Colpi di Stato invisibili.

ATILIO A.BORON

Quello che la teoria egemonica non vuole vedere nella scienza politica

Premessa

La Corporacion Latinobarómetro, che ha sede a Santiago del Cile, ogni anno pubblica un rapporto in cui vengono riassunte le ricerche comparative sullo stato dell’opinione pubblica di 18 paesi dell’America Latina e dei Caraibi2. Con grande stupore del lettore, il Rapporto 2009 si apre con una citazione che dice testualmente: “Nel 2009 l’America Latina ha vissuto per la prima volta dopo 31 anni - da quando si è instaurata la democrazia in quella che è stata denominata la terza onda di democrazia - un colpo di stato”. Il primo colpo di stato da 31 anni! Questa incredibile affermazione non è solo un notevole errore storiografico, ma anche un sintomo di qualcosa di più profondo che rivela i limiti insanabili della concezione teorica e metodologica egemonica nelle scienze sociali, di ispirazione anglosassone. Questo lavoro ha l’obiettivo di far ricordare ciò che il sapere convenzionale tralascia. In questo caso, i colpi di Stato. Per cercare di correggere gli effetti di una visione della realtà politica regionale così distorta, vogliamo fare un breve racconto sui golpe in America Latina e nei Caraibi negli ultimi 31 anni.

