Rubrica
Il punto, la pratica, il progetto

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Massimo Fabiani
Articoli pubblicati
per Proteo (1)

Coordinamento Nazionale Federazione RdB-CUB

Sabino Venezia
Articoli pubblicati
per Proteo (7)

Coordinamento Nazionale RdB Pubblico Impiego

Argomenti correlati

Privatizzazioni

Sanita’

Nella stessa rubrica

Dal diritto alla salute alla sanità-merce
Massimo Fabiani, Sabino Venezia

 

Tutti gli articoli della rubrica "Il punto, la pratica, progetto"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Dal diritto alla salute alla sanità-merce

Massimo Fabiani

Sabino Venezia

Formato per la stampa
Stampa

1. Generalità [1]

L’intervento ha lo scopo di trasmettervi un’immagine di sintesi della situazione sanitaria in Italia. il nostro punto di vista è quello di operatori del settore che vivono quotidianamente lo scontro tra un sistema - impresa e le classi subalterne (operatori precarizzati nel rapporto di lavoro e cittadini precarizzati in termini di risposte ai bisogni).

La globalizzazione dei processi economici e politici, nel nostro come nel vostro paese, sembra ormai rappresentare l’unico vero modello di unione; al pari il modello Liberista che ci viene imposto complica le condizioni di vita, di lavoro, di sfruttamento e di oppressione e determina una unica ripartizione ineguale del benessere tra pochi e del malessere tra molti.

Questo processo, per molti inarrestabile, ci costringe ad un cammino comune, fatto di partecipazione e confronto, ma anche di lotte.

Non credo ci sia strumento più adatto a visualizzare le aberrazioni del modello di società che ci viene imposto dalla cosiddetta globalizzazione e dalle politiche liberiste se non quello di analizzare cosa produce tale modello nelle politiche sanitarie mondiali e nei singoli paesi.

In Italia, senza dubbio una delle più importanti conquiste delle lotte di massa degli anni 60-70 è la conquista del Servizio Sanitario Nazionale, che cancella lo status precedente della sanità in questo paese fatto di mutue e di feudi ecclesiastici e non, concretizzatosi con la legge 833 del 1978, i cui principi cardine sono la garanzia per tutti i cittadini di avere diritto, in tema di salute, alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione.

Una legge quindi che parte dai bisogni della popolazione, rispetto ai quali lo Stato si fa garante del suo soddisfacimento, senza delegare nulla a soggetti terzi.

La vera rivoluzione in qualche modo sta nell’aver messo in relazione tutti gli aspetti che riguardano la sfera della salute, aver determinato che la cura non è slegata dalla prevenzione ma anzi tra le due fasi esiste una forte correlazione; così come il trattamento di un paziente in fase acuta non si limita alla soluzione di questa fase ma prevede che sia lo stesso SSN ad assicurare la fase della riabilitazione.

Il primo sconvolgimento alla riforma sanitaria viene attuato, attraverso la legge delega 421 del 1992 concretizzatasi nel D. Lgs. 502 del 1992, che in attuazione del trattato di Maastricht per il quale è indispensabile ridurre il debito pubblico per partecipare all’unione economico-monetaria Europea.

Il principio su cui si riforma (se preferite si distrugge) il precedente assetto del SSN è che il bisogno di salute del paese, viene subordinato a criteri economicistici che si concretizzano nell’individuazione di quote capitarie di finanziamento; queste, individuate dalla legge finanziaria, determinano il tetto economico entro il quale vanno garantiti i diritti sanitari.

Il “bisogno” viene subordinato alla compatibilità economica e il Servizio Sanitario Nazionale, istituito con la Legge 833 del 1978 comincia ad essere messo in discussione.

La strategia di trasformazione fa perno su 3 elementi strutturali:

1. la regionalizzazione della sanità ( che va di concerto con la politica del federalismo)

2. l’aziendalizzazione delle Unità Sanitarie Locali (modello di gestione pseudo-socetario che favorisce i processi di privatizzazione)

3. il finanziamento pubblico alle strutture private ed alle assicurazioni.

2. Regionalizzazione della sanità

Il primo elemento teso a smantellare il SSN fa perno sulle politiche federaliste.

Le politiche fiscali e quelle sociali vengono allontanate dal governo e circoscritte in un ambito locale, quello regionale, con l’obiettivo di creare 21 Servizi Sanitari Regionali, diversi non per le diverse necessità di bisogno, bensì per diverse possibilità di bilancio.

