“Non può esserci sviluppo sociale senza progresso
economico, ma non può esserci progresso economico senza sviluppo sociale”
[1].
In questa affermazione sono racchiusi il significato e la
portata dell’approccio che possiamo definire globale alla gestione d’impresa,
ossia di quell’approccio che colloca sullo stesso piano, contestualmente, le
implicazioni economiche e sociali dell’agire di impresa.
L’adozione della teoria sistemica dell’azienda [2] porta necessariamente ad analizzarla
non come un’entità isolata, operante in una sorta di vuoto ed avulsa da
qualunque legame con altre entità di maggiore o minore dimensione, bensì come
uno degli elementi costituenti di un più ampio e generale ambiente
sovrasistemico, costituito a sua volta da una pluralità di elementi anch’essi
di carattere economico e sociale.
L’impresa, dunque, è una parte attiva di quello che può
definirsi generale sistema sociale, è influenzata dall’ambiente esterno e lo
influenza a sua volta in quanto riveste un ruolo sia economico sia etico
sociale, infatti “l’impresa deve rendere conto delle sue attività a tutta
la società, in particolare per l’uso fatto delle risorse umane, di quelle
naturali e per le conseguenze delle sue attività sull’ambiente” (Documento
delle Nazioni Unite, 1977) [3].
Le relazioni di interdipendenza, di influenza e di
condizionamento reciproche tra questi “sistemi di sistemi” portano quindi ad
introdurre nelle indagini economico-aziendali le tematiche dell’“ambientamento” [4], ossia dei rapporti fra l’impresa e l’ecosistema in senso
lato, e della “umanizzazione” [5], cioè della
condivisione reciproca fra impresa ed individui di valori aziendali e personali.
Tra i diversi stakeholder che compongono il sistema
economico-sociale con cui l’impresa interagisce, ve ne sono alcuni, quali i
lavoratori, che più degli altri subiscono l’impatto in termini sociali sulle
aspettative da essi legittimamente vantate e sulla relazione instaurata con l’impresa.
In riferimento a tali soggetti è lecito considerare un’accezione
specifica del concetto di umanizzazione, quella dell’ “umanizzazione interna”,
volendo con questa indicare la proiezione dell’impresa verso i soggetti che
sono collocati e si muovono al suo interno prendendo parte alla compagine
organizzativa, e la condivisione reciproca di valori aziendali e personali tra
queste due parti.
Muovendo da tale concetto ispiratore deriva la necessità di
abbandonare la visione “impresocentrica” [6]
secondo la quale la collettività è centrata e ruotante intorno all’impresa,
quale unico soggetto degno di interesse e di attenzione, in favore di una che,
al contrario, si fonda sul riconoscimento della condivisione di valori, di
obiettivi e di interessi fra l’impresa e la collettività, in generale, ed i
lavoratori, in particolare, quali primi membri della comunità stessa.
Il lavoro per l’individuo rappresenta la fonte della
remunerazione monetaria, indispensabile per accedere all’acquisizione sul
mercato di quei beni e servizi che permettono il soddisfacimento dei bisogni di
consumo personale e familiare, ma al contempo è anche il mezzo con cui il
lavoratore stesso esprime la propria personalità e la propria identità
professionale nella collettività di riferimento.
I lavoratori, dipendenti ed autonomi, attuali e potenziali,
devono essere considerati da parte dell’impresa non come i meri e semplici
apportatori del fattore produttivo lavoro, input del processo produttivo alla
stregua dell’apparato tecnico, delle materie prime e dei servizi, bensì quali
veri interlocutori privilegiati dalla duplice ed inalienabile caratterizzazione
economica e sociale, e pertanto in quanto tali destinatari naturali di una
informativa ad hoc.
Il bilancio socio-ambientale, che è lo strumento vocato alla
rappresentazione delle implicazioni sociali dell’agire aziendale, dovrebbe
informare i lavoratori su di un ampio ventaglio di contenuti: “la struttura
del personale, il costo del personale, le informazioni riguardanti la formazione
e l’addestramento, le malattie e gli infortuni, il tempo di lavoro, le
condizioni fisiche del lavoro, le relazioni industriali e le opere sociali
attuate dall’impresa a favore dei lavoratori” [7].