1. 11 Aprile 2002: colpo di Stato nella Repubblica Boliviariana del Venezuela Dopo aver mentito alla popolazione annunciando la rinuncia di Chávez (cosa che è avvenuta anche nel caso di Manuel Zelaya, durante il golpe honduregno) - quando invece si era rifiutato di firmare la lettera di rinuncia preparata dai golpisti ¬-, nel Palazzo di Miraflores è stata convocata d’urgenza una riunione per insignire della carica di Presidente del Venezuela il leader dell’organizzazione imprenditoriale Fedecámaras, Pedro Carmona Estanga (alias “Pedro el Breve”). Durante la riunione è stato letto l’Atto di Costituzione del Governo di Transizione Democratica e Unità Nazionale, titolo, tanto altisonante quanto bugiardo, con cui si pretendeva dissimulare il colpo di stato, presentandolo come una successione istituzionale di routine, davanti alla misteriosa assenza del Presidente. Questa azione “politica” - architettata dai custodi della democrazia venezuelana, dall’applaudito Bush, da Aznar e dal resto della compagnia - poneva nelle mani degli usurpatori un potere vastissimo che è stato subito messo in pratica: di colpo Carmona abroga la Costituzione bolivariana, dissolve il Potere Legislativo e destituisce tutti i deputati dell’Assemblea Nazionale, sospende i magistrati del Potere Giuridico, il Procuratore Generale e il Difensore del Popolo ed infine concentra tutti i poteri pubblici nelle sue mani. Una volta letto questo ignobile documento i partecipanti sono stati invitati a controfirmare il trionfale ritorno della democrazia. Tra i firmatari risaltano i nomi - sprofondati per sempre nel disonore - del Cardinale Ignacio Velasco, “sant’uomo” che per disgrazia dei cattolici presiedeva i destini della Chiesa Cattolica in Venezuela; di Carlos Fernández, vicepresidente della Fedecámaras; di Miguel Angel Capriles, in rappresentanza dei mezzi di comunicazione privati (che hanno ingannato la popolazione, disinformandola sistematicamente su quello che stava accadendo, rimanendo comunque nella più totale impunità); di José Curiel, Segretario del Comitato di Organizzazione Politica Elettorale Indipendente - Partito Cristiano Sociale del Venezuela (COPEI); di Manuel Rosales, in quel momento Sindaco di Maracaibo (latitante, accusato di numerosi delitti di frode e truffa, attualmente nascosto e protetto in Perù dal Governo di Alan García); di Julio Braszon, Presidente di Consecomercio; di Ignacio Salvatierra, Presidente dell’Associazione Bancaria; di Luis Henrique Ball, Presidente del Consiglio Imprenditoriale Venezuela-Stati Uniti; del Generale ritirato Guaicaipuro Lameda, ex Presidente del PDVSA. Dopo la firma, hanno prestato giuramento a Carmona Estanga; in questo modo si è costituito il nuovo governo, rafforzato dalla vicinanza con la “società civile”, ovviamente riunita nella sede del governo venezuelano e rappresentata da illustri individui come quelli citati precedentemente. Era avvenuto un golpe nel pieno della legittimità che - in seguito e con Chávez nuovamente nel Palazzo Miraflores - è stato anche convalidato dal Tribunale Supremo di Giustizia con una insolita motivazione: Carmona Estanga aveva assunto l’incarico politico poiché nel paese si era prodotto un “vuoto di potere”. È ovvio che questa curiosa teoria ha avuto un effetto pratico per niente trascurabile; infatti grazie ad essa fu possibile scagionare gli implicati dalle accuse di aver partecipato al colpo di stato. La loro impunità è stata consacrata grazie ad una sentenza emessa dal più importante tribunale di giustizia del paese. D’altra parte, se la parola golpe non è mai comparsa durante i discorsi politici che si facevano in quei giorni è anche per altre due convenienti ragioni. La prima, perché sempre ed ovunque i golpisti si sono rifiutati di presentarsi come tali, come violatori della legalità istituzionale e della legittimità politica: preferiscono qualificarsi come membri di “governi provvisori”, nati dalla necessità di restaurare un ordine presumibilmente distrutto (o minacciato) da un leader demagogico o dalla mobilitazione popolare. Nel 1955, in Argentina, il colpo di stato che terminò con il governo di Juan Domingo Perón si auto-etichettò “Rivoluzione Liberatrice”; inoltre, la dittatura genocida che prese il potere nel 1976 si autoproclamava “Processo di Riorganizzazione Nazionale”. In altri casi, i colpi di stato si dissimulano con nobili e patriottici motti come “Governo di Riconciliazione Nazionale”, “Governo di Salvezza Nazionale”, ecc. In secondo luogo, perché se si parlava di quello che era successo come di un golpe si creava un grande ostacolo per ottenere il riconoscimento internazionale del nuovo governo, a causa del ripudio generalizzato che i colpi di stato suscitano nelle nuove democrazie latinoamericane e, in misura minore, al peso che aveva assunto, nella nostra regione, la Carta Democratica Interamericana. Ossia, si è preferito montare una farsa (come in seguito si farà anche nel caso honduregno) e parlare di “governo di transizione” o “provvisorio”, eufemismi utilizzati per non chiamare un golpe con il suo vero nome. Di fatto, questo tergiversare a livello semantico ha facilitato il fatto che il governo venisse immediatamente riconosciuto da George W. Bush e da José Aznar, due personaggi che, parafrasando George Bernard Show, hanno a che vedere con la democrazia quanto la musica militare con la musica. Per di più: a golpe appena avvenuto il portavoce della Casa Bianca, Arin Fleischer, ha affermato che la causa della crisi era la polarizzazione politica e il conflitto sociale provocato dalle politiche di Chávez e che, durante le settimane precedenti al colpo di stato, alcuni funzionari statunitensi si erano riuniti con Pedro Carmona (“l’impreditore succeduto a Chávez”, secondo la bizzarra affermazione di Fleischer) e con molti cospiratori civili e militari per conversare su questo argomento. Tutti questi stratagemmi sono venuti alla luce il 12 aprile, appena poche ore dopo il golpe, quando Bush e Aznar fecero un’insolita dichiarazione congiunta in cui sostenevano che “i governi degli Stati Uniti e della Spagna, nel quadro del loro dialogo politico sempre più forte, seguono la situazione venezuelana con grande interesse e preoccupazione, rimanendo in continuo contatto”. Entrambi i presidenti manifestavano “il loro rifiuto alla violenza che ha causato diverse vittime”, mentre esprimevano “il loro pieno appoggio e solidarietà alla popolazione del Venezuela e il loro desiderio che l’eccezionale situazione che sta sperimentando il paese conduca, in breve tempo, alla piena normalizzazione democratica”. Poco prima che Carmona prestasse giuramento, la Presidenza spagnola dell’Unione Europea - anteponendo la sua vicinanza con i golpisti ai principi democratici di cui l’Unione Europea si dichiara fedele rappresentante - ha emesso una dichiarazione ufficiale in cui “manifesta la sua fiducia al governo di transizione per il rispetto dei valori e delle istituzioni democratiche che hanno l’obiettivo politico