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Osservatorio sindacale internazionale

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Brasília Carlos Ferreira
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Professoressa del dipartimento di scienze sociali dell’Universidade Federal do Rio Grande do Norte (UFRN)

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Le traiettorie del sindacalismo brasiliano

Brasília Carlos Ferreira

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Introduzione

Il movimento associativo dei lavoratori nasce in Brasile all’inizio del secolo e sin da allora è caratterizzato da discontinuità temporale e asimmetria geografica. Storicamente la dinamica del processo d’industrializzazione ha portato alla concentrazione di classi di lavoratori in determinate regioni influenzando direttamente la composizione del panorama sindacale del paese. A periodi d’intensa attività del movimento sindacale si sono alternati momenti di contrazione organizzativa, conseguenza soprattutto di regimi autoritari. Da ciò s’intuisce la coesistenza di un sindacalismo combattivo con pratiche sindacali d’assistenzialismo, dai connotati dell’ufficialità o puramente burocratici. Questa grande diversità rende difficoltoso definire il sindacalismo brasiliano e ci spinge ad evitare generalizzazioni affrettate che, oltre a trascurare le differenze, comporterebbero il rischio di produrre analisi che non agevolano affatto la comprensione del fenomeno sindacale brasiliano.

In questo articolo intendo sottolineare le congiunture più significative vissute dal movimento sindacale brasiliano, in modo da evidenziarne la diversità interna e le sue specificità. Soltanto evidenziando le differenze sarà possibile, tutto sommato, far emergere i suoi punti di forza e percepire le sue tendenze. Come filo conduttore delle traiettorie del movimento sindacale brasiliano utilizzeremo la legislazione sindacale, strumento privilegiato per la percezione delle sue matrici costitutive e parametro fondamentale per la comprensione delle differenti posizioni assunte dai principali protagonisti.

1. Dal Libero Sindacalismo alla Repressione Sindacale

I primi sindacati sorgono in Brasile alla fine del secolo passato, spesso influenzati dall’esperienza organizzativa apportata nel Paese dagli emigranti europei. La formazione della classe lavoratrice brasiliana è segnata da un “peccato originale”: la presenza contemporanea nelle fabbriche del lavoro libero e del lavoro coercitivo dello schiavo. La schiavitù è abolita soltanto nel 1888. Questo marchio d’origine avrà ripercussioni decisive sulla conformazione del lavoro nella società brasiliana.

L’associazionismo della fine del secolo XIX e della prima decade del XX si esprime anche sottoforma di società previdenziali, unioni operaie e associazioni di varia denominazione e a carattere prevalentemente assistenziale. I primi testi giuridici di regolamentazione del lavoro, non entrano in vigore in tutti i paesi, poiché la loro valenza è spesso limitata allo stato della federazione o alla categoria ai quali è rivolta.

Fino agli anni ‘30 i sindacati erano stati liberi, autonomi e indipendenti dallo Stato. Era compito dei lavoratori definire la forma della loro organizzazione, i criteri d’adesione e le modalità di funzionamento. Nel marzo del 1931, nel contesto della Rivoluzione del 1930 che aveva portato Getulio Vargas al potere, viene promulgato il Decreto 19.770, la legge della Sindacalizzazione. Joaquin Pimenta; uno degli autori afferma che il Decreto “fu una specie di carta costituzionale che, poiché ripristinava e garantiva il diritto d’associazione dei lavoratori, ampliava il modello tradizionale di sindacato che, aldilà dell’istituzione, il cui statuto era basato anche sulle norme del diritto privato, forniva un contributo ulteriore allo Stato nella soluzione di problemi direttamente legati agli interessi di classe” (Pimenta, 1949, p. 189).

