“The Federal Business Revolution”
Luciano Vasapollo
Rita Martufi
Parte Seconda. Dal Terzo Settore al "Welfare dei Miserabili": gli altri strumenti della Grande Riforma della P.A.
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I paesi anglosassoni (Irlanda e Regno Unito) costituiscono
un primo raggruppamento; ad esempio solo la copertura sanitaria è a carattere
universalistico mentre le prestazioni per i disoccupati non sono erogate se
non a coloro che pagano i contributi ad una assicurazione (la National Insurance
ad es.). I finanziamenti sono di tipo fiscale per quanto riguarda la sanità
mentre le altre prestazioni (in denaro, tra le altre) sono quasi interamente
finanziate con contributi sociali. In questo ambito di paesi l’apparato pubblico
centrale gestisce quasi interamente l’organizzazione del Welfare mentre le parti
sociali (sindacati, ecc.) non hanno un ruolo importante.
Il secondo gruppo è costituito dai paesi scandinavi nei quali
vi è una copertura universale (infatti, ad esempio, in Finlandia e in Svezia
l’assegno di malattia e maternità viene erogato anche a coloro che non lavorano),
le prestazioni sociali costituiscono un diritto di cittadinanza e si esplicano
in somme di denaro anche abbastanza elevate corrisposte automaticamente a chi
ne necessita. Le persone occupate hanno, inoltre, delle prestazioni sociali
integrative attraverso delle associazioni di categoria molto uniformi (in Svezia
ne è presente uno solo). Le prestazioni sociali sono finanziate attraverso le
tasse e sono le autorità pubbliche a gestirne lo svolgimento. L’unico settore
lasciato alle organizzazioni sindacali e di tipo volontario è la l’assicurazione
contro la disoccupazione.
La Francia, la Germania, l’Austria, la Svizzera e il Benelux
costituiscono un terzo gruppo di paesi nei quali è ancora molto presente il
collegamento tra prestazione sociale (garanzia sanitaria e del reddito) e lavoro.
Vi sono, quindi, finanziamenti e prestazioni che risultano essere legati al
reddito e si rapportano alle associazioni di categoria; i sindacati e le forze
sociali influiscono e partecipano alla determinazioni delle coperture assicurative;
infatti di solito, in sostanza, quando un lavoratore entra nel mercato del lavoro
ha l’obbligo di aderire ad una assicurazione.
Va ricordato che l’Olanda la Svizzera hanno introdotto diversi
schemi a caratteri più universalistico.
Vi è, infine, l’ultimo gruppo di paesi costituito da Spagna,
Portogallo, Grecia e Italia che non pur non potendo essere accorpati completamente,
perché hanno tipi diversi di Welfare, rientrano comunque in un sistema di Stato
sociale a carattere corporativo-conservatore. Questi paesi, infatti, pur avendo
alcune prestazioni in parte ancora abbastanza dignitose, non hanno un sufficiente
sistema di protezioni minime di base, anche se hanno istituito (con differenti
e spesso insufficienti risultati) dei servizi sanitari di tipo universale.
Si evidenzia, comunque, che "Il basso grado di «statualità»
dei sistemi latini di Welfare è un tratto che isola decisamente questa famiglia
di nazioni dalle altre presenti in Europa". [1]
Guardando più da vicino il nostro Paese, si nota che la crescita
delle prestazioni era avvenuta in Italia attraverso una contrattazione politica
e corporativa che ha visto confrontarsi, da un lato, le singole categorie preoccupate
di migliorare la propria condizione senza riguardo per le altre, dall’altro
i partiti politici intenzionati ad incrementare il proprio consenso sociale,
dando luogo ad un sistema di assistenza di fatto corporativo e disegualitario.
Lo Stato sociale in Italia ha, comunque, rappresentato un forte momento di regolazione
e mediazione del conflitto capitale-lavoro, in un paese caratterizzato da una
particolare forza del movimento operaio e sindacale.
Le trasformazioni economico-sociali hanno modificato oltre
il concetto di povertà anche la fascia di popolazione interessata a tale fenomeno
che, oramai, investe le realtà dei disoccupati, dei sottoccupati, dei precari,
dei separati senza tutela, degli anziani, e dei minori in condizioni di marginalità.