di superare l’attuale crisi”3. L’autore, José Manuel Fernández parlamentare in Spagna della Izquierda Unida, assicura anche che Madrid e Washington avevano riconosciuto il fatto che i loro rappresentanti a Caracas avessero mantenuti contatti continui e un fitto coordinamento nei giorni precedenti e durante il golpe. Il 13 aprile, l’Ambasciatore di Spagna a Caracas, Manuel Viturro de la Torre, insieme all’Ambasciatore degli Stati Uniti, Charles S. Schapiro, si riunirono personalmente con il presidente del cosiddetto “governo provvisorio”, dopo lo scioglimento dell’Assemblea e la sottomissione della Costituzione. Sono stati gli unici diplomatici a dialogare con Carmona, avallando apertamente tutto il lavoro portato avanti dai golpisti. Il colpo di stato sparito alla vista dei lettori del Rapporto Latinobarómetro 2009 non solo ha avuto l’appoggio degli Stati Uniti e della Spagna, ma ha ottenuto anche l’approvazione di altri governi, come quello della Colombia, presieduta all’epoca da Andrés Pastrana e di El Salvador, presieduto da Francisco Flores. Il golpe è avvenuto mentre a San José, Costa Rica, aveva luogo il XVI Summit del Gruppo di Rio. I presidenti lì riuniti concordarono una debole dichiarazione in cui si condannava “l’interruzione dell’ordine costituzionale” (argomentazione ingannevole che anni dopo utilizzerà la Segretaria di Stato Hillary Clinton riferendosi al colpo di stato in Honduras), ma facendo attenzione a non utilizzare l’espressione “colpo di stato”. Se non ci si aspettava altro da Bush e da Aznar, la spiacevole sorpresa è stata provocata dalla reazione del governo cileno davanti agli avvenimenti venezuelani. Il Presidente Ricardo Lagos ha dichiarato a San José che “siamo addolorati per gli atti di violenza e per la perdita di vite umane. Sollecitiamo la normalizzazione dell’istituzione democratica, però non avendo il quadro completo della situazione, chiediamo all’OEA che si incarichi di fare una valutazione dell’accaduto”, aggiungendo “per come stanno le cose adesso, sarebbe affrettato rilasciare dichiarazioni conclusive”4. Però la Cancelliera cilena, Soledad Alvear, di estrazione democratica-cristiana, vide le cose in un altro modo e sconsideratamente emise un velenoso comunicato che, seguendo puntualmente la linea stabilita dalla Casa Bianca, accusava degli atti di violenza e dell’alterazione dell’istituzionalità il deposto presidente Hugo Chávez. In questa maniera, il supposto “governo modello” delle transizioni democratiche dell’America Latina ammoniva la vittima e si allineava chiaramente con il carnefice. Il vergognoso messaggio della Alvear - mai sconfessata o rimossa dall’incarico da Lagos! - diceva testualmente che “il governo del Cile deplora il comportamento del governo venezuelano che ha portato all’alterazione dell’istituzionalità democratica con un alto costo di vite umane e con un numero elevato di feriti, violentando la Carta Democratica Interamericana con questa crisi di governabilità”. In altre parole, la cancelleria cilena incolpava il governo di Chávez di violare l’istituzionalità democratica, riprendendo il passaggio della dichiarazione del Gruppo di Rio che condannava “l’interruzione dell’ordine istituzionale in Venezuela, generata da un processo di polarizzazione”, processo che si attribuiva solamente al governo bolivariano. Lo stesso Lagos dichiarò, sempre a San José, che “si condanna il fatto perché c’è stata interruzione dell’ordine costituzionale. Questo è un fatto. Però, d’altra parte, ci sembra molto importante continuare a collaborare con le nuove autorità, così da andare avanti”, un modo molto sottile di riconoscere i golpisti. E questo era l’altro fatto: il colpo di stato. Però, ovviamente, di questo fatto Lagos non parlò. Obbedendo a questo richiamo alla collaborazione formulato dal suo Presidente, l’Ambasciatore del Cile in Venezuela, Marcos Álvarez, non perse tempo nel rendere esplicito il suo appoggio ai golpisti sottolineando che “il nuovo Presidente ha ottime relazioni con il Cile”. In linea con le dichiarazioni dei suoi superiori, negò di qualificare la destituzione di Chávez come un colpo di stato. Solo poche ore dopo l’arresto di Chávez, disse testualmente ad alcuni organi di stampa del suo paese che “qui non si è parlato di golpe. Non è successo questo. Mi stupisce la tranquillità e la civiltà di questa popolazione, immersa nella democrazia da 40 anni. Le democrazie, lo sappiamo, sono anche imperfette, però sono democrazie che stanno terminando”. Tempo dopo Santiago cercò di dissociarsi dalle affermazioni del suo Ambasciatore e sollecitò Álvarez a rinunciare al suo incarico. Ma il danno era già stato fatto5. Bisogna domandarsi: perché i redattori del Latinobarómetro hanno tralasciato un colpo di stato come quello che c’è stato in Venezuela? Non abbiamo elementi per dare una risposta definitiva anche se possiamo fare una supposizione, che è la seguente: perché nella visione offuscata e ideologicamente superficiale del pensiero convenzionale delle scienze sociali - pensiero condiviso dai redattori del rapporto - in Venezuela non c’è stato alcun colpo di stato, ma semplicemente una banale scaramuccia istituzionale, risolta in 48 ore. È ovvio che questa opinione non è affatto innocente perché, interpretando le cose in questo modo, si nasconde il comportamento della destra, dei golpisti e della coalizione reazionaria che non hanno esitato ad ingannare la popolazione, ad uccidere innocenti nel massacro di Puente Llaguno e per poco a provocare una strage, con le imprevedibili conseguenze che questa avrebbe potuto provocare nella società venezuelana. Viene occultato anche un altro fatto che la storia continua invece a confermare di volta in volta: la democrazia è riuscita sempre a consolidarsi nonostante l’opposizione - a volte pacifica ma in molti casi anche violenta - della borghesia e della destra politica. E quando essa minaccia di valicare i limiti della democrazia borghese anche la destra “più istituzionale e legalista” - caratteristica che, verso gli inizi degli anni ‘70, veniva attribuita con grande ingenuità alla destra cilena - non esita a gettare al vento tutti i suoi scrupoli tanto da puntare solo sulla ricomposizione violenta dell’ordine minacciato. Così come affermava Marx in un celebre passo de Il 18 brumario di Luigi Bonaparte, la borghesia preferirà sempre “una fine con terrore che un terrore senza fine”, materializzato nel costante successo dei plebei e nella minaccia alle sue ricchezze e privilegi. Questa è stata la scelta della destra cilena (ovviamente anche degli ipocriti centristi della Democrazia Cristiana) l’11 settembre del 1973 e questa è stata anche la scelta della destra venezuelana l’11 aprile del 2002. In quest’ultimo caso, però, la reazione popolare ha fatto fallire i piani dei golpisti. Aspetti come questo non possono essere assolutamente tralasciati in un’analisi rigorosa sulla vita politica dei nostri paesi. In questi casi, il silenzio ha un insopportabile odore di complicità.

