Verso quale Costituzione europea?
Arturo Salerni
In questa seconda parte del dossier che la rivista intende dedicare al processo costituente che investe l’Unione Europea (la prima parte è stata pubblicata nel precedente numero di Proteo) dobbiamo analizzare il “prodotto” venuto da fuori dalla Convenzione ed offerto al Consiglio dei Ministri dell’Unione al termine del semestre di presidenza greco. Nel semestre attuale - sotto la Presidenza italiana, accompagnata dalle tante note polemiche - il percorso di definizione del trattato costituzionale potrebbe concludersi. Sarà a quel punto che l’attenzione potrà fermarsi - con maggiore precisione - su un testo definito. Sono peraltro noti i contrasti che a livello degli schieramenti politici, tra i diversi Stati membri e tra i vari organismi dell’Unione si stanno manifestando - e con ogni probabilità continueranno a manifestarsi - su molti passaggi del trattato, ed in particolare sulla portata del voto a maggioranza degli Stati membri rispetto alla procedura del voto unanime che di fatto significa un blocco del processo di ulteriore integrazione. La Convenzione presieduta da Valery Giscard d’Estaing (e che ha avuto tra i vice presidenti l’ex capo del governo italiano Giuliano Amato) è stata ampiamente attraversata da tali contrasti ed ha prodotto un testo che contiene molte mediazioni tra i diversi punti di vista. Analizzeremo quindi, nelle grandi linee, il testo che fornisce la base di discussione dei prossimi vertici intergovernativi, ed in particolare di quello che si terrà a Roma nell’ottobre di quest’anno. |
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1. Il preambolo del “Trattato che istituisce una
Costituzione per l’Europa” si apre con un passo di Tucidide: “La
nostra Costituzione ... si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani
dei pochi, ma dei più”. In esso si richiamano “i valori che sono alla
base dell’umanesimo: uguaglianza degli esseri umani, libertà, rispetto della
ragione”, le “eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa”
(pur senza un richiamo espresso alle “radici cristiane”, il che è
stato ed è motivo di contrasto con la Chiesa cattolica), “la percezione
del ruolo centrale della persona, dei suoi diritti inviolabili e inalienabili e
del rispetto del diritto”. Si afferma che l’Europa, “ormai
riunificata” anzi “unita nella diversità”, “vuole restare
un continente aperto alla cultura, al sapere, al progresso sociale, che desidera
approfondire il carattere democratico e trasparente della vita pubblica e
operare a favore della pace, della giustizia e della solidarietà nel mondo”.
L’art.1 del progetto (Istituzione dell’Unione) - rispetto
al testo inizialmente proposto e che avevamo analizzato nel precedente numero
della rivista - ha delle variazioni, per cui si istituisce l’Unione Europea
“alla quale gli Stati membri conferiscono competenze per conseguire
obiettivi comuni” (e non più quindi “in seno alla quale le politiche
degli Stati membri sono coordinate”). Sparisce il riferimento al “modello
federale”, e quindi ci si avvicina sostanzialmente alla meno impegnativa
scelta unionista con l’espressione “esercita sul modello comunitario le
competenze che essi le trasferiscono”. Si prevede in sostanza più
continuità con la storia della Comunità, meno impegno verso la creazione di
uno Stato federale. Che questo significhi una scelta definitiva, nel fluido
percorso di costruzione dell’Unione, non è detto: certamente - sul piano dei
grandi principi - il compromesso tra le diverse posizioni registra un
significativo rallentamento del processo di integrazione (pur nell’ambito di
un passo importante, quale quello della definizione di un testo costituzionale
che dovrà comunque legare i venticinque Paesi dell’Unione.
Anche l’art.2 (“Valori dell’Unione”) -
rispetto al testo proposto dal Presidium della Convenzione - viene riscritto, ed
attualmente recita: “L’Unione si fonda sui valori della dignità umana,
della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e
del rispetto dei diritti umani. Questi valori sono comuni agli Stati membri in
una società fondata sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla
solidarietà e sulla non discriminazione”. E così pure l’art.3 (“Obiettivi
dell’Unione”), che vale la pena di riportare1: “ [1]. L’Unione si prefigge
di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei sui popoli.
2. L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia senza frontiere interne e di un mercato unico nel quale la
concorrenza è libera e non distorta. [Va notato che anche rispetto al testo
precedente cresce l’esaltazione del riferimento al mercato ed alla libera
concorrenza, anche se lievemente temperato dagli elementi contenuti nel comma
successivo].
3. L’Unione si adopera per un’Europa dello sviluppo
sostenibile basato su una crescita economica equilibrata, un’economia sociale
di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso
sociale, un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente.
L’Unione promuove il progresso scientifico e tecnico.
Combatte l’esclusione sociale e le discriminazione e
promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la
solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti dei minori.
Promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la
solidarietà tra gli Stati membri.
Rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e
linguistica e vigila alla salvaguardia e allo sviluppo del patrimonio culturale
europeo.
4. Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma
e promuove i suoi valori e interessi. Contribuisce alla pace, alla sicurezza,
allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco
tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e
alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti dei minori, e alla
rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare
al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite [avevamo notato nel
testo precedente la mancanza di un espresso richiamo al diritto internazionale,
che invece nel testo offerto al Consiglio appare con forza ed incisività,
unitamente al rispetto dei principi contenuti nella Carta dell’ONU].
5. Tali obiettivi sono perseguiti con i mezzi appropriati, in
ragione delle competenze attribuite all’Unione nella Costituzione”.
2. L’art.9 del nuovo testo riprende l’argomento
inserito nell’art.8 del testo a suo tempo approvato dal Presidium (il quale
prevedeva che “la delimitazione e l’esercizio delle competenze dell’Unione
si fondano sui principi di attribuzione, sussidiarietà, proporzionalità e
cooperazione leale”). In esso - al primo comma - si prevede che “la
delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di
attribuzione. L’esercizio delle competenze si fonda sui principi di
sussidiarietà e proporzionalità” . Con riferimento al principio di
attribuzione si afferma che “l’Unione agisce nei limiti delle competenze
che le sono conferite dagli Stati membri nella Costituzione al fine di
realizzare gli obiettivi da questa stabiliti” (con l’aggiunta - rispetto
al testo di partenza - dell’espressione “dagli Stati membri”, quasi
a rimarcare che la sovranità appartiene ai singoli Stati che a loro volta
attraverso il trattato costituzionale ne cedono alcune parti all’Unione) e che
qualsiasi competenza non attribuita nella Costituzione all’Unione appartiene
agli Stati membri.
Ai sensi dell’art.11 per cui l’Unione ha “competenza
per promuovere le politiche economiche e dell’occupazione degli Stati membri e
assicurarne il coordinamento” (è una sfumatura diversa - ed al ribasso -
rispetto alla precedente “competenza per il coordinamento delle politiche
economiche degli Stati membri” [2]).
Con riferimento alle istituzioni dell’Unione l’art.18 del
nuovo testo esclude dal quadro istituzionale la Corte dei Conti ed inserisce -
rispetto alla formulazione precedente - il Consiglio dei Ministri, che si
affianca così al Parlamento europeo (il cui rinnovo è previsto nel 2004), al
Consiglio europeo, alla Commissione europea ed alla Corte di Giustizia.
Nel precedente numero della rivista avevamo visto in che
misura erano definiti compiti e attribuzioni dei diversi organi. Non è il caso
a questo punto del percorso di costruzione della Costituzione soffermarsi su
come nel testo attuale i confini d’azione ed i poteri di intervento dei nuovi
organismi siano definiti: occorrerà rivolgere uno sguardo più attento a questa
parte della Costituzione ad esito del percorso di approvazione (e ci riserviamo
quindi di analizzarla nel prossimo numero della rivista, in cui sarà contenuta
la terza parte di questo dossier).
3. Il titolo V della prima parte del testo proposto quale
“trattato che istituisce la Costituzione europea” è dedicato all’esercizio
delle competenze dell’Unione, e si apre con la elencazione (art.32) degli atti
giuridici dell’Unione. Essi sono la legge europea, la legge quadro europea, il
regolamento europeo, la decisione europea, le raccomandazioni ed i pareri.
L’art.32 definisce tali atti: “La legge europea è un
atto legislativo di portata generale. È obbligatoria in tutti i suoi elementi e
direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
La legge quadro europea è un atto legislativo che vincola
tutti gli Stati membri destinatari per quanto riguarda il risultato da
raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla
scelta della forma e dei mezzi.
Il regolamento europeo è un atto non legislativo di portata
generale volto all’attuazione degli atti legislativi e di talune disposizioni
specifiche della Costituzione. Può essere obbligatorio in tutti i suoi elementi
e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, oppure vincolare lo
Stato membro destinatario per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva
restando la competenza degli organi nazionali in merito alla scelta della forma
e dei mezzi.
La decisione europea è un atto non legislativo obbligatorio
in tutti i suoi elementi. Se designa dei destinatari, essa è obbligatoria
soltanto nei confronti di questi.
Le raccomandazioni ed i pareri adottati dalle istituzioni non
hanno effetto vincolante”.
Leggi europee e leggi quadro europee sono adottate
congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consigli dei Ministri su proposta
della Commissione. Si afferma (art.33) che “se le due istituzioni non
raggiungono un accordo, l’atto in questione non è adottato”. In alcuni
casi specifici previsti dalla Costituzione le leggi e le leggi quadro europee
“sono adottate dal Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio
dei Ministri o da quest’ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo,
secondo procedure legislative speciali”.
Regolamenti e decisioni sono adottati dal Consiglio dei
Ministri e dalla Commissione europea, e nei casi espressamente previsti dalla
Costituzione anche il Consiglio europeo adotta dei decisioni europee e la Banca
centrale europea regolamenti o decisioni.
