1. Generalità [1]
L’intervento ha lo scopo di trasmettervi un’immagine di
sintesi della situazione sanitaria in Italia. il nostro punto di vista è quello
di operatori del settore che vivono quotidianamente lo scontro tra un sistema -
impresa e le classi subalterne (operatori precarizzati nel rapporto di lavoro e
cittadini precarizzati in termini di risposte ai bisogni).
La globalizzazione dei processi economici e politici, nel
nostro come nel vostro paese, sembra ormai rappresentare l’unico vero modello
di unione; al pari il modello Liberista che ci viene imposto complica le
condizioni di vita, di lavoro, di sfruttamento e di oppressione e determina una
unica ripartizione ineguale del benessere tra pochi e del malessere tra molti.
Questo processo, per molti inarrestabile, ci costringe ad un
cammino comune, fatto di partecipazione e confronto, ma anche di lotte.
Non credo ci sia strumento più adatto a visualizzare le
aberrazioni del modello di società che ci viene imposto dalla cosiddetta
globalizzazione e dalle politiche liberiste se non quello di analizzare cosa
produce tale modello nelle politiche sanitarie mondiali e nei singoli paesi.
In Italia, senza dubbio una delle più importanti conquiste
delle lotte di massa degli anni 60-70 è la conquista del Servizio Sanitario
Nazionale, che cancella lo status precedente della sanità in questo paese fatto
di mutue e di feudi ecclesiastici e non, concretizzatosi con la legge 833 del
1978, i cui principi cardine sono la garanzia per tutti i cittadini di avere
diritto, in tema di salute, alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione.
Una legge quindi che parte dai bisogni della popolazione,
rispetto ai quali lo Stato si fa garante del suo soddisfacimento, senza delegare
nulla a soggetti terzi.
La vera rivoluzione in qualche modo sta nell’aver messo in
relazione tutti gli aspetti che riguardano la sfera della salute, aver
determinato che la cura non è slegata dalla prevenzione ma anzi tra le due fasi
esiste una forte correlazione; così come il trattamento di un paziente in fase
acuta non si limita alla soluzione di questa fase ma prevede che sia lo stesso
SSN ad assicurare la fase della riabilitazione.
Il primo sconvolgimento alla riforma sanitaria viene attuato,
attraverso la legge delega 421 del 1992 concretizzatasi nel D. Lgs. 502 del
1992, che in attuazione del trattato di Maastricht per il quale è
indispensabile ridurre il debito pubblico per partecipare all’unione
economico-monetaria Europea.
Il principio su cui si riforma (se preferite si distrugge) il
precedente assetto del SSN è che il bisogno di salute del paese, viene
subordinato a criteri economicistici che si concretizzano nell’individuazione
di quote capitarie di finanziamento; queste, individuate dalla legge
finanziaria, determinano il tetto economico entro il quale vanno garantiti i
diritti sanitari.
Il “bisogno” viene subordinato alla compatibilità
economica e il Servizio Sanitario Nazionale, istituito con la Legge 833 del 1978
comincia ad essere messo in discussione.
La strategia di trasformazione fa perno su 3 elementi
strutturali:
1. la regionalizzazione della sanità ( che va di concerto
con la politica del federalismo)
2. l’aziendalizzazione delle Unità Sanitarie Locali
(modello di gestione pseudo-socetario che favorisce i processi di
privatizzazione)
3. il finanziamento pubblico alle strutture private ed alle assicurazioni.
2. Regionalizzazione della sanità
Il primo elemento teso a smantellare il SSN fa perno sulle
politiche federaliste.
Le politiche fiscali e quelle sociali vengono allontanate dal
governo e circoscritte in un ambito locale, quello regionale, con l’obiettivo
di creare 21 Servizi Sanitari Regionali, diversi non per le diverse necessità
di bisogno, bensì per diverse possibilità di bilancio.
Il nuovo assetto regionale si delinea da subito con una
propria autonomia, anche fiscale, un esempio della portata dell’operazione è
sicuramente rappresentato dal “titolo” che viene attribuito ai nuovi
Presidenti delle Regioni: Governatori, che nel nostro Paese ricorda ruoli
istituzionali tipici del ventennio fascista.
Lo Stato perde quindi la possibilità ed il diritto di
programmare e verificare il riequilibrio territoriale delle condizioni sanitarie
della popolazione nonché di verificare livelli uniformi di assistenza su tutto
il territorio nazionale.