Ed è proprio in questa situazione che si sono venuti a creare dei meccanismi
che, permettendo di mantenere la "socializzazione della distribuzione"
ed in pratica "mercatizzano" la produzione. Si tratta di situazioni
che sono da un lato "mercati" perché sostituiscono con una varietà
di soggetti autonomi il monopolio degli erogatori pubblici e dall’altro sono
"quasi mercati", perché sono diversi dai mercati tradizionali sia
in quanto non hanno necessariamente il fine di rendere massimo il loro profitto,
sia perché non sono necessariamente una proprietà privata (questo dal lato dell’offerta)
ed, infine, anche poichè il potere di acquisto dei consumatori è centralizzato
in "un’agenzia pubblica" e comunque non è espresso in termini monetari.
"I quasi-mercato hanno quindi la funzione di evitare soluzioni
monopolistiche e, per quanto possibile, anche di monopolio bilaterale, riducendo
l’accentramento sia della domanda che soprattutto dell’offerta, così da determinare
l’emergere di un a pluralità di soggetti su entrambi i versanti, e lasciare
che l’integrazione fra l’una e l’altra avvenga non per arbitrato burocratico
ma attraverso meccanismi di mercato" [2]. Lo Stato
potrebbe, così, divenire il regolatore della domanda e dell’offerta lasciando
il suo monopolio; delle sperimentazioni in questo senso sono in corso nei settori
della sanità e dei servizi sociali.
Si promuove, in tal modo, uno sviluppo del cosiddetto mercato
sociale, accampando l’idea che solo così si potrebbero rendere più visibili
le regole della solidarietà e dell’aiuto ai ceti più disagiati.
"Il mercato sociale trova un terreno fertile di crescita
nel declino del Welfare State, un fenomeno macroscopico e veloce dovunque... I
grandi sistemi istituzionali d’intervento sociale che si sono sviluppati nel
suo alveo come dispositivi di base della cittadinanza - l’assistenza, la sanità,
l’educazione, le garanzie del lavoro, la sicurezza sociale - sono oggi sottoposti
dappertutto alla divaricazione tra crescenti vincoli di spesa e problemi sociali
emergenti. Da un lato, essi sono oggetto di misure restrittive e tagli di spesa,
considerati un costo non più sostenibile, uno spreco, un intralcio alla nuova
crescita economica. Dall’altro, appaiono comunque inadeguati rispetto ai problemi
sociali cui dovrebbero rispondere... Il trend demografico di invecchiamento della
popolazione e soprattutto l’indebolimento drastico e veloce della condizione
lavorativa creano profondi squilibri tra le generazioni e tra i lavoratori (e
tra occupati e inoccupati) che indeboliscono non soltanto la base fiscale del
Welfare State ma anche un suo fondamentale principio di qualificazione e legittimazione,
le sue promesse universalistiche, rivelandovi anche risvolti selettivi e corporativi
che penalizzano soprattutto i giovani, le donne e le persone senza una condizione
lavorativa garantita". [3]
Sono ormai superati i due modelli di Welfare che si riferivano
da un lato ad un criterio occupazionale- professionale classico in cui il lavoratore
dipendente era il fruitore dei piani assistenziali (ad esempio le mutue o enti
di assistenza di categoria) e dall’altro ad un criterio universalistico (che
si riferiva all’intero corpo sociale).
Il nostro Paese che dagli anni seguenti al primo dopoguerra
in poi si è basato su questi principi, si trova oggi in una situazione "mista",
nella quale sono presenti fattori tipici del modello universalistico, fattori
di tipo fiscale ed individuale e fattori tipici del modello professionale [4]. Ma va considerato
che ormai anche in Italia il contesto economico, sociale e politico ha creato
una situazione in cui interi settori sociali sono al di fuori dei tradizionali
campi del Welfare (lavoro e sanità) in quanto fasce sempre più vaste di popolazione
accusano un disagio sociale sempre crescente legato sia ai fattori della tossicodipendenza,
dell’immigrazione, della precarietà, del lavoro atipico, flessibile, della disoccupazione
strutturale, delle nuove povertà e marginalità che si aggiungono ai non risolti
"vecchi" problemi legati alla sanità, alla previdenza e all’assistenza.
