Ad un anno dal deposito in Parlamento di 63.000 firme per la legge di iniziativa popolare sull’istituzione del reddito sociale minimo (RSM)
Intervista di Contropiano, di Radio Città Aperta e della rivista Proteo a Luciano Vasapollo del Comitato Promotore Nazionale per il Reddito Sociale Minimo
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1) Tra i programmi di governo dell’Ulivo guidato da Rutelli,
appare e scompare la proposta della istituzione di un salario per i disoccupati.
La vostra proposta di un Reddito Sociale Minimo è dunque diventata una proposta
di governo? Oppure non è così?
Rdiversi studi, inchieste, attività di dibattito e gli
innumerevoli incontri, mobilitazioni e iniziative di lotta realizzate dal
Comitato Promotore Nazionale per il RSM sono serviti per avere un riscontro
empirico dell’esistenza di nuovi soggetti del lavoro nel territorio concentrati
in aree non necessariamente depresse, giungendo alla evidenziazione e alla
verifica di ipotesi socio-politiche sulla loro natura e sul loro ruolo. Si è
verificato che si è in una fase di passaggio epocale nella trasformazione delle
modalità di sviluppo nel nostro Paese; una fase in cui, si stanno velocemente
affacciando sulla scena economico-sociale nuove soggettualità, nuove
povertà e quindi nuove figure da riaggregare in un progetto di ricomposizione e
organizzazione del dissenso sociale.
L’attuale questione economico-sociale del lavoro non è
solamente connessa alla disoccupazione ormai strutturale, bensì riguarda una
serie di problemi di carattere quanti/qualitativo e quindi delle nuove figure
del lavoro, del lavoro negato e del non lavoro. Il problema lavoro esiste ormai
anche per coloro che ne possiedono uno, dato che si lavora sempre di più ed in
condizione sempre più precarie, non tutelate e con un guadagno sempre minore e
con alti livelli di mobilità e intermittenza. La questione del lavoro è quindi
sempre più legata ad un reddito adeguato per una vita degna di essere vissuta,
alla redistribuzione della ricchezza socialmente prodotta; ricchezza che da
ormai un quarto di secolo si indirizza sempre più a profitti e soprattutto a
rendite finanziarie e che non ritorna ai lavoratori né in termini di salario
diretto, differito e indiretto (basta considerare il modo che dovranno avere i
fondi pensione, i tagli e la privatizzazione del Welfare) né in termini di
incrementi occupazionali e di diminuzione della disoccupazione, né in termini
di riduzione di orario di lavoro e dell’intensità di lavoro a parità di
salario e di garanzie.
La proposta del RSM cerca di dare delle prime risposte a tali
problemi, ricercando le risorse necessarie alla sua attuazione da un forte
riequilibrio della distribuzione della ricchezza tra lavoro e fattori del
capitale attraverso diverse forme di tassazione sui profitti, le rendite, le
speculazioni finanziarie, il MOL, l’innovazione tecnologica, il capital gain, in
modo da destinare maggiore ricchezza all’occupazione, alle pensioni, al RSM, al
rafforzamento di un moderno Welfare. Il programma di Rutelli non parla di nulla
di tutto ciò.
2) Ma in qualche modo l’idea di una forma di retribuzione
riconosciuta per i disoccupati raccoglie lo spirito di fondo della vostra
proposta di legge? Oppure ritieni che cambino i presupposti di partenza?