L’obiettivo principale, la riduzione della spesa sanitaria,
si attua :
- con la notevole riduzione del fondo sanitario nazionale che
il Governo destinava quota parte alle regioni,
- con il federalismo fiscale che pone le Regioni nella
condizione di imporre tasse e devolverle per i bisogni di salute.
Il primo esperimento di autonomia regionale in tema sanitario
lo conduce la Lombardia, il Governatore, con uno specifico indirizzo a sostegno
della sanità privata e degli ospedali screditati, determina, nel quinquennio
’95 - ’99, un incremento del 3,6% di ricoveri nelle strutture pubbliche e
del 58% in quelle private; il tutto conseguenza di una politica di finanziamenti
pubblici ( a proposito del fatto che lo Stato non deve più essere
assistenzialista) pari al 12.7% per il servizio pubblico e al 45.6% per quello
privato.
La Lombardia ha naturalmente sforato il tetto di spesa
previsto.
3. L’aziendalizzazione delle USL
Nell’ottica dello smantellamento del SSN un ulteriore
attacco, dal basso, viene sferrato nei confronti delle strutture sanitarie di
base, le Unità Sanitarie Locali; queste, pur conservando lo status di “personalità
giuridica pubblica” , acquisiscono autonomia organizzativa, amministrativa,
patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica.
Al vertice di queste nuove aziende “simil privato”, viene
posto un Direttore Generale con esperienza manageriale maturata in aziende e/o
imprese private, non necessariamente in campo sanitario, con ampi poteri e
responsabile dell’andamento economico della nuova “impresa”.
Il manager è assunto dalla Regione (organismo politico) con
contratto di natura privato e sceglie tra i propri collaboratori ( con eguale
contratto) un Direttore Sanitario ed un Direttore Amministrativo.
Tutto questo, che ci orienterebbe esclusivamente verso un
nuovo strumento gestionale, nasconde altresì la possibilità da parte delle USL
di accesso a finanziamenti da privati.
4. Il finanziamento pubblico alle assicurazioni e alle strutture
private
Nella Legge di riforma si introduce il concetto di “forme
differenziate di assistenza” riabilitando le mutue e le assicurazioni private.
Il riferimento è al sistema inglese dove nel privato, grazie
alle assicurazioni, si verificano questi percorsi: i ricchi vengono curati fino
all’eccesso, dentro le cliniche private ovviamente ( da loro si ottengono
grandi margini di profitto per le assicurazioni) e generalmente su patologie di
minore importanza e gravità, quindi con assenza di mortalità, per quanti non
possono permettersi tale opzione, è garantita l’emergenza del trattamento,
eludendo la possibilità reale di fare prevenzione.
Le mutue e le assicurazioni intervengono, in questa fase, con
due obiettivi:
1. nel concorso della spesa delle prestazioni a pagamento
2. nella facoltà di negoziare, con gli erogatori delle
prestazioni del SSN, modalità e condizioni di tali prestazioni per garantire
“qualità e costi ottimali”; con questo scopo, le regioni possono dare vita
“ a società miste con capitale pubblico e privato”.
Di notevole importanza, in questa fase del processo di
privatizzazione, è l’inserimento della possibilità per il singolo medico, ma
a breve anche per gli altri professionisti della sanità (infermieri,
ostetriche, ecc.) di effettuare prestazioni in intramoenia (a pagamento diretto,
con una quota riservata all’azienda pubblica); quella che viene definita una
strategia operativa per la risoluzione dell’annoso problema delle
insostenibili liste di attesa per ricoveri e prestazioni (per il 62,8% degli
intervistati dal CENSIS il problema più grave della sanità pubblica) è in
realtà uno strumento che permetterà a mutue e assicurazioni private,
convenzioni dirette con i “prestatori d’opera”.
La risultante sarà l’aver ridisegnato un sistema sanitario
differenziato solo dalla capacità economica del soggetto che necessità della
prestazione; più reddito corrisponderà a migliore prestazione.
Nel corso degli anni successivi assistiamo ad un tendenziale
rallentamento dei processi di modifica anche a giustificazione della necessità
che il devastante processo venga “assorbito” come elemento culturale.
Il periodo è caratterizzato da una fase di sperimentazione
dei modelli attuativi, anche diversificati a seconda delle Regioni e quindi
delle capacità economiche; particolare importanza assumono la Legge 31 della
Lombardia (governata dal centro-destra) e la legge 35 dell’Emilia Romagna
(governata dal centro-sinistra) che se pur seguendo strade diverse faranno da
apripista alle politiche liberiste e federaliste più avanzate.