C’è inoltre da evidenziare anche che fattori quali l’invecchiamento della popolazione,
la diminuzione della natalità [5] hanno
posto la necessità di più intense prestazioni nei settori pensionistici, sanitari
e di servizio sociale. E, comunque, la ristrutturazione e riorganizzazione dello
Stato sociale dovrebbe tener conto del fatto che oggi, oltre alle necessarie
sicurezze relative alla salute, alla previdenza e all’assistenza, i cittadini
necessitano di altre sicurezze, di natura spesso anche psicologica ed immateriale
legate al bisogno di cultura, ad un diverso standard di qualità della vita,
a nuovi e moderni diritti di cittadinanza.
Gli interventi risultano, quindi, essere insufficienti e inadeguati
alla situazione attuale e risulta sempre più necessario porre rimedio alle "falle"
di un sistema che, a fronte dei processi di ristrutturazione post-fordista non
ha più bisogno del ruolo di mediazione dello Stato sociale.
Anche il diverso ruolo assegnato dal modificarsi delle relazioni
economico-sociali alla famiglia influenza le prestazioni del Welfare.
"La famiglia europea è diventata un istituto assai meno
stabile e protettivo che nel passato, come è attestato in quasi tutti i paesi
dalla crescita di divorzi e separazioni, di famiglie monogenitoriali, di nuclei
familiari con un solo componente (spesso molto anziano) e dalla preoccupante
diffusione di fenomeni di isolamento ed emarginazione... La tendenza alla precarizzazione
dei rapporti sociali non presenta una fisionomia uniforme in tutti i paesi europei:
è decisamente più accentuata nell’Europa del Nord, mentre al Sud le reti familiari
continuano per molti versi a svolgere le proprie tradizionali funzioni di ammortizzatori
sociali... Lo Stato del benessere europeo deve oggi fare i conti non solo con
una struttura demografica profondamente diversa rispetto al passato, ma anche
con nuove e mobili configurazioni di rapporti familiari e più in genere sociali,
non sempre capaci di autosufficienza e comunque esposte al rischio di cader
vittima delle possibili «trappole» (della povertà, della dipendenza, dell’esclusione)
spesso causate proprio dai vigenti istituti di protezione o tassazione, che
sono stati congegnati avendo come punto di riferimento la famiglia nucleare
di tipo tradizionale". [6]
È chiaro che la lotta alle forme di disagio sociale e alla
povertà rientrano negli scopi di un Welfare equilibrato e giusto ma non possono
essere i soli obiettivi da raggiungere in quanto "il ritorno alla combinazione
ottocentesca di carità e assicurazione è contraddetto proprio dalla nuova articolazione
delle società moderne, il cui governo richiede soluzioni complesse e dunque
politiche pubbliche adeguate, ispirate ai principi di equità, solidarietà, eguaglianza". [7]
In questo contesto le funzioni dello Stato vanno risistemate,
ridefinite ma non devono essere assolutamente eliminate e in questo senso non
si può pensare di delegare a privati, o ad associazioni che si definiscono non
interessate al profitto, la realizzazione di politiche che garantiscano le necessarie
sicurezze ai cittadini.
[1] Cfr. M. Ferrera, "Le
trappole del ..., op. cit., pag. 83.
[2] Cfr. CNEL, Rapporto su: "Statualità,
mercato e socialità nel welfare", assemblea marzo 1996, pag. 9.
[3] Cfr. Ota de Leonardis, "In un diverso welfare",
Feltrinelli, Milano, Marzo 1998, pag. 12, 13.
[4] Cfr.
CNEL, Rapporto su: "Statualità, mercato...", op. cit.
[5] Si ricorda che mentre nel 1960 le persone di
oltre 60 anni erano circa il 15,5% della popolazione europea, nel 1995 si era
arrivati al 21% con circa il 3% di persone con più di ottanta anni.
[6] Cfr. M. Ferrera, "Le trappole del..., op. cit.,
pag. 15.
[7] L.
Pennacchi, "Lo Stato sociale del futuro", Donzelli editore, Roma,
1997, pag. 6.