Un’analisi seria e responsabile del ruolo del movimento
sindacale internazionale, in particolare della nostra regione, in lotta contro l’implementazione
dell’ALCA, deve necessariamente tener conto della situazione stessa del
sindacalismo sia nel suo contesto regionale sia all’interno del nostro paese.
All’interno della cornice del crescente processo di
globalizzazione neoliberale e quindi dell’applicazione delle spietate
politiche neoliberali, imposte dai centri di dominazione mondiale, come gli
Stati Uniti e le altre potenze industriali, e dai loro strumenti di
colonizzazione permanente (FMI, BM, OMC), il movimento sindacale ha accusato un
forte colpo dal quale solo ora, ma molto lentamente, ha cominciato a
riprendersi.
La privatizzazione accelerata delle imprese e dei servizi
pubblici, in molti casi venduti o quasi regalati ad investitori stranieri e il
conseguente licenziamento di milioni di lavoratori, con la sparizione e la
disarticolazione naturalmente di migliaia di sindacati e associazioni sindacali,
ha avuto un impatto tremendo sull’esistenza stessa dei sindacati.
Negli Stati Uniti, due decadi di neoliberalismo hanno portato
l’indice di affiliazione ai sindacati ai livelli più bassi della storia e
malgrado l’enorme sforzo e le strategie portate avanti dalla nuova direzione
dell’AFL-CIO, registrata da Sweeney, l’adesione ai sindacati ancora non
supera il 13% dei lavoratori.
Nei paesi dell’America Centrale alle pratiche neoliberali
si è aggiunta, da parte delle forze al servizio dei governi di turno, la
repressione e l’assassinio di coloro che lottano per i diritti della società,
producendo una completa dispersione e disarticolazione dei sindacati, come nel
caso del piccolo El Salvador dove sussistono 14 centri sindacali che non sono
ancora riusciti ad ottenere una piattaforma comune di lotta.
In un paese come l’Argentina, dove per molti anni il
livello d’affiliazione ai sindacati era stato tra i più alti del mondo, il
movimento sindacale è oggi frazionato, diviso indebolito e ridotto al punto
tale che nel mezzo dell’attuale crisi d’ingovernabilità, solo il CTA ha
ottenuto spazi di mobilitazione e lotta, mentre il CGT che aveva accompagnato
Menem nel processo di distruzione qui perpetrato, non è riuscito neanche a
sollevare la sua voce in difesa degli interessi dei lavoratori argentini.
Il caso dell’Argentina non è assolutamente un caso
isolato. In Cile, Messico e Venezuela, dove sono state applicate con uguale
intensità queste politiche, non c’è stata una lotta coordinata e decisa dei
sindacati contro l’applicazione di questo modello ma in qualche caso c’è
stata anche complicità.
In altri paesi dell’area Andina, come Perù, Bolivia ed
Ecuador, anche se non c’è stata una forte resistenza, non sempre il movimento
sindacale è stato in condizione di poter lottare. Ciò a causa soprattutto,
come per l’Ecuador, di scontri interni e dell’indebolimento della sua
capacità d’azione. In Colombia invece, dove esiste uno dei movimenti
sindacali più combattivi del continente, la repressione e l’assassinio di
importanti leader sindacali, durante lo stato costante di guerra in cui si trova
coinvolto questo paese fratello, hanno limitato le capacità di affrontare con
successo il modello imposto.
In un paese tanto importante nel contesto latinoamericano
come il Brasile, il CUT ha dovuto lottare non solo contro l’implementazione
del neoliberalismo ma anche contro una buona parte del proprio movimento
sindacale che aveva abbracciato il modello imposto e lo ha sostenuto fino ad
oggi.
Questo è soltanto un esempio di ciò che il neoliberalismo
ha provocato al movimento sindacale nel nostro emisfero, il quale non ha saputo
capire in tempo il pericolo che rappresentava per i lavoratori e il popolo.
In questa situazione di debolezza e divisione ci sta venendo
contro la minaccia crescente della creazione dell’ALCA, come una nuova fase di
colonizzazione dei nostri paesi.