2. La lunga saga del golpismo latinoamericano Quello che è avvenuto nella Repubblica Bolivariana del Venezuela è forse l’unico golpe ignorato dai redattori del Rapporto? Un breve riepilogo, sommario e in extremis, ci dice di no. In realtà, negli ultimi 31 anni ce ne sono stati più di uno6. Tra questi, spiccano i seguenti, anch’essi dimenticati, e che verranno spiegati brevemente in questo articolo.

Salvador 1979 - Il 15 ottobre del 1979 avviene un colpo di stato che depone il governo conservatore del Generale Carlos Humberto Romero e si instaura una autonominata Giunta Rivoluzionaria di Governo. La repressione messa in atto dal presidente deposto non riusciva a contenere l’impressionante protesta sociale che, a causa della mancanza di canali istituzionali di comunicazione, si avvicinava sempre di più alla lotta armata, facendo accrescere i quadri del Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Martí. Davanti a questa situazione, la risposta ufficiale è stata quella di intensificare le operazioni repressive e dare carta bianca ai paramilitari dell’ultradestra. Tutto ciò ha prodotto lo scoppio di una guerra civile, andata avanti dal 1980 fino al 1992. Nel conflitto erano coinvolte le forze armate salvadoregne contro l’FMLN fino a che, di fronte all’impossibilità di una vittoria da parte dei due schieramenti, si decise, nel gennaio del 1992, di firmare gli Accordi di Pace di Chapultepec. Durante i primi mesi della guerra civile avvenne l’omicidio di Monsignor Óscar Arnulfo Romero, freddato mentre celebrava la messa da un commando paramilitare dell’ultradestra. Bisogna sottolineare che il processo politico salvadoregno era fortemente influenzato da quello che stava succedendo negli altri paesi dell’area, specialmente dal Nicaragua, in cui la lunga lotta del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale riusciva a sconfiggere la dittatura di Anastasio Somoza Debayle, nel luglio del 1979.

