Quale forma-stato alle soglie del duemila
Luciano Vasapollo
Intervento alla Conferenza di Programma e di Organizzazione
della Federazione RdB Statali - Roma 27 e 28 maggio 1999 - del Prof. Luciano
Vasapollo, Professore della Facoltà di Statistica dell’Università La
Sapienza di Roma e Direttore Scientifico del Centro Studi Trasformazioni
Economico-Sociali “Cestes-Proteo” [1]. |
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Mi mette paura di conseguenza leggere questo grande
accentramento dei ministeri economici, guardate anche lo stesso nome, del “ministero
del mercato e delle attività produttive”. Penso che anche senza puntare
soltanto su un economia pubblica, anche in una logica di economia mista ed
accettando la logica anche di mercato e quindi di economia privata, penso che al
mercato, proprio perché questo nasce e si sviluppa rispetto all’imprenditoria
privata, debbano pensare i privati; non è lo Stato che può fare un ministero
del mercato, tutt’al più può disciplinare e regolare socialmente il mercato.
Invece qui non si parla di disciplina delle storture del mercato, cioè rendere
un mercato, per esempio, più stabile e più sociale, invece si disciplina con
un apposito ministero il mercato come divinità e predominio su ogni attività
produttiva.
L’altro passaggio sul quale bisogna riflettere e che in
questo ministero del mercato e delle attività produttive viene inserita tutta
la normativa riguardante la materia delle comunicazioni, che meriterebbero un
attenzione invece del tutto particolare e un controllo pubblico, perché si
tratta di sono risorse strategiche. Voi sapete, e lo dicevamo all’inizio di
questo intervento, che la società del terziario avanzato - si parla ormai di
società del quaternario e del quinario addirittura - è basata non più tanto
sulle risorse materiali, cioè sui beni materiali, quanto sulle risorse
immateriali, sulle risorse intangibili; cioè le nuove risorse del futuro dei
prossimi anni, ma già da ora, sono la comunicazione, l’informazione, i dati
informativi, il know-how, i brevetti, le conoscenze, cioè tutto ciò che va
sotto il nome di “capitale intangibile” o di beni e servizi a carattere
immateriale. Il processo di ridefinizione dello Stato, quello che vi dicevo
prima e che noi chiamiamo “Profit State”, sta avvenendo su una diversa
interpretazione dei processi di accumulazione del capitale: lo Stato vuole
controllare le risorse immateriali della comunicazione per favorire l’accumulazione
flessibile dell’impresa. Il capitale fino ad oggi si è accumulato sulle
risorse tangibili e c’è stata una accumulazione materiale; questa
accumulazione materiale oggi è in crisi e la soluzione si trova nelle forme di
accumulazione flessibile e finanziaria e con le guerre economiche e militari di
espansione e di regolazione fra poli imperialisti. Ci sono crisi di
sovrapproduzione e non è un caso che la guerra in Jugoslavia sia una guerra di
natura politica ed economica. Lasciamo perdere la fraseologia NATO da “guerra
umanitaria”; le guerre umanitarie non esistono, la guerra non è umanitaria,
dietro la guerra in Jugoslavia c’è semplicemente un progetto di ridefinizione
dei grandi poli imperialistici; vi dicevo prima il polo anglosassone, con il
modello di darwinismo sociale americano, poi abbiamo il polo europeo, e oggi gli
Stati Uniti temono questo polo perché la sua espansione significa l’affermazione
dell’euro, significa l’affermazione di un altro polo imperialista che può
togliere sicuramente risorse agli Stati Uniti. La grossa occasione è rendere la
Russia mercato non internazionale ma mercato locale, la Russia potrebbe
espandersi verso tutti quelli che erano i paesi dell’ex blocco socialista;