Credo, senza dubbio, che la presa di coscienza dei pericoli
che comporta l’ALCA è stata molto più rapida di quella sui pericoli della
Globalizzazione Neoliberale. A ciò, io penso, ha contribuito in maniera
decisiva la reazione dei movimenti sindacali degli Stati Uniti e del Canada, in
relazione alla loro esperienza con l’applicazione del NAFTA. Si noti che non
ho menzionato il movimento sindacale messicano, al quale c’è voluto molto
tempo, e io credo che ancora ce ne vorrà, per comprendere le conseguenze reali
di questo trattato di dominazione.
Ecco che già da Bello Horizonte erano stati avviati i primi
passi per articolare una campagna di lotte contro il tentativo di imposizione
dell’ALCA.
Uno dei successi più importanti del movimento sindacale
nella lotta contro l’ALCA è, a mio giudizio, l’aver capito, anche se non
sufficientemente in tempo, la necessità di stringere alleanze con altre forze
sociali e popolari come, ad esempio, quelle contadine ed indigene, le
organizzazioni femminili e i settori della Chiesa più progressista.
La creazione di diverse reti, sia tra paesi sia a livello
emisferico, come nel caso dell’ASC, ha propiziato una maggiore articolazione
degli spazi della lotta e, non meno importante, di quelli per la preparazione e
l’informazione sui pericoli di tale malfatto. A ciò ha contribuito in maniera
decisiva la partecipazione di diversi economisti, analisti, intellettuali e
accademici delle università e dei centri di studio.
In questo senso ritengo che se non è stato fatto ciò che
era necessario, è perché non si è compreso perfettamente il ruolo e le
potenzialità, della partecipazione dei settori studenteschi che hanno enorme
influsso, possibilità e capacità di mobilitazione nelle università e nei
centri d’insegnamento.
La partecipazione dell’ORIT, come organizzazione sindacale
maggioritaria in questa rete, ha contribuito significativamente alla
mobilitazione delle diverse forze da aggregare a questa lotta, alla quale si
sono sommate anche altre organizzazioni, come la Coordinadora de Centrales
Sindicales del MERCOSUR, dove confluiscono forze affiliate all’ORIT e non e
che hanno potuto articolare un significativo spazio di lotta.
Un contributo importante alla lotta contro l’imposizione
dell’ALCA è stata realizzata dalla AFL-CIO in opposizione all’approvazione
da parte del Congresso Nordamericano del FAST TRACK. Ciò non ha permesso al
presidente Clinton e a chi nel movimento sindacale aveva appoggiato la sua
elezione e rielezione, di disporre di questo strumento per accelerare le
negoziazioni ed arrivare all’accordo in maniera più veloce. Questa battaglia
portata avanti dall’AFL-CIO e terminata dopo i terribili fatti dell’11
settembre, ha influito su tutto il movimento sindacale del continente e in
maniera particolare su quello canadese, che dopo aver sofferto per l’implementazione
del NAFTA non ha tardato a capire la necessità di questa lotta.
Molti mi hanno chiesto, più di una volta, se la posizione
dei sindacati degli Stati Uniti e del Canada sussiste solo come atto d’autodifesa
o se tiene anche conto della solidarietà dei fratelli del Sud. Ho la
convinzione che entrambe le cose prevalgono in una presa di posizione contro l’ALCA.
Da un lato, questo progetto, ossia l’estensione del NAFTA, provocherebbe
conseguenze fatali per i lavoratori di entrambe le regioni, soprattutto a causa
della perdita di milioni di posti di lavoro e dell’investimento di capitali
all’estero nella ricerca di manodopera a basso costo, ma contemporaneamente
sono coscienti che le conseguenze per i lavoratori e i popoli dell’America
Latina e dei Carabi sarebbero terribili e che la solidarietà è necessaria di
fronte ad una possibile colonizzazione delle Americhe.