La legislazione sindacale formalizzata dal governo Vargas s’ispirava alla Carta del Lavoro italiana. In conformità al suo marchio corporativistico, cercava di ridurre i conflitti sociali intrinseci alla relazione capitale-lavoro, definendo i due settori complementari. In termini legali la struttura sindacale si caratterizza per i suoi principi d’unicità sindacale, organizzazione in rami d’attività e subordinazione allo Stato. Il decreto definiva la creazione di un sindacato su base territoriale e per categoria professionale, in una struttura dove ogni settore d’attività poteva comunicare con i suoi simili soltanto verticalmente, non essendo permessa la creazione di una struttura intersindacale. In termini visivi possiamo pensare ad una figura piramidale così rappresentata: un Sindacato con base locale, una Federazione con base regionale e una Confederazione con base nazionale che riuniscono lavoratori di uno stesso ramo d’attività. In cima alla piramide lo Stato, attraverso il Ministero del Lavoro, forniva i presupposti materiali per l’esistenza dei sindacati, con la trattenuta per l’imposta sindacale, e definiva al tempo stesso i limiti della sua azione.

Il panorama sindacale brasiliano è profondamente alterato dalla Legge sulla Sindacalizzazione. In termini legali, i sindacati passano da figure di diritto privato a figure di diritto pubblico, integrate nel dispositivo statale dall’imposta sindacale. La fondazione d’entità sindacali è subordinata alla copertura dei requisiti definiti dal Ministero del Lavoro, preposto alla promulgazione della Carta Sindacale, strumento legale d’espressione dell’atto di creazione dei sindacati. Le istituzioni dei lavoratori riservano allo Stato la funzione d’arbitro, svuotando il potenziale conflittuale che caratterizzava la relazione capitale-lavoro e trasferendolo nell’ambito della giustizia nel lavoro. Il perno fondamentale della nuova legislazione è l’incorporazione subordinata dei lavoratori allo spazio pubblico.

Nello stesso periodo nasce la legislazione sociale che, come la legislazione sindacale, entra in vigore su tutto il territorio nazionale,. “Soltanto durante l’anno 1931 furono elaborate sei proposte di leggi sociali (Horário de Trabalho; Regulamentação do Trabalho Feminino e do Trabalho de Menores; Convenções Coletivas de Trabalho; Juntas de Conciliação e Julgamento e Salário Mínimo) e furono promulgate due leggi - quella sulla Sindacalizzazione e quella sulla Nazionalizzazione del Lavoro” (Gomes, 1979, p.224). In termini economico-sociali lo Stato passa a regolare il costo della rigenerazione della forza lavoro attraverso il Salario Minimo, mentre sul piano politico cerca di controllare le forme d’inserimento di questi nuovi protagonisti sociali.

La promulgazione della legislazione sociale passa alla storia ufficiale come una “donazione” del governo Vargas, sebbene le risoluzioni legali rispondessero alle richieste storiche dei lavoratori, espresse durante la Prima Repubblica con rivendicazioni e scioperi (1889-1930). D’altro canto, il governo definiva norme e condizioni per l’accesso ai diritti, estromettendo da questi i lavoratori associati a sindacati non ufficializzati dallo Stato. Pertanto, il decreto di sindacalizzazione associato ai decreti che fornivano le norme della legislazione sociale, per assicurare il diritto d’associazione e rappresentazione dei lavoratori, definisce anche le condizioni di accesso a questi diritti e, in ultima istanza, i limiti dell’accesso alla cittadinanza per la popolazione lavoratrice.

Di fronte al movimento associativo la Legge sulla Sindacalizzazione rappresenta un paradosso: infatti, nel momento stesso in cui elimina la libertà d’organizzazione, l’indipendenza e l’autonomia dei sindacati, questa legislazione rende però possibile l’organizzazione sindacale dei lavoratori, fino ad allora ostacolata dall’intolleranza dei padroni e dall’intensa repressione esercitata. Le frazioni senza esperienza organizzativa invocano la legalità affinché il governo fornisca al sindacato i mezzi per affrontare la resistenza dei padroni. Da parte loro i vecchi sindacati che rifiutano l’ufficializzazione di fronte allo Stato, cercano di attrarre nuovi aderenti e adoperarsi per ottenere, con organismi soggetti alle norme ufficiali, l’adesione dei lavoratori.