Il nuovo assetto regionale si delinea da subito con una propria autonomia, anche fiscale, un esempio della portata dell’operazione è sicuramente rappresentato dal “titolo” che viene attribuito ai nuovi Presidenti delle Regioni: Governatori, che nel nostro Paese ricorda ruoli istituzionali tipici del ventennio fascista.

Lo Stato perde quindi la possibilità ed il diritto di programmare e verificare il riequilibrio territoriale delle condizioni sanitarie della popolazione nonché di verificare livelli uniformi di assistenza su tutto il territorio nazionale.

L’obiettivo principale, la riduzione della spesa sanitaria, si attua :

- con la notevole riduzione del fondo sanitario nazionale che il Governo destinava quota parte alle regioni,

- con il federalismo fiscale che pone le Regioni nella condizione di imporre tasse e devolverle per i bisogni di salute.

Il primo esperimento di autonomia regionale in tema sanitario lo conduce la Lombardia, il Governatore, con uno specifico indirizzo a sostegno della sanità privata e degli ospedali screditati, determina, nel quinquennio ’95 - ’99, un incremento del 3,6% di ricoveri nelle strutture pubbliche e del 58% in quelle private; il tutto conseguenza di una politica di finanziamenti pubblici ( a proposito del fatto che lo Stato non deve più essere assistenzialista) pari al 12.7% per il servizio pubblico e al 45.6% per quello privato.

La Lombardia ha naturalmente sforato il tetto di spesa previsto.

3. L’aziendalizzazione delle USL

Nell’ottica dello smantellamento del SSN un ulteriore attacco, dal basso, viene sferrato nei confronti delle strutture sanitarie di base, le Unità Sanitarie Locali; queste, pur conservando lo status di “personalità giuridica pubblica” , acquisiscono autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica.

Al vertice di queste nuove aziende “simil privato”, viene posto un Direttore Generale con esperienza manageriale maturata in aziende e/o imprese private, non necessariamente in campo sanitario, con ampi poteri e responsabile dell’andamento economico della nuova “impresa”.

Il manager è assunto dalla Regione (organismo politico) con contratto di natura privato e sceglie tra i propri collaboratori ( con eguale contratto) un Direttore Sanitario ed un Direttore Amministrativo.

Tutto questo, che ci orienterebbe esclusivamente verso un nuovo strumento gestionale, nasconde altresì la possibilità da parte delle USL di accesso a finanziamenti da privati.

4. Il finanziamento pubblico alle assicurazioni e alle strutture private

Nella Legge di riforma si introduce il concetto di “forme differenziate di assistenza” riabilitando le mutue e le assicurazioni private.

Il riferimento è al sistema inglese dove nel privato, grazie alle assicurazioni, si verificano questi percorsi: i ricchi vengono curati fino all’eccesso, dentro le cliniche private ovviamente ( da loro si ottengono grandi margini di profitto per le assicurazioni) e generalmente su patologie di minore importanza e gravità, quindi con assenza di mortalità, per quanti non possono permettersi tale opzione, è garantita l’emergenza del trattamento, eludendo la possibilità reale di fare prevenzione.

Le mutue e le assicurazioni intervengono, in questa fase, con due obiettivi:

1. nel concorso della spesa delle prestazioni a pagamento

2. nella facoltà di negoziare, con gli erogatori delle prestazioni del SSN, modalità e condizioni di tali prestazioni per garantire “qualità e costi ottimali”; con questo scopo, le regioni possono dare vita “ a società miste con capitale pubblico e privato”.

Di notevole importanza, in questa fase del processo di privatizzazione, è l’inserimento della possibilità per il singolo medico, ma a breve anche per gli altri professionisti della sanità (infermieri, ostetriche, ecc.) di effettuare prestazioni in intramoenia (a pagamento diretto, con una quota riservata all’azienda pubblica); quella che viene definita una strategia operativa per la risoluzione dell’annoso problema delle insostenibili liste di attesa per ricoveri e prestazioni (per il 62,8% degli intervistati dal CENSIS il problema più grave della sanità pubblica) è in realtà uno strumento che permetterà a mutue e assicurazioni private, convenzioni dirette con i “prestatori d’opera”.

La risultante sarà l’aver ridisegnato un sistema sanitario differenziato solo dalla capacità economica del soggetto che necessità della prestazione; più reddito corrisponderà a migliore prestazione.

