Networker Querist. Domande e tentativi di risposta sui networks e sulle trasformazioni sociali
Massimo De Angelis
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Introduzione [1]
In questo breve intervento voglio sollevare alcune domande e
suggerire qualche ipotesi di risposta attorno alla questione delle reti
(networks). Il nocciolo centrale delle mie argomentazioni è che il networking d’opposizione
(o meshworking) non è soltanto strumentale (cosa che presupporrebbe un
obiettivo), ma è anche pratica sociale che dà forma ad obiettivi ed a valori,
dunque, contribuisce alla costituzione di nuovi rapporti sociali. Inoltre,
poiché tutte le società sono costituite da networks sovrapposti, una questione
politica centrale si trova nella differenza che esiste tra i networks d’opposizione
e costitutivi di rapporti sociali, ed i networks nei quali siamo costretti
quando lavoriamo all’interno della produzione capitalista. È ovvio che spesso
i due tipi di network sono solo due modalità della stessa struttura: competo
con l’altro quando mi rapporto ad esso in quanto forza lavoro; costruisco
nuovi rapporti sociali con lo stesso quando partecipo alla stessa lotta. Infine,
poiché nelle società-network i mezzi organizzativi corrispondono a forme
e modelli di produzione e non sono semplicemente strumenti per perseguire
degli obiettivi, la domanda sollevata su quale debba essere il ruolo dei
sindacati [inter]nazionali coincide con quella che si chiede quali debbano
essere i modelli e le forme di accesso ai mezzi di sussistenza e di produzione
sociale.
1. Networks strumentali o costitutivi?
La risposta a questa domanda ne solleva un’altra d’importanza
strategica: per quali ragioni noi appartenenti ai vari network d’opposizione
ci mettiamo a fare networking?
Entrambe le forme di network, strumentali e costitutive, sono
antagoniste, ed entrambe sono intrecciate tra loro. Tuttavia ci sono differenze
importanti. Nei networks strumentali la comunicazione tra i nodi del
network è strumentale alla “realizzazione” di dati obiettivi. Ci si mette
insieme, i “nodi” si collegano” per una telos particolare. Questi
obiettivi sono generalmente predeterminati da qualche piccolo gruppo che prende
l’iniziativa di avviare una campagna di mobilitazione. Le coalizioni, le
alleanze, avvengono appunto in questa maniera. Il carattere generale di questi
obiettivi rende spesso possibile l’organizzazione strumentale dei network, in
maniera tale da combinare tendenze centralizzanti e decentralizzanti. Dove per
centralizzazione s’intende il coordinamento delle operazioni e il controllo
della formulazione degli obiettivi, mentre le strutture federative
decentralizzate permettono una certa autonomia alle sedi locali. Ad esempio
ATTAC, Greenpeace ed, in un certo qual modo, anche i sindacati tradizionali.
I networks costitutivi sono quei network sociali che
emergono dall’interstizio di pratiche sociali dominanti e che danno vita a
nuove forme di cooperazione sociale, a nuovi bisogni ed a nuove aspirazioni. In
questo caso il network non è soltanto un mezzo organizzativo per un fine
predeterminato, ma anche una pratica sociale che porta a nuovi traguardi, a
nuove visioni, alla riformulazione di nuove telos. Ciò che ho in mente qui è l’azione
reciproca di determinate identità, anche messe insieme attraverso networks di
solidarietà e strumentali, che nel “meticciarsi” danno nuova forma alle
aspirazioni, alle identità e ai traguardi, in considerazione del fatto che la
“solidarietà” viene con il riconoscimento dei bisogni e delle aspirazioni
degli “altri”. Per esempio, l’alleanza tra sindacalisti e ambientalisti
non comporta soltanto la possibilità di raggiungere una massa critica d’opposizione,
ma, cosa molto più importante, aiuta a produrre un’identità verde all’interno
del movimento dei lavoratori e una identità “sindacale” all’interno del
movimento dei verdi. Il “fondersi” delle due questioni stimola visioni,
criteri, rivendicazioni e valori.
