Il governo Berlusconi tra finanziaria e finanziarizzazione
Fabio Sebastiani
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Una finanziaria che dà, poco, con una mano e toglie, tanto,
con l’altra, Ma anche una finanziaria dei grandi affari, e non poteva essere
altrimenti, per i grandi gruppi finanziari, banche e banche d’affari, fondi
pensione chiusi e aperti. A loro sì, dà tanto. È lì che va la vera ricchezza
del paese tracciando ancora di più quel profilo della finanziarizzazione dell’economia
che è uno dei tratti fondamentali di questa fase dell’imperialismo. Toglie a
molti, indistintamente, sia attraverso il prelievo diretto che attraverso una
vera e propria rapina ai danni della fiscalità generale, per dare a pochi,
aziende e lobby organizzate. Solo la cosiddetta decontribuzione per i nuovi
assunti costerà alle casse dello Stato circa mille miliardi l’anno. Un altro
“buco” della stessa portata si produrrà ai danni dei Co.Co.Co., i
collaboratori coordinati e continuativi che si vedranno aumentare la quota dei
contributi previdenziali dal 13% al 17%. Aspettiamo poi di vedere quanto
costerà agli italiani la regionalizzazione del fisco, altro capitolo amaro
della cosiddetta devolution. Per quanto riguarda il cosiddetto aumento ai
pensionati al minimo, andrà soltanto a 2 milioni di persone, appena un terzo
della platea e per un costo già blindato di circa 4mila miliardi. Il modello
governativo è quello di destrutturare e privatizzare il welfare, non c’è
dubbio. Privatizzazione e mercificazione che vengono portate avanti con i soldi
dei lavoratori e dei cittadini. Lo Stato sociale viene mercificato, esposto alla
legge del mercato, quindi. È sufficiente pensare alla trasformazione degli
ospedali in fondazioni, per esempio. Il capitolo pensioni può essere
considerato una sorta di modello di riferimento. Mentre da una parte viene
svuotata dall’interno la parte pubblica, con interventi che di fatto abbassano
i rendimenti pensionistici e con altri che allungano il periodo delle cosiddette
“finestre” annullando la pensione di anzianità, dall’altra la cosiddetta
“seconda gamba”, la pensione privata, il regno dei fondi pensione chiusi, fa
un deciso salto di qualità incamerando una buona fetta del trattamento di fine
rapporto. Anche in questo caso Berlusconi ha usato il metodo delle “tre carte”:
da una parte ha prelevato dalle aziende alcuni miliardi di Tfr, che non verranno
versati subito, si badi, perché si tratta di Tfr “maturando” dall’altra
gli ha, questa volta sì subito, fatto un bello sconto sulla contribuzione di
almeno 1000 miliardi l’anno. I fondi pensione chiusi sono lì che aspettano
come avvoltoi famelici: la trappola è pronta a scattare. A versare i soldi veri
saranno i cittadini, attraverso la fiscalità generale, e i lavoratori,
attraverso il trattamento di fine rapporto, che è salario differito.
Ai fondi pensione chiusi fino ad oggi avevano aderito poco
meno del 10% dei lavoratori italiani e i rendimenti erano tra i più bassi d’Europa.
Oggi i fondi crescono di quel tanto da aumentare la capacità di stare sul
mercato. A parte il solito meccanismo gestionale pronto a distribuire lauti
guadagni pronto cassa a lobby di tutti i generi, quelle sindacali comprese, per
gli imprenditori si tratta di una mera partita di giro. I soldi, una torta che
complessivamente dovrebbe ammontare intorno ai 50mila miliardi, da una parte
escono molto lentamente attraverso il Tfr e dall’altra rientrano attraverso i
circuiti del mercato finanziario. I fondi pensione, infatti, in vista di
importanti entrate nei prossimi anni, impiegheranno subito i capitali
disponibili. E dove li impiegheranno se non nel finanziamento delle aziende
attraverso azioni e obbligazioni? Ma non è solo questo il favore che Berlusconi
ha fatto a “lor signori”. A ragione, quindi, di seguito verrà analizzato il
grande affare della svendita del patrimonio alloggiativo pubblico. Una vera
manna dal cielo per il capitalismo e una vera e propria stangata per gli
inquilini affittuari costretti con il ricatto ad acquistare appartamenti vecchi
e malandati. Intanto i sindacati degli inquilini prevedono per il prossimo anno,
al momento della scadenza della proroga, più di centomila sfratti.