cioè l’entrata prepotente della NATO in Jugoslavia significa “quelli sono
mercati nostri, non sono mercati disponibili per nessuno”. Si ha paura del
potenziale russo dopo avere distrutto il mercato delle “tigri asiatiche” con
la finanziarizzazione dell’economia, aver dato una bella botta anche al
Giappone; questa guerra significa una minaccia per la Russia, un’avvertimento
al cosiddetto polo euro-asiatico: non deve esistere una configurazione economica
con grossi interessi fra Cina, Russia e India, perché, tali aree nel loro
complesso, significano due miliardi e mezzo, tre miliardi di persone, e questo
è l’altro polo che si affaccia, e che può mettere in discussione il dominio
USA. Nell’area dei Balcani c’è il problema dei metanodotti, dei gasdotti,
delle risorse quindi di prima necessità, delle materie prime che andranno a
sostituire il petrolio, ci sono le risorse di tutta l’area del Caspio e tutta
l’area del Caucaso. Significa, e ritorniamo a noi, anche controllare il costo
del lavoro. Se voi leggete qualsiasi documento ufficiale dell’OCSE, dell’ISTAT,
della Banca d’Italia, vi accorgete che gli investimenti che non vengono fatti
in Italia, il taglio degli investimenti che c’è in Italia invece non c’è
all’estero; cioè gli imprenditori italiani hanno investito fortemente in
centro-Europa, hanno investito fortemente nei mercati orientali, hanno investito
nei Balcani e lo sapete perché? Perché si investe lì, per esempio, e non in
Africa? Perché in Africa è vero che c’è un costo del lavoro basso, ma il
lavoratore è poco specializzato, invece in quelle aree, in Jugoslavia, per
esempio, in Romania, in Ungheria si trova costo del lavoro basso ad alta
specializzazione e quindi, oltre le risorse e le materie prime, è lì che
bisogna effettuare la delocalizzazione produttiva, con tutti i processi di
esternalizzazione produttiva .
Ma oltre agli investimenti privati è anche, come abbiamo
detto precedentemente, l’economia pubblica che cala. A fronte degli
investimenti pubblici che calano, a fronte di forti tagli allo Stato sociale l’unica
parte di economia pubblica che regge è quella in investimenti militari, è
quella della difesa.
Come struttura di bilancio pubblico, le uniche voci che
aumentano, a fronte di grossissimi tagli nella spesa sociale, sono quelle
militari, quelle della difesa. E’ per un assurdo, e per un inciso anche allo
stesso tempo, vi dico che mentre l’Europa in questi ultimi due anni era
occupata semplicemente a rendere possibili e stabili i parametri di Maastricht,
avevamo invece l’economia pubblica americana che tirava con l’economia di
guerra; e ora l’Europa si è uniformata.
Il conto delle spese e delle entrate del nostro Paese, sia
per quanto riguarda la parte corrente sia per quanto riguarda la parte in conto
capitale, trova un incremento altissimo delle entrate. Per cui la fiscalità
generale, la tassazione sui lavoratori continua ad aumentare fortemente; invece
il taglio delle spese avviene in voci fondamentali: le competenze ai dipendenti
e ai pensionati, con un taglio grosso tra il 1993 e il 1997; acquisto di beni e
servizi: basta entrare in pronto soccorso di un ospedale, a volte hanno
difficoltà anche per avere a disposizione immediata la siringa oppure un
vaccino antitetanico. Eccoli i tagli dove sono: quelli ai dipendenti li vivete
direttamente, quelli ai pensionati basta guardare le pensioni oggi a che livello
di miseria sono ridotte; l’altro taglio è sui trasferimenti, sotto la voce
dei trasferimenti nel bilancio dello Stato va tutto quello che chiamano “Welfare
State”, cioè formazione, lavoro, assistenza, previdenza e via discorrendo.