Tuttavia la legislazione in vigore con il Decreto Sindacale non assicura, di fatto, ai lavoratori il diritto all’organizzazione, che continua ad essere oggetto di repressione da parte del patronato, recalcitrante all’applicazione della legislazione sociale considerata un’intromissione dello Stato nei propri affari privati. L’esigenza riconosciuta dal Ministero del Lavoro di fornire sistematicamente informazioni uniformi a livello nazionale sulle imprese, comporta delle abitudini amministrative viste dal patronato come una perdita di tempo. L’impresa di quel periodo registra numerose denuncie di lavoratori ai quali l’impresario rifiuta il rispetto delle leggi sociali e sindacali (Ferriera, 2000).

Nel contesto di un riassetto delle forze politiche negli anni ‘30, i lavoratori utilizzano le entità sindacali come strumento di lotta per rivendicazioni che vanno oltre l’universo manifatturiero. Attraverso i sindacati esprimono le loro rivendicazioni per l’ottenimento di scuole, abitazioni decenti, riserve d’acqua e posti di lavoro sicuri. Richieste si basano sulla nozione dei diritti propri di una cittadinanza in costruzione. Questa pratica evidenzia la tensione interna nella costruzione della cittadinanza come risultato dell’accostamento di due progetti: l’attribuzione di una cittadinanza definita nei suoi limiti dallo Stato e lo shock del tentativo dei lavoratori di diventare cittadini oltre ogni limite d’attribuzione e di tutela.

Paradossalmente in questo periodo insieme allo scossone generato da questa legge si registra anche la formazione d’entità intersindacali orizzontali. Le entità intersindacali, anch’esse non autorizzate dalla legge, sono utilizzate dai sindacati per ottenere credito nella lotta interna al movimento. L’inesistenza in un primo momento, di una attività repressiva del governo contro le entità non ufficiali favorisce la grande eterogeneità delle organizzazioni associative. Ciò permette la coesistenza di sindacati ufficiali, sindacati indipendenti e intersindacati, dove in molti casi le entità preesistenti, come le leghe, le unioni e le associazioni, avevano una composizione interna molto varia (Ferriera, 1997).

Pertanto il processo di adeguamento delle entità sindacali al modello ufficiale avviene gradualmente. All’inizio, i sindacati indipendenti intensificano le loro strategie organizzative in maniera da competere con i sindacati ufficiali e ottenere una maggiore legittimità all’interno della classe lavoratrice. Ma poi, in considerazione del fatto che l’accesso ai diritti sociali era riservato ai soli lavoratori vincolati alle entità riconosciute dal Ministero del Lavoro, l’affiliazione o la permanenza dei lavoratori in questi era molto difficile. Il movimento sindacale si rende conto che non si tratta più di conquistare legittimità all’interno della classe lavoratrice, ma di accedere alla legalità di fronte allo Stato. Questa legalità gli avrebbe permesso di acquisire il monopolio della rappresentanza dei lavoratori.

Nel frattempo il grande impulso all’ufficializzazione delle entità libere avviene in occasione della convocazione dei delegati di classe alla Costituente del 1934. L’obbligo, per i candidati alla delegazione, di essere vincolati ad entità riconosciute dallo Stato, fa correre i sindacati all’accreditamento presso il Ministero del Lavoro. Questo mutamento di strategia si riflette anche nei cambiamenti in corso sul piano ideologico, nella misura in cui le correnti anarchico-sindacaliste, contrarie ad ogni rapporto con lo Stato, cominciano a perdere la loro egemonia all’interno del movimento sindacale del Partido Comunista. Fondato nel 1922 e fino ad allora con una timida presenza sulla scena sindacale, il PC comprende la possibilità di usufruire a proprio beneficio del principio d’unicità sindacale e sceglie il movimento sindacale come terreno principale d’azione.