Considerare il network internazionale di sindacati
semplicemente come strumentale, è la cosa più facile ma anche la più
politicamente pericolosa. In questo modello gli obiettivi sono predeterminati e
le loro relazioni reciproche comportano una visione della società compatibile
con questi traguardi. Gli obiettivi di un migliore salario, di maggiore
occupazione, di una minore disuguaglianza - obiettivi ovviamente
comprensibilissimi dal punto di vista di nodi produttivi particolari (quei
lavoratori sottopagati; quel territorio ad alta disoccupazione, quella regione
ad alta incidenza di povertà) - sono formulati all’interno di una visione che
non mette in discussione la natura della forma salariale, il ruolo disciplinare
della disoccupazione e la corsa sempre più competitiva che è appunto fonte
principale di tutti quegli obiettivi particolari dei quali si cerca soluzione.
Non farsi domande su questo significherebbe non farsele nemmeno sulla natura dei
network sociali della produzione capitalista nei quali si è intrappolati. Per
esempio, come ci si puó battere per salari migliori e allo stesso tempo battersi
contro il consumismo? Come fare a difendere l’accesso ai mezzi di sussistenza
fornito dall’occupazione e allo stesso tempo opporsi a produzioni di
morte, distruttive per l’ambiente, come opporsi a ritmi massacranti ed allo
stesso tempo ad un lavoro che ha come finalità quello di vincere sull’altro?
Non sono queste le domande che le organizzazioni sindacali dovrebbero porsi?
Quale sarebbero le coordinate di un sindacato inteso come network costitutivo?
Questi sono i problemi alla base della mia riflessione. Cerchiamo di affrontarli
partendo dall’inizio.
2. Il modello-network è una costante di tutte le società?
Sì. Contrariamente al consueto modo unitario di concepire le
società, queste sono sempre costituite da network sovrapposti di potere e
pratiche politiche (Mann 1984). In questo senso, tutte le società sono state e
sono “società network”. La cooperazione sociale nel lavoro ha sempre
assunto la forma del network. Il problema consiste nel come i network
sociali sono articolati in quanto reti di poteri e che forma prendono,
nel come questi networks sociali sono organizzati, quale forma di produzione
sociale emerge dalla loro forma organizzativa, quali sono i loro limiti e le
loro contraddizioni, ed infine, quali sono i network subalterni che emergono
dagli interstizi di quelli dominanti.
3. Qual è la differenza tra società-network?
La distinzione chiave tra le società network di oggi e
quelle precedenti non è il modello-network ma la forma dei network, il
modo nel quale i poteri e i contropoteri sono esercitati. Se questo è il caso
allora, “l’ascesa della società network” di Castell (2000) dovrebbe
essere reintitolata “l’ascesa di una particolare forma di società network”.
Questa distinzione è importante per ragioni teoriche e politiche.
4. Esiste una caratteristica centrale nei networks odierni della
produzione capitalista?
Sì. Le strategie neoliberiste di deregulation e di
liberalizzazione del mercato, insieme allo sviluppo delle tecnologie per l’informazione
e la comunicazione, hanno creato, per i networks che costituiscono la produzione
capitalista (produzione, commercio, finanza), un contesto che accresce
enormemente la competizione tra i nodi delle reti produttive, aumentando
anche il grado di sostituibilità nello spazio di questi. In questo contesto, le
relazioni tra i nodi e il resto dei networks è, parafrasando Foucault (1977),
sempre più di tipo disciplinare. Certo, l’odierna estensione del mercato
rende possibile un meccanismo disciplinare che non necessariamente deve stare
confinato tra le mura di un’istituzione particolare. Ma si tratta pur sempre
di meccanismo disciplinare (De Angelis 2002). Di conseguenza, la caratteristica
principale degli odierni networks di produzione capitalista è il loro essere
costitutivi di meccanismi disciplinari che si estendono nel campo sociale e sull’intero
pianeta. Questo è reso possibile dall’estensione del processo di competizione
tra nodi del network di rapporti capitalistici e dall’aumentato numero di nodi
mercificati portati avanti dal processo di recinzione, cioè di espropriazione
di commons. Integrazione competitiva e processo di recinzione di commons sono i
due parametri che costitutiscono il network capitalista. È proprio cosa
paradossale che mentre negli ultimi due decenni la forma disciplinare dell’integrazione
tra reti produttive sociali si è, sia estesa in forma capillare su tutto il
pianeta, sia intensificata tanto da includere nuove aree della riproduzione
sociale, nello stesso periodo molti autori critici hanno parlano della fine
della società disciplinare e dell’inizio di quella di controllo.