Belusconi e Tremonti usano parole apparentemente astruse come
"cartolarizzazione" e "securitization". Ma chi se ne intende
l’ha già battezzata molto più praticamente la più grande operazione di
privatizzazione immobiliare della storia del vecchio continente. Un patrimonio
pubblico di case, magazzini, locali, negozi, uffici e terreni del valore tra i
30mila e i 60mila miliardi pronto ad essere fagocitato e trasformato in
alberghi, supermercati e uffici. L’affare ha già scatenato gli appetiti di
speculatori e finanzieri di mezzo mondo. Anzi, a dire la verità è stato
proprio pensato per loro.
George Soros, che continua a sottolineare i
"limiti" della globalizzazione finanziaria, fiutando l’aria ha già
messo in piedi un fondo da un miliardo di dollari, oltre 2.100 miliardi di lire
per tuffarsi nelle “magnifiche sorti e progressive” del mercato immobiliare.
Dopo internet e hi-tech il nuovo passatempo di "lor
signori" sarà di nuovo la rendita immobiliare, infatti. Un
"giochino" che vale la pena di giocare, però, soltanto se c’è odore
di speculazione, naturalmente. E stando a quello che si preannunzia sembra
proprio di sì, anzi. Gli analisti finanziari parlano addirittura di un vero e
proprio "caso italiano". E non solo perché la congiuntura
internazionale sta "riposizionando" proprio sul mattone i grandi
flussi di quei capitali internazionali, e sono moltissimi, delusi dagli
andamenti borsistici e dalla new economy. Negli Usa, poi, è l’unico settore che
non registra segni negativi, già da prima dell’11 settembre. In Europa siamo
appena agli inizi della grande corsa anche perché la bolla speculativa
scoppiata nel biennio 97-98 in Giappone potrebbe trovare nel vecchio continente
una nuova allocazione. Milano e Roma sono identificate come due città che si
trovano in una fase di ripresa, a differenza di Londra, Dublino, Helsinki,
Amsterdam e Stoccolma. A far gola in Italia sono i prezzi bassi e l’assenza di
una vera concorrenza nazionale. E, guarda caso, questo interesse internazionale
per i fatti nostrani "concide" con la fase conclusiva del processo di
dismissione del patrimonio immobiliare pubblico. Per non rischiare troppe
bacchettate sulle mani l’ex palazzinaro Silvio Berlusconi - ha da poco ceduto
Edilnord 200 ad una cordata guidata dall’onnipresente Marco Tronchetti Provera -
sta mettendo a punto una operazione finanziaria che mentre da una parte trova
qualche pezza d’appoggio alla sua famelica finanziaria 2002, dall’altra assicura
ai suoi amici finanzieri introiti da capogiro. Assisteremo nei prossimi anni ad
una girandola di cambi di destinazione d’uso, che in qualche modo stanno già
scritti nel programma elettorale della Casa delle libertà. Non solo, le
abitazioni pubbliche non è detto che saranno vendute a chi le ha occupate in
tutti questi anni, così come prevedevano le leggi e i decreti varati dai
governi precedenti. I nuovi "proprietari" hanno già dichiarato il
loro interesse a mantenere sì il regime di affitto ma con canoni mensili che
schizzeranno in alto. «Così come vuole il mercato». Adam Toft, dell’Agenzia
di rating Moody’s, traccia infatti una netta distinzione tra cessioni con soli
immobili e cessioni arricchite dal flusso di cassa generato dagli affitti.