La disponibilità di Rutelli e del Governo per l’istituzione
di una qualche forma di Reddito Sociale è strumentale ad esclusivi fini
demagocici ed elettoralistici ed ha elementi di forte ambiguità laddove
equipara il salario sociale ad una forma di assistenzialismo per i miserabili
visto come affiancamento ed allargamento della carità minima garantita attuata
in via sperimentale con il Reddito Vitale di Inserimento voluto dal Ministro
Livia Turco. A conferma di ciò vi sono i diversi elementi dell’abbozzato piano
programmatico di Rutelli tutto orientato verso politiche neoliberiste, di
appoggio alla logica d’impresa e di tagli del Welfare temperate da interventi di
pura carità per i miserabili. In questo quadro va evidenziata l’assoluta
mancanza di iniziativa da parte del Governo e del Parlamento ad avviare una
discussione sul piano istituzionale sulla proposta dell’istituzione del Reddito
Sociale Minimo (RSM) che il Comitato Promotore Nazionale ha depositato in
Cassazione ben due volte (a fine 1997 e a settembre 1998) e in Parlamento (a
Dicembre 1999) come legge di Iniziativa Popolare accompagnata da oltre 63.000
firme raccolte in tutta Italia, stabilendo un rapporto diretto con i disoccupati
e i precari e organizzando incontri, dibattiti e forti e continue iniziative di
lotta e di mobilitazione. A tutto questo il Parlamento e il Governo non solo non
ha dato risposta ma neppure si è avuto il coraggio politico di affrontarlo
inserendolo nell’agenda di discussione delle Commissioni Parlamentari. Oggi si
parla in maniera scorretta, elettoralistica ed assistenzialista di "un
qualche riconoscimento di salario per i disoccupati", senza mai entrare nel
merito vero socio-economico delle questioni che il Comitato Promotore Nazionale
sul RSM ha sollevato da oltre 3 anni sul piano della discussione
politico-economico-culturale e delle soluzioni concrete.
3) Alcuni mesi fa, Rifondazione Comunista ha presentato una proposta di
legge sulla "retribuzione sociale minima" che in un certo senso
clonava la vostra proposta di legge sul Reddito Sociale Minimo aggiungendovi
altri pochi articoli. Questa proposta successivamente è diventata una proposta
per il salario sociale. Tu e gli altri esponenti del Comitato Promotore
Nazionale avete condotto su questo una forte polemica tutta politica con
Rifondazione Comunista.
Puoi riassumercene le ragioni?
Ti posso rispondere per esperienza diretta che quando, oltre
tre anni fa, a nome di CESTES-PROTEO, dell’Unione Popolare e delle decine di
sigle dell’associazionismo di base che formavano e formano il Comitato Promotore
Nazionale per il RSM, ho posto nel Comitato scientifico e a molti dei dirigenti
nazionali del PRC la questione dell’istituzione del RSM mi sono trovato davanti
ad un muro pressoché invalicabile; alcuni (pochissimi per il vero) tacciavano
la nostra proposta di legge come un’ipotesi assolutamente "lavorista"
e quindi non in grado di recepire le istanze socio-produttive attuali che solo
il Reddito Universale di Cittadinanza poteva intercettare; la stragrande
maggioranza dei dirigenti nazionali del PRC e gli intellettuali a loro vicini,
con i quali ho più volte avuto modo di confrontarmi, hanno sostenuto fino a
pochi mesi fa che la nostra proposta sul RSM era simile e si affiancava a quella
di Reddito di Cittadinanza, in tal senso propugnando tesi di valorizzazione del
"non lavoro" nell’era post-fordista e accomunandosi ad ipotesi
addirittura neoliberali assistenzialiste capaci di favorire il superamento al
ribasso del modello di Welfare sostituendolo come forma universalistica di
carità garantita. Nonostante avessimo scritto un libro ("Profit State,
redistribuzione della ricchezza e RSM"), rimaneva questa confusione, quanto
voluta non sta a me giudicare, e comunque queste erano le valutazioni sulla
nostra proposta di legge; tant’è che le prime aperture da parte della dirigenza
del PRC su tale tema avvenute nel 1998 inoltrato, tendevano a rivendicare una
qualche ipotesi di "salario sociale" per i disoccupati nella sola
forma di gratuità di alcuni servizi e di tariffazioni sociali. Improvvisamente,
dopo probabilmente un lungo e verticistico travaglio interno, ci troviamo a
Febbraio 2000 con una ipotesi di proposta di legge sulla "retribuzione
sociale" da parte del PRC che prevede anche, oltre la gratuità dei
servizi, un quantum di reddito di L. 1.000.000. Risultato finale assai strano,
considerando le nette chiusure precedenti, con attacchi anche pesanti verso le
ipotesi di RSM. Ma ognuno ha diritto a ricredersi e siamo contenti che il PRC
abbia fatto suo, almeno in parte, il nostro punto di vista.
4) Allora si può dire che oggi c’è una maggiore convergenza
su questa proposta rispetto anche solo a due anni fa?