Questa logica è più evidente in Lombardia dove le scelte
sono fatte di “tanto” privato (debitamente finanziato dal pubblico), di “bonus”
( sorta di buoni salute spendibili ovunque) e di gratuite condanne del sistema
pubblico, sempre più depotenziato e reso al limite della fruibilità.
Riteniamo però che la strada seguita dall’Emilia sia la
più pericolosa perché è quella che tenta di mistificare il processo come se
lo stesso fosse un fatto in eludibile per mantenere in vita il servizio
pubblico.
La pesante realtà è sotto gli occhi di tutti ed il Governo
di centro-sinistra, ormai allo sbando, gioca la carta della riforma ( in sanità
come nella scuola) tentando di fornire adeguate (e credibili) risposte al paese,
evitando di fare troppo i conti (almeno nella sanità) con le politiche
neo-liberiste che a livello Europeo caratterizzano le compagini di
centro-sinistra e rischiando (anche se debolmente) di fare veramente gli
interessi dei meno facoltosi.
5. La riforma TER
In un quadro di liberismo così sfrenato giunge quasi
inattesa la riforma ter, il decreto legislativo 229 del 1999, il quale, pur tra
mille contraddizioni, rappresenta un momento di ripensamento rispetto alle
politiche precedenti che trasformavano sempre più la salute in una merce e le
politiche sanitarie in uno strumento finanziario per il risanamento del debito
pubblico del Paese, attraverso le politiche di apertura alla sussidiarietà e
dei tagli (tagli di spesa e imposizione dei ticket).
In particolare possiamo individuare in due punti la svolta
che rompe con le logiche precedenti e che caratterizzano in modo positivo questa
riforma:
- Il recupero dei presupposti fondamentali della prima
riforma sanitaria, la 833/78, attraverso la riaffermazione dei primi due
articoli della riforma stessa; recuperando quindi essenzialmente il principio di
universalismo del diritto alla salute.
Nello specifico ciò si concretizza ridando spazio nella fase
decisionale agli ambiti territoriali più vicini alle popolazioni, i comuni,
riposizionando in modo corretto i distretti territoriali come servizi essenziali
e strumenti principali dell’attività sanitaria, riducendo di numero le
Aziende Ospedaliere, riportando queste strutture alla gestione delle Aziende
Sanitarie Locali.
Nel contempo introduce per la prima volta in Italia il
concetto di rapporto esclusivo di lavoro per i medici, anche se prevede anche
per gli stessi l’utilizzo delle strutture pubbliche per la cosiddetta libera
professione intramuraria (mitigata questa decisione da una regolamentazione che
dovrebbe comunque garantire lo sviluppo in primis della struttura pubblica).
- Secondo punto strategico è il varo in contemporanea, con
la riforma-ter, del Piano Sanitario Nazionale che riafferma il ruolo del SSN
come strumento per soddisfare il bisogno di salute dei cittadini.
Purtroppo contestualmente viene anche approvata dal
Parlamento la riforma fiscale in senso federalista, la quale prevede, nell’arco
di pochi anni, il superamento del Fondo Sanitario Nazionale che di fatto
produrrà un finanziamento differenziato su base regionale della spesa sanitaria
Questa nuova impostazione, pur se limitata e non del tutto
dirimente rispetto al modello di sanità che si vuol perseguire, determina il
quasi immediato isolamento del ministro Rosy Bindi nel governo di centrosinistra
e poco dopo la sua sostituzione con il Prof. Umberto Veronesi che viene
presentato come la panacea di tutti i mali della sanità in quanto più che uomo
politico lui è presentato come un super-tecnico.
In realtà, come vedremo sin dai suoi primi atti, Veronesi
tutto è meno che un tecnico super-partes, infatti egli è portatore di una
cultura ben definita tipica in qualche modo del suo status, essendo dirigente di
primo piano del Istituto Oncologico Europeo di Milano, struttura privata
finanziata a vario titolo con soldi pubblici.
Da qui riparte un nuovo attacco all’unicità del SSN che si
impernia sul principio della sussidiarietà, il privato fornirà i servizi che
riterrà più remunerativi lasciando al pubblico tutto ciò che a lui non
conviene affrontare in termini economici.