Nel corso degli anni successivi assistiamo ad un tendenziale rallentamento dei processi di modifica anche a giustificazione della necessità che il devastante processo venga “assorbito” come elemento culturale.

Il periodo è caratterizzato da una fase di sperimentazione dei modelli attuativi, anche diversificati a seconda delle Regioni e quindi delle capacità economiche; particolare importanza assumono la Legge 31 della Lombardia (governata dal centro-destra) e la legge 35 dell’Emilia Romagna (governata dal centro-sinistra) che se pur seguendo strade diverse faranno da apripista alle politiche liberiste e federaliste più avanzate.

Questa logica è più evidente in Lombardia dove le scelte sono fatte di “tanto” privato (debitamente finanziato dal pubblico), di “bonus” ( sorta di buoni salute spendibili ovunque) e di gratuite condanne del sistema pubblico, sempre più depotenziato e reso al limite della fruibilità.

Riteniamo però che la strada seguita dall’Emilia sia la più pericolosa perché è quella che tenta di mistificare il processo come se lo stesso fosse un fatto in eludibile per mantenere in vita il servizio pubblico.

La pesante realtà è sotto gli occhi di tutti ed il Governo di centro-sinistra, ormai allo sbando, gioca la carta della riforma ( in sanità come nella scuola) tentando di fornire adeguate (e credibili) risposte al paese, evitando di fare troppo i conti (almeno nella sanità) con le politiche neo-liberiste che a livello Europeo caratterizzano le compagini di centro-sinistra e rischiando (anche se debolmente) di fare veramente gli interessi dei meno facoltosi.

5. La riforma TER

In un quadro di liberismo così sfrenato giunge quasi inattesa la riforma ter, il decreto legislativo 229 del 1999, il quale, pur tra mille contraddizioni, rappresenta un momento di ripensamento rispetto alle politiche precedenti che trasformavano sempre più la salute in una merce e le politiche sanitarie in uno strumento finanziario per il risanamento del debito pubblico del Paese, attraverso le politiche di apertura alla sussidiarietà e dei tagli (tagli di spesa e imposizione dei ticket).

In particolare possiamo individuare in due punti la svolta che rompe con le logiche precedenti e che caratterizzano in modo positivo questa riforma:

- Il recupero dei presupposti fondamentali della prima riforma sanitaria, la 833/78, attraverso la riaffermazione dei primi due articoli della riforma stessa; recuperando quindi essenzialmente il principio di universalismo del diritto alla salute.

Nello specifico ciò si concretizza ridando spazio nella fase decisionale agli ambiti territoriali più vicini alle popolazioni, i comuni, riposizionando in modo corretto i distretti territoriali come servizi essenziali e strumenti principali dell’attività sanitaria, riducendo di numero le Aziende Ospedaliere, riportando queste strutture alla gestione delle Aziende Sanitarie Locali.

Nel contempo introduce per la prima volta in Italia il concetto di rapporto esclusivo di lavoro per i medici, anche se prevede anche per gli stessi l’utilizzo delle strutture pubbliche per la cosiddetta libera professione intramuraria (mitigata questa decisione da una regolamentazione che dovrebbe comunque garantire lo sviluppo in primis della struttura pubblica).

- Secondo punto strategico è il varo in contemporanea, con la riforma-ter, del Piano Sanitario Nazionale che riafferma il ruolo del SSN come strumento per soddisfare il bisogno di salute dei cittadini.

Purtroppo contestualmente viene anche approvata dal Parlamento la riforma fiscale in senso federalista, la quale prevede, nell’arco di pochi anni, il superamento del Fondo Sanitario Nazionale che di fatto produrrà un finanziamento differenziato su base regionale della spesa sanitaria

Questa nuova impostazione, pur se limitata e non del tutto dirimente rispetto al modello di sanità che si vuol perseguire, determina il quasi immediato isolamento del ministro Rosy Bindi nel governo di centrosinistra e poco dopo la sua sostituzione con il Prof. Umberto Veronesi che viene presentato come la panacea di tutti i mali della sanità in quanto più che uomo politico lui è presentato come un super-tecnico.

In realtà, come vedremo sin dai suoi primi atti, Veronesi tutto è meno che un tecnico super-partes, infatti egli è portatore di una cultura ben definita tipica in qualche modo del suo status, essendo dirigente di primo piano del Istituto Oncologico Europeo di Milano, struttura privata finanziata a vario titolo con soldi pubblici.