Bolivia 1978, 1979, 1980 - Il 24 novembre del 1978 un colpo di stato comandato dal Generale David Padilla destituì il Generale Juan Pereda Asbún. Il Presidente dichiarava la sua intenzione di democratizzare la vita politica del paese, convocando delle elezioni generali. Le elezioni, che si sono svolte nel luglio del 1979, videro la vittoria di Hernán Siles Zuazo. A causa dei precedenti del candidato e della gestione presidenziale tra il 1956 e il 1960 nella fase finale della Rivoluzione Boliviana del ‘52, sia gli Stati Uniti che le dittature del Cono Sur fecero pressioni per evitare che il Congresso lo designasse presidente, visto che nelle elezioni non aveva raggiunto la maggioranza assoluta dei voti. Davanti all’impossibilità di raggiungere la maggioranza parlamentare, il Congresso ha deciso di designare, provvisoriamente, Walter Guevara Arce con il mandato di convocare nuove elezioni presidenziali nel 1980. Nonostante questo, il 1º novembre del 1979 un sanguinoso colpo di stato militare - che fece circa un centinaio di morti e più di 30 persone sparite - destituì il governo. La forte resistenza popolare fece sì che il capo dei golpisti, Alberto Natusch Busch, decise di rinunciare solo poche settimane dopo, occasione in cui il Congresso designò come presidentessa ad interim Lidia Gueiler e fissando la data di nuove elezioni per il 29 giugno del 1980. Siles Zuazo, dopo aver subito un tentativo di attentato - il piccolo aereo che doveva trasportarlo durante la campagna elettorale venne sabotato - vinse ancora una volta le elezioni. Il 17 luglio 1980 Luis García Meza e Luis Arce Gómez, due politici molto vicini al narcotraffico e alla dittatura militare argentina, realizzarono un altro colpo di stato. Il regime, al cui vertice risiedeva García Meza, fece del terrorismo di stato - che lasciò nelle strade un altissimo numero di vittime - il suo principale strumento di governo. Assillato dalle grandi mobilitazioni popolari, il 4 agosto 1981 fu costretto a cedere il potere; da questo momento iniziò un periodo di transizione che culminerà il 10 ottobre 1982 con il ritorno di Hernán Siles Zuazo alla Presidenza della Repubblica, essendo stato riconosciuto come valido l’esito delle elezioni del 1980.