Per esempio. Le competenze a dipendenti e pensionati dal 1993
al 1997 passano da 118.000 miliardi a soli 120.000 miliardi, in pratica in
cinque anni c’è l’aumento solo di 2.000 miliardi di competenze a dipendenti
e pensionati; inoltre i piccoli aumenti di stipendio che ognuno di noi ha avuto
vengono colmati dal taglio sul turn-over, dall’aumento dei ritmi e dei turni,
dalla mancanza di assunzioni.
La spesa militare, invece, passa da 8.000 miliardi del 1993 a
circa 10.000 miliardi del 1997, lo stesso incremento di 2.000 miliardi, però in
un caso passiamo da 118 a 120 nell’altro caso da otto a 10, e le proporzioni
sono ben diverse.
Altri incrementi sono per spese delle forze di polizia in
genere che passano da 14.000 miliardi a 23.000 miliardi; il personale in
quiescenza passa da una spesa di 30.000 miliardi ad una spesa, badate bene, di
3.000 miliardi, cioè il personale in quiescenza dello Stato ha una riduzione di
27.000 miliardi, cioè da 30.000 a 3.630.
Anche per quanto riguarda il piano dei trasferimenti al
settore privato si sono avuti pesanti tagli, e state bene attenti quando si dice
settore privato nella pubblica amministrazione non si intendono le imprese, si
intendono le imprese e le famiglie quindi anche i trasferimenti che ha ognuno di
noi come cittadino; penso che le esigenze del settore privato e delle famiglie
dal ’93 al ’97 siano aumentate, invece le spese passano da 32.000 miliardi a
19.000 miliardi, quindi un taglio netto di 13.000 miliardi sui trasferimenti
correnti alle famiglie. In particolare, gli interventi assistenziali sui
dipendenti pubblici passano da 15.000 miliardi a 5.000 miliardi, quindi un
taglio netto di 10.000 miliardi. Per quanto riguarda il settore pubblico, quindi
i contributi agli enti pubblici erogati dallo Stato, si passa dal ’93 con
102.000 miliardi a 89.000 miliardi, per cui abbiamo un taglio di 13.000 miliardi
da questo punto di vista.
Due percentuali, e con questo finisco questa parte: la difesa
nazionale: vi fornisco l’ultimo dato disponibile, le spese per la difesa
nazionale tra il ’95 e il ’96 aumentano dell’11%, le spese per la
giustizia aumentano del 32%, le spese per la sicurezza pubblica aumentano del
20%; invece, ad esempio, gli interventi per le abitazioni diminuiscono del 22%.
Quindi vedete che aumenta la spesa per il settore militare,
di difesa o comunque legato alla giustizia, diminuiscono le spese per le
abitazioni, diminuiscono le azioni in campo economico, diminuiscono del 13% gli
interventi a favore delle regioni, della finanza regionale locale. Mi pare che
questo sia in assoluta contraddizione con quanto invece ci viene detto da queste
relazioni e da queste bozze di decreto che stanno sviluppandosi in questi
giorni.
Qual è la considerazione finale? In effetti, se confrontiamo
i dati che vi ho fornito in maniera velocissima con quelle che sono le linee di
intervento che si propone questa riforma della pubblica amministrazione, notiamo
che l’unico modo per raggiungere l’efficienza e quello di arrivare ad una
veloce privatizzazione di interi comparti e di interi settori dell’amministrazione
pubblica e di tagliare il costo del lavoro e diminuire l’occupazione nel
pubblico impiego.
Ciò passa sia per il taglio del Welfare State, e quindi
scuola, sanità, formazione, lavoro, passaggio ai fondi pensioni, quindi obbligo
di tagli pensionistici e ricorso ai fondi privati, e con la mancanza assoluta di
compatibilità delle politiche keynesiane.
Fino a qualche anno fa nel nostro paese erano compatibili le
politiche keynesiane, e ciò significava, quindi, profitto ma parallelamente
sviluppo; oggi lo sviluppo non è più possibile, non è più compatibile
perché non è bastato raggiungere i parametri di Maastricht, ma ora "le
lacrime e il sangue" dovranno continuare per mantenere quella sorta di
parametrizzazione finanziaria a danno della spesa sociale e degli investimenti
pubblici.