Naturalmente tra le posizioni del Nord sviluppato e del Sud
oppresso prevalgono criteri logicamente contraddittori, come nel caso, per
esempio, della questione dei sussidi: mentre i lavoratori e i contadini del Sud
vedono nella politica dei sussidi degli Stati Uniti una pratica ingiusta e
sleale di protezionismo che porta alla rovina intere regioni e settori, come è
avvenuto in Messico con i produttori di mais o di cotone, per molti sindacati
nordamericani queste politiche sono necessarie a proteggere il loro alto indice
d’occupazione e di guadagno. Ricordo in questo senso le recenti dichiarazioni
di soddisfazione di Leo Gerard, presidente del grande sindacato USWA
(Steelworkers) in relazione alla decisione del governo nordamericano di
aumentare le imposte sulle importazioni di acciaio, mentre in Brasile mille
lavoratori vedevano minacciati i loro posti di lavoro e il loro sostentamento
per l’impossibilità di esportare e quindi di produrre.
Dobbiamo dire che questa situazione si crea anche all’interno
del Canada e degli Stati Uniti, come nel caso delle restrizioni sull’importazione
di legname dal Canada, con le conseguenti dimostrazioni dei lavoratori di questo
paese.
Sono sincero nell’affermare che senza il contributo dei
sindacati degli Stati Uniti e del Canada sarebbe stato molto difficile portare
avanti la battaglia che conduciamo oggi, e non lo dico per il suo generoso
supporto finanziario all’organizzazione delle campagne, ma fondamentalmente
per il suo importante contributo nella lotta politica.
In questo senso le giornate di Seattle, Washington e Quebec,
le prime due più legate alla lotta contro la globalizzazione, sono state un
punto di riferimento e ci hanno insegnato quanto si può fare quando si lavora
uniti per gli stessi propositi.
Analizzando oggi in quale momento ci troviamo, nonostante lo
sforzo realizzato soprattutto da organizzazioni come il CUT del Brasile, che ha
portato sulle sue spalle il peso fondamentale della promozione della lotta in
America Latina, la risposta di una buona parte del movimento sindacale della
nostra regione è ancora molto limitata.
Prendiamo per esempio i Carabi. Qui, dove 11 paesi sono
candidati all’ALCA, non si è organizzata un’azione sindacale contro questo
progetto e il livello d’informazione, non solo tra i lavoratori, ma anche tra
i leader sindacali è molto scarso e azzarderei dire, non esiste un’idea certa
di ciò che si sta affrontando.
Una situazione simile la si ha in Centro America, dove i
problemi d’oggi sono talmente urgenti che i pericoli dell’ALCA sono visti
come molto lontani o ciò che è peggio, non sono compresi.
Questo è, penso, uno dei principali limiti del ruolo svolto
dal movimento sindacale nella lotta contro l’ALCA, ossia che è concentrato
nei paesi considerati più importanti o decisivi, mentre nei paesi con una
piccola economia, che sono la maggior parte dei candidati ad aderire a questo
Accordo, non c’è stata una presa di coscienza sulla necessità di lottare per
impedire che ciò avvenga, soprattutto a partire dall’importanza che
rivestirebbe per gli Stati Uniti l’adesione in blocco di tutti i candidati.
Anche in altri paesi con maggior peso, considerato il loro
potenziale economico, come nel caso del Cile, dell’Argentina e del Venezuela,
il movimento sindacale non ha svolto un ruolo significativo nell’affrontare l’ALCA,
e in qualche modo, ancora oggi, sono più ascoltate le voci che mettono in
guardia contro un eventuale pericolo che potrebbe derivare dal Brasile che
quelle che indicano il tentativo degli Stati Uniti di trasformare i nostri paesi
in colonie.
A tutto questo va aggiunto ciò che considero uno dei limiti
fondamentali del movimento sindacale nel nostro continente che consiste nel
concentrare gli sforzi principali nelle rivendicazioni economiche a breve
termine, a discapito della lotta politica, per assicurare ai nostri popoli la
garanzia dell’indipendenza, della sovranità e dell’autodeterminazione.
L’ALCA, oltre ad essere un progetto di dominazione
economica è un tentativo d’assoggettamento assoluto dei nostri paesi al
dominio degli Stati Uniti e di cancellazione di qualunque forma d’indipendenza
che ancora oggi possiamo affermare.
Se ciò avverrà faremo un passo indietro nella storia di
circa 200 anni per tornare ad essere nuovamente delle colonie, alcune delle
quali vivranno oggi in condizione di povertà peggiori di quando i nostri
antenati si sono ribellati alla schiavitù dell’oppressore spagnolo.
NOTE