«Meglio il secondo», dice. «Lo sprint del mercato residenziale, da un lato -
scrive "Il Sole 24 ore" - e l’intensificarsi degli affondi da parte
dei grandi manovratori internazionali del settore, dall’altro, confermano la
sempre maggiore importanza della piazza italiana dopo anni di permanenza ai
margini del campo di battaglia». A far gola a Soros e compagni sono anche i
"pezzi" immobiliari dei Ferrovie dello Stato e delle Poste italiane
Spa, più direttamente fruibili da un punto di vista speculativo. Prepariamoci,
nei prossimi anni assisteremo a molti cambi di destinazione d’uso il volto di
interi quartieri metropolitani verrà ridisegnato. Del resto i numeri parlano
chiaro, tra i comparti alternativi al residenziale, le maggiori opportunità
deriveranno dal terziario, dal commerciale e dal turistico. Per "Il Sole 24
ore" saranno i fondi chiusi di investimento, italiani ed esteri, ad
usufruire, «con altre realtà societarie», della forte valorizzazione che una
spinta di questa portata imprimerà al mercato. Secondo una ricerca del Censis,
nei prossimi cinque anni si prevedono in Italia investimenti di questi soggetti
pari a 9.500 miliardi di lire. «I fondi immobiliari esteri manifestano un
crescente interesse per il mercato italiano - sottolinea Franco Carlo Papa,
managing partner di Ernst & Young Corporate Finance - in particolare per il
comparto commerciale, terziario e industriale». Papa da anche una scadenza
precisa, che "stranamente" coincide esattamente con quanto sta
organizzando il governo Berlusconi. «Non appena aumenterà il ricorso alle
operazioni di securitization immobiliare, tuttora ancora limitato - dice Papa -
con particolare riguardo alle operazioni di cartolarizzazione dei canoni di
locazione e il ricorso a processi la cui metodologia è riconducibile al sale
& lease back, scatterà un’altra importante leva di sviluppo del settore
immobiliare italiano».
Per la cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico
ai blocchi di partenza, ufficialmente, si erano posizionate sette banche
italiane e ben sedici estere. In palio c’era il mandato di "arranger"
per la cessione in massa del patrimonio immobiliare. Saranno queste a costituire
le cosiddette società veicolo che acquisteranno il patrimonio utilizzando come
“moneta” la cosiddetta cartolarizazione, cioè l’emissione di titoli. Ad
arrivare sono state solo in quattro, almeno in una prima fase: Deutsche bank,
IntesaBci, Lehman brothers e San Paolo Imi. Queste saranno affiancate nel
ruolo-chiave di consulenti immobiliari da Romeo Gestioni e Ipi-Fiat. Insomma,
Berlusconi ha cercato di accontentare un po’ tutti. Per Morgan Stanley,
Mediocredito centrale-Banca di Roma, Unicredit e Pirelli Estate nessun problema,
Si aggiudicheranno una delle tante tranche in programma. Saranno i “vincenti”
per il momento a staccare un assegno tra i 12 e i 15 mila miliardi. Ma, come
abbiamo visto, il valore di mercato attuale è di almeno tre volte e potrebbe
decuplicarsi tra cinque anni. Gli immobili potenzialmente vendibili in Italia
ammontano a oltre 170 miliardi di euro (circa 350mila miliardi di lire), di cui
100 miliardi di euro e più appartenenti allo Stato nella forma di proprietà
degli Enti previdenziali, fondi pensione, enti locali e regionali. Secondo gli
esperti pur in presenza di una offerta potenziale di queste proporzioni il
mercato è talmente ricco che non corre il rischio di veder crollare i prezzi.