6. La fase attuale
Con il varo del Governo di centro - destra si assiste ad una
accelerazione dei processi di smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale.
Il “Decreto taglia spesa” e la normativa sui “Livelli
di Assistenza” (LEA), incentrano questa prima fase dell’iniziativa del nuovo
Governo su una politica di tagli:
- Tagli di posti letto. ( riduzione della percentuale di
posti letto per acuti) già scopo primario del precedente Governo (chiusura
degli ospedali con meno di 120 p. l.) si attua con la chiusura di circa il 20%
degli attuali posti letto. Va ricordato che dal ’95 al 2000 in Italia sono
stati chiusi il 50% dei letti negli ospedali pubblici. Tale sconvolgente
risoluzione del problema della spesa sanitaria non prevede ( se non come
enunciazione di massima) un successivo investimento in strutture territoriali (
filtro preventivo al ricovero e/o struttura di assistenza per la dimissione
protetta dall’ospedale)
- Riduzione dei LEA. Viene riformulata la lista delle
prestazioni ammesse a convenzione e tra queste non rientrano più alcune
prestazioni riabilitative.
Contemporaneamente si assiste ad un incremento della spesa in
alcune regioni successivo anche ad una accelerazione della politica degli
appalti; tutto quanto non direttamente riconducibile ai processi assistenziali e
terapeutici va esternalizzato con procedura a ribasso della spesa, procedura che
si esplicita in un ulteriore sfruttamento e precarizzazione del rapporto di
lavoro per quegli operatori che fanno riferimento a queste ditte.
Neanche i “lavoratori pubblici” sono esenti dalle
conseguenze di tali provvedimenti: circa 70.000 operatori si vedranno costretti
a percorsi di mobilità verso strutture territoriali (la maggior parte in
convenzione) e per alcuni di loro si paventa l’esclusione, modulata, dal mondo
“produttivo”.
Inoltre, sempre nell’ottica del contenimento della spesa,
non sono più garantite le assunzioni pubbliche di personale mentre resta ancora
valido il ricorso al lavoro interinale, ai contratti di formazione - lavoro, al
volontariato strutturato.
Un ulteriore processo di accelerazione viene imposto dall’attuale
Governo con la vicenda degli Istituti di Ricerca a Carattere Scientifico (IRCS).
Il progressivo disimpegno degli ultimi Governi in termini di
finanziamento pubblico alla ricerca e la successiva necessità di risoluzione di
tale dilemma culturale, si risolve con la partecipazione del “privato di
settore” ( prevalentemente multinazionali del farmaco ) al finanziamento della
sperimentazione e della ricerca.
L’aver strutturato il concetto di profitto ad ogni costo
sta determinando una ricerca funzionale al guadagno; non diventa più attuabile
un progetto di ricerca su una patologia che interessa pochi milioni di bambini
nel mondo né la successiva produzione di un farmaco che non risponda ad una “domanda”
numericamente adeguata ai fondi investiti per la ricerca.
Tutto questo, in campo sanitario, si coniuga con la
necessità di indirizzare la ricerca verso patologie che interessano “particolari”
strati di popolazione sanitaria.
Quanto conviene continuare a sperimentare farmaci anti AIDS
se non sarà più lo Stato a garantire la cura dei sieropositivi, ma il singolo
malato? E quanto una assicurazione privata sarà in grado di garantire una
polizza ad un malato HIV, ed a che prezzo?
Per attuare questo non è ancora ipotizzabile muoversi in un
contesto legislativo che evidenzi la gestione diretta di lobby imprenditoriali,
si ricorre allora allo strumento della Fondazione : struttura con finalità
pubbliche sorretta economicamente da investimenti privati, funzionali al
profitto.
Sull’onda di un percorso di delegittimazione della L.
229/99, l’attuale compagine governativa “naviga a vista” sperimentando in
alcune Regioni modelli di “cartolarizzazione” delle strutture sanitarie; nel
Lazio gran parte degli immobili che ospitano importanti e storici Ospedali,
vengono ceduti ad una Società per Azioni della quale la Regione detiene il
pacchetto di maggioranza e che comprende anche gruppi bancari e privati
(importanti imprenditori della sanità privata).
La nuova impresa determina liquidità economica comunque
insufficiente a ripianare il deficit delle strutture sanitarie ma lascia ampi
margini di manovra in termini di investimento e conseguentemente di profitto,
anche se i risultati di questo saranno apprezzabili solo tra qualche anno.