I bilanci socio-ambientali pubblicati recentemente dalle
imprese tuttavia, si limitano a riportare le precedenti informazioni in modo
approssimativo omettendo degli approfondimenti che permetterebbero di valutare
la reale qualità del lavoro interna all’impresa.
Ci riferiamo in modo particolare alla mancata comunicazione
del rischio di infortuni e di malattie professionali al quale i lavoratori sono
esposti quotidianamente sul loro posto di lavoro e all’assenza di suggerimenti
sui comportamenti che essi dovrebbero adottare per evitare, o quantomeno
mitigare, le conseguenze di un evento incidentale nel quale potrebbero essere
coinvolti.
Tale limite da parte dell’impresa può essere in minima
parte giustificato dal fatto che la comunicazione del rischio è sottoposta ad
una stretta regolamentazione legislativa (Direttiva Seveso recepita in Italia
con il DPR 175/1988 [8])
con la conseguenza che probabilmente le imprese ritengono soddisfatta l’esigenza
degli stakeholders. Tuttavia, quando si ha a che fare con imprese caratterizzate
da un rischio reale superiore a quello percepito esternamente, i lavoratori e
gli altri cittadini esposti ad esso hanno il diritto di esserne informati e la
comunicazione diventa di fondamentale importanza.
La Direttiva 96/82/CE [9], inerente i
rischi connessi con determinate sostanze pericolose e recepita dai paesi membri
nel Febbraio 1999, ha ribadito l’importanza dell’analisi del rischio, dell’informazione,
formazione e partecipazione ai processi decisionali dei lavoratori e della
popolazione ad esso esposta, della pianificazione territoriale e dell’emergenza,
ecc., ed ha introdotto ulteriori elementi di controllo, più intimamente
connessi alle modalità di gestione dell’intera azienda, quale la redazione di
un documento che definisca a priori la politica di prevenzione degli incidenti
rilevanti ed il conseguente sistema di gestione della sicurezza che l’azienda
intende adottare. Queste normative comunitarie tuttavia rimangono spesso
inosservate soprattutto dalle imprese italiane. Fanno eccezione le aziende
chimiche per le quali l’informazione sul rischio ambientale rappresenta ormai
una prerogativa, in quanto parte del programma Responsible Care [10], il maggiore programma volontario
avviato dall’industria chimica mondiale per il dialogo e la trasparenza con il
pubblico.
Lacune di questo tipo dimostrano che fino ad ora il bilancio
socio-ambientale è stato utilizzato dalle imprese prevalentemente come uno
strumento di “marketing” per mezzo del quale incrementare la reputazione del
marchio e del prodotto presso gli interlocutori aziendali, e non tanto come
risposta al dovere dell’impresa stessa di rendere una comunicazione di
contenuto sociale che sia espressione della sua responsabilità sociale verso i
lavoratori.
La diretta conseguenza di quanto evidenziato precedentemente
consiste nel venir meno della strumentalità del bilancio sociale di impresa
verso i lavoratori rispetto alla conduzione del loro processo decisionale. Essi
infatti per compiere tutte le scelte relative al contenuto del rapporto di
lavoro già intrattenuto, o da intrattenere, con l’impresa devono potere
disporre di una serie articolata di informazioni. Queste, in prima battuta,
devono avere una connotazione economico-finanziaria, ma non possono poi non
avere anche una valenza sociale, stante la pervasività del lavoro stesso
rispetto alla loro persona ed alla loro esistenza.
Si può dire che, dal momento che le motivazioni al lavoro
sono di tipo monetario, ma anche e sempre più non monetario, i lavoratori
necessitano di informazioni sull’entità della retribuzione e sulle
complessive condizioni di svolgimento del lavoro. Ovvero i lavoratori ricercano
sostanzialmente tutte quelle notizie che permettono di fondare su basi razionali
i loro comportamenti per renderli il più possibile aderenti e conformi alle
diverse categorie di bisogni che costituiscono la loro personale gerarchia in
quel certo momento della loro vita.