Durante il periodo della dittatura dello “Stato Nuovo” che ha era iniziata nel 1937, si va consolidando il processo d’adeguamento dei sindacati alla legislazione ufficiale. La Costituente del 1937 mantiene inalterata la legislazione sindacale. Il governo se ne serve per reprimere duramente le organizzazioni sindacali indipendenti, obbligandole a adeguarsi ai requisiti ufficiali. In questo periodo molte entità, non avendo più alcuna possibilità di sopravvivenza al di fuori delle regole imposte dal Ministero del Lavoro, completano l’adeguamento.

Concluso il processo d’assoggettamento dei sindacati allo Stato, cambia la logica interna del movimento e ha inizio un nuovo periodo. Ormai non si tratta più di gruppi di militanti, la cui azione è legittimata dal consenso dei suoi pari e resa completa attraverso questa. Si tratta di guadagnare la legalità come entità burocratica, ossia come agenzia vincolata all’apparato statale. Il rapporto Stato-lavoratori si rivela più complesso, tanto da portare all’introduzione d’elementi di controllo più raffinati e ancor più dannosi della repressione diretta.

Il modello regolatore dello Stato nei rapporti di lavoro è uno degli aspetti preponderanti della società brasiliana a partire dagli anni ‘30. La legislazione sindacale si rivela una delle istituzioni più durature del paese. Sopravvivendo a mutazioni congiunturali significative, all’alternanza tra periodi di autoritarismo e di democrazia, alla costituzione di un significativo parco industriale e al processo di urbanizzazione che negli ultimi 30 anni aveva modificato profondamente la società brasiliana, la legislazione sindacale arriva, fino ai giorni nostri, praticamente inalterata. Questa longevità ha comportato la costituzione di una tradizione che continua a segnare profondamente la società brasiliana.

2. Sindacati e democratizzazione

Nell’immediato dopoguerra i sindacati, a seguito del processo di democratizzazione in corso nel paese, vivono un ciclo d’espansione. Per quasi due decenni il movimento sindacale non solo sviluppa le sue strategie organizzative, accrescendo il numero degli iscritti, ma interviene anche intensamente nello spazio pubblico. In termini ideologici si consolida la presenza e l’influenza del Partido Comunista all’interno del movimento organizzato dei lavoratori. Alleandosi a sinistra con il Partido Trabalhista Brasileiro (PTB), il PCB conquista la direzione d’importanti sindacati, federazioni e confederazioni. Sul piano interno il PCB definisce le strategie sindacali mentre su quello esterno conduce il movimento sindacale sulla scena politica.

Inoltre pur non essendo previste dalla legislazione sindacale, sorgono in questo periodo numerose entità intersindacali, come il Pacto de Unidade e Ação (PUA), o il Movimento Unificado dos Trabalhadores (MUT), che agiscono come Centrali Sindacali articolando e dirigendo il movimento. Tra queste la più importante è la Central General dos Trabalhadores (CGT) che nasce come direzione per gli scioperi ma che in seguito si trasforma in una Centrale Sindacale con sedi statali in quasi tutto il paese.

È l’inizio degli anni ‘60 e la società brasiliana vive un momento di mobilitazione a favore della realizzazione della cosiddetta “Reformas de Base”: una riforma agraria, urbana, dell’educazione, ecc. I lavoratori approfittano della congiuntura favorevole per esprimere le loro rivendicazioni, provocando molti scioperi in tutto il paese. Il movimento sindacale occupa l’arena politica dando impulso alle tesi “pecebistas” [i] dell’alleanza con la borghesia nazionale. Le direzioni sindacali rimangono al centro della crisi politica del governo di João Goulart che terminano con il colpo di stato militare del 1964.

È importante fare notare che senza che si sia avuto alcun cambiamento nella legislazione sindacale, si passa dal periodo di forte repressione del Nuovo Stato (1937-1945) che in pratica mette al bando l’esistenza del movimento sindacale, ad una situazione d’intensa mobilitazione espressa nel continuo susseguirsi di scioperi, nella formazione di strutture orizzontali e nella presenza di lavoratori sulla scena pubblica. Ciò che viene dimostrato è l’estrema elasticità di una legislazione sindacale in grado di adeguarsi alle diverse congiunture, fino a passare da un opposto all’altro senza la necessità di essere modificata.