Questo perché l’offerta è gestita con metodi sempre più sofisticati e la
domanda, comunque forte, è sempre più internazionale. Come sarà possibile
questa “moltiplicazione dei pani e dei pesci” lo vedremo più avanti. Ora
vediamo più da vicino che cosa è una cartolarizzazione. La cartolarizzazione
è uno strumento “finanziario” introdotto da pochi anni, la prima volta se
ne parlò a proposito dei crediti dell’Inps nei confronti di aziende che non
avevano versato regolarmente i contributi previdenziali. Prevede la possibilità
di trasformare un credito in titoli da collocare sul mercato. Detta in poche
parole, con un linguaggio popolare, è una sorta di catena di Sant’Antonio. Il
debito non viene evaso ma trasferito verso una parallela catena del “valore”
che al momento della chiusura dovrà realizzare una perfetta speculazione ai
danni della collettività. Chi finanzia il credito ha il vantaggio di acquistare
a prezzi di realizzo e, nello stesso tempo, di presentarsi su un mercato con
forti aspettative di crescita.
Quale è il meccanismo in base al quale speculatori di tutti
i generi si stanno buttando a capofitto nell’“affaire” della vendita del
patrimonio pubblico? C’è una prima ragione, molto semplice, legata all’andamento
del mercato immobiliare. Lo scenario tracciato dagli operatori del settore
immobiliare parte da una considerazione di fondo: i timori sul futuro dell’economia
che si ripercuotono negativamente in Borsa stanno spingendo molti risparmiatori,
grandi e piccoli, ad investire sul bene tradizionalmente più sicuro, il
mattone. C’è una forte attesa di crescita, quindi. E l’immissione a prezzi
irrisori di un patrimonio pubblico che dovrebbe aggirarsi ai valori attuali
attorno ai 70mila miliardi scatena appetiti fortissimi. Il dubbio viene
spontaneo: perché non puo’ essere lo Stato il protagonista di questa enorme
valorizzazione? Dopo anni di crisi, da un biennio il settore delle costruzioni
fa registrare un andamento positivo: nel 2000, secondo l’associazione
nazionale costruttori edili (Ance), gli investimenti hanno raggiunto
complessivamente quota 187mila miliardi (+3% sul ’99) e i dati sono positive
anche per il 2001 (anche se si parla di una crescita più contenuta rispetto al
2000). La riduzione di tassi favorisce la ripresa degli investimenti, sia da
parte di famiglie interessate ad acquistare alloggi da destinare all’affitto,
che di fondi immobiliari, che nei prossimi anni avranno in Italia uno sviluppo
notevole. Secondo l’amministratore delegato del gruppo Gabetti c’è un
ostacolo da superare: «L’offerta non riesce a incontrarsi con la domanda -
sottolinea Elio Gabetti -. In particolare mancano alloggi nuovi, che siano all’altezza
delle richieste degli investitori». Parole da registrare, soprattutto se si
tiene conto di quanto afferma il presidente dell’Ance, Claudio De Albertis: la
domanda negli ultimi anni si è evoluta, c’è una maggiore attenzione alla
qualità, al contrario dell’offerta: «Lo stato di degrado del patrimonio
immobiliare deve spingere verso una vasta opera di riqualificazione dell’offerta,
per avere prodotti all’altezza delle attese degli investitori - sottolinea il
presidente dell’Ance -. Bisogna superare alcuni tabù e avviare vaste opere di
sostituzione del patrimonio edilizio, attraverso interventi di demolizione e
ricostruzione, come avviene da anni negli altri paesi». Il grande interesse
degli investitori per il mercato immobiliare, tuttavia, deve fare i conti con la
carenza di alloggi, una carenza che riguarda soprattutto le zone centrali delle
città, ma che si estende anche alle aree semicentrali e in periferia: l’ufficio
studi di Gabetti ha stimato un deficit del 6% dell’offerta. È evidente che il
patrimonio alloggiativo pubblico ha tutte le caratteristiche descritte dall’amministratore
delegato della Gabetti. È lì che le grandi multinazionali del mercato
immobiliare stanno cercando di concentrare la loro attenzione proprio perché si
tratta di un patrimonio facilmente “riconvertibile” o con ristrutturazioni o
con abbattimenti e ricostruzioni. Gran parte del patrimonio degli enti sorge,
infatti, proprio nella fascia appena a ridosso del centro, quindi con valori
catastali già alti e con valori commerciali da incrementi stratosferici.