Permangono comunque da parte nostra importanti osservazioni
di metodo e di contenuto che differenziano notevolmente il nostro modo di agire
politicamente e di proseguire nell’iniziativa per il riconoscimento del RSM.
Per quanto concerne le differenze di contenuto vogliamo
precisare che, come tu sostieni, pur apparendo la proposta di retribuzione
sociale del PRC una vera e propria clonazione della nostra sul RSM, in
particolar modo in quelli che sono gli articoli aggiuntivi è stata effettuata
una operazione che in effetti differenzia notevolmente le due proposte
mettendole su un terreno politico differente pur facendole apparentemente
risultare simili. Ad esempio, i presupposti alla nostra proposta di legge
partono da un’analisi classista, in cui le differenze di classe, di ceto di
appartenenza, evidenziate in poche parole semplici nella diversità di reddito
imponibile, vengono assolutamente tenute di conto in modo da non riconoscere il
RSM a chi appartiene a ceti abbienti o che pur essendo disoccupato produce alti
redditi non da lavoro. Inoltre la nostra impostazione parte da un’analisi in cui
si riconosce che il mercato attuale del lavoro dimostra ormai l’esistenza di una
disoccupazione strutturale e quindi di lunghissima durata, pertanto non si
possono presupporre al momento periodi di pieno impiego in quanto l’attuale
tasso di disoccupazione è quasi "naturale" rispetto all’attuale fase
di ristrutturazione capitalista nell’era cosiddetta post-fordista. Ci sembra,
quindi, assolutamente non idoneo prevedere un periodo massimo di trentasei mesi
di corresponsione della retribuzione sociale (come prevede la proposta del PRC)
poiché non fissando un periodo massimo di corresponsione si può meglio creare
un movimento di lotta per la richiesta di un lavoro vero a tempo indeterminato e
a pieni diritti ed in mancanza di questo non è possibile accettare soluzioni al
ribasso come il lavoro minimo garantito o i lavori socialmente utili, e allora
è molto più coerente e dirompente continuare a tempo indefinito a rivendicare
la corresponsione da parte dello Stato e/o degli enti locali del RSM fino
all’ottenimento di un lavoro vero.
L’analisi che noi effettuiamo sull’attuale crisi del
capitalismo, crisi anche di sovrapproduzione e di domanda a causa della
contrazione complessiva del salario sociale dell’intera classe lavoratrice, e
crisi dovuta anche al passaggio dall’accumulazione materiale a forme di
accumulazione su capitale immateriale dovute ai forti processi di
terziarizzazione cui si accompagnano forti spostamenti sulla rendita
finanziaria, serve ad evidenziare che il cosiddetto ciclo post-fordista della
fabbrica sociale generalizzata realizza oltre a disoccupazione strutturale anche
le mille forme del lavoro atipico e flessibile. Pertanto non si può accettare
il punto di vista del PRC che riconosce la retribuzione sociale solo ai
disoccupati, ma ci sembra più idonea a questa fase la nostra proposta nella
quale il riconoscimento del RSM è indirizzato oltre che ai disoccupati anche a
tutti quei lavoratori precari che guadagnano meno di un milione al mese,
allargando poi tal proposta ai pensionati sociali e al minimo.
5) Perché nelle polemiche dei mesi scorsi ti sei soffermato
soprattutto sulla questione dei Lavoratori Socialmente Utili? Che legame c’è
tra una questione come gli LSU che appare soprattutto sindacale e una proposta
come il Reddito Sociale Minimo che attiene di più alla politica. È forse
questo il motivo di polemica con la proposta del PRC?
Certo, infatti passando al secondo blocco di articoli della
proposta PRC si ha fondamentalmente, come dicevamo prima, una vera e propria
concezione del lavoro e dell’avviamento al lavoro che parte da impostazioni
economiche politiche e culturali differenti tra le due proposte. Infatti non
possiamo assolutamente accettare il contenuto dell’articolo 8 della proposta del
PRC, laddove di fatto si ripropone la continuazione della vergognosa esperienza
del precariato pubblico istituzionalizzato attraverso il ruolo degli LSU, e ciò
per due motivi: il primo è che esiste un forte movimento di lotta degli LSU che
rivendica l’assunzione immediata nella Pubblica Amministrazione di tali
lavoratori con pieni diritti e pieno stipendio e la chiusura definitiva di
questa esperienza (vedi a tal proposito la proposta di legge del CESTES e delle
RdB); il secondo ordine di motivi è riconducibile al fatto che non è possibile
scambiare le politiche del lavoro (attive e passive e di sostegno al reddito)
con quella che è una vera e propria anomalia del mercato del lavoro mai
esistita prima e che si concretizza in 150.000 LSU che per 800.000 lire al mese
vanno a sostituire e a colmare il vuoto di organico della Pubblica
Amministrazione.