Da qui riparte un nuovo attacco all’unicità del SSN che si impernia sul principio della sussidiarietà, il privato fornirà i servizi che riterrà più remunerativi lasciando al pubblico tutto ciò che a lui non conviene affrontare in termini economici.

6. La fase attuale

Con il varo del Governo di centro - destra si assiste ad una accelerazione dei processi di smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale.

Il “Decreto taglia spesa” e la normativa sui “Livelli di Assistenza” (LEA), incentrano questa prima fase dell’iniziativa del nuovo Governo su una politica di tagli:

- Tagli di posti letto. ( riduzione della percentuale di posti letto per acuti) già scopo primario del precedente Governo (chiusura degli ospedali con meno di 120 p. l.) si attua con la chiusura di circa il 20% degli attuali posti letto. Va ricordato che dal ’95 al 2000 in Italia sono stati chiusi il 50% dei letti negli ospedali pubblici. Tale sconvolgente risoluzione del problema della spesa sanitaria non prevede ( se non come enunciazione di massima) un successivo investimento in strutture territoriali ( filtro preventivo al ricovero e/o struttura di assistenza per la dimissione protetta dall’ospedale)

- Riduzione dei LEA. Viene riformulata la lista delle prestazioni ammesse a convenzione e tra queste non rientrano più alcune prestazioni riabilitative.

Contemporaneamente si assiste ad un incremento della spesa in alcune regioni successivo anche ad una accelerazione della politica degli appalti; tutto quanto non direttamente riconducibile ai processi assistenziali e terapeutici va esternalizzato con procedura a ribasso della spesa, procedura che si esplicita in un ulteriore sfruttamento e precarizzazione del rapporto di lavoro per quegli operatori che fanno riferimento a queste ditte.

Neanche i “lavoratori pubblici” sono esenti dalle conseguenze di tali provvedimenti: circa 70.000 operatori si vedranno costretti a percorsi di mobilità verso strutture territoriali (la maggior parte in convenzione) e per alcuni di loro si paventa l’esclusione, modulata, dal mondo “produttivo”.

Inoltre, sempre nell’ottica del contenimento della spesa, non sono più garantite le assunzioni pubbliche di personale mentre resta ancora valido il ricorso al lavoro interinale, ai contratti di formazione - lavoro, al volontariato strutturato.

Un ulteriore processo di accelerazione viene imposto dall’attuale Governo con la vicenda degli Istituti di Ricerca a Carattere Scientifico (IRCS).

Il progressivo disimpegno degli ultimi Governi in termini di finanziamento pubblico alla ricerca e la successiva necessità di risoluzione di tale dilemma culturale, si risolve con la partecipazione del “privato di settore” ( prevalentemente multinazionali del farmaco ) al finanziamento della sperimentazione e della ricerca.

L’aver strutturato il concetto di profitto ad ogni costo sta determinando una ricerca funzionale al guadagno; non diventa più attuabile un progetto di ricerca su una patologia che interessa pochi milioni di bambini nel mondo né la successiva produzione di un farmaco che non risponda ad una “domanda” numericamente adeguata ai fondi investiti per la ricerca.

Tutto questo, in campo sanitario, si coniuga con la necessità di indirizzare la ricerca verso patologie che interessano “particolari” strati di popolazione sanitaria.

Quanto conviene continuare a sperimentare farmaci anti AIDS se non sarà più lo Stato a garantire la cura dei sieropositivi, ma il singolo malato? E quanto una assicurazione privata sarà in grado di garantire una polizza ad un malato HIV, ed a che prezzo?

Per attuare questo non è ancora ipotizzabile muoversi in un contesto legislativo che evidenzi la gestione diretta di lobby imprenditoriali, si ricorre allora allo strumento della Fondazione : struttura con finalità pubbliche sorretta economicamente da investimenti privati, funzionali al profitto.

Sull’onda di un percorso di delegittimazione della L. 229/99, l’attuale compagine governativa “naviga a vista” sperimentando in alcune Regioni modelli di “cartolarizzazione” delle strutture sanitarie; nel Lazio gran parte degli immobili che ospitano importanti e storici Ospedali, vengono ceduti ad una Società per Azioni della quale la Regione detiene il pacchetto di maggioranza e che comprende anche gruppi bancari e privati (importanti imprenditori della sanità privata).