7. Conclusioni
In modo sintetico e per grandi linee questo è il processo di
privatizzazione della sanità ed il conseguente attacco al bene salute, attuato
sia dai governi di centrosinistra sia, in modo più accentuato, da quelli di
centrodestra negli ultimi dieci anni in Italia.
Questo processo si inserisce in un quadro mondiale che rende
sempre più evidente il fallimento delle politiche di privatizzazione dei
sistemi sanitari.
L’apice di questo fallimento è rappresentato in
particolare dai paesi Anglosassoni, della Gran Bretagna abbiamo gia accennato in
precedenza ed è una situazione ormai vicina al collasso ( tanto che la riforma
del sistema sanitario è uno dei cavalli di battaglia sia per la destra che per
la sinistra per la campagna elettorale); negli USA, l’esasperazione del
modello privatistico gestito quasi esclusivamente dalle assicurazioni private;
quasi 50 milioni di cittadini sono senza qualsiasi copertura sanitaria sia di
parte pubblica che di parte privata.
Tornando in Italia il processo di privatizzazione sin qui
perseguito ha prodotto:
- Un progressivo deperimento della quantità e della qualità
delle prestazioni del servizio pubblico, senza neanche che le stesse fossero
compensate da uno sviluppo del privato; questo può essere rilevato anche solo
osservando il progressivo allungamento delle liste d’attesa per qualsiasi
servizio; contemporaneamente assistiamo ad un aumento costante dei ricoveri in
regime di emergenza nelle strutture ospedaliere causato dalla diminuzione,
altrettanto costante dell’opera di prevenzione precedentemente fornita dai
distretti territoriali; i quali oltre ad una riduzione delle strutture hanno
dovuto ridurre anche il numero delle prestazioni sia in qualità che in
quantità a causa dello strangolamento economico al quale sono sottoposti.
- Nel mondo del lavoro della sanità (come nel resto del
mondo del lavoro) assistiamo ad una crescente precarizzazione e
flessibilizzazione dei rapporti di lavoro; infatti le aziende ricorrono sempre
più frequentemente a forme di assunzione del personale sempre più precarizzate
(interinale, co. co. co., cooperative, etc.).
Tutto questo ovviamente rafforzato dal massiccio ricorso alla
esternalizzazione di interi servizi o funzioni soprattutto dei servizi
alberghieri.
Il fallimento di queste politiche è sotto gli occhi di
tutti, oltre che per le prestazioni, anche dal punto di vista economico infatti,
nonostante i continui tagli e le pressanti privatizzazioni, il livello di
deficit delle Aziende Sanitarie continua a divenire sempre più rosso.
In questa situazione si deve inserire un ruolo diverso del
sindacato soprattutto del sindacato di classe, in quanto proprio uno scontro di
classe si profila dietro questa politica di privatizzazione (la sanità sarà
garantita solo a chi potrà economicamente permettersela, il solito ricchi
contro poveri), che non potrà più limitarsi ad intervenire sulla politica
contrattuale in senso stretto (o contrattuali vista la presenza di flessibilità
dei lavoratori operanti in questo comparto), ma dovrà allargarsi al
funzionamento del servizio stesso, partendo dal principio che la salute dei
cittadini è un diritto inalienabile che come tale non può essere paragonato ad
una merce, dove i privati e le imprese possono lucrare.
Bisogna quindi ripartire dall’articolo 32 della
Costituzione Italiana che descrive la salute come un bene costituzionalmente
garantito e quindi far rivivere i principi della prima riforma sanitaria, la
833/78 dove lo stato garantiva la prevenzione, la cura e la riabilitazione per
tutti.
Essendo la salute un diritto universale, riteniamo che il
principio appena affermato debba essere fatto proprio dal movimento, e che
quindi diventi uno dei terreni su cui costruire lo sviluppo delle lotte contro
il liberismo imponendo la globalizzazione dei diritti.
Una occasione da non perdere, alla luce di questa
affermazione, è rappresentata dalla discussione in atto per l’elaborazione
della nuova Carta Costituzionale Europea.
Il criterio di universalità di questo diritto deve essere
recepito dalla nuova Carta, riteniamo indispensabile perciò che su questo
terreno si avvii un percorso di confronto per costruire iniziative e momenti di
lotta unitari tra le Organizzazioni Sindacali ed il Movimento Europeo.
[1] Intervento al Forum sociale europeo di Firenze, Nov
2002