5. L’attuale “società-network” ha un centro?
Contrariamente a ciò che dice Castell, se per
società-network intendiamo un insieme di reti sociali che costituiscono la
produzione capitalista, la risposta è affermativa. Il termine “centro” qui
non deve essere inteso come un luogo. Il centro di cui parliamo è di tipo “parametrico”.
Un parametro è un (sistema di) valore(i) dal quale scaturiscono strategie volte
alla riproduzione di norme, comportamenti ed azioni. Un centro è una fonte di
disciplina (come nella visione della torre d’ispezione nel Panottico di
Bentham). Un centro parametrico quindi, combina la produzione di valori
attraverso la disciplina, con una forma di produzione sociale che emerge da
questi valori. Nell’attuale rete globale, che è la produzione capitalistica,
questi processi disciplinari sono ottenuti attraverso la combinazione di mezzi
autoritari e sistemici. I mezzi autoritari sono strategie neoliberiste di
recinzione che aspirano ad espandere il regno del mercato e della competizione,
impedendo alla gente l’accesso alla ricchezza sociale con mezzi alternativi a
quelli del mercato: le politiche neoliberiste supportate da guerre e leggi
repressive rappresentano i cardini contemporanei di queste nuove recinzioni (Si
vedano De Angelis 2000; Midnight Notes 1992). Mentre i mezzi autoritari mirano a
stabilire le condizioni per la forma capitalistica dell’interazione sociale
produttiva, quelli sistemici riproducono il sistema di valori e di norme dell’interazione
sociale attraverso il processo disciplinare inserito nella competizione di
mercato. Il conflitto (macro e micro) che emerge all’interno del regno della
produzione capitalista rappresenta l’oggetto di disciplina dei termini
sistemici.
6. I networks d’opposizione hanno un centro?
Certamente non nel senso di centro parametrico del network
capitalista di produzione. I network subalterni e d’opposizione sono anche
chiamati meshwork e generalmente si distinguono dai networks dominanti per via
del fatto che sono non-gerarchici ed auto-organizzanti (Harcourt: 2001: 7).
Queste caratteristiche organizzative dei meshwork devono essere considerate
congiuntamente alle dinamiche delle interazioni e delle alleanze tra soggetti
sociali, con bisogni e aspirazioni diverse, che emergono nelle pratiche di
questi networks d’opposizione (Waterman 1998; De Angelis 2000). Infatti, il
termine “alleanza” non è appropriato nel descrivere il processo di
fecondazione incrociata dei bisogni e delle aspirazioni che scaturiscono dal
coordinamento di queste pratiche d’opposizione. Dovremmo forse parlare di “meticciato”
delle soggettività (vedi per esempio Toni 1993). Come abbiamo visto nel
discorso più generale dell’introduzione sui “networks costitutivi”,
questo meticciato è ciò che crea nuovi valori, rende dinamiche e problematiche
le vecchie e rigide identità e apre spazi a nuove aspirazioni.
Se proviamo a confrontare questi due tipi di networks, quelli
dominanti del capitale ed i meshwork d’opposizione, si ricava un risultato
interessante. Nel caso dei networks della produzione capitalista l’imposizione
di parametri dell’interazione sociale (attraverso recinzioni e politiche di
liberalizzazione del mercato) è il presupposto all’azione sociale dalla quale
emerge a sua volta il meccanismo disciplinare (la competizione) che riproduce i
parametri dati in partenza, cioé i valori del sistema. Nel caso
delle reti d’opposizione, i parametri del coordinamento sociale - quelli che
definiscono le regole del coordinamento - sono il risultato creativo del
reciproco riconoscimento. Quindi, mentre nel caso delle reti della produzione
capitalista i nodi individuali organizzano la loro interazione all’interno di
un dato sistema autoriproducente di “valori” (il valore dell’interazione
competitiva), nei network d’opposizione, i parametri di interazione sociale -
ciò che definisce le regole della coordinazione sociale - sono il risultato
creativo del riconoscimento reciproco, cioè è l’interazione tra nodi
individuali che li aiuta a “scoprire” e a creare valori. Mentre nel primo
caso ogni nodo è formalmente uguale di fronte al bisogno di impegnarsi
nella dura competizione con “l’altro”, nel secondo caso, ogni nodo è
depositario di bisogni e di aspirazioni diverse la cui “uguaglianza” è un
risultato conseguente all’interazione sociale. Qui, i processi comunicativi e
consensuali della solidarietà e della lotta sono alla base del reciproco
riconoscimento e decodificazione di valori e linguaggi diversi verso una
continua creazione di valori nuovi.
