finendo così per alimentare il circuito della medicina illegale e il ricorso soggetti non in possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione medica. L’obbligo per i medici di denunciare i pazienti stranieri irregolari appare ancora più incomprensibilie se si considera la recente approvazione da parte del Parlamento Europeo della proposta di direttiva «procedimenti e norme comuni negli Stati membri per il ritorno dei cittadini di Paesi terzi che si trovano illegalmente nel loro territorio», nella quale si stabilisce chiaramente che i medici e i centri santari dispongono di una libertà pressocchè totale nell’esercizio del proprio compito di assistenza sanitaria agli immigratri illegali. Questo implica la possibilità che i medici si rifiutino di denunciare alle autorità gli immigrati irregolari e che si oppongano a qualunque tentativo di criminalizzazione delle prestazioni di servizi sanitari agli stranieri irregolari. Nella Spagna socialdemocratica di Zapatero gli stranieri senza permesso di soggiorno hanno ancora diritto all’assistenza medica di base, ma la situazione dei diritti dei migranti non è certamente rosea. La società spagnola nel suo insieme è complessivamente tollerante, anche se sarebbe più corretto definire l’opinione pubblica come poco interessata al tema, visto che nelle inchieste realizzate dal Centro di Indagini Sociologiche, l’immigrazione viene considerata al quinto posto tra i problemi del paese, allo stesso livello della casa, ma molto meno importante dell’insicurezza urbana o della disoccupazione; si tratta dunque, di una sorta di tolleranza passiva. La società civile spagnola, infatti, non è esente da cicliche ricadude xenofobe, come nel febbraio 2000 a El Ejido in Almeria quando si verificò una massiccia aggressione nei confronti della comunità magrebina impiegata nella raccolta della frutta. Infine, a livello istituzionale, la polizia è stata più volte accusata di maltrattamenti sistematici nei confronti di cittadini stranieri e gitani, la minoranaza etnica più rappresentata in Spagna, con circa 500.000 gitani di nazionalità spagnola.
3. L’assistenza sanitaria La legislazione spagnola concernente l’immigrazione (Legge Organica 8/2000 che modificò la Legge sull’Immigrazione 4/2000) stabilisce una serie di principi riguardo l’assitenza sanitaria di base a cui hanno diritti tutti i cittadini presenti sul territorio nazionale. All’articolo 12 è espressamente previsto che i cittadini stranieri presenti sul suolo spagnolo che siano iscritti al registro civico nel comune di residenza, hanno diritto all’assistenza sanitaria alle stesse condizioni dei cittadini spagnoli. La legge sull’immigrazione spagnola prevede, infatti, che il cittadino straniero realizzi una serie di pratiche amministrative, il cui primo passo è l’empadronamiento, ovvero l’iscrizione al registro del comune dove vuole risiedere; in questa maniera lo straniero dimostra la residenza e può avere accesso ai servizi sociali basici: educazione e assistenza sanitaria. Ogni individuo ha diritto ad iscriversi nel registro municipale, indipendentemente dalla sua situazione amministrativa di regolare o irregolare e dal suo stato di comunitario o di extracomunitario. Le prestazioni sanitarie per gli immigrati dipendono dalla situazione del migrante, venendo in tutti i casi garantita l’asistenza sanitaria per le urgenze; gli irregolari possono avere accesso a tutte le prestazioni sanitarie a condizione di essere empadronados, ovvero registrati all’anagrafe comunale. I cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, che non sono iscritti nelle liste di nessun padròn, hanno comunque diritto all’assistenza d’emergenza negli ospedali. In Spagna, dunque, i medici in nessun caso sono tenuti a denunciare gli stranieri irregolari, come invece sembrerebbe prevedere il recente decreto sicurezza approvato in Italia. La notizia dell’approvazione della legge polemica italiana ha suscitato sdegno e disapprovazione da parte delle associazioni del settore medico. Il Consiglio Generale dell’Albo professionale dei medici spagnolo, in solidarietà con i colleghi italiani, si è ribellato contro la decisione italiana e ha minacciato il Governo italiano di denunciare la situazione di fronte alle organizzazioni mediche europee. Il Codice etico e deontologico del professionista medico in Spagna, infatti, stabilisce con chiarezza che “il medico materrà segreto tutto ciò che il paziente gli abbia confidato e tutto ciò di cui sia venuto a conoscenza nell’esercizio della professione medica” (Art. 14). Solo in alcuni casi, e se si considerasse strettamente necessario, con la tutela del Colegio, il medico può rivelare il segreto con discrezione e in forma riservata. Si tratta di casi eccezionali in cui esiste un imperativo legale o quando si teme como conseguenza del silenzio un grave danno personale o collettivo. Per i medici spagnoli, così come per i colleghi italiani, è evidente che la conoscenza dello status legale di un paziente non può costituire motivo di rischio nè di danno potenziale che possa essere evitato grazie a una denuncia all’autorità. In Spagna, dunque, la posizione ufficiale dell’Albo dei medici è che anche se ci fosse una norma legale che li obbligasse a informare l’autorità della condizione di irregolare del paziente straniero, i medici devono rifiutarsi di rompere il segreto professionale per mancanza di motivazione.