6) Mi sembra però di capire che non è solo questo il motivo
di disaccordo...
Certamente non capiamo, infatti, veramente il contenuto degli
articoli 9,10 e 11 della proposta di legge del PRC, laddove si prevedono
incentivi per le imprese, incentivi per l’imprenditoria autonoma e cooperativa e
forme di lavoro minimo garantito. Tale impianto non si muove assolutamente verso
il mutamento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro e di redistribuzione
reale della ricchezza e degli incrementi valoriali dovuti agli enormi aumenti di
produttività e di supersfruttamento della forza lavoro. Non capiamo come si fa
a parlare nei programmi del PRC di abrogazione dei "regali" alle
imprese, quando invece si propongono incentivi alle imprese previsti per
l’assunzione dei soggetti fruitori della retribuzione sociale, di fatto così
rafforzando la logica di trasferimento di sempre più fondi pubblici alle
aziende e al profitto. Addirittura si prevedono anche forme assunzionali
part-time, incentivando così la logica di flessibilità e precarizzazione del
lavoro congeniale agli attuali processi di ristrutturazione capitalistica.
Prevedere, poi, maggiori incentivi alle imprese che assumono con orario di 35
ore i soggetti fruitori della retribuzione sociale, significa non tener conto di
una vera battaglia sulla riduzione dell’orario di lavoro che si realizza
soltanto generalizzando la diminuzione di orario a tutti i settori, su base
settimanale, con controllo dei ritmi e degli straordinari; non vanno offerti
nuovi incentivi alle imprese ma bisogna immediatamente rivendicare una battaglia
autonoma di redistribuizione della ricchezza sociale prodotta dai lavoratori, in
modo tale da creare realmente nuovi posti di lavoro attraverso la
redistribuzione dell’attuale carico di lavoro.
Pensare, infine, ad una sorta di economia di mercato sociale,
a modelli di riproposizione di un capitalismo sociale temperato, attraverso il
discorso sulla cooperazione sociale, il terzo settore, la cosiddetta
autoimprenditorialità, significa nei fatti avallare le politiche delle
fondazioni bancarie e dell’area politico-culturale che si rifà ai progetti
dell’impresa sociale che sostituisce e non rafforza il Welfare; anzi ciò
favorisce la sua privatizzazione, dando così nuova linfa alle ipotesi della
centralità della cultura d’impresa che invade l’intero vivere sociale.
Riconoscere incentivi per l’imprenditorialità autonoma e cooperativa ai
fruitori della retribuzione sociale che si vogliono fare autoimprenditori;
significa allora assecondare quei meccanismi che portano a riconoscere il potere
decisionale a valenza strategica basato sulla centralità d’impresa anche
attraverso forme innovative di imprenditorialità che sono comunque momento
cruciale della moderna e socialmente coercitiva funzione imprenditoriale, la
quale, diffondendosi nel territorio, crea, oltre a nuove unità produttive, nuovi
soggetti interni rispetto alle compatibilità economiche del capitalismo, ma che
in ogni caso si allontanano dal punto di vista dell’interesse sociale
complessivo, realizzando più o meno coscientemente consenso intorno alla
formula d’imprenditorialità e alla cultura del profitto. Una cultura che
spesso finge di far propri gli interessi generali e di potersi basare su solidi
presupposti finalizzati al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale.
7) Si, ma in qualche modo occorre collegare la questione
del Reddito Sociale Minimo alla questione dell’occupazione?
Non è assolutamente accettabile la logica del lavoro minimo
garantito presente nella proposta PRC, poiché fermo rimanendo che è giusto
riconsiderare e rilanciare il ruolo di uno Stato interventista, investitore e
occupatore, ciò però deve tener conto che le nuove occupazioni nella Pubblica
Amministrazione devono riguardare esclusivamente lavori veri e a tempo
indeterminato e mai invece assecondare i progetti di precarizzazione e
flessibilità che si vogliono realizzare nella Pubblica Amministrazione.