7. ...e cosa dire delle dignità in rete ...?
Ritengo che l’esperienza degli ultimi due decenni mostri
che ogni lotta intrapresa per raggiungere un qualsivoglia “scopo”, deve
essere effettuata nella piena consapevolezza del fatto che ogni nodo in lotta è
un nodo di una rete produttiva di aspirazioni e di rivendicazioni assai piú
grande. Penso che in ogni lotta ci si debba chiedere in quale rapporto sia il
“proprio nodo” con l’insieme agli altri network sociali. Le rivendicazioni
di una lotta, in altre parole, devono essere presentate non solo come legittime
ed eticamente corrette (cioè basate su un predeterminato e condiviso insieme di
valori), ma anche come aspirazione sociale di costituzione. L’abilità di
ottenere il sostegno necessario a questa lotta dipende molto da come le
aspirazioni dei soggetti coinvolti contemplino quelle di altri networks. Per
fare un esempio, se noi lavorassimo in una fabbrica che esporta in Cina
sfollagente elettrici da tortura e, diciamo, volessimo iniziare una lotta per
lavorare meno ore ed ottenere un salario più alto, il sostegno morale e la
solidarietà potrebbero essere perseguiti facendo appello ad astratti interessi
definiti “comuni” (salari più alti “fanno bene” all’economia, meno
ore di lavoro “fanno bene” all’unità della famiglia e di conseguenza all’economia).
Questa giustificazione della lotta comporta l’astrazione dall’aspetto
concreto del nostro lavoro nei confronti di sindacalisti di base cinesi
torturati dagli strumenti che abbiamo prodotto. Penso che l’atteggiamento
della maggior parte dei sindacati a riguardo delle lotte sia di questo genere,
anche quando i lavoratori producono articoli meno problematici. È raro che un
nodo produttivo si ponga il problema del proprio rapporto nei confronti della
totalità dei network sociali di produzione. La ragione è chiara e a prima
vista comprensibile: sarebbe come spararsi sui piedi, criticare i mercati della
propria industria è come criticare la giustificazione del proprio impiego. Da
qui nasce il silenzio e la mancanza di riflessione.
Occorre invece avere il coraggio di vedere le cose come
stanno. Molti dei nostri lavori, infatti, in maniera più o meno accentuata,
hanno un contenuto indegno una volta misurati non solo con il metro della loro
utilitá sociale, ma anche con quello della loro forma costituita di rapporti
mercantili. Nel contesto dell’accumulazione senza fine, della produzione al
fine della produzione, in quanto creativi, ad esempio, lavoriamo sempre piú per
convincere noi stessi e gli altri di bisogni inesistenti; in quanto insegnanti
lavoriamo sempre più per riprodurre una forza lavora competitiva; in quanto
produttori di autonomobili contribuiamo sempre più a produrre l’effetto
serra; in quanto produttori di armi continuiamo sempre più alla guerra
neoliberale; in quanto docenti uiversitari convalidiamo sempre piú la scienza
come business. Dove sta la dignità all’interno di questi parametri?
Rivendicare la dignità significa mettere in discussione questi parametri, e
ciò si può fare solo attraverso un percorso di ridefinizione dei rappporti con
l’altro.