Il bilancio socio-ambientale dovrebbe essere concepito, tanto
dall’impresa che lo redige e lo divulga, quanto dai lavoratori attuali e
potenziali che ne sono naturali ed immediati destinatari, come uno strumento di
comunicazione incrociata e reciproca. Ed a tal fine il flusso informativo non
deve essere di tipo monodirezionale, ossia non deve limitarsi a fluire dall’impresa
verso i lavoratori, relegando questi ultimi che ne sono suoi destinatari in un
ruolo puramente passivo di meri ascoltatori; anzi, al contrario, il percorso
informativo deve essere compiuto in modo bidirezionale, vale a dire deve
permettere il recupero del ruolo attivo, fattivo e propositivo dei lavoratori.
“Non si deve infatti dimenticare che, in termini generali, la “vera”
comunicazione implica soprattutto la parità di ruolo fra gli interlocutori
coinvolti e la loro compartecipazione alla definizione dei “valori”
scambiati” [11].
E’ comunque importante che non solo il processo
comunicativo sia “a doppio senso”, ma anche e soprattutto che sia
trasparente, fondato su basi fiduciarie. Da questo punto di vista è il caso di
mettere in rilievo che l’ingrediente essenziale per la riuscita di tutte le
interazioni che si svolgono nell’ambiente è proprio la fiducia che, in modo
reciproco, ciascuna controparte coinvolta nutre nei confronti dell’altra. E se
ciò è vero per le transazioni di contenuto economico, è vero a maggior
ragione per quelle di contenuto sociale; ed in particolare quindi per quelle che
si sviluppano tra l’impresa ed i propri lavoratori, stante la loro duplice
caratterizzazione economica e sociale.
“Fiducia” in tal senso significa quindi, in prima
approssimazione, che oggetto della comunicazione tramite il bilancio sociale di
impresa verso i lavoratori, non devono essere soltanto gli aspetti positivi e
proficui della relazione impresa-lavoratori, e quindi non solo le condizioni di
lavoro positive che arricchiscono con un circolo virtuoso la “qualità della
vita del lavoro”, ma anche gli eventuali connotati negativi, ossia le
situazioni devianti che, in una sorta di circolo vizioso, vanno a discapito
della “qualità della vita del lavoro” stesso.
In tal senso quindi, l’impresa non deve soltanto dare rappresentazione ai
risultati raggiunti in termini di miglioramento delle condizioni di sicurezza e
di igiene dei luoghi di lavoro, di contenimento delle situazioni di tensione
organizzativa fra se stessa ed i lavoratori o di incremento degli investimenti
di risorse finanziarie destinate a programmi di formazione professionale, ma
anche all’esito di politiche di contenimento degli esuberi del personale
dipendente in termini di licenziamenti, mobilità o cassa integrazione, alle
implicazioni economiche e sociali di rotture del clima partecipativo interno o
al numero degli incidenti sul lavoro che si sono verificati.
In altri termini, il bilancio sociale di impresa verso i
lavoratori deve diventare un momento di apertura dell’impresa verso i propri
dipendenti, di dialogo reciproco fondato su basi serie e profonde di lealtà e
fiducia vicendevoli, fermo restando che l’impresa deve astenersi dal
considerarlo un mero veicolo di diffusione pubblicitaria o comunque di pubbliche
relazioni.
Ecco quindi che in questo documento l’impresa che lo
predispone non deve limitarsi a fornire la rappresentazione, qualitativa e
quantitativa che sia, di tutti gli aspetti monetari e non monetari delle
politiche del lavoro, e comunque degli interventi complessivamente posti in
essere nell’ambito del lavoro. Ma, al contrario, deve anche essere data
evidenza delle risposte provenienti dai lavoratori stessi circa il grado di
apprezzamento della politica del personale attuata dall’impresa.
In definitiva, visto che tale gradimento, ovvero il mancato
gradimento, è espressione della rispondenza delle complessive condizioni del
lavoro al contenuto della loro “scala dei bisogni” [12], all’interno di questo documento si deve
dare spazio alla rappresentazione di come i lavoratori percepiscono la “qualità
della vita del lavoro”. Da questo punto di vista, infatti, è importante non
solo ciò che l’impresa compie in questo campo, ma anche e soprattutto il modo
in cui quanto realizzato è percepito da coloro cui i vari interventi sono
diretti: solo la congruenza fra questi due aspetti della medesima realtà
oggettiva garantisce la piena armonia fra i valori e gli obiettivi dell’impresa
e dei lavoratori.