Paraguay 1989 - Un colpo di stato perpetrato il 3 febbraio del 1989 dal Generale Andrés Rodríguez mise fine alla dittatura del Generale Alfredo Stroessner, che aveva governato per 34 anni con pugno duro e facendosi vanto di un rabbioso anticomunismo che gli ha assicurato il costante appoggio di Washington. Tra le misure principali adottate da Rodríguez vi furono la legalizzazione dei partiti di opposizione (prima l’unica formazione politica riconosciuta legalmente era il Partido Colorado), il carcere ed in seguito l’esilio per Stroessner, l’abolizione della pena di morte e la deroga della legge marziale in vigore per più di 30 anni. Poco tempo dopo, convocò delle elezioni in cui trionferà sui suoi competitori, dando così inizio a un processo di istituzionalizzazione democratica che, nonostante tutti i limiti e gli ostacoli, continua fino ad oggi. Le ragioni profonde che possono aver motivato in lui il colpo di stato contro chi non solo era suo partner commerciale, ma soprattutto consuocero, sono ancora sconosciute, però possiamo dire con certezza che con la sconfitta dello stroessnerismo in Paraguay si è aperta una nuova vita politica.

Haiti 1988, 1990, 1991, 2004 - È nota l’instabilità che caratterizza la vita politica della prima nazione che, in America Latina e nei Caraibi, è riuscita a conquistare l’indipendenza. Haiti ha pagato molto cara la sua audacia: emanciparsi dal giogo francese e abolire la schiavitù ha scatenato una serie di ritorsioni che hanno fatto diventare il più prezioso gioiello coloniale dei Caraibi, il paese più povero dell’emisfero occidentale. Nel giugno del 1988 un colpo di stato fece cadere il governo di Leslie F. Manigat che aveva vinto le prime elezioni libere del paese organizzate dopo la fine della dittatura di Jean-Claude Duvalier. L’autore del golpe è stato a sua volta rovesciato da un altro golpe, perpetrato da Prosper Avril nel settembre dello stesso anno. A marzo del 1990 Ertha Pascal-Trouillot venne designata presidentessa provvisoria, per poi venir anch’essa deposta dall’ennesimo colpo di stato del febbraio del 1991. Jean-Bertrand Aristide, che aveva vinto le elezioni, venne spodestato. Esiliato per alcuni anni, tornerà ad Haiti nel 1994 per concludere il suo mandato. Rieletto nel 2001, un nuovo colpo di stato nel 2004 lo allontana dal potere.

3. Conclusioni Il pensiero egemonico nel mondo delle scienze sociali idealizza i processi economici, proponendo false e assurde teorie sull’effetto perdita, secondo cui in un dato momento la vasta ricchezza dei più ricchi si rovescerebbe, tanto da diramarsi verso il basso, alleviando in tale modo la povertà dei più indigenti. Il sapere convenzionale fa lo stesso con la politica, formulando un concetto altrettanto erroneo della democratizzazione che non ha niente a che vedere con i violenti e complessi processi che nel mondo reale hanno reso possibile che un ridotto gruppo di nazioni costruisse uno stato e una società democratica. Tra le altre cose, il paradigma egemonico nelle scienze politiche convenzionali fa credere ai suoi seguaci che conta solo ciò conta realmente e che si può fare una buona analisi politica prescindendo dallo studio delle condizioni strutturali e dall’influsso dei fattori storici. Visione errata che, a causa del colonialismo culturale che opprime soprattutto la periferia dell’impero, si accompagna all’accettazione acritica dei presunti “sviluppi teorici e metodologici” dell’accademia statunitense, rifiutando le teorie del pensiero critico per l’analisi dei grandi temi della realtà latinoamericana. Questa radicale distorsione provocata da una teoria che è poco più di una codificazione delle idee dominanti nella società attuale - come già avevano affermato Marx e Hengels ne L’ideologia tedesca sono le idee della classe dominante - ha favorito la proliferazione di visioni idilliache sui “successi democratici” in America Latina e nei Caraibi, visti come una freccia inarrestabile verso la democrazia liberale, definita secondo l’esempio del bipartitismo statunitense. Componenti centrali di questo modello democratico sono il cosiddetto virtuoso “spostamento verso il centro” dello spettro politico e l’esaltazione della buona governabilità intensa, ovviamente, come la congruenza tra le politiche pubbliche dello stato “democratico” e le preferenze dei padroni del mercato. Si comprende che alla luce di queste premesse ideologiche, fenomeni come il chavismo e l’esperienza governativa di Evo Morales o Rafael Correa, per non parlare della Rivoluzione cubana, siano solo aberranti deviazioni alla “corretta” direzione della storia. Tale concezione non può ignorare i grandi conflitti sociali e la violenza che hanno segnato i processi democratici nel mondo sviluppato, conflitti e violenza che esistono anche nei paesi della periferia in cui sono il prodotto della tenace resistenza che la classe dominante oppone alle lotte popolari per la democrazia. Una visione idilliaca che concepisce la democrazia come uno schieramento della volontà democratica al margine delle reazioni, restaurazioni e capovolgimenti - ossia, al margine della lotta di classe - è aberrante per rendere conto dei reiterati tentativi di sabotare i progressi democratici, per quanto siano imperfetti, e per restaurare, attraverso un colpo di stato un ordine pre-democratico coinvolto negli interessi dominanti7. Idealizzando le imperfette “democrazie realmente esistenti” della regione (vogliamo ribadirlo: in maggioranza si tratta di plutocrazie travestite), il colpo di Stato in Honduras è stato visto dai redattori del Rapporto Latinobarómetro 2009 come un insolito fulmine dopo 31 anni di cielo sereno. I colpi di Stato in Bolivia, Salvador, Haiti, Paraguay e Venezuela, così come le turbolente successioni presidenziali sperimentate da vari paesi, sono state totalmente ignorate fra il vessatorio entusiasmo generato dai successi di ciò che Samuel P. Huntington (paradossalmente uno dei teorici più amaramente contro la democrazia) chiama la “terza onda democratica”. Con queste lenti teoriche, i numerosissimi colpi di Stati delle ultime tre decadi sono diventati invisibili e i redattori del Rapporto sono caduti vittime di questo inganno. Traduzione Violetta Nobili