Nella fase di democratizzazione degli anni ‘50 e ‘60 predomina l’impegno del movimento sindacale all’interno del quadro più generale delle “grande politica”. Tuttavia, tenendo anche in considerazione l’emergenza del CGT e il suo sforzo di ramificazione in tutto il paese, così come il dilagare di scioperi provocati da numerosi ed importanti movimenti, la pratica sindacale di quel periodo può essere caratterizzata come “cupulista”. In questa, le direzioni politicizzate, definiscono all’interno del partito le tattiche e le strategie d’azione che devono essere perseguite dalla base. Decisioni che collocano i lavoratori al traino della politica partitica e delle alleanze formulate dal PC in un quadro nazional-populista.

Durante questo periodo il movimento sindacale ottiene una grande visibilità pubblica. Le aree conservatrici allarmate da ciò, denunciano che è in corso l’instaurazione di una “República Sindacalista no Brasil”. La situazione d’intensa mobilitazione è interrotta dal colpo di stato del 1964, che dà luogo ad un nuovo intervallo autoritario terminato soltanto negli anni ‘80.

La dittatura militare reprime violentemente i lavoratori. Le sedi sindacali sono violate, la leadership e i membri delle direzioni arrestati e il governo militare nomina degli “interventores” [i] alla direzione dei sindacati. La CGT è sciolta, i suoi dirigenti perseguiti, arrestati o eliminati. Centinaia di lavoratori urbani e rurali che sopravvivono alle prime persecuzioni, temendo l’imminente imprigionamento, entrano in “clandestinità” rimanendovi fino all’amnistia. Il movimento sindacale è disarticolato e reso privo di carattere attraverso la trasformazione dei sindacati in ripartizioni pubbliche, rivolte alla prestazione di servizi per i lavoratori.

Nel 1968 con il riemergere degli scioperi metalmeccanici in Contagem, le città di Minas Gerais e Osasco, della grande San Paulo, sorprendono il paese con un atto di resistenza dei sindacati. Nell’impossibilità di continuare la pratica sindacale di mobilitazione pubblica, i lavoratori ricorrono ad organizzazioni silenziose ed interne ai Comitati di Fabbrica che erano stati all’origine degli storici scioperi del 1968. Con un innovativo modo di affrontare gli scioperi, i lavoratori occupano i complessi delle fabbriche, mantenendosi al suo interno durante tutto lo svolgersi del movimento. Il governo invia l’esercito e i carri armati per reprimere con estrema violenza gli scioperanti. Il cattivo esito degli scioperi di Contagem e Osasco segna la sconfitta del movimento sindacale, rinchiudendolo in un silenzio che sarebbe stato infranto soltanto 10 anni più tardi nelle giornate dello sciopero dell’ABC paulista.

La legislazione sindacale rimane inalterata anche durante questo nuovo periodo d’autoritarismo. Per reprimere i sindacati i governi militari ricorrono a dispositivi legali già esistenti. Si effettuano solo due invasioni nel campo della legislazione sul lavoro. Aldilà della regolamentazione sul valore del Salario Minimo, i governi autoritari definiscono attraverso le leggi il livello di percentuale d’aggiustamento dei salari. Nel 1966 è istituito un Fundo de Garantia por Tempo de Serviço (FGTS), che anticipa di 30 anni la rottura della stabilità nell’impiego. Composto di quote, calcolate in base al salario dell’impiegato, da dover essere depositate in una banca per gli impiegati, il FGTS intendeva liberare le imprese dai costi di liquidazione, anticipando di più di 30 anni la flessibilità del lavoro in Brasile.


[i] Ndt. “pecebistas”: esponenti del PCB (Partido Comunista Brasileiro)

[i] Ntd: Sorta d’ispettori o commissari.