Questa bozza di decreto per la riforma dell’organizzazione
del governo usa come criterio di privatizzazione selvaggia non soltanto quello
del taglio diretto del costo del lavoro e quindi il blocco delle assunzioni, ma
anche il taglio indiretto, Taglio indiretto significa ricorso alle agenzie
private, delocalizzazione produttiva anche per quanto riguarda i servizi
pubblici; una parte dei beni necessari per i servizi pubblici dovranno, cioè,
essere prodotti all’estero, significa che ci sarà una riduzione del personale
e del costo complessivo del lavoro e quindi dei contributi versati per la
sanità e per le pensioni.
In questi giorni su tutti i giornali ci sono titoli enormi,
sollecitazioni dal Fondo Monetario Internazionale: se la guerra continua,
bisogna rimettere mano alla finanziaria, al bilancio pubblico, subito taglio
delle pensioni. Guardate che parallelismo tra guerra, ristrutturazione dello
Stato, riforma dei bilanci dello Stato e poi tagli alla spesa sociale.
Quali sono le proposte? Noi abbiamo elaborato come Centro
Studi Cestes-Proteo delle proposte sia per quanto riguarda l’assunzione nella
pubblica amministrazione dei lavoratori socialmente utili; abbiamo individuato
addirittura 180.000 tagli diretti di occupati e abbiamo detto che semplicemente
assumendo i lavoratori socialmente utili, che mi pare siano 130.000, si
ritornerebbe al livello occupazionale della pubblica amministrazione del 1992, e
si incrementerebbe ulteriormente l’occupazione. Ma per ritornare al 1992
bisogna regolarizzare la vergogna del nostro paese data dalla ufficializzazione
del precariato, lo Stato che istituzionalizza il precariato. Una volta lo Stato
perseguiva coloro che facevano lavoro nero o coloro che davano lavoro nero e
lavoro precario, oggi lo istituzionalizza.
L’altra proposta che portiamo avanti come Centro Studi
insieme ad altre strutture e ad altri centri studi è il riconoscimento di un
reddito per i disoccupati. Parliamo di Reddito Sociale Minimo che non è
il reddito universale di cittadinanza. Noi diciamo che in un paese in cui non si
riesca a garantire l’occupazione bisogna da subito garantire il reddito ai
più bisognosi. Il primo livello è quello ovviamente di costruire possibilità
di occupazione, da questo punto di vista siamo assolutamente lavoristi, non
siamo per la società dell’ozio perché è attraverso il lavoro che la gente
si organizza e prende coscienza del proprio vivere insieme; ma fintanto che non
si può garantire lavoro, per evitare le forme di precariato, la gente che
lavora a 5-600 o 800mila lire al mese, noi chiediamo che venga
istituzionalizzato un Reddito Sociale Minimo con un milione al mese ai
disoccupati, ai precari, a coloro che perdono il lavoro e con il riconoscimento
di servizi pubblici gratuiti per i disoccupati, per i precari e per coloro che
hanno un basso livello di reddito.
Molti ci hanno detto, ma queste vostre proposte sono
d’impostazione keynesiana; bene, guardate oggi ben torni un modello keynesiano,
cioè noi siamo per il ritorno ad uno Stato interventista, ad uno Stato
occupatore, uno Stato che non tagli teste ma che crei occupazione, per poi
riproporre un terreno di intervento politico, sociale ed economico, che non sia
solo di resistenza e di difesa ma capace di rilanciare un’offensiva del mondo
del lavoro attraverso una riverticalizzazione del conflitto capitale-lavoro.
[1] Ci scusiamo per la forma che non
é quella dei calassici interventi scritti in quanto si tratta di uno
sbobinamento effettuato direttamente da un discorsotenuto dal Prof. L.
Vasapollo.