1 www.atilioboron.com

2 Cfr. Informe Latinobarómetro 2009, http://www.latinobarometro.org/

3 José Manuel Fernández, “Sobre la participación de España y de EEUU en el golpe de estado de Venezuela”, in http://www.nodo50.org/plataformabolivariana/Documentacion/Documentos/GolpeParticipEsp.htm

4 Luis Moreiro, “Condenó el Grupo Río la ruptura democrática”, in La Nación (Buenos Aires), sabato 3 aprile 2002.

5 Cfr. Sergio Ramírez S., “Plena coincidencia con los golpistas venezolanos”, 22 Abril 2002, in http://www.rodelu.net/ramirez/ramire82.htm

6 Da questa concezione di “colpo di Stato” stiamo escludendo i cambi alla presidenza che furono conseguenza di grandi mobilitazioni popolari, risolti all’interno dei meccanismi di successione istituzionalmente stabiliti. Alcuni esempi: De la Rúa, Argentina 2001; Sánchez de Lozada e Mesa, in Bolivia 2003 e 2005; Bucaram, Mahuad e Gutiérrez, in Ecuador nel 1997, 2000 e 2005; Collor de Mello, in Brasile 1992; Carlos Andrés Pérez, Venezuela 1993 e Cubas, in Paraguay 1999. Non abbiamo analizzato neanche i casi come quello dell’ “autogolpe” di Alberto Fujimori, avvenuto il 5 aprile del 1992 in Perù. Se avessimo dovuto affrontarli tutti la cronologia dell’instabilità politica in questa “terza onda democratica” in America Latina sarebbe stata molto più lunga rispetto a ciò che riconosce il sapere convenzionale.

7 Sulle “democrazie realmente esistenti” in America Latina vedere il nostro Aristóteles en Macondo. Notas sobre el fetichismo democrático en América Latina (Córdoba: Espartaco, 2009) e “La verdad sobre la democracia capitalista”, in Socialist Register en Español (Buenos Aires: Centro Cultural de la Cooperación y CLACSO, 2006), pp. 45-78. Il filo conduttore di questi lavori è l’analisi critica dell’uso (e abuso) del termine “democrazia” nel volersi riferire a governi che, salve rare eccezioni, non sono altro che oligarchie e plutocrazie che tentano goffamente di camuffarsi travestendosi con i panni della democrazia.