La questione della dignità sorgerebbe solo se riuscissimo a
mettere insieme delle lotte per migliorare le nostre condizioni di vita e di
lavoro e allo stesso tempo mettere in discussione il nostro rapporto con le
altre reti di produzione sociali. Una lotta quindi che organizzativamente si
forma sia come network strumentale che come network costitutivo. Network
strumentale, perchè è una lotta che ha degli obiettivi. Network costitutivo
perché il modo con cui ci poniamo nei confronti di altri network apre il
dibattito sulla natura e sullo stato della nostra professione, ossia del nostro
“nodo” specifico. Ed è tale dibattito che si potrebbe porre come premessa
di cambiamento verso valori e obiettivi “altri”, valori ed obiettivi dei
quali il nostro nodo non ha il monopolio.
In ultima analisi, le questioni sollevate dal tipo di
rivendicazioni e aspirazioni che emergono da network costitutivi, sono una
questione di dignità, e la dignità è un rapporto di rispetto tra nodi e reti
produttive (in senso lato, cioè sia salariate che non salariate) all’interno
della società. Ritengo che la questione della dignità sia fondamentalmente una
questione organizzativa, cioè essa definisce la natura della produzione
sociale. Recentemente, tale questione è stata evidenziata dagli Zapatisti (De
Angelis 2000), dai vari meticciati che hanno portato all’evento di Seattle,
dagli agricoltori francesi della confederazione Paysienne (Bove’ Duford 2001).
Per questi ultimi per esempio, “il salto fondamentale avviene nel momento in
cui il sindacato non interrompe la lotta in difesa delle condizioni di lavoro,
dello stipendio e dell’impiego, ma s’interroga sulla fine sociale ed
economica del lavoro e dell’attività umana.” (Bove’ Dofour 2001: 127). Il
punto consiste nel trasformare quest’interrogativo da pura contemplazione del
ruolo di ciascuno, in strumento attivo per relazionarsi con il mondo e per
interrogarsi circa la propria posizione in rapporto con gli altri networks
sociali.
8. Allora, cosa possono fare i sindacati?
Quali strade debbono o possono seguire i sindacati nel
contesto nella società-network? Queste sono le mie brevi conclusioni:
A. I sindacati dei lavoratori possono promuovere la loro
crescente insignificanza continuando a considerare se stessi solamente come
networks strumentali e appellandosi al mondo esterno in termini di “interessi
economici comuni” o attraverso valori ed ideologie astratte. Nel primo caso, i
loro sforzi sono autodistruttivi poiché in un mondo in crescente competizione,
gli “interessi comuni” economici sono continuamente riformulati. Il secondo
caso presuppone la formulazione di un atteggiamento astrattamente etico verso
una politica con determinati valori. Quest’atteggiamento è sempre meno
adeguato nei confronti di un mondo fertile di movimenti che crea nuovi valori e
risignifica i vecchi.
B. I sindacati possono promuovere riflessioni e battaglie che
emergono dai bisogni e le aspirazioni dei loro membri, sulla questione dei
ritmi, delle condizioni di lavoro e dei liveli salariali insieme a quella
della natura del lavoro e del suo ruolo all’interno del network globale della
produzione sociale. In questo modo, l’alleanza con altri movimenti non è
soltanto facilitata, ma diventa anche parte costituente di nuovi rapporti
sociali. Ma questo significa che i sindacati, come li conosciamo noi, sono
destinati ad essere cancellati dallo straripare di forze democratiche che si
generano quando si ha un processo creativo di meticciato sociale. Inoltre, gli
attuali sindacati devono essere pronti ad abbandonare retoriche astratte e senza
significato su ciò che è “bene” per l’economia, e vedere se stessi come
parte del processo di trasformazione che ridefinisce i “valori” stessi dell’economia
(Cosa produciamo? Come lo produciamo? Quanto produciamo? Come ci rapportiamo
agli altri produttori con i quali siamo in competizione?). Alla fine, se i
sindacati inizieranno a ridefinire i propri obiettivi dissociandosi da quelli
imposti dalle priorità del mercato, saranno anche obbligati a sollevare la
questione dell’accesso ai mezzi di sussistenza come diritto, a promuovere il
dibattito e l’azione politica contro l’egemonia del mercato, a denunciare le
recinzioni che ne sono il presupposto, a partecipare attivamente e
coscientemente alla battaglia per i nuovi “commons.”
Bibliografia
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[1] Versione aggiornata di una relazione presentata al
seminario sul network internazionale delle organizzazioni sindacali, Conference
of the Global Studies Association on Networks and Trasformations.