L’importanza del feedback non si spiega solo sul piano
della convergenza che deve sussistere fra il contenuto delle azioni rivolte alla
creazione della “qualità della vita del lavoro” e la loro efficacia così
come interpretata dai loro destinatari. Infatti, anche sotto il profilo della
teoria comunicativa, si può dire che l’impresa adempie in modo completo ed
esauriente al proprio dovere di accountability [13]
verso il personale solo se alla trasmissione dell’informazione segue la
possibilità per i suoi membri di reagire in sua conseguenza, secondo la nota
logica della “azione e reazione”: la comunicazione non deve essere cioè
fine a sé stessa, ma deve essere l’avvio di una risposta comportamentale, che
a sua volta stimoli e sia origine di una nuova comunicazione.
Inoltre, se la comunicazione in questione deve essere
paritaria, allora la predisposizione del documento deve avvenire in modo “partecipato”:
solo la partecipazione effettiva dei lavoratori, al fianco dei vertici
aziendali, alla sua preparazione può assicurare che lo strumento sia un veicolo
di comunicazione a doppio senso e che i lavoratori entrino a conoscenza di
informazioni che altrimenti verrebbero loro negate. La partecipazione infatti è
una prerogativa indispensabile per l’impresa e deve essere realizzata al suo
interno “non come contentino, bensì come modello e paradigma” [14].
Il Bilancio Sociale è uno strumento “potenzialmente”
straordinario, potrebbe infatti rappresentare la certificazione di un profilo
etico, l’elemento che legittima il ruolo di un soggetto, non solo in termini
strutturali ma soprattutto morali, agli occhi della comunità di riferimento, un
momento per enfatizzare il proprio legame con il territorio, un’occasione per
affermare il concetto di impresa come buon cittadino, cioè un soggetto
economico che contribuisce a migliorare la qualità della vita dei membri della
società in cui è inserito.
Per esprimere a pieno tale potenzialità tuttavia, il
bilancio socio-ambientale dovrebbe essere costruito in modo tale da far emergere
la “voce” diretta dei lavoratori che, come abbiamo già evidenziato,
rappresentano i principali interlocutori dell’azienda, elemento questo che non
trova riscontro nei documenti pubblicati dalle aziende.
La partecipazione ed il coinvolgimento degli stessi,
precedentemente evocati, dovrebbero essere adottati effettuando indagini dirette
sui lavoratori per accertare il loro grado di soddisfazione nei confronti del
lavoro e dell’azienda in cui operano. Si potrebbero introdurre all’interno
dei bilanci socio-ambientali degli indicatori soggettivi, anche definiti di “agio/disagio”
[15], invitando i lavoratori ad esprimere il grado
di soddisfazione relativamente a tre dimensioni fondamentali:
- la sicurezza del luogo di lavoro;
- le opportunità di crescita professionale;
- la tutela dei diritti dei lavoratori, ovviamente in
forma autonoma.
L’indagine potrebbe essere differenziata anche per
categoria di lavoratori per rilevare eventualmente se esiste una di loro che
necessita di provvedimenti immediati sotto il punto di vista della qualità del
lavoro.
Le argomentazioni appena apportate dimostrano che il bilancio
socio-ambientale attualmente rappresenta per l’azienda un mero strumento di
management piuttosto che di analisi, misurazione e valutazione della qualità
sociale.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV.(a cura di Ranghieri F.): “La comunicazione
ambientale e l’impresa. Analisi di un percorso”, Il Mulino, Bologna, 1998.
Chiesi C., Martinelli A., Pellegatta M.: “Il bilancio
sociale”, Ed. Il sole 24 Ore, Milano, 2000.
De Santis G., Ventrella A. M.: “Il bilancio sociale d’impresa”,
Franco Angeli Editore, Milano, 1980.
Marsili G.: “La partecipazione della popolazione e dei
lavoratori esposti ai rischi e alla gestione della sicurezza industriale.