Va inoltre tenuto conto che proporre che dopo i tre anni di
retribuzione sociale e due anni di lavoro minimo garantito, il lavoratore torni
ad essere disoccupato senza alcuna copertura, senza lavoro e senza reddito, può
paventare una palese incostituzionalità in quanto si creerebbero disoccupati
che fruiscono della retribuzione sociale e disoccupati completamente abbandonati
alla miseria assoluta.
L’articolo 12 della proposta di legge del PRC, laddove si
parla di elevamento della durata e del trattamento ordinario di disoccupazione,
pone un grosso problema riguardante una incostituzionalità ancora più palese;
infatti, trattandosi di legge che avrebbe carattere generale e non categoriale,
succederebbe che gli ex occupati e coperti dall’istituto di trattamento
ordinario di disoccupazione sarebbero maggiormente garantiti di chi non è stato
mai occupato, in quanto questi ultimi avrebbero dodici mesi di vacanza da ogni
copertura poiché la retribuzione sociale scatta solo dopo un anno di
disoccupazione. Inoltre pensiamo che anche i lavoratori atipici debbano avere il
riconoscimento del RSM per l’intero periodo di non lavoro e non semplicemente un
trattamento ordinario di disoccupazione.
8) La proposta sulla retribuzione sociale o del salario
sociale sembra però avere la caratteristica di apparire più
"realistica" rispetto ad una più "conflittuale" sul piano
antagonista come la vostra proposta di Reddito Sociale Minimo.
Ci poniamo un forte interrogativo: è veramente riformabile
in senso reale il mercato del lavoro così come oggi concepito senza inserire
forti elementi e principi di solidarietà ed egualitarismo e senza muoversi
nella direzione di modificare i rapporti di forza fra lavoro e capitale? E con
questo interrogativo arriviamo agli articoli 13 e 14 della proposta di legge del
PRC, in particolare considerando la copertura finanziaria. Qui delle due l’una:
o si pensa che il problema è la redistribuzione reale della ricchezza sociale e
che la contraddizione è nello sfruttamento e nell’estorsione del plusvalore e
che quindi l’intera ricchezza aggiuntiva realizzata in questi ultimi 25 anni è
andata tutta a profitti e rendite e che allora i processi di accumulazione del
capitale si sono rafforzati ancora una volta con il supersfruttamento del lavoro
che ha realizzato enormi incrementi di produttività diretta e indiretta, senza
che si siano realizzati né incrementi di salario diretto e indiretto, né
incrementi di occupazione vera né diminuzioni reali di disoccupazione, né
diminuzioni dell’orario di lavoro effettivo, né veri aumenti di investimenti
produttivi capaci di creare occupazione; e allora in tal caso bisogna aggredire
i processi di accumulazione attraverso forti tassazioni delle rendite, del MOL,
fino a giungere a una tassazione forte su tutti i capitali ( da una efficace
Tobin Tax, a colpire seriamente il capital gain e gli interessi finanziari sui
titoli imponendo l’inserimento nella dichiarazione dei redditi di tutti i
redditi da capitale, ecc.) fino a giungere ad una seria tassazione
sull’innovazione tecnologica che provoca disoccupazione e ad una battaglia
organica complessiva sulla elusione ed evasione fiscale. Oppure, se si reputa
tutto ciò impraticabile e pertanto non si ritiene che oggi bisogna
riverticalizzare il conflitto redistribuendo verso il lavoro la ricchezza
sociale attaccando nei mille modi fiscali, impositivi e di tassazione, i
profitti, le rendite e il capitale in genere, allora bisognerebbe almeno avere
il coraggio politico di optare verso un unico istituto di politica attiva del
lavoro riconoscendo un generalizzato e più congruo reddito sociale minimo
eliminando tutti gli altri istituti (ad esempio la cassa integrazione, i
prepensionamenti, l’indennità di mobilità); con tutto ciò che da tale
proposta provocatoria ne può conseguire sul piano delle relazioni sindacali,
sul ruolo del sindacato stesso e sul piano politico e dei rapporti di forza tra
capitale e lavoro.