Dal primo gennaio 2002, poi, scomparirà l’Invim. Questo
porterà altri benefici ai “proprietari” e trasmetterà al mercato ulteriori
spinte verso l’alto. Secondo gli esperti i rendimenti maggiori verranno
proprio dall’affitto «in zone semicentrali». Sempre gli esperti consigliano
«immobili non in perfette condizioni in posizioni anche più centrali. La
dimensione “giusta” per l’investimento sono i bilocali o trilocali intorno
ai 50-70 metri quadrati. Esattamente la tipologia media del patrimonio pubblico
che sta per essere svenduto. Un caso?
Non per niente l’affare era stato già fiutato anni fa
dalle cooperative. I due governi di centro-sinistra che si sono succeduti prima
di Berlusconi avevano fatto “carte false” per poter indirizzare verso di
loro il patrimonio pubblico. Una volta al governo, Berlusconi ha sparigliato i
giochi e cambiato “destinatario” dell’affare, banche e fondi vari. Come?
Semplice, rendendo più difficile il cosiddetto acquisto in blocco da parte
degli inquilini. Non basta, gli inquilini che non vorranno acquistare perché
non ce la fanno a pagare il mutuo potranno sì continuare a pagare l’affitto
ma per un tempo limitato e senza alcuna garanzia che il canone non aumenti.
Va ricordato che il meccanismo dell’acquisto «in blocco»
è stato oggetto di forti critiche in passato, perché le disposizioni del
Lavoro spingevano gli inquilini a costituire cooperative o a entrare in quelle
già esistenti. La spinta in quest’ultima direzione è stata fortissima. Sia
il Sunia che il Sicet si sono sempre “contesi” sul terreno gli inquilini
cercando di “consigliare” l’adesione a questa o a quella cooperativa.
Queste ultime acquisivano in questo modo gli immobili “inoptati”. Mentre
alcune garantivano la prosecuzione del contratto di locazione a chi non aveva
voluto comprare, altre avevano scelto di cedere le case vuote a soci “estranei”
agli enti. Sulla vicenda c’è un voluminoso dossier dell’Osservatorio sul
patrimonio immobiliare degli enti previdenziali presso il ministero del Lavoro.
Secondo il rapporto dell’Osservatorio, le organizzazioni convincono gli
inquilini che occupano le abitazioni in vendita - e che hanno diritto di
precedenza nell’acquisto della casa - ad iscriversi a cooperative che esse
controllano, per accaparrarsi il diritto ad occuparsi della vendita delle
abitazioni (quelle vuote o di chi non vuole comprare). Poi, nel caso l’inquilino
non sia interessato all’acquisto, incassano denaro (fino al 50% del valore
dell’immobile) da persone estranee al fabbricato a cui viene promessa la
vendita degli appartamenti prima ancora di averli acquistati dall’Ente
previdenziale. Ed è proprio ai nuovi acquirenti (di fatto illegittimi) che
vengono accollati i mutui necessari. Il tutto avviene raggirando il divieto di
vendere gli immobili occupati (che dovrebbe durare nove anni a tutela dell’inquilino
che non vuole comprare), e con la benedizione di “notai a servizio”, che
lavorano “in esclusiva” per queste organizzazioni che non aderiscono ad
alcuna associazione dei professionisti.
Il decreto di Berlusconi non ha fatto altro che togliere il
malloppo dalle grinfie di cooperative e società fantasma per portarlo in bocca
a istituti di credito, banche d’affari, società immobiliari d’alto bordo e
fondi immobiliari. Certo, ci sarà meno violenza e brutalità nei confronti
degli inquilini, ma il sangue scorrerà ugualmente.