Esercizio di un diritto o elemento centrale della prevenzione?”, PROTEO,
Rivista quadrimestrale, n.2, Roma, 1998.
Martufi R. e Vasapollo L.: “Funzione etica e programmazione
economico-sociale d’impresa nella costruzione del bilancio sociale e del
bilancio ambientale”, estratto da “Sociologia”, 1997.
Maslow A.: “Motivazioni e personalità”, Armando, 1976.
Matacena A.: “Impresa e ambiente. Il bilancio sociale”,
CLUEB, Bologna, 1984.
Petrolati P.: “Il bilancio sociale di impresa verso i
lavoratori”, CLUEB, Bologna, 1999.
Vasapollo L.: “Dove va l’impresa? (al bivio tra funzione
sociale e capitalismo finanziario)”, Finanza Italiana, mensile
economico-finanziario, Aprile 1996.
Vasapollo L.: “Gli indicatori socio-ambientali dell’attività
produttiva. Nuovi strumenti per misurare la compatibilità sociale di impresa”,
Finanza Italiana, Mensile economico-finanziario, Novembre-Dicembre 1997.
Zadek S., Pruzan P., Evans R.: “Building corporate
accountability. Emerging practises in social and ethical accounting, auditing
and reporting”, Earthscan, Londra, 1997.
Zappa G.: “Il reddito d’impresa”, Giuffrè, Milano,
1937 e “Le produzioni nell’economia delle imprese”, Giuffrè, Milano,
1956.
[1] Cfr. G. De Santis, A. M. Ventrella: “Il bilancio sociale d’impresa”,
Franco Angeli Editore, Milano, 1980, pag.52.
[2] G. Zappa:
“Il reddito d’impresa”, Giuffrè, Milano, 1937 e “Le produzioni nell’economia
delle imprese”, Giuffrè, Milano, 1956.
[3] Rita Martufi e Luciano Vasapollo: “Funzione etica
e programmazione economico-sociale d’impresa nella costruzione del bilancio
sociale e del bilancio ambientale”, estratto da “Sociologia”, 1997.
[4] Cfr.
A. Matacena: “Impresa e ambiente. Il bilancio sociale”, CLUEB, Bologna,
1984, pag.12.
[5] Cfr. A. Matacena: op.cit.
[6] P. Petrolati: “Il bilancio
sociale di impresa verso i lavoratori”, CLUEB, Bologna, 1999, pag.51.
[7] L. Vasapollo: “Gli
indicatori socio-ambientali dell’attività produttiva. Nuovi strumenti per
misurare la compatibilità sociale di impresa”, Finanza Italiana, mensile
economico-finanziario, Novembre-Dicembre 1997.
[8] AA.VV.(a cura di Ranghieri F.): “ La comunicazione
ambientale e l’impresa. Analisi di un percorso, Il Mulino, Bologna, 1998.
[9] G. Marsili: “ La partecipazione
della popolazione e dei lavoratori esposti ai rischi e alla gestione della
sicurezza industriale. Esercizio di un diritto o elemento centrale della
prevenzione?”, PROTEO, Rivista quadrimestrale, n.2, Roma,1998.
[10] AA.VV.(a cura
di Ranghieri F.): “La comunicazione ambientale e l’impresa. Analisi di un
percorso”, Il Mulino, Bologna, 1998.
[11] P. Petrolati: “Il bilancio sociale di impresa verso i
lavoratori”, CLUEB, Bologna, 1999, pag.135.
[12] Cfr. A. Maslow: “Motivazioni
e personalità”, Armando,1976.
[13] S. Zadek, P. Pruzan, R. Evans:
“Building corporate accountability. Emerging practises in social and ethical
accounting, auditing and reporting”, Earthscan, Londra, 1997, pag.3 e ss..
[14] L.
Vasapollo: “Dove va l’impresa? (al bivio tra funzione sociale e capitalismo
finanziario)”, Finanza Italiana, mensile economico-finanziario, Aprile
1996.
[15] A. Chiesi, A. Martinelli, M. Pellegatta: “Il bilancio sociale”, Ed. Il
Sole 24 Ore, 2000, Milano, pag.