9) Vista l’attuale debolezza dei movimenti di lotta e
sociali capaci di impugnare piattaforme o proposte avanzate sul terreno del
conflitto sociale, non ritieni che in una fase come questa si debba praticare
una strada unitaria delle cose possibili? Tu parli anche di questioni di
"metodo"; in questo senso si può aggiungere qualcosa al vostro
confronto con il PRC?
In ultima analisi per entrare anche velocissimamente nei
problemi di "forma", di metodo, che poi sono anch’essi di contenuto,
riteniamo che i compagni dirigenti del PRC debbano uscire da una sorta di
ambiguità e di doppiezza che caratterizza le loro scelte politiche. O si sta
veramente al fianco dei movimenti di lotta e di antagonismo sociale o
necessariamente si cade in un’ottica partitistica, centralista che spesso può
portare diritti verso il politicismo elettoralistico e propagandistico. Ad
esempio, i Comitato Promotore Nazionale per il RSM ha accolto positivamente il
fatto che il PRC dopo un lungo travaglio interno abbia preso la strada per il
riconoscimento di un reddito ai disoccupati, ma se ciò fosse scaturito da un
fitto confronto dialettico con chi come noi aveva realizzato in tutto il Paese
da oltre tre anni incontri, dibattiti, manifestazioni, intense iniziative di
lotta, ciò probabilmente avrebbe portato ad una proposta di legge unitaria,
capace di riconoscere le diversità culturali e sociali, rafforzando così il
momento rivendicativo e più in generale mettendo in essere un reale movimento
antagonista contro i processi di ristrutturazione capitalistica. Era così che
il Comitato Promotore Nazionale per il RSM aveva interpretato i primi contatti e
l’incontro pubblico di marzo con il PRC, cioè come primo momento di confronto
per mettere in atto un percorso di verifica, discussione e di crescita unitaria
del movimento di lotta dei disoccupati e dei precari per la redistribuzione
sociale della ricchezza. Così non è stato; ma il Comitato Promotore continua
l’iniziativa per arrivare al consolidamento di un forte movimento unitario che
sappia imporre il riconoscimento del RSM per i disoccupati, i precari e i
pensionati al minimo.
10) Quando facevate i banchetti per raccogliere le firme
sulla proposta di legge, quali reazioni avete registrato nei vari settori
sociali a cui chiedevate di sostenere la vostra proposta?
La raccolta delle 63.000 firme per la Proposta di legge di
iniziativa popolare per l’istituzione del RSM ha rappresentato, secondo me, il
momento più alto e significativo delle iniziative intorno a questa proposta che
durano ormai da oltre tre anni. Ciò perché ci ha permesso di realizzare una
vera e propria inchiesta sul campo in cui il contatto con i disoccupati, con i
lavoratori precari, ha permesso realmente di identificare una economia marginale
che evolve nel tempo riproponendo nuove figure sociali, nuovi soggetti che se
fino a non molti anni fa erano garantiti e funzionali allo sviluppo, oggi invece
vengono esclusi, precarizzati, espulsi, emarginati, fino a costituire quelle
aree di povertà in forte aumento che l’attuale modello tende a riprodurre in
forme in parte nuove. L’enorme aumento delle aperture di partita IVA, cioè i
nuovi lavoratori autonomi, i nuovi piccoli imprenditori, altro non sono che il
risultato della scelta del capitale di espellere manodopera, di creare un
indotto a carattere prevalentemente terziario mal retribuito, senza il carico
contributivo, di sollecitare un generalizzato ricorso a forme più o meno
nascoste di cottimo corporativo da contrapporre ad ogni forma di
rigidità del lavoro e retributiva, rendendo tutto flessibile e compatibile
al sistema della centralità dell’impresa e del profitto, adattando l’intero
corpo sociale, attraverso le funzioni del Profit State, all’organizzazione della
fabbrica sociale generalizzata.
11) Dal punto di vista legislativo, a che punto è la
proposta di legge sul Reddito Sociale Minimo?