Consiglio dei Ministri, Commissione europea e, nei casi in
cui è autorizzata a tal fine dalla Costituzione, Banca Centrale adottano
raccomandazioni.
Leggi e leggi quadro europee “possono delegare alla
Commissione la facoltà di emanare regolamenti delegati che completano o
modificano determinati elementi non essenziali della legge o della legge quadro.
Le leggi e le leggi quadro delimitano esplicitamente gli obiettivi, il
contenuto, la portata e la durata della delega. Gli elementi essenziali di un
settore non possono essere oggetto di delega. Essi sono riservati alla legge o
alla legge quadro”. Anche da questo passaggio - contenuto nell’art.35
del nuovo testo - è possibile comprendere quanto la funzione della Commissione
(attualmente presieduta da Romano Prodi) venga ad essere compressa, rispetto
agli altri poteri, quantomeno nella definizione degli atti normativi che dalla
stessa possa sono essere adottati.
4. Nel Capo III del Titolo V della prima parte del
trattato costituzionale si dettano alcune disposizioni particolari relative all’attuazione
della politica estera, di sicurezza e di difesa comune (questione quanto mai
controversa, specie dopo l’affaire Iraq, e rispetto alla quale si
misura in modo molto indicativo il grado di effettiva cessione di sovranità da
parte degli Stati membri in favore dell’Unione) nonché in ordine all’ “istituzione
dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.
Sulla base dell’individuazione degli interessi strategici
dell’Unione da parte del Consiglio europeo “la politica estera e di
sicurezza comune è attuata dal ministro degli affari esteri dell’Unione e
dagli Stati membri, ricorrendo ai mezzi nazionali e a quelli dell’Unione”
(art.39, quarto comma).
Il quinto comma dell’art.39 prevede che “gli Stati
membri si concertano in sede di Consiglio europeo e di Consiglio dei Ministri su
qualsiasi questione di politica estera e di sicurezza di interesse generale per
definire un approccio comune. Prima di intraprendere qualsiasi azione sulla
scena internazionale o di assumere qualsiasi impegno che possano incidere sugli
interessi dell’Unione, ciascuno Stato membro consulta gli altri in sede di
Consiglio europeo o di Consiglio dei Ministri. Gli Stati membri assicurano,
mediante la convergenza delle loro azioni, che l’Unione possa affermare i suoi
interessi e valori sulla scena internazionale. Gli Stati membri sono solidali
tra loro”. Si prevede, inoltre al sesto comma, la regolare consultazione
del Parlamento europeo “sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali
della politica estera e di sicurezza comune”.
Quindi - mentre le decisioni europee sono adottate all’unanimità
(settimo comma dell’art.39) dal Consiglio europeo e dal Consiglio dei Ministri
di fatto per la scelta delle loro azioni da parte dei singoli Stati membri è
necessaria soltanto una consultazione in sede europea. Non siamo arrivati quindi
alla scelta di una politica estera comune e vincolante per tutti i Paesi membri
dell’Unione: ed anche questo può essere definito un tratto caratteristico del
compromesso tra le diverse opzioni messe in campo dai diversi Stati e dalle
varie forze politiche e culturali nell’ambito del percorso costituzionale
europeo.
L’art.40 prevede che nell’ambito della politica di
sicurezza e di difesa comune “l’Unione disponga di una capacità
operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L’Unione può avvalersi di
tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace,
la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale,
conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite”.
Il punto più significativo della definizione potenzialmente
progressiva di una effettiva politica comune di difesa si trova nel secondo
comma dell’art.40 per cui “la politica di sicurezza e di difesa comune
comprende la graduale definizione di una politica di difesa comune dell’Unione.
Questa condurrà ad una difesa comune non appena il Consiglio europeo,
deliberando all’unanimità, avrà deciso al riguardo. In questo caso il
Consiglio europeo raccomanda agli Stati membri di adottare una decisione in tal
senso secondo le rispettive norme costituzionali”.
E cioè si prevede di passare dalla situazione di partenza,
che vede una sostanziale pienezza di poteri in capo ai singoli Stati membri -
sia pur temperata da forme di concertazione e consultazione -, ad una
sostanziale revisione del trattato - che passa attraverso una decisione all’unanimità
e che una volta raggiunta, con l’approdo cioè ad una effettiva difesa comune
(che comporta necessariamente una politica estera comune), deve essere
sottoposta ad un vaglio degli organi degli Stati membri.
[1] Sarebbe opportuno
per il lettore, nell’ambito del complesso procedimento di formazione di quello
che sarà il testo costituzionale definitivo, analizzare il testo da ultimo
proposto confrontandolo con la versione predisposta dal Presidium e pubblicata
nel precedente numero di Proteo (e facendo anche riferimento alle considerazioni
sviluppate in ordine alla versione ora superata).
[2] Definizione contenuta nel vecchio testo
dell’art.10.