Nel decreto, infatti, Berlusconi ha innanzitutto introdotto
alcune difficoltà maggiori per l’acquisto in blocco portando la percentuale
degli inquilini associati dal 50% (prevista dal precedente decreto) all’’80%.
Non è una percentuale di poco conto in quanto il patrimonio pubblico è
costituito nella stragrande maggioranza da unità abitative che vanno da un
minimo di quindici famiglie ad un massimo di trenta-trentacinque. Sempre nella
stragrande maggioranza dei casi si tratta di pensionati con il reddito fisso
della sola pensione che davvero non possono permettersi un mutuo che, per quanto
conveniente, va ad incidere fortemente sulla situazione reddituale famigliare.
Ma i regali agli speculatori non finiscono qui. Il decreto
sulla privatizzazione degli immobili prevede che quei fondi immobiliari
costituiti ad hoc, che si vedranno assegnare gli immobili con un apposito
decreto, non saranno soggetti alle imposte sui redditi e all’Irap e i proventi
di natura finanziaria che ne deriveranno saranno conseguiti senza applicazione
di ritenute o imposte sostitutive prelevate alla fonte.
Per le cosiddette società veicolo, quelle che sono abilitate
ad emettere i titoli e a ricevere dal “mercato” denaro pronto cassa da
investire nell’acquisto, potranno godere di rateizzazioni. Inoltre tutte le
operazioni di cartolarizzazione andranno esenti da imposta di bollo, da quella
di registro, da quella ipotecaria e catastale, nonché da ogni imposta
indiretta. Questo significa che i titoli della cartolarizzazione godranno sul
mercato di una sorta di corsia preferenziale.
E veniamo al capitolo delle possibilità di acquisto da parte
degli inquilini, dal quale si capisce come tutta l’operazione è costruita ad
hoc per trasferire gran parte del patrimonio in mano a pochi e selezionati
speculatori immobiliari. Oltre ad aver innalzato la percentuale che consentiva l’acquisto
in blocco da parte degli inquilini (sconto del 40%) dal 50% all’80% dell’intero
stabile il decreto rende più difficile la prelazione da parte degli affittuari
e più alti i prezzi. I prezzi saranno definiti in base ai valori di mercato e
la relativa attività sarà affidata all’Agenzia del Territorio e ad advisor
specializzati, scelti con procedure competitive. È su questo che potrebbero
esserci “sorprese” per chi non ha avuto la fortuna (il diritto alla casa
ridotto ad una sorta di lotteria) di comprare entro il 31 ottobre ai prezzi
fissati dagli enti previdenziali. Infine, tutti gli immobili liberi e quelli
occupati per i quali non sia stato esercitato il diritto di opzione potranno
essere venduti liberamente all’asta.
Insomma, il decreto è disseminato da una intricata rete di
“corsie preferenziali” studiate ad hoc che consentono ai grandi capitali
finanziari di trasformare un rudere in un affare miliardario. Ad ammetterlo sono
gli stessi addetti. Secondo Edoardo Viganò, general manager di Telemaco
immobiliare, gli immobili messi in vendita dallo Stato vanno a toccare un tipo
di domanda di natura speculativa: quella che sfrutta la leva tra un acquisto a
sconto, una rivalorizzazione attraverso una migliore gestione e una rivendita a
prezzo più elevato. Secondo uno studio di Nomisma il rendimento lordo atteso
nel quinquennio 20001-2006 è molto alto: nelle aree migliori (tra le quali
Milano) e per gli immobili di qualità elevata, il prezzo medio potrebbe salire
del 26.7% mentre il prezzo massimo potrebbe aver una performance del 48,4%.
Quello che il governo Berlusconi sta facendo ai grandi
capitali finanziari è un grosso regalo di Natale, forse molto più grosso dei
700-1000 miliardi di decontribuzione per le imprese, che è limitata nel tempo.
Dove andrà a finire tutto questo fiume di denaro?