La nuova impresa determina liquidità economica comunque insufficiente a ripianare il deficit delle strutture sanitarie ma lascia ampi margini di manovra in termini di investimento e conseguentemente di profitto, anche se i risultati di questo saranno apprezzabili solo tra qualche anno.

7. Conclusioni

In modo sintetico e per grandi linee questo è il processo di privatizzazione della sanità ed il conseguente attacco al bene salute, attuato sia dai governi di centrosinistra sia, in modo più accentuato, da quelli di centrodestra negli ultimi dieci anni in Italia.

Questo processo si inserisce in un quadro mondiale che rende sempre più evidente il fallimento delle politiche di privatizzazione dei sistemi sanitari.

L’apice di questo fallimento è rappresentato in particolare dai paesi Anglosassoni, della Gran Bretagna abbiamo gia accennato in precedenza ed è una situazione ormai vicina al collasso ( tanto che la riforma del sistema sanitario è uno dei cavalli di battaglia sia per la destra che per la sinistra per la campagna elettorale); negli USA, l’esasperazione del modello privatistico gestito quasi esclusivamente dalle assicurazioni private; quasi 50 milioni di cittadini sono senza qualsiasi copertura sanitaria sia di parte pubblica che di parte privata.

Tornando in Italia il processo di privatizzazione sin qui perseguito ha prodotto:

- Un progressivo deperimento della quantità e della qualità delle prestazioni del servizio pubblico, senza neanche che le stesse fossero compensate da uno sviluppo del privato; questo può essere rilevato anche solo osservando il progressivo allungamento delle liste d’attesa per qualsiasi servizio; contemporaneamente assistiamo ad un aumento costante dei ricoveri in regime di emergenza nelle strutture ospedaliere causato dalla diminuzione, altrettanto costante dell’opera di prevenzione precedentemente fornita dai distretti territoriali; i quali oltre ad una riduzione delle strutture hanno dovuto ridurre anche il numero delle prestazioni sia in qualità che in quantità a causa dello strangolamento economico al quale sono sottoposti.

- Nel mondo del lavoro della sanità (come nel resto del mondo del lavoro) assistiamo ad una crescente precarizzazione e flessibilizzazione dei rapporti di lavoro; infatti le aziende ricorrono sempre più frequentemente a forme di assunzione del personale sempre più precarizzate (interinale, co. co. co., cooperative, etc.).

Tutto questo ovviamente rafforzato dal massiccio ricorso alla esternalizzazione di interi servizi o funzioni soprattutto dei servizi alberghieri.

Il fallimento di queste politiche è sotto gli occhi di tutti, oltre che per le prestazioni, anche dal punto di vista economico infatti, nonostante i continui tagli e le pressanti privatizzazioni, il livello di deficit delle Aziende Sanitarie continua a divenire sempre più rosso.

In questa situazione si deve inserire un ruolo diverso del sindacato soprattutto del sindacato di classe, in quanto proprio uno scontro di classe si profila dietro questa politica di privatizzazione (la sanità sarà garantita solo a chi potrà economicamente permettersela, il solito ricchi contro poveri), che non potrà più limitarsi ad intervenire sulla politica contrattuale in senso stretto (o contrattuali vista la presenza di flessibilità dei lavoratori operanti in questo comparto), ma dovrà allargarsi al funzionamento del servizio stesso, partendo dal principio che la salute dei cittadini è un diritto inalienabile che come tale non può essere paragonato ad una merce, dove i privati e le imprese possono lucrare.

Bisogna quindi ripartire dall’articolo 32 della Costituzione Italiana che descrive la salute come un bene costituzionalmente garantito e quindi far rivivere i principi della prima riforma sanitaria, la 833/78 dove lo stato garantiva la prevenzione, la cura e la riabilitazione per tutti.

Essendo la salute un diritto universale, riteniamo che il principio appena affermato debba essere fatto proprio dal movimento, e che quindi diventi uno dei terreni su cui costruire lo sviluppo delle lotte contro il liberismo imponendo la globalizzazione dei diritti.

Una occasione da non perdere, alla luce di questa affermazione, è rappresentata dalla discussione in atto per l’elaborazione della nuova Carta Costituzionale Europea.

Il criterio di universalità di questo diritto deve essere recepito dalla nuova Carta, riteniamo indispensabile perciò che su questo terreno si avvii un percorso di confronto per costruire iniziative e momenti di lotta unitari tra le Organizzazioni Sindacali ed il Movimento Europeo.


[1] Intervento al Forum sociale europeo di Firenze, Nov 2002