Le iniziative del Comitato Promotore Nazionale continuano
tenendo conto di tutto ciò, dell’esperienza fatta direttamente. La battaglia va
avanti sia sul terreno del confronto istituzionale (sollecitando incontri e
prese di posizione del Ministero del lavoro e delle Commissioni Parlamentari)
sia sul più importante terreno del rilancio di un movimento dei disoccupati e
dei precari per la redistribuzione della ricchezza e per il rilancio del
conflitto sociale. In questi mesi abbiamo visto crescere e rafforzarsi il
Comitato Promotore a Roma, nel Lazio, in molte realtà meridionali come Napoli,
Palermo, in Sicilia in genere o in aree come quelle a maggior tasso di sviluppo
ad esempio in Emilia. Ci sembra che la nostra proposta stia diventando un
momento unificante tra disoccupati, precari, LSU, pensionati, casalinghe,
studenti. È in questo senso che continueremo a muoverci sollecitando in tutti i
modi il Governo e il Parlamento affinché mettano all’ordine del giorno la
discussione di tale proposta.
12) Infine volevo soffermarmi sul vostro ultimo lavoro. Con
la pubblicazione del tuo ultimo libro insieme a Rita Martufi -EuroBang - hai
ricostruito le dinamiche economiche del Lavoro e del Capitale in Europa negli
ultimi trenta anni. Che spazio e quali obiettivi può avere,nel contesto
attuale, una proposta come quella del Reddito Sociale Minimo?
È evidente che i nuovi processi di accumulazione flessibile
del capitale hanno assoluto bisogno di creare una nuova tipologia di lavoratori:
i precari, i lavoratori intermittenti, i lavoratori autonomi di ultima
generazione, i parasubordinati. Si tratta in effetti delle nuove forme e
modalità di un lavoro che rimane subordinato, della nuova faccia del lavoro
salariato. Nuove figure che nelle quali rientrano per lo più i giovani e
la donne. Oramai sono molti di più dei lavoratori dipendenti classici e
tradizionali; sono tutti coloro che svolgono lavori mal retribuiti, saltuari,
part-time, senza avere diritto ad alcuna tutela. È il nuovo mercato del lavoro
ad altissima precarizzazione e flessibilità imposta dal nuovo ciclo
dell’accumulazione flessibile per poli imperialisti, funzionale alle logiche di
aggressione economico-sociale delle multinazionali. Nonostante l’enunciazione
di vari principi innovativi espressiinfasi diverse da varie componenti
imprenditoriali, governative e sindacali, si va sempre più realizzando una
forma-Stato e una forma Governo che è l’espressione e ha i vincoli imposti
dalle multinazionali, dai grandi potentati economico-finanziari, dalla grandi
famiglie proprietarie, dai grandi azionisti, che realizzano obiettivi di lungo
periodo non solo sul sistema produttivo diretto ma sull’intero vivere sociale
dei lavoratori, determinando e imponendo le nuove funzioni sociali realizzabili
con il contributo di tutti gli operatori-strumento interessati allo sviluppo per
poli geoeconomici mettendo in essere le diverse forme di conflitto
interimperialistico (guerre commerciali, guerre finanziario-borsistiche, guerra
del petrolio, guerre guerreggiate, ecc.).
Davanti a questo quadro una battaglia europea, e non solo,
sul RSM, è fondamentale per riproporre l’unità di classe contro il capitale.
Il territorio viene ad assumere dei nuovi connotati di classe a partire
dalle nuove caratteristiche sociali, per definire una diversa soggettualità
sociale che in precedenza era propria della fabbrica ed in questa si
identificava e si organizzava.
Riverticalizzare il conflitto sociale significa porsi
immediatamente il problema della socializzazione dell’accumulazione, quindi il
problema della ridefinizione dei meccanismi del potere economico-sociale.
Riverticalizzare lo scontro significa ripartire dalla reale democrazia
partecipativa politica ed economica, ma non vista come semplice intervento dei
lavoratori nella partecipazione, una iniziativa politica dal basso di natura
passiva ai flussi finanziari, ai profitti o al capitale, ma una partecipazione
che a partire dai nuovi bisogni, dalle necessità e dalle domande provenienti
dai lavoratori, occupati e disoccupati, atipici e pensionati, realizzi concreti
processi decisionali, rimettendo in discussione lo stesso concetto di proprietà
in uso nell’economia moderna e il suo meccanismo di allocazione.